Summa Teologica - II-II

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La virtù del rischio

( La fede )

Per terminare questa descrizione, seppure appena abbozzata, dell'organismo virtuoso così come lo concepisce san Tommaso, resta quindi da dire qualcosa a proposito di ciò che, con la sua concezione degli abiti, costituisce certamente una delle sue tesi più originali.

Si tratta della sua dottrina della prudenza alla quale tra tutte le virtù accorda un posto del tutto eccezionale.

La cosa può sorprendere in quanto, nella lingua corrente, la prudenza evoca piuttosto un atteggiamento timoroso e addirittura negativo di fronte all'azione.

Nella prospettiva tomasiana la prudenza è al contrario la virtù della scelta e della decisione, della responsabilità personale, del rischio coscientemente assunto.

Spetta ad essa concludere il processo deliberativo osando prescrivere l'agire in una determinata situazione, ogni volta singolare, e che non si ripeterà mai allo stesso modo.

Perciò Tommaso non ha qui nessun tipo di esitazione: « La prudenza è la virtù più necessaria alla vita umana.

Il vivere bene consiste infatti nell'agire bene.

Ora, per agire bene occorre non solo fare qualcosa, ma anche farlo come si deve, ossia bisogna agire secondo una scelta ben ponderata e non soltanto per impulso o passione.

E poiché la scelta riguarda i mezzi indirizzati a un fine, la, sua rettitudine esige due cose: un giusto fine ( debitum finem ) e i mezzi ad esso proporzionali …

Per quanto riguarda i mezzi, è necessario esservi direttamente predisposti da un abito della ragione, poiché deliberare e scegliere - operazioni relative ai mezzi - sono atti della ragione.

Perciò è necessario che vi sia nella ragione una virtù intellettuale che le dia abbastanza perfezione per ben comportarsi nei riguardi dei mezzi da utilizzare.

Questa virtù è la prudenza.

Ecco perché la prudenza è una virtù necessaria per vivere bene ».465

Non occorre più spiegare il perché la virtù in generale è necessaria per « vivere bene », ma bisogna ben comprendere ciò che apporta qui la prudenza.

Innanzitutto è mediante essa che si attribuisce all'intelligenza tutto il suo posto nell'organismo virtuoso.

L'abbiamo già detto: le virtù sono vissute nell'affettività umana, con le sue motivazioni, i suoi desideri e le sue avversioni, i suoi piaceri e le sue tristezze, e perciò la loro sede si trova nella volontà che ha il privilegio di muovere, di mettere in movimento tutte le altre potenze dell'anima.

Non è possibile però dedurre da ciò l'affermazione di un volontarismo chiuso all'opposto del pensiero reale di Tommaso, che al contrario parla incessantemente della retta regolazione che la ragione deve esercitare sulla vita umana.

L'idea del desiderio-riflesso o dell'intelligenza-desiderante già incontrata, vuole precisamente esprimere questa interazione dell'intelligenza e della volontà nella condotta degli affari umani.

Ora, con la prudenza è questo che ritroviamo con molta chiarezza: « La virtù morale può ben esistere senza alcune virtù intellettuali, per esempio la sapienza, la scienza, l'arte, ma non può esistere senza l'intelligenza466 né senza la prudenza.

Senza prudenza non si possono veramente avere virtù morali, poiché la virtù morale è un abito "elettivo" ( electiuus ), cioè fatto per fare buone scelte.

Ora, affinché una scelta sia buona occorrono due cose.

Primo, che si abbia nei confronti del fine l'intenzione richiesta, e questa è l'opera della virtù morale che inclina l'appetito verso un bene in armonia con la ragione, cioè alfine richiesto; secondo, che si utilizzino correttamente i mezzi in vista del fine, e ciò non lo si può fare se non mediante una ragione che sappia ben consigliare, giudicare e comandare, ciò che compete alla prudenza e alle virtù annesse.

Dunque non possono esserci virtù morali senza la prudenza.

E quindi neppure senza intelligenza è possibile avere virtù morali.

Infatti è mediante l'intelligenza che sono conosciuti i principi naturalmente evidenti sia d'ordine speculativo che d'ordine pratico.

Perciò, come in campo speculativo la retta ragione, che argomenta da quei principi, presuppone l'intelligenza dei principi naturalmente conosciuti, così la presuppone la prudenza, che è la retta ragione, la giusta regola degli atti da compiere ( recta ratio agibilium ) »467

È chiaro, l'intelligenza di cui si parla qui è inerente allo spirito umano; i grandi principi nei quali coglie se stessa sono accessibili a tutti e non riservati ad un gruppo istruito o raziocinante.

All'obiezione secondo la quale non è necessario essere sapienti per essere virtuosi e che quindi la virtù morale può esistere senza la virtù intellettuale, Tommaso replica senza alcuna difficoltà: « Nei virtuosi non è necessario che l'uso della ragione sia vigoroso in tutti i campi; ma soltanto in quello della virtù.

E ciò è quanto accade presso tutti coloro che sono virtuosi.

Così, perfino coloro che hanno l'aspetto semplice in quanto sono sprovvisti dell'astuzia del mondo, possono essere prudenti, secondo quanto afferma il Vangelo ( Mt 10,16 ): « Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe ».468

Queste precisazioni sono meno anodine di quanto si potrebbe credere.

Il rinvio a san Matteo situa Tommaso nel campo del Vangelo, distinguendolo così da quello di Socrate, secondo il quale è l'intellettuale che costituisce il morale, al punto tale che le nostre abitudini dipendono dalla nostra scienza.469

Ma se non vuole che la virtù morale s'identifichi con la regola della ragione, Tommaso non vuole nemmeno che si riduca la virtù ad un'inclinazione al bene puramente irrazionale; essa si potrebbe rivelare tanto più pericolosa quanto più sarebbe forte.

« Perciò la virtù morale non solo segue "la retta ragione", nel senso che inclina a ciò che è conforme a questa regola, come hanno affermato i platonici, ma si richiede inoltre che essa sia "accompagnata dalla ragione", come vuole Aristotele.470

Ancora una volta è dunque la forte visione dell'unità sostanziale dell'uomo che si esprime così: come questi non è un'intelligenza più o meno accidentalmente unita all'animalità della sua natura, così, a maggior ragione, non è pura volontà senza intelligenza né viceversa.

Soltanto questa luce permette di comprendere il posto centrale che Tommaso accorda alla prudenza e che egli esprime nella tesi fondamentale dell'armonia delle virtù, o, come afferma nel suo linguaggio, della loro « connessione » sotto l'egida della prudenza: « Non può esserci nessuna virtù morale senza la prudenza …

Similmente non ci può essere la prudenza senza le virtù morali ».

Il motivo è lo stesso offerto precedentemente: se le virtù ci orientano rettamente verso il fine, è alla prudenza che spetta scegliere i giusti mezzi in vista del fine.471

In verità, la tesi in se stessa non è nuova e Tommaso la eredita da una tradizione patristica che san Gregorio già enunciava: « Le virtù non possono essere perfette se sono disgiunte: infatti la prudenza non è autentica se non è giusta, temperante e forte ».472

La novità risiede qui nell'esigenza e dunque anche nella forza dell'elaborazione.

Abbiamo appena dimostrato che la virtù « rende buono » colui che la possiede; diremmo che costruisce l'essere virtuoso.

Ma questo non è possibile se non perché è il soggetto stesso che agisce con le sue virtù, cosicché lungi dall'ignorarsi, esse interferiscono nelle loro azioni e si aiutano l'una con l'altra, ciascuna avendo bisogno dell'altra per raggiungere il proprio scopo.

Per riprendere un'immagine già utilizzata, ciascuna virtù può essere paragonata agli strumenti di un'orchestra la cui armonizzazione è precisamente l'opera della prudenza.

L'unificazione dell'essere sotto l'impulso di una virtù maggiore risponde infatti a una provocazione nata da un fatto d'esperienza: le passioni sono esse stesse legate tra di loro, « poiché tutte le passioni derivano da alcune che sono principali, ossia l'amore e l'odio, e sfociano in altre, cioè il piacere e la tristezza.

Parimenti, tutte le operazioni che sono materia della virtù morale hanno un legame tra loro e anche con le passioni.

Perciò tutta la materia delle virtù morali ricade sotto un'unica nozione di prudenza »473

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465 I-II, q. 57, a. 5; cf. C.-J. PINTO DE OUVEIRA, « La prudence, concept-clé de la morale du P. Labourdette », RT 92 (1992) 267-292
466 L'intelligenza è qui l'abito della conoscenza del vero per intuizione diretta, detto anche abito dei primi principi, cf. I-II, q. 57, a. 2
467 I-II, q. 58, a. 4
468 I-II, q. 58, a. 4 ad 2
469 Tommaso evidentemente ci pensa, cf. I-II, q. 58, a. 2 et ad 2, come pure q.58, a.4 ad 3
470 I-II, q. 58, a.4 ad 3
471 I-II, q. 65, a. 1
472 Moralia in Job XXII 1, 2 (CCSL 143 A, pp. 1092-1093; PL 76, 212), citato in I-II, q. 65, a. 1
473 I-II q. 65, a. 1 ad 3