Cristocentrismo

IndiceA

Sommario

I. Precisazioni introduttive.
II. Indicazioni storiche:
    1. Emergenze critiche dell'essenziale dimensione cristocentrica della vita e dell'esperienza cristiana:
        a. Il NT,
        b. La storia della spiritualità successiva al NT;
    2. Alcuni modelli di spiritualità "cristocentriche":
        a. Cristocentrismo monastico,
        b. Cristocentrismo di imitazione: l'imitazione della "vita" di Cristo,
        c. Cristocentrismo berulliano: la rilettura berulliana del modello monastico,
        d. Cristocentrismo della "croce" nei sec. XVI-XIX,
        e. Cristocentrismo del "Cuore";
    3. L'esigenza cristocentrica nella spiritualità contemporanea: dalla spiritualità del "corpo mistico" al periodo post-conciliare:
        a. Il "corpo mistico",
        b. Le direttrici del Vat II,
        c. Un esempio post-conciliare.
III. Per un bilancio teologico conclusivo.

I - Precisazioni introduttive

Parlando di cristocentrismo in spiritualità, ci mettiamo ovviamente dal punto di vista dell' ( v. ) esperienza cristiana, o del "vissuto": non quindi semplicemente dal punto di vista dell'oggettività cristiana e del primato e della centralità che in essa deve assumere la figura storica di ( v. ) Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.

Il nostro discorso è piuttosto quello di cogliere e di mostrare come di diritto e di fatto il riferimento radicale del ( v. ) credente cristiano alla realtà di Gesù qualifichi in generale la fenomenologia del cristiano e in particolare le tipologie diverse, ma tutte sostanzialmente omogenee e coerenti, di quella fenomenologia cristiana fondamentale.

Qualificazione di diritto e di fatto, perché l'esperienza cristiana non può non essere "cristica", non può non essere a suo modo un "sapere" che sia un "sapere" Gesù.

Con questi intendimenti avvieremo anzitutto una panoramica storica.

Ci muoveremo nella direzione "cattolica" e rimarremo nell'ambito della spiritualità occidentale.

Data l'esigenza di procedere sinteticamente, suddividiamo l'esposizione in tre articolazioni principali: la prima diretta a fare emergere, sempre a livello storico, l'esigenza cristocentrica o l'imprescindibilità del riferimento cristico come criterio generale di autenticità dell'esperienza cristiana, quindi come fondamentale criterio del "discernimento" cristiano; la seconda diretta ad illustrare, in una linea che molto approssimativamente vorrebbe alludere alla classificazione storiografica delle "scuole" di spiritualità, alcune tra le più significative tipologie cristocentriche della spiritualità occidentale; la terza tratteggerà velocemente alcune espressioni - più o meno collaudate e valide - di esigenza cristocentrica nel mondo cristiano contemporaneo.

Il bilancio teologico conclusivo intende avviare una puntualizzazione teoretica del problema: sul cristocentrismo come dato strutturale e qualificante dell'esperienza cristiana e sulla legittimità di diverse puntuali tematizzazioni di quel cristocentrismo strutturale, le quali giustificano in prima approssimazione che si parli nei loro confronti di "spiritualità cristocentriche", pur non potendo rivendicare che solo nella loro direzione legittimamente si esprima il "cristoccntrismo" costitutivo dell'esperienza cristiana.

II - Indicazioni storiche

1. Emergenze critiche dell'essenziale dimensione cristocentrica della vita e dell'esperienza cristiana

a. Il NT

È evidente che questo genere di discorso deve iniziare dallo stesso NT, per il quale sarebbe veramente desiderabile uno studio d'insieme volto a lumeggiare i diversi "discernimenti" operati, in nome del criterio cristocentrico, nei confronti di diversi contesti non solo teoretici ma "vissuti"; quindi nei confronti di progetti o di stili di comportamento che si vorrebbero cristiani ma che vengono rifiutati appunto perché variamente riduttivi dell'esigenza cristocentrica fondamentale.

Si pensi ad es. alla tentazione giudeo-cristiana come può apparire nella lettera di Paolo ai Galati, o nella lettera agli Ebrei, dove due teologie della croce di Cristo o - se si preferisce - due diversi modi di proporre un cristocentrismo della croce e quindi un progetto di esistenza cristiana ad esso coerente danno la giustificazione del dovere cristiano di vivere "liberi" nei confronti della "legge".

Si pensi, ancora, al discorso articolato, che suppone un ambiente complesso ed altrettanto articolato, quale appare nella 1 Gv, dove, ad ogni modo, risulta con estrema chiarezza che l'uomo che è nato da Dio ed ha « l'unzione dal santo » è quello che dimostra di "conoscere" e di "sapere", con gli apostoli e come gli apostoli, nello strutturarsi globale della sua esistenza e della sua esperienza, Gesù Verbo della vita.

Figlio Unigenito nella carne, « propiziatore » per i peccati, rivelazione - mediante il dono della sua vita - dell'agape stessa di Dio.

Anche la cristologia sapienziale di Paolo - come appare ad es. in 1 Cor 1-2, o in Ef - Col - dovrebbe prestarsi al medesimo genere di lettura; e, così crediamo, la tematica del regno, dell'essere-con-Gesù, del seguire Gesù, nelle rispettive teologie di Mc, Mt, Lc.

b. La storia della spiritualità successiva al NT

Rinunciando a proseguire ulteriormente in questa sede un discorso che ci sembra ancora un compito della teologia biblica, più che non un suo risultato, passeremo senz'altro alla storia della spiritualità cristiana successiva al NT.

Qui i grandi capitoli o i grandi "luoghi" del discernimento spirituale dai quali il cristocentrismo emerge come criterio ed esigenza fondamentale dell'esperienza e dell'esistenza cristiana ci sembrano essere la ricerca "contemplativa"; il progetto dell'uomo "spirituale" e dell'età dello "Spirito" come superamento del "cristiano" e dell'età di Cristo; la riduzione "etica" della imitazione-sequela di Cristo.

Si tratta, più che altro, di fondamentali "modelli", non riducibili quindi, per sé, a una sola epoca della storia della spiritualità, anche se non sempre emergenti con i medesimi contorni o con la medesima acutezza.

aa. L'esigenza di un discernimento "cristocentrico" della ricerca contemplativa.

Il fatto è, nei suoi contorni generali, dei più noti: a partire dal cristianesimo ellenistico la storia della spiritualità cristiana presenta - fino, ancora, alle attuali ricerche "meditative" - una lettura insistente dell'esperienza dell'alleanza nei termini tanto prestigiosi quanto ambigui della ( v. ) "contemplazione".

Parliamo di ambiguità, poiché se "contemplazione" - a prezzo di una faticosa reinterpretazione in chiave cristiana - può raggiungere il tema biblico della "conoscenza" di Dio, altrettanto bene può parzializzarlo e falsarlo.

E ciò sia per un generale pericolo di intellettualismo, sia soprattutto per il potenziale richiamo o la diretta assunzione, se non di una metafisica, almeno di un'antropologia che - nonostante affermi l'uomo ad "immagine" di Dio e la "divinizzazione" dell'uomo - in realtà non è quella dell'alleanza, ma dello spirito originario, il cui carattere creaturale è mal definito ed in rapporto al quale - come a ciò che è divino, uno, eterno, assoluto - il temporale, il corporeo, il molteplice viene colto come decadimento, peccaminosità, limite o rappresentazione da trascendere.

La presenza di questo genere di richiami, talvolta anche a livello non consapevole, rivela la sua effettiva rischiosità dal punto di vista cristiano ogni qualvolta vediamo l'ideale di "contemplazione" orientarsi in concreto ad un trascendimento più o meno radicale del corporeo, del temporale, del molteplice, per ritrovarsi secondo "nudità" di spirito in un atto immutabile, semplice, unico.

È il progetto della "fuga", della "introversione" contemplativa, la cui tentazione più significativa, certo
non puramente accademica, si rivela puntualmente nell'incomprensione e nella svalutazione dell' "economia" salvifica come "storia" e "carne" in Cristo.

Ciò significa, in concreto, proporsi un cammino "cristiano" che, più o meno radicalmente, vede nell' "economia" dell'incarnazione una "mediazione" da superare, perché ostacolo alla purezza della "contemplazione". •

In proposito, soprattutto negli ambienti spirituali occidentali, si ritornerà con predilezione al vangelo di Giovanni e all'apparente successione che vi si stabilisce tra missione di Cristo e missione dello Spirito: « È bene che me ne vada… », quasicché - secondo Gv - il "vedere" dei discepoli e dei credenti non fosse un penetrare - per la grazia dello Spirito - sempre più addentro nel mistero di Cristo e significasse invece l'invito a considerare sia l'Incarnato sia il rapporto con lui come una sorta di livello ontologico-contemplativo da trascendere o - se si preferisce - come un momento transitorio per il cammino contemplativo dell'anima.

bb. L'esigenza di un discernimento "cristocentrico" nell'interpretazione dell' ( v. ) uomo "spirituale" e dell'età dello Spirito.

Spontaneamente qui si leggerà il richiamo a quegli orientamenti tanto complessi e vivi, operanti nella cristianità medievale, più o meno remotamente agganciati o agganciabili alle interpretazioni ternarie-trinitarie della storia.

Ne si tratta solo del cosiddetto "gioachinismo": perché - sempre per restare riferiti all'ambiente medievale - il discorso dovrebbe abbracciare tutte le diverse espressioni "spiritualistiche" in esso operanti.

E il discorso tocca, in definitiva, l'esistenza cristiana o il progetto di una personalità "spirituale" in alcune delle tensioni fondamentali che la caratterizzano.

Vale a dire: il problema della libertà dell'uomo "spirituale" ( tensione legge-Spirito ) e il problema della collocazione o dimensione ecclesiologica dell'esperienza "spirituale" ( tensione gerarchia-Spirito ) [ v. Chiesa ].

Le ambiguità o l'inaccettabilità cristiana delle soluzioni che quei diversi "spiritualismi" propongono per i due problemi indicati, suppongono e mostrano come essi si radichino in una non chiara percezione dei rapporti Cristo-Spirito.

L'economia di Cristo non è insomma considerata come definitiva: l'autentico "vangelo del regno" non è quello che Cristo ha predicato e che gli apostoli ( e la chiesa ) annunciano, bensì quello dello Spirito.

Di qui l'ipotesi che lo statuto "spirituale" del cristiano significhi l'accesso a quel livello di esistenza e a
quel momento dell'economia salvifica che appunto ha superato il riferimento al "tempo" dell'incarnazione o alla "legge" di Cristo.

E di qui pure le soluzioni ambigue sulla libertà del cristiano o sulla ricerca di una chiesa "spirituale".

È tuttavia evidente, a chi abbia anche un'iniziale conoscenza della ( v. ) storia della spiritualità cristiana, che il problema qui considerato non riguarda solo la cristianità medievale.

Movimenti quali il montanismo o il donatismo antichi o - tra la fine del secolo scorso e i primi decenni
di questo secolo - la diffusa ricerca di uno "spiritualismo" cristiano, volto anche esplicitamente a trarre ispirazione dai movimenti "spirituali" medievali e dallo stesso s. Francesco letto in questa chiave ( si pensi all'influsso dell'opera di Sabatier, a Tyrrel, von Hugel, Buonaiuti ), rispondono in fondo al medesimo schema di lettura della personalità "spirituale", dove la dimensione "cristocentrica" si rivela o assente o superata.

E ciò acquista nelle ultime tendenze richiamate una pregnanza particolare, a misura che anch'esse si muovono entro lo spazio, aperto dall'illuminismo, di una divaricazione tra Gesù ( il Gesù della storia ) e Cristo ( il Cristo della fede ).

cc. L'esigenza di un discernimento "cristocentrico" nella ricerca della imitazione-sequela di Cristo, ridotta in termini puramente etici.

Il discorso sembrerà, a prima vista, non pertinente: ma solo a condizione che si ritenga sufficiente ad esprimere la forza e la ricchezza della dimensione "cristocentrica" dell'esistenza cristiana il solo fatto che Gesù di Nazaret venga considerato come il "modello" normativo, e valore normativo si riconosca alla sua parola, ai suoi esempi, alla sua vita.

Un "cristocentrismo" di tal genere si può riscontrare senza difficoltà nel progetto pelagiano, con le sue diverse riprese ( quella abelardiana, ad es., almeno secondo l'interpretazione di s. Bernardo; quella sociniana; quella del protestantesimo liberale ) fino agli attuali tentativi di risolvere la "cristologia" in "cristianesimo", cioè nei "valori cristiani", o nell' "autenticità" dell'essere-nel-mondo, autenticità espressa in Gesù e nell'uomo che intende essere "come Gesù" ( Gogarten, Van Buren ).

Orbene, non si rende il "come Cristo" neotestamentario riducendolo a una specie di programma morale del cristiano o del suo autentico essere-nel-mondo, sia pure ispirandosi a Gesù.

Il "come Cristo" neotestamentario ha la sua stessa ragione di possibilità nell'avvenimento di Gesù, nella sua Pasqua, nel dono del suo Spirito.

In questo senso il "come Gesù" è "grazia", e "grazia" fatta a dei peccatori: e solo in quanto è "grazia" diviene "legge" o imperativo fondamentale e non resta un puro "comandamento" sovrapposto dall'esterno.

La sequela-imitazione di Gesù suppone dunque riferimento a questo avvenimento storico come assolutamente normativo ( è l'avvenimento-verità ), con la disponibilità a lasciarsi da esso normare; ma non ci si lascia normare se non riconoscendo e accettando che proprio da questo avvenimento viene ogni possibilità di configurazione dell'uomo ad esso, mediante il dono dello Spirito.

Ed è questo che da verità ed attualità alla ( v. ) "sequela", nonostante la reale distanza dei tempi e delle situazioni.

Così il rapporto con un avvenimento storico, anzi con una Persona storica, acquista attualità nell'esistenza, senza mai propriamente divenire esso stesso un puro "esistenziale".

2. Alcuni modelli di spiritualità "Cristocentriche"

a. "Cristocentrismo" monastico

La concezione della vita cristiana in termini di "imitazione di Cristo", soprattutto come ci si presenta attraverso la letteratura del sec. XII, è notevolmente pregnante.

Tutta la vita del monaco vi si disegna come un cammino con Cristo, anzi come una tensione ad assimilarlo, a esservi "conformato", a riviverlo, sul presupposto che « Cristo è il senso e il fondamento della storia della salvezza come mediatore del ritorno alle origini, all'immagine divina ideale perduta in Adamo e restaurata in lui.

E, per questo, è il "luogo" del piano redentivo che si manifesta in lui esemplarmente e per lui si porta a compimento in noi: in forza e attraverso un'assimilazione che fissa e imbeve tutta la psicologia ».

E non si tratta di un Cristo senza storia: l'economia dell'incarnazione o la "abbreviatio" del Verbo avviene nella storia o nei "mysteria" di Cristo.

Così assimilazione a Cristo ( che è insomma la vera dimensione della "contemplazione" monastica ) è assimilazione ai suoi misteri, per una "conformazione" che il Signore stesso, nei suoi misteri, rende possibile.

Per il realismo con cui i monaci intendono codesta assimilazione si sarebbe portati a usare, per riesprimerne il senso, una categoria come quella kierkegaardiana della "contemporaneità", evidentemente liberata da ogni inflessione di tipo esistenzialistico o attualistico.

In ogni caso sembra evidente che il conformarsi del monaco a Cristo suppone la convinzione di un'attualità dei misteri di Cristo, in quanto presenti-operanti-partecipabili, in un "luogo" determinato, cioè nella scrittura e nell'azione liturgica.

Per questa via o per questa "mediazione" può verificarsi una riattualizzazione ( non certo materiale ) di quegli stessi misteri nella vita vissuta.

Senza questa "attualità attualizzata" ( si passi l'espressione ) non c'è dunque, per il monaco, "sequela" di Cristo, anzi è precisamente essa il contenuto profondo che la teologia monastica assegna alla "sequela".

Abbiamo parlato di "riattualizzazione" non "materiale" dei misteri di Cristo.

Il significato monastico di questa espressione è dato dall'angolatura caratteristica con cui i monaci leggono la storia del Signore: sullo sfondo cioè del senso generale dell'economia salvifica, intesa come movimento di "ritorno a Dio" e alle "origini" mediante Cristo Salvatore.

Questo non fa perdere interesse alla "descrizione" evangelica dei misteri, particolarmente dell'infanzia e della passione, che anzi si tratta di un aspetto vivamente sottolineato nella meditazione monastica del secolo a cui ci riferiamo, ed è elemento differenziatore rispetto alla meditazione liturgica degli stessi misteri.

Ma poiché la prospettiva più vera e profonda di lettura resta quella che abbiamo ricordato, anche le descrizioni più "partecipate" al mistero ne ricercano e contemplano il senso salvifico e concludono che il riattualizzarsi del mistero è, in definitiva, l'esistenza cristiana del monaco, ora.

b. Cristocentrismo di imitazione: l'imitazione della "vita" di Cristo

È un secondo grande modello di accesso alla "sequela-contemporaneità".

Immediatamente più semplice, accessibile, "popolare" ( come talvolta si dice ), è facile che esso sia collegato con il francescanesimo e con la spiritualità ignaziana: l'uno e l'altra infatti si proporrebbero di costruire la personalità cristiana sul "modello" che è la vita "storica" di Cristo, secondo la narrazione evangelica.

"Imitare" diventa così immediatamente sinonimo non di "assimilare una forma" o di "partecipare a un archetipo concreto", ma di "fare o agire o comportarsi come Cristo": in primo piano abbiamo dunque l'impegno morale del cristiano che cerca di riprodurre o di uniformare la propria "vita" ( biografica ) alla "vita" ( biografica ) di Cristo.

Quali che siano le precisazioni che in sede storica si devono porre sul sorgere di questa tendenza spirituale e sulla sua capacità di qualificare la spiritualità francescana o ignaziana, ci interessa in questa sede riconoscere la sua presenza e incidenza nel mondo cristiano occidentale e coglierne il significato.

In proposito, faremo alcuni rilievi semplicissimi.

L'aspetto potenzialmente più ricco, e forse particolarmente significativo per noi oggi, sta nella carica di "evangelismo" [ v. Uomo evangelico ] che in genere simile orientamento conserva e sviluppa: l'assoluto di Cristo, che è poi l'assoluto del vangelo come scrittura che racconta Cristo: l'uno e l'altra che fanno unità, anzi si identificano.

La biografia evangelica di Cristo ( cioè i fatti, i gesti, le parole ) sono la "legge" o la "regola": cioè la norma di comportamento del discepolo.

Il limite, invece, sta soprattutto - per quanto riguarda il nostro specifico problema - in una potenziale materializzazione o formalizzazione di questo evangelismo radicale: quasi una sorta di "positivismo" evangelico, che in quanto tale non esprime bensì tradisce il significato della storicità del cristiano.

Anche il vangelo va "letto": nello Spirito, ma va letto.

Tutta la scrittura è, del resto, una lettura nello Spirito; e nessun vangelo intende essere una pura biografia: la normatività della scrittura non è la normatività di una "lettera".

Diversamente, "ucciderebbe".

In che senso, allora, ciò che Cristo "ha fatto" è l'assoluto del cristiano?

O, inversamente: in che senso il cristiano vero, "perfetto", è colui che "ripete" Gesù Cristo?

Non è forse colui che, piuttosto, nello Spirito lo "rilegge"?

È in questo senso, crediamo, che s. Vincenzo de' Paoli formulava con estrema semplicità, ma con grande nitidezza, la domanda fondamentale della vita cristiana intesa come imitazione della "vita" di Cristo: « Che farebbe Cristo al mio posto? ».

Qui infatti sta espressa quella che si potrebbe chiamare la legge della proporzionalità: l'imitazione di Cristo, anche quella più "evangelica" e "radicale", non può che essere "proporzionale", pena una "artificialità" impossibile da realizzare perché assolutamente antistorica.

Se anche in Francesco d'Assisi tutta una linea storiografica - ingigantendo, forse, o assolutizzando una tensione reale nel Poverello, culminata e "verificata" dalla stigmatizzazione - ha potuto vedere una reviviscenza di Cristo ( « alter Christus » ), non per questo egli cessava di essere un cristiano dei sec. XII-XIII, coi problemi storici, culturali, ecclesiologici… tipici della vita cristiana di quel tempo.

E Assisi o Greccio non era Betlemme; ne la Verna era il Calvario.

Sarà da rimeditare in proposito la caratteristica esperienza di Carlo de Foucauid: dove l'imitazione dell'abiezione di Cristo e la ricerca di Nazaret viene progressivamente e finalmente colta come la carità che condivide e testimonia una presenza fino all'estremo.

È la scoperta più vera del "cuore" di Cristo, e della "proporzionalità" dell'imitazione cristiana [ v. Modelli spirituali II,1 ].

c. Cristocentrismo berulliano: la rilettura berulliana del modello monastico

Presentare la spiritualità del card. Pietro de Bérulle come "monastica" sarebbe certo affermazione azzardata, anzi non giustificabile.

Ma resta vero, secondo noi, che la sua meditazione sulla vita di Cristo può essere considerata come una ripresa del discorso monastico su Cristo come "forma" del cristiano e quindi sulla esistenza cristiana come "riattualizzazione" di Cristo.

L'illustrazione accurata di ciò, e anche la stessa semplice esposizione del pensiero berulliano in proposito, richiederebbero delle analisi specifiche.

Così ci basterà illustrare come Bérulle abbia sentito l'esigenza di esplicitare il presupposto dell'attualità dei misteri di Cristo.

Il nostro configurarci al Verbo Incarnato non sta senza configurazione ai suoi misteri: egli nei suoi misteri « si imprime in noi »; ma proprio per questo essi devono permanere in lui.

« Noi vediamo che Gesù Cristo ha inventato la maniera di stabilire parte della sua passione nello stato della sua gloria, continuando a conservarne le cicatrici.

Ora, se egli ha potuto conservare qualcosa della sua passione nel proprio corpo glorioso, perché non potrà conservarne qualcosa nell'anima sua?

Ma ciò che conserva della sua passione nel corpo e nell'anima, è vita e gloria: egli non soffre ne nell'uno ne nell'altra.

Ed è proprio ciò che rimane in lui dei suoi misteri a produrre sulla terra una "maniera di grazia" che vi fa appartenere le anime scelte per riceverla.

In forza di questa "maniera di grazia" i misteri di Gesù Cristo: la sua infanzia, la sua sofferenza e gli altri, si continuano e vivono sulla terra fino alla fine dei secoli.

S. Paolo: "Adimpleo ea quae desunt passionum Christi in corpore meo" ».

Così, i misteri di Cristo - che hanno perenne attualità in lui - ci "appropriano" a sé; e noi ce li "appropriamo": non tanto - dice Bérulle - alla maniera di un pittore che pretenda di dipingere il sole; quanto alla maniera di uno specchio nel quale il sole si riflette.

Il realismo con cui Bérulle intende questo permanente riattualizzarsi dei misteri di Cristo in noi, o questo riprodursi in noi della "maniera di grazia" dei misteri, non raggiunge solo l'interiorità della persona.

È l'esistenza intera, nel suo strutturarsi, che ne viene toccata: « Il disegno di Dio è che questi "stati" siano onorati, appropriati, applicati alle nostre anime; e come egli divide i suoi doni e le sue grazie, così egli divide i suoi "stati" e i suoi "misteri" fra gli uomini…

Così egli divide se stesso ai suoi figli, rendendoli partecipi dello spirito e della grazia dei suoi misteri: agli uni appropria la sua vita, agli altri la morte; agli uni l'infanzia, agli altri la potenza; agli uni la vita nascosta, agli altri la vita pubblica; agli uni la vita inferiore, agli altri la vita esteriore; agli uni gli obbrobri, agli altri i miracoli; agli uni i suoi "abbassamenti", agli altri la sua autorità…

In tutti questi stati e condizioni diverse, egli si da a tutti, ci da il suo cuore, la sua grazia e il suo spirito; ci incorpora in sé; si appropria a noi e ci appropria a sé ».

In tal modo, la storia della chiesa non è che la storia di Cristo continuata: quasi la sua "biografia" che continua ad essere scritta nella storia, eppure certamente non ripetuta.

d. Cristocentrismo della "croce" nei sec. XVI-XIX [ v. Croce V ]

Ci riferiamo a un tipico modo di interpretare la vita o l'esperienza spirituale in termini di "croce": dove la "croce" è sì - evidentemente - la croce del Crocifisso ( e quindi il mistero della passione-morte storica di Gesù ); ma è - nel contempo - quella interiore "crocifissione" che il discepolo deve accettare per il fatto stesso che egli deve accettare che il cammino che gli è proposto è un cammino « nella fede ».

La fede ( le esigenze della vita di fede ), la sapienza della fede, la "nudità" della fede, la "spogliazione" interiore ( a livello affettivo, intellettivo, sensitivo, ecc. ) che la fede domanda: questa è la "croce" del cristiano, questa è l'associazione radicale e sintetica al Crocifisso che il cristiano non deve rifuggire, vivendola in un radicale abbandono, in una totale fiducia.

In sostanza, si tratta della "sapienza della croce" proposta agli "spirituali" ed a coloro che intendono esserlo.

Una "theologia crucis" - si potrebbe dire - che fa appello a una antropologia che vede l'uomo come "creatura" e "peccatore" ( il "nulla" tematizzato con sfumature diverse da Giovanni della Croce e da Paolo della Croce ), chiamato realmente ad una comunione-partecipazione con Dio, per iniziativa misericordiosa dello stesso Dio infinitamente grande, giusto, santo, in Gesù Cristo, e questi crocifisso.

Il cammino - come si è detto - è quello oscuro, nudo, povero, esigente della fede.

In queste linee generali, crediamo che il modello possa sintetizzare globalmente tutta una linea di spiritualità che va da s. Giovanni della Croce fino ad alcune delle più grandi figure spirituali del sec. XIX.

Non diciamo che essa qualifichi tutto questo periodo spirituale, ne che lo qualifichi presso tutti gli autori o tutte le figure emergenti, allo stesso modo.

Ma il fenomeno è innegabile e ha una sua eloquenza sia nei confronti dell'ottimismo umanistico ( Giovanni della Croce, Francesco di Sales, Pascal ), sia nei confronti del disegnarsi dell'umanesimo moderno e della sua spesso arrogante contrapposizione alla fede ( ancora Pascal, e Paolo della Croce, e Rosmini ).

Tenendo come i due maggiori punti di riferimento Giovanni della Croce e Paolo della Croce, si potrà rilevare che la loro fondamentale consonanza nel collegare la "croce" del cammino di fede con il riferimento alla "croce" di Cristo, si configura secondo due diverse modalità.

In Paolo della Croce, infatti, la lettura del cammino di fede si concretizza di fatto come disponibilità totale alla volontà di Dio, al suo beneplacito, alla sua provvidenziale iniziativa in tutte le cose.

E il vertice dell'esperienza spirituale sembra essere vissuto e proposto come essere "soli", sulla croce, con Dio: non dunque secondo le tonalità che appaiono nella parte finale del Cantico spirituale o nella Fiamma viva d'amore di Giovanni della Croce.

Per queste due caratteristiche, Paolo della Croce è rappresentativo di un diverso arco della storia della spiritualità: quello che, da un lato, riprende la profonda tematica ignaziana della "indifferenza", e quella salesiana dell' "amore puro" ( « operare, patire, tacere » e « starsene nel proprio nihilo con passivo modo », dice Paolo della Croce; « adorare, tacere, godere », dice A. Rosmini ); e quello ancora che, da un altro lato, vive l'esperienza spirituale come una sorta di "presenza nell'assenza".

Bremond l'ha descritto, presentando soprattutto il '600 francese: e si potrà certo ripensare, in proposito, alle figure della Chantal, di Chardon, di Piny, di Surin.

Paolo della Croce - crediamo - si iscrive egli pure, e a un altissimo livello, in questa traiettoria: ma non ci sembra il solo, anche nel quadro della spiritualità italiana.

Per restare a due soli esempi di esperienza mistica del primo Ottocento, si potranno qui semplicemente richiamare i nomi di Eustochio Verzeri e di Maddalena di Canossa.

Anche la stessa Teresa di Lisieux, nel suo certo singolare itinerario spirituale, ci sembra debba essere compresa e collocata sul medesimo sfondo.

e. Cristocentrismo del "Cuore" [ v. Sacro Cuore di Gesù ]

L'episodio a cui ci riferiamo è quello cosiddetto della "devozione al s. Cuore": quindi quello della tipica incidenza "spirituale" che la considerazione del cuore di Cristo assume a partire dal sec. XVII ( Giovanni Eudes e Margherita M. Alacoque ), percorrendo tra tensioni e resistenze il sec. XVIII e divenendo un fatto caratterizzante la vita cattolica in generale lungo il sec. XIX fino al primo cinquantennio del secolo XX ( Enc. Haurietis Aquas di Pio XII: 1956 ).

Se il riferimento a Giovanni Eudes ci mantiene nel clima berulliano dello « intérieur de Jésus » ( ponendo quindi l'accento prevalente sul "cuore spirituale" e "divino" del Salvatore ), il riferimento a Margherita M. Alacoque induce a sottolineare il « cuore fisico » del Signore nel suo nesso con l'amore misericordioso e offeso di lui.

Il "cuore" che viene considerato è quello della passione e della croce, da un lato, e dell'eucaristia, dall'altro.

E mentre dal richiamo alla misericordia scaturisce la confidenza, dal richiamo all'amore offeso scaturisce l'invito alla conversione e alla riparazione che induce a con-soffrire con il Salvatore ( aspetto particolarmente sottolineato e tematizzato, con accentuazioni apostoliche nei confronti del laicismo contemporaneo, dall'enciclica di Pio XI, Miserentissimus Redemptor: 1928 ).

In tal senso la devozione al s. Cuore tende simultaneamente a presentare la sintesi concreta della visione cristiana della realtà ( Dio misericordiosamente aperto verso gli uomini, in Cristo Gesù; il Cristo che muore per i nostri peccati, e si dona a noi nell'eucaristia; l'uomo come colui che - peccatore - ha nell'amore doloroso di Cristo la propria salvezza, ed è invitato ad accogliere questo amore, ed a partecipare - condividendo la croce di Cristo - alla salvezza propria e del mondo ), ed a specificare un'esperienza cristiana: anche - soprattutto dalla seconda metà del sec. scorso - in quanto esperienza di azione, di incidenza sociale, culturale, politica ( "regno" del s. Cuore ).

3. L'esigenza Cristocentrica nella spiritualità contemporanea: dalla spiritualità del "Corpo mistico" al periodo post-conciliare

a. Il "corpo mistico"

Parlando di spiritualità del "corpo mistico" ci riferiamo soprattutto al periodo racchiuso tra la prima e la seconda guerra mondiale, per il quale - anche sotto il profilo della spiritualità - può essere considerato punto emblematico di arrivo l'enciclica di Pio XII Mystici Corporis ( 1943 ).

È una spiritualità che anzitutto valorizza e in un certo senso riscopre la vita cristiana non solo genericamente come "vita di grazia", ma come "vita in Cristo" ( e i nomi da ricordare, in proposito, saranno qui soprattutto quelli di C. Marmion e - a livello di intelligente e varia divulgazione - di R. Plus ).

La riscoperta, evidentemente, non ha solo dimensioni individuali: essa apre a cogliere il senso profondo della fraternità nella chiesa ( membra di un medesimo corpo, partecipi della vita del medesimo Capo ).

Le dimensioni di Cristo si allargano enormemente: il Cristo diviene o tende a essere considerato come una realtà onnicomprensiva o onninclusiva ( linea blondeliana; ma anche di P. Charles, P. Teiihard de Chardin, E. Mersch ).

Il rischio di un "pancristismo" che dissolve l'individualità personale, "fisica" di Gesù si allea anche con il rischio inverso dell'assorbimento dell'individualità umana nell'individualità di Gesù o del superamento della medesima individualità umana nel "tutto" cristicamente considerato ( Mystici Corporis, DS 3816-3820 ).

b. Le direttrici del Vat II

Quanto al discorso svolto dal Vat II, le direzioni maggiormente espressive di un'effettiva mentalità cristocentrica e pertanto potenzialmente orientatrici anche di un'esperienza cristiana in questo senso, ci sembrano tre.

Anzitutto a livello di concezione della chiesa, dove l'unità sia dell'essere sia della missione della chiesa con Cristo viene analiticamente descritta per riferimento al triplice aspetto - sacerdotale, profetico, regale - dell'essere e della missione di Cristo, e si pone in atto un metodo "cristologico" di comprensione sia della chiesa sia delle diverse articolazioni della chiesa popolo di Dio ( Lumen Gentium ).

Poi a livello di comprensione della rivelazione e della verità cristiana, la quale viene ravvisata essenzialmente nell'avvenimento concreto di Cristo, la sua esistenza, i suoi gesti, le sue parole ( Dei Verbum ).

Vi è, infine, la costituzione pastorale Gaudium et spes, dove la preoccupazione di un umanesimo autentico, mentre da un lato orienta il dettato conciliare a scoprire ciò che la LG - riprendendo una espressione di Eusebio - aveva chiamato "praeparatio evangelica", dall'altro lato mostra come la misura autentica e perciò normativa di ogni progetto umano è Cristo.

Forse il discorso non è - qui -, almeno globalmente, sufficientemente articolato: il passaggio dall'umano al cristologico è in ogni caso certamente possibile e doveroso; ma una teologia più vigile avrebbe indotto a un maggiore rigore e forse avrebbe condotto ad assumere con maggior vigore la prospettiva paolina della sapienza della croce.

Ciò, tenuto conto anche della particolare portata formativa e operativa del documento.

c. Un esempio postconciliare

Se e quanto la "spiritualità" post-conciliare abbia espresso o continui a esprimere un'esigenza "cristocentrica", è probabilmente ancora prematuro dire.

Ci sembra più facile affermare le esigenze, che in tale spiritualità obiettivamente si esprimono, di un molteplice o articolato discernimento cristocentrico.

Potremmo dire, secondo ognuna delle tre linee di discernimento che sono state ricordate all'inizio [ sopra, II,1,b ] : cioè sia in ordine alla ricerca "contemplativa"; sia in ordine alla corretta interpretazione dell'esistenza "spirituale" e del tempo dello "Spirito"; sia in ordine all'impegno etico e pratico del cristiano.

Non ci torniamo sopra. Ci basta richiamare qui, come testimonianza emblematica e perciò significativa, il modello che - nella direzione dell'azione o dell'"impegno" - ci è stato recentemente offerto da Madeleine Delbrel [ v. Modelli spirituali II,2 ].

È l'esperienza di una cristiana che, particolarmente di fronte al clima ateo-marxista, ritrova lo "statuto violento" della fede in Cristo.

"Statuto violento" non significa manicheismo o integralismo di nessuna sorta, che anzi è un "cristianesimo delle strade" quello che viene vissuto e proposto.

Significa invece acutissimo senso della originalità cristiana in quanto riferimento dell'esistenza a Cristo, e quindi in quanto "annuncio" con quello che si è, con la propria carne e il proprio sangue.

"Fede" contro "fede": due situazioni antropologiche, quella del cristiano e quella del marxista; ma la prima si differenzia esistenzialmente dalla seconda perché « il cristiano non è un libero pensatore ».

Qui sta quello che chiameremmo il "postulato regolatore" fondamentale del credente cristiano, per Madeleine Deibrel.

Ed è la sua presenza che rende lucidi e acuti nel discernere la sottile dialettica delle "fedi", che insensibilmente può travolgere il credente cristiano e farlo ritrovare alla fine come colui che dice parole cristiane, ma ha perduto il proprio "statuto violento".

« Noi non siamo liberi pensatori.

Nel settore del mondo in cui siamo, non siamo liberi di lasciar modificare il pensiero del Cristo dal pensiero del mondo; e questo non è sempre facile ».

« Diffidare di una certa avventura corrente, nei militanti: molti sono affascinati dal Cristo; attraverso il Cristo hanno compreso l'ingiustizia proletaria ed hanno voluto condividerla, lottare per essa.

Questa lotta, in partenza, era un elemento del loro amore per Cristo, ma un capovolgimento di valori insorge: è la lotta che diventa l'essenziale ed il Cristo è al suo servizio ».

La presenza del postulato regolatore è legata a una fondamentale volontà di ubbidienza e si mantiene a prezzo di una non-paura della originalità cristiana o, come direbbe Madeleine, dell' "insolito" cristiano.

Ciò qualifica la sua "storicità": essere presente nella storia come un prolungamento di Cristo, e insieme dover inventare questa sua presenza.

« Quando teniamo il vangelo tra le mani, dovremmo pensare che lì abita il Verbo che vuoi farsi carne in noi, impadronirsi di noi, perché con il suo cuore innestato sul nostro, con il suo spirito comunicante con il nostro spirito noi diamo un inizio nuovo alla sua vita in un altro luogo, in un altro tempo, in un'altra società.

Approfondire il vangelo così significa rinunciare alla nostra vita per ricevere un destino che ha per unica forma il Cristo ».

« Nella misura in cui dimentichiamo la condizione temporale della fede, dimentichiamo tutta una parte del vero lavoro della fede e dunque della sua efficacia: vivere come Gesù Cristo ha detto di vivere e fare quello che Gesù Cristo ha detto di fare: che è il vivere e il fare nel nostro tempo.

È una vita per la quale non abbiamo clichés in cui tradurla.

È un lavoro per il quale non esiste modellino prefigurato.

La volontà del Padre è sempre la stessa, ma si rinnova continuamente ». [ Per tutto il punto II v. Storia della spiritualità ].

III - Per un bilancio teologico conclusivo

Ci limiteremo alle seguenti puntualizzazioni.

a. Ciò che la storia della spiritualità cristiana, a partire dal NT, invita a considerare e a chiarire - a proposito di "cristocentrismo" -  è, ad un tempo, la fondamentalità del discorso e la tensione tra l'impreteribile globale esigenza cristocentrica e la pluralità di traduzioni di questa esigenza.

Tutto ciò, reso più complesso - in un certo senso - dalla presenza di "spiritualità" che, almeno in prima approssimazione, non sarebbero da riconoscere come "cristocentriche", e tuttavia conservano una loro piena legittimità nella vita della chiesa.

b. Si potrà illuminare il problema anzitutto riflettendo che la dimensione cristocentrica è strutturale all'esperienza cristiana perché essa è strutturale alla stessa fede cristiana o alla stessa figura dell'essere credente-cristiano.

Gesù di Nazaret è "la verità" o l'unità e la totalità della "rivelazione" ( Eb 1,2-3, per citare un solo testo ); ed è dal riferimento radicale, determinante a lui che prende configurazione il ( v. ) credente-cristiano.

La cosa è già stata, del resto, sufficientemente rilevata: anche nella sua necessaria implicazione "pneumatologica" ( ( v. ) l'uomo "spirituale" è colui che è "come Cristo" o è "memoria di Cristo", nello Spirito e per la grazia dello Spirito e gerarchico-ecclesiale [ v. Chiesa ] ).

c. Ne consegue che qualunque progetto di esplicito superamento o trascendimento di questa dimensione fondamentale equivarrebbe per se stesso esplicitamente ( nelle ipotesi migliori ) a un progetto di esperienza "religiosa" non-cristiano, anche se compiuto da "cristiani" sociologicamente e culturalmente tali.

Evidentemente, l'assimilazione reale della dimensione cristocentrica di cui parliamo non equivale semplicemente alla confessione ortodossa di un articolo di fede su Gesù Cristo e su ciò che egli rappresenta nel disegno di Dio.

Comporta, invece, che questa informazione-confessione passi in un riconoscimento vissuto "in actu exercito" del significato permanente del riferimento a Gesù per l'esistenza del cristiano, e quindi nella visione concreta della realtà che in questa esistenza effettivamente si esprime e da cui questa esistenza mostra di lasciarsi determinare.

Il "luogo" del cristocentrismo assimilato è dunque la visione cristiana vissuta dell'esistenza e della realtà: il volto cristiano di Dio, il senso cristiano dell'uomo, del mondo, della storia, ecc.

d. Quest'ultimo rilievo conduce a precisare le due condizioni generali di "cristocentricità" dell'esperienza cristiana: negativamente, il suo non-qualificarsi come progetto di superamento del riferimento a Cristo; positivamente, il suo presentarsi come un progetto e una figura autenticamente cristiani, coerenti dunque con l'adesione a Cristo e l'assimilazione del suo senso dell'esistenza e della sua visione della realtà.

È quindi in questa forma globale che ogni spiritualità deve mostrarsi positivamente come "cristocentrica": non di necessità in senso più direttamente tematico ( facendo, cioè, di Gesù - sotto l'una o l'altra angolatura, essa stessa più o meno completa e profonda - il punto nodale e sintetico di assimilazione e di prospettiva dell'intera proposta cristiana ).

Saremmo al corrispondente "vissuto" di ciò che l'affermazione del "cristocentrismo" rappresenta sul piano dell'elaborazione teoretica della riflessione o della comprensione della fede cristiana.

È nella "formalità" cristocentrica che si dimostra rispettata in atto la dimensione obiettivamente cristocentrica sia della riflessione teologica, sia dell'esperienza cristiana; non necessariamente dal modo con cui questa esperienza cristiana si articola, o dal modo esplicito con cui proclama la priorità e la "modalità" del suo riferirsi a Gesù.

Secondo questo criterio, pertanto, si dovrà giudicare della legittimità ( e del valore ) delle spiritualità immediatamente "non cristocentriche", perché non immediatamente riconducibili ad un modello o ad una figura caratterizzati di "cristocentrismo".

Diversamente si darebbe prova non tanto di rigore, ma di un deduttivismo o, forse meglio, di un "geometrismo" senza dubbio ristretto e inaccettabile.

  Gesù
  Teocentrismo
Criterio cristologico Spiritualità II
… e santità Uomo II
… ecumenico Ecumenismo III
… ed esercizi di pietà Esercizi II