Supplemento alla III parte

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Articolo 3 - Se l'anima separata possa essere tormentata dal fuoco materiale

Pare che l'anima separata non possa essere tormentata dal fuoco materiale.

Infatti:

1. « Non le realtà corporee, ma quelle simili alle corporee », dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,32.60 ], « influiscono, in modo favorevole o contrario, sulle anime spogliate del proprio corpo ».

Quindi l'anima separata non è punita col fuoco materiale.

2. Lo stesso S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,16.32 ] asserisce che « l'agente è sempre più nobile del paziente ».

Ma non è possibile che un corpo possa essere più nobile dell'anima separata.

Quindi questa non può essere punita da un corpo.

3. Secondo Aristotele [ De gen. 1,10 ] e Boezio [ De duab. nat. 6 ], solo quelle cose che hanno in comune la materia hanno anche passioni e attività reciproche.

Ma l'anima e il fuoco materiale non hanno questa base comune, poiché manca una materia comune alle realtà spirituali e a quelle materiali.

Non è quindi possibile, come afferma Boezio [ ib. ], che l'una trasmuti l'altra.

Quindi l'anima separata non può subire il fuoco materiale.

4. Il paziente riceve qualcosa dall'agente.

Se quindi l'anima soffrisse per il fuoco materiale, riceverebbe da esso qualcosa.

Ma tutto ciò che è ricevuto lo è al modo del ricevente.

Quindi ciò che l'anima riceve dal fuoco è in essa in modo spirituale e non materiale.

Ora, le forme delle cose che esistono spiritualmente nell'anima sono sue perfezioni.

Anche ammesso quindi che l'anima patisca per il fuoco materiale, questo non rappresenterebbe per essa una pena, ma piuttosto una perfezione.

5. All'affermazione che « l'anima è punita col fuoco al solo vederlo », come sembra dire S. Gregorio [ Dial. 4,29 ], si può obiettare in contrario che se l'anima vede il fuoco dell'inferno, può vederlo soltanto mediante una visione intellettuale, essendo essa priva di organi capaci di visioni immaginarie o sensibili.

Ma la visione intellettuale non pare che possa causare tristezza poiché, come scrive il Filosofo [ Topic. 1,13 ], « non c'è una tristezza che si contrapponga al diletto della conoscenza ».

Quindi l'anima con una tale visione non subisce un castigo.

6. Se poi si afferma che l'anima patisce il fuoco materiale in quanto ne è prigioniera, come ora che è in vita è prigioniera del proprio corpo, si può replicare che l'anima mentre vive nel corpo ne è prigioniera inquantoché con esso costituisce una cosa sola nel modo in cui costituiscono una cosa sola la materia e la forma.

Ma l'anima non sarà allora la forma di quel fuoco materiale.

Perciò non può esserne prigioniera nel modo suddetto.

7. Qualunque causa materiale agisce mediante il contatto.

Ma non ci può essere contatto tra il fuoco materiale e l'anima, poiché il contatto si verifica solo tra cose materiali le cui estremità hanno un punto in comune.

Quindi l'anima non può soffrire da parte del fuoco materiale.

8. Nessun agente organico può agire su cose lontane senza influire sullo spazio intermedio: per cui il suo influsso arriva solo a una distanza determinata, in proporzione della sua virtù.

Ora le anime, o almeno i demoni, che in questo sono alla pari, talvolta possono trovarsi fuori del luogo dell'inferno; anzi, talora appaiono agli uomini in questo modo.

Né d'altra parte sono per questo libere dalla pena: poiché la gloria dei santi e la pena dei dannati non subiscono interruzioni.

Tuttavia noi costatiamo che il loro percorso non è danneggiato dal fuoco dell'inferno.

D'altra parte non è credibile che un elemento corporeo come il fuoco abbia tanta efficacia da irradiare la sua azione a una distanza così considerevole.

Quindi sembra che le pene delle anime dei dannati non provengano dal fuoco materiale.

In contrario:

1. Le anime separate e i demoni si trovano alla pari nel soffrire il fuoco materiale.

Ora, i demoni soffrono per quel fuoco dove saranno gettati i corpi dei dannati dopo la risurrezione, fuoco che deve essere materiale, come risulta dalle parole del Signore [ Mt 25,41 ]: « Via da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo », ecc.

Quindi le anime separate possono essere tormentate dal fuoco materiale.

2. La pena deve corrispondere alla colpa.

Ma con la prava concupiscenza l'anima si è fatta schiava del corpo.

Quindi è giusto che sia tormentata da una pena inflittale da un essere corporeo.

3. L'unione della forma con la materia è più intima di quella esistente fra l'agente e il paziente.

Ma la diversità di natura non impedisce che l'anima spirituale sia la forma del corpo materiale.

Quindi tale diversità non può impedire che l'anima sia tormentata dal fuoco materiale.

Dimostrazione:

Una volta stabilito [ In 4 Sent., d. 44, q. 3, a. 2, sol. 1 ] che il fuoco dell'inferno va inteso in senso non metaforico, ma reale, bisogna affermare che l'anima sarà tormentata dal fuoco infernale, come risulta chiaro dalle parole del Signore [ Mt 25,41 ], il quale asserisce che quel fuoco « fu preparato per il diavolo e per i suoi angeli », i quali sono incorporei come l'anima.

Ma le opinioni divergono quando si deve spiegare in che modo si produca questa sofferenza.

Alcuni infatti, come riferisce S. Gregorio [ Dial. 4,29 ], hanno affermato che l'anima è tormentata dal fuoco al solo vederlo: « L'anima soffre perché lo vede ».

Ma questa spiegazione non sembra soddisfacente.

Infatti ciò che si vede rappresenta una perfezione per la potenza visiva, per cui dal vedere in quanto tale non può derivare pena alcuna.

Tuttavia indirettamente ciò che si vede può essere motivo di pena o di affanno quando è ritenuto nocivo.

Quindi non basta che l'anima veda il fuoco per soffrirne, ma è necessario che vi sia un altro fattore che lo renda nocivo.

Perciò altri, pur ammettendo che il fuoco materiale non può bruciare l'anima, dicono tuttavia che essa ne è tormentata perché lo considera nocivo, e in seguito a tale considerazione ne riceve dolore e timore, per cui si adempie nei dannati quanto è stato scritto nel Salmo [ Sal 14,5 ]: « Tremavano di spavento là dove non c'era da temere ».

Ed è ciò che S. Gregorio [ l. cit. ] esprime con quelle parole: « L'anima brucia perché si vede bruciare ».

Ma neppure questa spiegazione è sufficiente.

Infatti in questo caso l'effetto del fuoco nell'anima non sarebbe reale, ma solo apparente.

È vero infatti che si può provare tristezza e dolore per una falsa immaginazione, come dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,32.60 ], però in tal caso la sofferenza non è causata dalla realtà delle cose, ma solo dall'apparenza.

- Inoltre tale sofferenza sarebbe ancora più remota dalla realtà di una sofferenza immaginaria: poiché questa è prodotta da immagini di cose reali, mentre quella nasce solo da false idee fabbricate dall'anima stessa.

- E poi non è probabile che le anime separate o i demoni, dato l'acume del loro ingegno, credano di essere bruciate dal fuoco materiale se di fatto non ne subiscono alcuna molestia.

Per cui altri dicono che la sofferenza prodotta nell'anima dal fuoco è reale.

S. Gregorio [ l. cit. ] infatti scrive: « Dai passi del Vangelo possiamo concludere che l'anima è tormentata dal fuoco non solo perché lo vede, ma anche perché ne subisce l'effetto ».

Vediamo dunque la spiegazione di come ciò possa essere.

Il fuoco materiale può essere considerato sotto un duplice punto di vista: in quanto esso è qualcosa di corporeo, e così non può agire sull'anima, oppure in quanto è uno strumento della divina giustizia vendicatrice, la quale giustamente esige che l'anima, divenuta schiava delle realtà corporali per il peccato, ne diventi schiava anche nella pena.

Lo strumento infatti agisce non solo in virtù della propria natura, ma anche in virtù dell'agente principale.

E in questo senso non c'è alcun inconveniente ad ammettere che quel fuoco, mosso dall'azione di un agente spirituale, influisca sullo spirito dell'uomo o del demonio, analogamente a quanto è stato spiegato a proposito dell'azione dei sacramenti, che santificano l'anima [ In 4 Sent., d. 1, q. 1, a. 4, q.la 1; cf. III, q. 62, a. 2 ].

Ma neppure questi argomenti sembrano convincenti, poiché qualsiasi strumento agisce in virtù di una potenza che gli è connaturale, oltre che per la virtù dell'agente principale; anzi, lo strumento ottiene il secondo effetto attraverso il primo, come avviene nel caso dell'acqua battesimale, che santifica l'anima lavando il corpo, oppure della sega, che costruisce la casa segando il legno.

Bisogna quindi ammettere che il fuoco, destinato a essere strumento della giustizia divina vendicativa, produca nell'anima un effetto che in qualche modo sia ad esso connaturale.

Perciò affermiamo che un corpo non può, per sua natura, agire sullo spirito, e neppure in qualche modo nuocergli o arrecargli molestia, se non in quanto gli è in qualche modo unito: infatti, come dice la Scrittura [ Sap 9,15 ], « un corpo corruttibile appesantisce l'anima ».

Ora, lo spirito può essere unito a un corpo in due modi.

Primo, come la forma alla materia, in modo che ne risulti un composto unico.

E allora lo spirito umano è unito al proprio corpo e lo vivifica, mentre da esso è in qualche modo oberato.

Ma né lo spirito umano né quello del demonio sono uniti al fuoco in questo modo.

Secondo, come un movente è unito a ciò che è mosso, oppure come ciò che si trova in un luogo è unito al luogo stesso, nel modo in cui le cose incorporee possono essere in un luogo.

E in questo modo gli spiriti creati incorporei sono nel luogo in cui si trovano senza poter essere altrove [ In 1 Sent., d. 37, q. 3, a. 2; In 4 Sent., d. 10, q. 1, a. 3, sol. 2; I, q. 52, a. 2 ].

Ora la realtà corporea, pur essendo per sua natura capace di delimitare lo spirito incorporeo entro i limiti di un dato luogo, non può tuttavia per sua natura tenerlo legato a quel luogo in modo che non possa andare altrove, poiché è contro la natura dello spirito essere soggetto a un luogo.

La facoltà di imprigionare lo spirito è però qualcosa che viene concesso al fuoco materiale da parte della divina giustizia vendicatrice di cui esso è strumento: e così quel fuoco diventa un tormento, e impedisce all'anima ogni libertà di azione.

E S. Gregorio [ l. cit. ] parla così del fuoco là dove spiega come l'anima ne sia tormentata: « Se l'eterna verità afferma che il ricco epulone è condannato al fuoco, quale persona assennata oserà negare che le anime dei reprobi siano schiave del fuoco? ».

E la stessa cosa afferma S. Giuliano [ vescovo di Toledo ], come riferisce il Maestro delle Sentenze [ 4, 44, 7 ]: « Se lo spirito incorporeo dell'uomo è trattenuto dal corpo durante la vita, perché non potrebbe essere trattenuto dal fuoco dopo la morte? ».

E S. Agostino [ De civ. Dei 21,10 ] dice che l'anima dell'uomo è legata al fuoco « che lo tormenta », provandone orrore, come prima era legata al corpo a cui dava vita nutrendo verso di esso un intenso amore, nonostante la differenza di natura.

Per capire dunque come l'anima possa soffrire per il fuoco materiale occorre compendiare tutte le opinioni precedenti e dire che il fuoco per natura ha la capacità di unire a sé lo spirito, come il luogo unisce a sé quanto vi si trova, ma quale strumento della giustizia divina esso ha anche la capacità di tenerlo in qualche modo prigioniero; ed è così che il fuoco fa soffrire lo spirito, e l'anima è tormentata dal fuoco scorgendolo come causa del suo tormento.

E S. Gregorio nei Dialoghi [ l. cit. ] ha parlato ordinatamente di tutto questo, come risulta chiaro dai testi sopra allegati.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Agostino nel testo riferito parla da ricercatore.

Infatti nel De Civitate Dei, come si è riferito [ nel corpo ], egli risolve il problema in un altro modo.

Oppure si può rispondere che per S. Agostino la causa prossima del dolore o dell'afflizione dell'anima è spirituale: per cui essa non soffrirebbe se non concepisse il fuoco come nocivo.

Quindi la causa prossima della pena è il fuoco da essa conosciuto, ma la causa remota è il fuoco materiale esistente fuori dell'anima.

2. Quantunque l'anima sia naturalmente più nobile del fuoco, questo tuttavia è più nobile dell'anima in quanto è strumento della divina giustizia.

3. Aristotele e Boezio parlano di quell'azione nella quale il paziente si trasmuta nella natura dell'agente.

Ma l'azione del fuoco sull'anima non è di questo tipo.

Perciò l'obiezione non regge.

4. Il fuoco influisce sull'anima non quale causa agente, ma in quanto la tiene prigioniera.

Perciò la obiezioni non sussiste, come appare da quanto si è detto [ nel corpo ].

5. Nella visione intellettuale la pena non può derivare dal fatto che uno vede qualcosa, poiché nella conoscenza intellettiva la contrarietà non può mai menomare l'intelligenza.

La menomazione invece può esserci indirettamente nella visione sensibile, qualora l'oggetto con l'azione che esercita per essere visto leda l'organo visivo.

Ma anche la visione intellettuale può essere dolorosa quando ciò che viene percepito viene percepito come nocivo: non perché nuoce in quanto conosciuto, ma in qualsiasi altro modo.

Ed è così che l'anima patisce vedendo il fuoco.

6. Il paragone regge solo in parte, come risulta chiaro da quanto abbiamo detto [ nel corpo ].

7. Quantunque fra l'anima e il corpo non vi sia un contatto materiale, c'è tuttavia una specie di contatto spirituale, come quello che esiste fra il cielo e il suo motore spirituale: ossia, secondo l'espressione di Aristotele [ De gen. 1,6 ], come si può dire che tocca ciò che contrista.

Ora, un tale contatto è sufficiente per esercitare un'azione.

8. Le anime dei dannati non escono dall'inferno se non per concessione divina, per ammonire o per provare gli eletti.

Ma dovunque esse si trovino, vedono sempre il fuoco dell'inferno destinato al loro castigo.

E siccome questa vista del fuoco costituisce la loro pena immediata, come si è detto [ ad 1 ], ne viene che sono tormentate dal fuoco ovunque si trovino: come i condannati, anche quando si trovano fuori del carcere, sono in qualche modo afflitti dal carcere, sapendo che a quello sono destinati.

Come quindi la gloria degli eletti non diminuisce né quanto al premio essenziale né quanto a quello accidentale se talvolta essi si trovano fuori del cielo empireo, che in un certo senso costituisce la loro gloria, così non diminuisce la pena dei dannati quando momentaneamente per divina disposizione essi sono posti fuori dell'inferno.

Ed è ciò che dice la Glossa [ ord. di Beda su Gc 3,6 ]: « Incendia il corso della nostra vita », cioè: « Il demonio, ovunque si trovi, nell'aria o sottoterra, porta con sé il tormento delle sue fiamme ».

L'obiezione invece suppone che il fuoco affligga gli spiriti immediatamente, come affligge i corpi.

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