Summa Teologica - I-II

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Articolo 7 - Se tutte le pene [ della vita ] siano dovute a una colpa

II-II, q. 108, a. 4; III, q. 14, a. 1, ad 3; In 2 Sent., d. 30, q. 1, a. 2; d. 36, q. 1, a. 4; In 4 Sent., d. 15, q. 1, a. 4, sol. 2, ad 3; d. 46, q. 1, a. 2, sol. 3; C. G., III, c. 141; De Malo, q. 1, a. 4; q. 5, a. 4; In Ioan., c. 9, lect. 1

Pare che non tutte le pene [ della vita ] siano dovute a una colpa.

Infatti:

1. A proposito del cieco nato si legge nel Vangelo [ Gv 9,2s ]: « Né lui né i suoi genitori hanno peccato, perché nascesse cieco ».

E così vediamo che molti bambini, anche battezzati, soffrono gravi pene: febbri, ossessioni diaboliche e molte altre calamità del genere.

E tuttavia in essi non c'è alcun peccato, se sono stati battezzati.

E anche se non sono stati battezzati, in essi il peccato non si trova più che in altri bambini che invece non soffrono.

Perciò non tutte le penalità sono dovute al peccato.

2. Sono ugualmente ingiuste sia la prosperità degli empi che la punizione degli innocenti.

Ora, le due cose capitano di frequente nella vita umana: infatti a proposito degli empi sta scritto [ Sal 74,5 ]: « Non conoscono l'affanno dei mortali e non sono colpiti come gli altri uomini »; e altrove [ Gb 21,7 ]: « Perché vivono i malvagi, invecchiano, anzi sono potenti e gagliardi? »; e ancora [ Ab 1,13 ]: « Perché, vedendo i malvagi, taci mentre l'empio ingoia il giusto? ».

Perciò non tutte le pene sono inflitte per una colpa.

3. Di Cristo si legge [ 1 Pt 2,22 ] che « non commise peccato, e non si trovò inganno sulla sua bocca ».

E tuttavia si dice ancora [ 1 Pt 2,21 ] che egli « patì per noi ».

Quindi non sempre Dio infligge la pena per una colpa.

In contrario:

Sta scritto [ Gb 4,7ss ]: « Quale innocente è mai punito, e quando mai furono distrutti gli uomini retti?

Per quanto io ho visto, chi coltiva l'iniquità e chi semina affanni, li raccoglie.

A un soffio di Dio periscono ».

E S. Agostino [ Retract. 1,9 ] insegna che « ogni pena è giusta, ed è inflitta per qualche peccato ».

Dimostrazione:

Come si è già detto [ a. prec. ], la pena può essere di due tipi, cioè o una vera punizione o una pena soddisfattoria.

Ora, quest'ultima è in qualche modo volontaria.

E poiché capita che per unione d'amore certe persone non obbligate alla pena formino volontariamente una cosa sola con quelle che vi sono obbligate, può capitare che chi non ha peccato porti talora volontariamente la pena di un altro: come anche negli affari umani vediamo che alcuni prendono su di sé i debiti di altri.

Se invece si parla della vera punizione come tale, allora questa è sempre connessa con una colpa propria: talora con un peccato attuale, come quando uno è punito da Dio o dagli uomini per i peccati commessi; talora invece con il peccato originale, sia in maniera diretta che in maniera derivata.

Ora, la pena diretta del peccato originale è l'abbandono della natura umana a se stessa, senza il soccorso della giustizia originale.

Ma da ciò derivano appunto tutte le penalità che colpiscono gli uomini per il decadimento della loro natura.

Si noti però che talora sembra una pena ciò che non lo è in senso assoluto.

Infatti la pena è una suddivisione del male, come si disse nella Prima Parte [ q. 48, a. 5 ].

Ora, il male è privazione di bene.

Essendo dunque i beni dell'uomo molteplici, cioè dell'anima, del corpo e delle realtà esteriori, può capitare che uno sopporti la perdita di un bene minore per crescere in uno maggiore.

Uno, p. es., può accettare la perdita del danaro per la salute del corpo; oppure la perdita di entrambi per la salvezza dell'anima e per la gloria di Dio.

E allora tale perdita non è per l'uomo un male in senso assoluto, ma solo in senso relativo.

Perciò non ha, assolutamente parlando, natura di pena, ma di medicina: infatti anche i medici somministrano delle medicine amare per guarire gli infermi.

E poiché tali mali non sono delle vere punizioni, non hanno un rapporto causale con la colpa se non in questo senso: che la necessità di curare la natura umana con queste pene medicinali deriva dalla corruzione della natura, che è la punizione del peccato originale.

Infatti nello stato di innocenza non sarebbe stato necessario alcun penoso esercizio per progredire nella virtù.

Perciò l'aspetto penale di tali esercizi è un effetto del peccato originale.

Analisi delle obiezioni:

1. I difetti di nascita, e anche quelli dei bambini, sono l'effetto e la pena del peccato originale, come si è dimostrato sopra [ nel corpo; q. 85, a. 5 ].

E rimangono anche dopo il battesimo, per le ragioni sopra indicate [ q. 85, a. 5, ad 2 ].

La loro disuguaglianza dipende poi, come si è detto [ q. 85, a. 5, ad 1 ], dalla diversità della natura lasciata a se stessa.

Tuttavia questi difetti sono ordinati dalla divina provvidenza alla salvezza degli uomini: o di quelli che ne soffrono, o di coloro per i quali sono un avvertimento; e anche alla gloria di Dio.

2. I beni temporali e materiali sono dei beni umani, ma piccoli; i beni spirituali invece sono i grandi beni dell'uomo.

Perciò è comprensibile che la divina giustizia dia alle persone virtuose i beni spirituali, elargendo loro solo quel tanto di beni temporali che è sufficiente alla virtù.

Infatti Dionigi [ De div. nom. 8 ] scrive: « Non conviene alla divina giustizia snervare la fortezza dei migliori con il dono di cose materiali ».

Quanto agli altri invece, il fatto stesso che vengano loro dati dei beni temporali ritorna a loro danno spirituale. Infatti nel Salmo [ Sal 73,6 ] si legge: « Dell'orgoglio si fanno una collana ».

3. Cristo sostenne una pena soddisfattoria per i nostri peccati, non per i suoi.

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