Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LIV

I. Altra spiegazione riguardo ai predetti monti; il salto dello sposo e stato verso coloro del cui ministero si è degnato di servirsi

1. Circa il versetto che è stato materia del sermone di ieri, voglio accennare a un altro senso che ho riservato per oggi; voi vedrete e sceglierete quello che meglio vi garba.

Non è il caso di ripetere quanto abbiamo già detto, che penso non abbiate così presto dimenticato.

A meno che non siano state scritte le cose come furono dette, senza tener conto dello stile, come in tutti gli altri sermoni, onde facilmente venga recuperato ciò che per caso sia stato omesso.

Per la qual cosa sentite quest’altro: Eccolo che viene saltando sui monti, valicando le colline ( Ct 2,8 ).

Parla dello Sposo, il quale veramente è salito sui monti quando fu mandato dal Padre ad evangelizzare i poveri, non ha disdegnato di servirsi degli Angeli, divenuto lui stesso Angelo del Gran Consiglio; lui che era il Signore.

Discese personalmente sulla terra lui che era solito delegare degli altri; personalmente il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia ( Sal 98,2 ).

Essendo dunque tutti, secondo il detto di San Paolo, spiriti mandati a servire quelli che conseguono l’eredità della salvezza, colui che era sopra di loro si fece uno di loro tra di essi, dissimulando l’ingiuria e accumulando la grazia.

Ma ascolta lui stesso: Non sono venuto, dice, per essere servito, ma per servire e dare la mia vita per molti ( Mt 20,28 ).

Questo, nessuno degli altri lo ha fatto, così che egli ha superato con fedeli e devoti ossequi quelli stessi che erano apparsi come servitori.

Buon ministro lui che ha dato la sua carne in cibo, il sangue in bevanda, la vita come prezzo.

Buono davvero lui che ardente di spirito, fervente di carità, devoto per la pietà, non solo sale sui monti, ma sorpassa le colline, vale a dire supera e vince per l’alacrità nel servire, come colui che Dio, il suo Dio, ha unto con olio di letizia tra i suoi compagni, per cui singolarmente esultò come gigante che percorre la strada.

Così sorpassò Gabriele e lo prevenne alla Vergine, come attesta lo stesso Arcangelo quando dice: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te! ( Lc 1,28 ).

E che? Colui che hai lasciato in cielo lo trovi adesso nell’utero? In che modo?

Volò e « prevolò » sulle ali del vento.

Sei stato vinto, o Arcangelo, ti ha sorpassato colui che ti ha mandato innanzi.

2. Oppure saliva sui monti quando un tempo era solito apparire ai padri, il che sembra convenire maggiormente alla lettera del testo.

Non dice infatti: « che sale sui monti », ma che sale nei monti affinché si comprenda che sale in essi lui stesso che fa e dà di salire; come parla nei Profeti opera nei giusti quando agli uni fornisce, le parole, agli altri le opere.

Aggiungi che alcuni di loro rappresentavano la sua persona, di modo che ognuno di loro parlava non come un angelo, ma come il Signore.

Per esempio quell’Angelo che parlava, con Mosè non diceva: « Io sono del Signore », ma Io sono il Signore ( Es 10,2; Es 31,13 ).

E questo capitava spesso.

Saliva dunque nei monti, vale a dire negli Angeli, nei quali parlava e mostrava la sua presenza tra gli uomini.

Saliva agli uomini, ma negli Angeli, non in sé: non nella sua natura, ma in una creatura soggetta.

Chi infatti sale, passa da luogo in luogo, il che non succede in Dio; dunque saliva nei monti, cioè negli Angeli lui che non poteva farlo in sé; e saliva fino ai colli, cioè ai Patriarchi e ai Profeti e agli altri uomini spirituali della terra.

Ma valicava pure i colli quando non solo ai grandi e spirituali uomini, ma anche ad alcuni del popolo e anche ad alcune donne si degnò di parlare e di apparire sotto forma di Angeli.

II. I colli che lo sposo sormonta sono gli spiriti aerei, designati col nome di Gelboe, monti sui quali salgono uomini e angeli

Oppure per colli intende le potestà dell’aria che non figurano ormai più fra i monti perché a causa della superbia, sono decadute dall’altezza delle virtù, ma neppure si sgonfiano mediante la penitenza, fino all’umiltà delle valli, cioè alle valli degli umili.

Di questo penso sia stato detto nel salmo: I monti fondono come cera davanti al Signore ( Sal 97,5 ).

Questi colli dunque, gonfi e sterili, senza dubbio scavalca colui che sale nei monti, e lasciatili con disprezzo scende alle valli, affinché le valli abbondino di frumento.

Al contrario quelli sono condannati a una eterna aridità e sterilità, secondo quell’imprecazione scagliata contro di essi dal Profeta: Né pioggia; né rugiada discendano su di voi ( 2 Sam 1,21 ).

E perché tu sappia che dice queste cose riferendosi agli Angeli decaduti, rappresentati dai monti di Gelboe, aggiunge: dove molti caddero di spada.

Quanti dell’esercito di Israele fin dal principio caddero su questi maledetti monti, e ogni giorno cadono!

Di questi scrive il medesimo Profeta dicendo a Dio: Come gli uccisi stesi nel sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la sua mano ha abbandonato ( Sal 88,6 ).

3. Non fa dunque meraviglia se questi restano sterili e infruttuosi, non monti celesti, ma aerei colli, sui quali non scende né rugiada né pioggia, in quanto l’autore della grazia e largitore delle beatitudini li scavalca per scendere nelle valli, per irrorare con la celeste pioggia gli umili che sono sopra la terra, perché portino frutto con la pazienza, dove il trenta, dove il sessanta, e dove il cento per uno.

E poi ha visitato la terra, l’ha inebriata, l’ha ricolmata delle sue ricchezze.

Ha visitato la terra, non l’aria, perché della misericordia del Signore è piena la terra ( Sal 33,5 ).

Infine: Ha operato la salvezza nella nostra terra ( Sal 74,12 ); lo ha fatto forse anche nell’aria?

Questo contro Origene che sostiene con impudente menzogna che il Signore della gloria sarà, di nuovo crocifisso nell’aria per i demoni, mentre San Paolo ben conscio di questo mistero afferma che Cristo, risorgendo dai morti più non muore, la morte non ha più potere su di lui ( Rm 6,9 ).

4. Ma non solo ha visitato la terra colui che ha oltrepassato l’aria, ma anche il cielo, come dice la Scrittura: Signore, la tua grazia è nel cielo e la tua fedeltà fino alle nubi ( Sal 36,6 ).

Fino alle nubi, infatti, è il cielo che abitano i santi Angeli, che non ha sorpassato lo Sposo, ma è salito in essi, per imprimere in essi le due impronte dei suoi piedi, la misericordia e la verità; delle quali impronte del Signore mi ricordo di aver trattato esaurientemente nei sermoni precedenti.

Dalle nubi poi in c’è l’abitazione dei demoni in fondo a quest’aria, ed essi non ritengono nessuna impronta del passaggio di Dio.

Come infatti non ci può essere nel diavolo la verità, quando nel Vangelo della verità è detto di lui che non stette nella verità ( Gv 8,44 ) ma fu bugiardo fin dall’inizio?

E neppure si potrebbe dire che è misericordioso, mentre si dice di lui, sempre nello stesso Vangelo che fu omicida fin dall’inizio.

Ora, quale il padre di famiglia, tali anche i suoi domestici.

Ben a proposito dunque la Chiesa, cantando a riguardo dello Sposo che abita in alto e guardarle cose umili in cielo e sulla terra, non fa nessuna menzione di quegli spiriti superbi che si trovano nell’aria, perché Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli umili ( Gc 4,6 ).

5. Lo vede dunque salire nei monti e valicare le colline, secondo l’imprecazione di Davide: Il Signore visiti tutti i monti che sono intorno, ma da Gelboe passi oltre ( 2 Sam 1,21 ).

Intorno al diavolo che è raffigurato in Gelboe, vi sono monti visitati dal Signore: sopra gli Angeli, e sotto gli uomini.

III. Per scontare la sua pena il diavolo ebbe in sorte un luogo nell’aria, posto fra i monti superiori e inferiori

Al diavolo è toccato in sorte, in pena del suo peccato, di cadere dal cielo in un luogo di questo cielo, a metà tra cielo e terra, perché veda e arda, d’invidia, e questa stessa invidia gli serva di tormento, come dice la Scrittura: L’empio vede e si adira, digrigna i denti e si consuma ( Sal 112,10 ).

Come si deve sentire misero alla vista dei cieli, nei quali scorge innumerevoli monti fulgidi di divino splendore, che fanno risuonare le divine lodi, sublimi nella gloria e abbondanti nella grazia!

Come più misero ancora si sente quando guarda la terra, che ha anch’essa parecchi monti tra il popolo dei redenti, solidi per la fede, eccelsi per la speranza, spaziosi per la carità, coltivati da virtù, pieni del frutto di opere buone, che ricevono come dai salti dello Sposo la quotidiana benedizione della celeste rugiada!

Con quanto dolore e rancore pensiamo noi che questo empio, avidissimo di gloria guardi questi monti che gli stanno intorno, mentre all’opposto vede sé e suoi degni di disprezzo, perché incolti, tenebrosi, infecondi di ogni bene, così che si sente l’obbrobrio degli uomini e degli Angeli, lui che tutti disprezzava, secondo il detto del Salmo: Il Leviatan che hai creato per fartene gioco ( Sal 104,26 ).

6. E questo perché a causa della loro superbia li ha oltrepassati lo Sposo, salendo sui monti che stanno attorno, come una fonte che sale dal mezzo del Paradiso, irriga tutto e riempie ogni vivente di benedizioni.

Beati coloro che meritano ogni tanto, o anche raramente, di essere saziati al torrente di questa voluttà, nei quali anche se non scorre di continuo, sgorga in certe ore l’acqua della sapienza e il fonte della vita, per essere anche in essi sorgente di acqua che zampilla alla vita eterna.

Questo fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio, in modo perenne e abbondante.

Voglia Iddio che anche nei nostri monti che sono in terra, provocando quasi una inondazione, non disdegni di fare alcuni salti, da cui sufficientemente irrigati anche a noi che siamo valli, possano stillare sia pur rare gocce, perché non restiamo del tutto aridi e sterili.

Vi è miseria, penuria e grande fame in quelle regioni che non vengono mai bagnate da questi salti e istillazioni, mentre il fonte della sapienza passa oltre: E poiché non ebbero la sapienza, dice, perirono a causa della loro insipienza ( Pr 18,4 ).

7. Eccolo che viene salendo nei monti, valicando i colli.

Sale per valicare non volendosi fermare da tutti.

Non tutti infatti sono graditi a Dio.

IV. Esortazione a guardarsi dalla superbia sull’esempio dell’angelo significato dal nome di Gelboe

Fratelli, se come sapientemente dice San Paolo, queste cose sono state scritte per la nostra correzione, consideriamo i salti discreti e circospetti dello Sposo, come cioè sale sia presso gli Angeli che presso di noi e presso gli umili, scavalcando i superbi; perché eccelso è il Signore e guarda le cose umili, e conosce da lontano le cose alte ( Sal 138,6 ).

Badiamo a questo dico, perché siamo attenti a prepararci ai salutari salti dello Sposo, affinché, nel caso che ci trovi indegni della sua visita, non passi oltre da noi come già fece con i monti di Gelboe.

Che hai da insuperbirti, terra e cenere?

Anche dagli Angeli è passato oltre il Signore, avendo in esecrazione la loro superbia.

Serva dunque il rifiuto degli Angeli alla emendazione degli uomini; è stato scritto difatti per la loro correzione.

Concorra al mio bene anche il male del demonio, e lavi le mie mani nel sangue del peccatore.

« In che modo? », chiedi. Senti.

Certamente al diavolo superbo risuonò come bruciante tortura quella orribile e spaventosa maledizione riferita da Davide che dice di lui, rappresentato da Gelboe, come abbiamo detto: Visiti il Signore i monti che sono all’intorno, ma da Gelboe passi oltre.

8. Veramente io, leggendo questo e rivolgendo gli occhi su me stesso, guardandomi bene, mi vedo infetto da quella peste che il Signore ha tanto aborrito nell’Angelo da costringerlo a passar oltre da lui mentre si degnava di concedere la grazia della sua visita ai monti circostanti, sia degli Angeli che degli uomini; e allora, pieno di timore e tremore dico a me stesso: « Se così è stato trattato l’Angelo, che sarà di me che sono terra e cenere?

Quello si è insuperbito nel cielo, io nell’immondezzaio.

Chi non troverà meno intollerabile la superbia nel ricco che nel povero? Guai a me!

Se è stato trattato tanto duramente quel potente per essersi innalzato, che cosa si esigerà da me che sono misero e superbo?

Del resto già sconto la pena, già soffro l’acerbo castigo.

Non senza ragione da qualche tempo mi sento l’animo invaso da un certo quale languore, da una aridità della mente e da una insolita inerzia dello spirito.

Correvo bene; ed ecco una pietra di inciampo nella via: vi ho urtato e sono caduto.

È stata trovata in me la superbia, e il Signore, adirato, si è allontanato dal suo servo.

Ecco la ragione di questa sterilità dell’anima mia, e della carenza di devozione di cui soffro.

Come mai si è così disseccato il mio cuore, si è coagulato come latte, è diventato come terra senza acqua?

Né riesco a spremere lacrime di compunzione tanta è la durezza di cuore.

Non ha gusto per me il Salmo, non ho voglia di leggere, non provo piacere a pregare, non mi vengono, come di solito, pensieri nella meditazione.

Dov’è quell’ebbrezza di spirito? Dov’è la serenità della mente e la pace, e il gaudio dello Spirito Santo?

Perciò mi sento pigro nel lavoro manuale, sonnolento alle vigilie, irruente nell’ira, pertinace nell’odio, più indulgente alle chiacchiere e alla gola, meno ardente e più ottuso nella predicazione.

Ahimè! Il Signore visita tutte le montagne che mi stanno intorno, ma non si avvicina a me.

Sono forse per caso di quelle colline che lo Sposo ha scavalcato?

Vedo infatti un altro che si distingue per astinenza, un altro di un’ammirabile pazienza, un altro profondamente umile e mansueto, un altro di molta misericordia e pietà, un altro che nella contemplazione va di frequente in estasi, quest’altro che con l’insistenza dell’orazione bussa e penetra i cieli e altri ancora che eccellono in altre virtù.

Considero costoro, dico, tutti ferventi, tutti devoti, tutti unanimi in Cristo, tutti ricchi di doni celesti e di grazie, come davvero molti spirituali visitati dal Signore, e che ricevono frequentemente lo Sposo che sale in essi.

Io, invece, che non trovo in me nessuna di queste cose, che altro posso considerarmi se non uno dei monti di Gelboe che oltrepassa nella sua ira e indignazione quel benignissimo visitatore di tutti gli altri? ».

9. Figlioli, questo pensiero toglie l’arroganza dello sguardo, concilia la grazia, prepara ai salti dello sposo.

Vi ho portato il mio esempio perché anche voi facciate così.

Siate miei imitatori.

Non lo dico riguardo all’esercizio delle virtù, o la disciplina dei costumi, o la gloria della santità; non oserei infatti arrogarmi nessuna, di queste cose che sia degna di imitazione; ma voglio che voi non risparmiate voi stessi, e impariate ad accusare voi stessi ogni volta che sentite, anche per poco, intiepidirsi in voi la grazia e languire la virtù, come io per tali cose accuso me stesso.

Questo fa l’uomo che è curioso investigatore di se stesso e scruta le sue vie e i suoi sentimenti, e in ogni cosa sospetta sempre il vizio dell’arroganza, perché non si infiltri nell’animo suo.

In verità ho imparato che nulla è più efficace per meritare la grazia, per conservarla, per recuperarla, che essere trovato in ogni tempo davanti a Dio con umili sentimenti e pieno di timore.

Beato l’uomo che è sempre pavido ( Pr 28,14 ).

Temi dunque quando ti arriverà la grazia, quando se ne sarà andata, temi quando nuovamente ritornerà; e questo vuol dire essere sempre pavido.

Si succedano a vicenda nell’animo questi tre timori, secondo che si sentirà che la grazia si degna di essere presente, o che, offesa, se ne va, o che, placata, torna di nuovo.

Quando c’è temi di non corrispondervi degnamente; questo, infatti, ammonisce l’Apostolo dicendo: Vedete di non ricevere invano la grazia di Dio ( 2 Cor 6,1 ); e al discepolo: Non trascurare la grazia che è in te ( 1 Tm 4,14 ); e di se stesso diceva: La grazia di Dio in me non fu vana ( 1 Cor 15,10 ).

Sapeva quest’uomo che aveva il consiglio di Dio, che si risolve in disprezzo del donatore il, non tener conto del dono, né impiegarlo allo scopo per cui è stato dato, e riteneva che questa fosse una intollerabile superbia, e per questo cercava con ogni cura di evitare questo male, e insegnava agli altri a guardarsene.

Ma di nuovo qui c’è nascosta una fossa e non voglio che voi lo ignoriate, dalla quale questo medesimo spirito di superbia, tanto più pericolosamente quanto più occultamente tende insidie quasi leone dalla sua spelonca ( Sal 10,9 ), come dice il Salmo.

Se infatti non riesce a impedire la buona azione, tenta il maligno nell’intenzione, suggerendo e cercando di persuadere l’uomo ad attribuire a sé l’effetto della grazia.

E questo genere di superbia, sappi che è molto più intollerabile del primo.

Che c’è infatti di più odioso che quelle parole che taluni hanno proferito: La nostra mano forte ha operato tutte queste cose, e non il Signore? ( Dt 32,27 ).

V. Il triplice timore che dobbiamo nutrire sempre per guardarci dalla superbia

10. Così, dunque si deve temere quando la grazia è presente.

Come comportarsi quando se ne va?

Non c’è, forse, allora maggior motivo di temere?

Molto di più veramente, perché dove ti viene meno la grazia, vieni meno anche tu.

Ascolta che cosa dice il datore della grazia: Senza di me non potete far nulla ( Gv 15,5 ).

Temi dunque che, sottratta la grazia, tu non abbia a cadere; temi e trema quando senti che Dio è adirato con te; temi perché ti ha abbandonato il tuo custode.

E non dubitare che la causa ne sia la superbia, anche se non sembra, anche se non ti senti colpevole di nulla.

Ciò, infatti, che tu non conosci, lo conosce Iddio, e chi ti giudica è Lui.

Né è giustificato colui che raccomanda se stesso, ma colui che è giusto agli occhi di Dio ( 2 Cor 10,18 ).

Ora, ti raccomanda, forse, Iddio quando ti priva della sua grazia?

Oppure colui che agli umili dà la grazia, toglie all’umile la grazia che gli ha dato?

È, dunque, prova di superbia la privazione della grazia.

Tuttavia, talvolta, viene sottratta non a causa della superbia già esistente, ma che verrebbe se la grazia non venisse sottratta.

Ne abbiamo una prova evidente nell’Apostolo Paolo che sentiva suo malgrado gli stimoli della carne, non perché si fosse insuperbito, ma affinché non si insuperbisse.

Ma sia che già ci sia, sia che non ci sia ancora, la superbia è sempre la causa per cui viene sottratta la grazia.

11. Che se la grazia, riconciliata, tornerà, allora c’è ancor più da temere una ricaduta, secondo quell’avvertimento del Vangelo: Ecco che sei ridivenuto sano, va’ e non peccare più, perché non ti capiti qualcosa di peggio ( Gv 5,14 ).

Senti come ricadere sia peggio che cadere.

Perciò, crescendo il pericolo, cresca anche la paura.

Beato te, se riempirai il tuo cuore di questo triplice timore, che tu tema, cioè, quando ricevi la grazia, tema maggiormente quando la perdi, e ancora molto di più quando l’hai recuperata.

Fa’ così, e sarai nel convito di Cristo, un’idria ripiena fino all’orlo, contenente cioè non solo due misure, ma tre, perché tu meriti la benedizione di Cristo che converta la tua acqua in vino di letizia, e la perfetta carità cacci via il timore.

12. Le cose stanno veramente così.

L’acqua è il timore, perché questo porta refrigerio nell’ardore dei desideri carnali.

Il principio della sapienza, dice la Scrittura, è il timore del Signore ( Sal 111,10 ); e dice altrove: Gli ha dato da bere l’acqua della sapienza salutare ( Sir 15,3 ).

Se il timore è sapienza, e la sapienza è acqua, anche il timore è acqua; e detto ancora: Il timore del Signore è fonte di vita ( Pr 14,27 ).

Ora idria è la tua mente. Contenenti, dice, ciascuna due o tre misure ( Gv 2,6 ).

Tre misure sono i tre timori.

E le riempirono fino all’orlo ( Gv 2,7 ).

Non un solo timore, non due, ma tutti e tre insieme riempirono l’idria fino all’orlo; in ogni tempo temi Dio, e con tutto il cuore, e hai riempito così l’idria fino all’orlo.

Dio ama un dono completo, un affetto pieno, un sacrificio perfetto.

Cerca pertanto di portare alle celesti nozze un’idria piena, perché si possa dire anche di te: Lo ha riempito lo spirito del timore del Signore ( Is 11,3 ).

Chi teme così non trascura nulla.

Come potrebbe entrare la negligenza dove c’è pienezza?

Se non ciò che è capace di ricevere ancora, non è pieno.

Per la stessa ragione non può uno temere così e nello stesso tempo nutrire pensieri di superbia.

Se sei infatti pieno del timore del Signore, non c’è posto in te per la superbia.

E così si deve dire degli altri vizi perché necessariamente tutti vengono esclusi dalla pienezza del timore.

E allora, se temerai pienamente e perfettamente, la carità darà sapore alle tue acque alla benedizione del Signore.

Senza la carità infatti il timore ha la pena ( 1 Gv 4,18 ).

E la carità è il vino che rallegra il cuore dell’uomo.

La carità perfetta caccia via il timore, e dove c’era acqua comincia ad esservi vino, a lode e gloria dello Sposo della Chiesa, il Signore nostro Gesù Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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