Summa Teologica - III

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Articolo 2 - Se all'umanità di Cristo sia dovuto il culto di latria

Infra, q. 58, a. 3, ad 1; In 3 Sent., d. 9, q. 1, a. 2, sol. 1; sol. 4, ad 1; In Gal., c. 4, lect. 4

Pare che all'umanità di Cristo non sia dovuto il culto di latria.

Infatti:

1. Commentando le parole della Scrittura [ Sal 99,5 ]: « Prostratevi allo sgabello dei suoi piedi, perché è santo », la Glossa [ ord. ] ci ammonisce: « Noi adoriamo la carne assunta dal Verbo di Dio senza commettere peccato: nessuno infatti mangia spiritualmente la sua carne senza prima adorarla; non però con l'adorazione di latria, che è dovuta solo al Creatore ».

Ma la carne è parte dell'umanità.

Quindi l'umanità di Cristo non va onorata con il culto di latria.

2. A nessuna creatura è dovuto il culto di latria: i gentili infatti vengono rimproverati perché « hanno venerato e adorato la creatura », come dice S. Paolo [ Rm 1,25 ].

Ma l'umanità di Cristo è una creatura.

Quindi non merita il culto di latria.

3. Il culto di latria è dovuto a Dio in riconoscimento del suo supremo dominio, come comanda la Scrittura [ Dt 6,13 ]: « Adorerai il Signore tuo Dio e servirai a lui solo ».

Ma Cristo in quanto uomo è minore del Padre.

Quindi alla sua umanità non si deve il culto di latria.

In contrario:

Il Damasceno [ De fide orth. 4,3 ] scrive: « Dopo che Dio Verbo si è incarnato, noi adoriamo la carne di Cristo, non per se stessa, ma per il Verbo di Dio che le si è unito ipostaticamente ».

E commentando queltesto dei Salmi [ Sal 99,5 ]: « Prostratevi allo sgabello dei suoi piedi », la Glossa [ ord. ] dice: « Chi adora il corpo di Cristo non mira alla terra, ma a colui del quale esso è sgabello, e per l'onore a lui dovuto adora lo sgabello ».

Ma il Verbo incarnato viene adorato con il culto di latria.

Quindi anche il suo corpo e la sua umanità.

Dimostrazione:

Come si è detto sopra [ a. prec. ], l'onore è dovuto all'ipostasi sussistente, anche se la causa dell'onore può essere qualcosa di non sussistente in possesso della persona che viene onorata.

Il culto dell'umanità di Cristo può quindi essere considerato sotto due aspetti.

Primo, come culto reso all'oggetto dell'adorazione.

E in questo senso adorare l'umanità di Cristo è lo stesso che adorare il Verbo di Dio incarnato, come onorare la veste di un re è onorare il re che la indossa.

Sotto questo aspetto dunque il culto reso all'umanità di Cristo è un culto di latria.

Secondo, il culto dell'umanità di Cristo può essere considerato in rapporto alla natura umana di Cristo, perfezionata con ogni dono di grazia.

E allora il culto reso all'umanità di Cristo non è di latria, ma di dulia.

In modo cioè che l'unica e medesima persona di Cristo viene onorata con il culto di latria per la sua divinità, e con il culto di dulia per le perfezioni della sua umanità.

Né ciò presenta inconvenienti.

Infatti allo stesso Dio Padre è dovuto il culto di latria in ragione della divinità, e il culto di dulia in ragione del suo dominio nel governo delle creature.

Per cui spiegando le parole del Salmista [ Sal 7,1 ]: « Signore mio Dio, in te mi rifugio », la Glossa [ interlin. ] osserva: « Signore di tutte le cose per la potenza, a cui è dovuto il culto di dulia.

Dio di tutte le cose per la creazione, a cui è dovuto il culto di latria ».

Analisi delle obiezioni:

1. Quella Glossa non va intesa nel senso che la carne di Cristo debba essere adorata separatamente dalla sua divinità: ciò infatti potrebbe avvenire solo se ci fossero due ipostasi, la divina e l'umana.

Piuttosto, come nota il Damasceno [ l. cit. ], « se dividi con sottili concetti ciò che è visto da ciò che è appreso intellettualmente, Cristo non è adorabile come creatura » con culto di latria.

E allora, se si considera l'umanità di Cristo come separata dal Verbo, le è dovuto il culto di dulia: non quella comune che viene resa alle altre creature, ma una più eccellente, chiamata iperdulia.

2 e 3. Ciò basta per rispondere anche alla seconda e alla terza obiezione.

Infatti il culto di latria non viene reso all'umanità di Cristo per se stessa, ma in ragione della divinità a cui essa è unita, e per la quale Cristo non è minore del Padre.

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