Credente

Sommario

I. Significato e contenuto della parola credente:
1. Il credere come atto tipicamente umano;
2. Elementi del credere cristiano.
II. La storia della salvezza, luogo originario e sostentatore del credente cristiano:
1. Storicità delta fede;
2. La crisi attuale della fede cristiana;
3. Il Dio dei patriarchi;
4. La tede del popolo eletto;
5. Il fattore che fonda il credere e la trasmissione di esso.
III. Il credente in Gesù Cristo Signore:
1. Cristo, il punto massimo dell'inserzione di Dio nella storia;
2. Cristo e la fede dei patriarchi;
3. Il credente cristiano e la chiesa.
IV. Esigenze dell'essere credente cristiano:
1. Conversione e perseveranza;
2. Crescita e apostolato;
3. Autorealizzazione e impegno nel mondo.
V. Il credente di fronte al futuro.

I - Significato e contenuto della parola credente

Il termine credente indica la persona - collettività o individuo - che crede, che ha fede.

Nel linguaggio ordinario il verbo credere si usa con frequenza ed equivale a presupporre, opinare, essere convinto.

Utilizzata in senso religioso la parola credente assume tutta la pienezza del suo significato e la ricchezza di contenuto.

Ciò spiega come il termine suggerisca di preferenza la particolare convinzione di fede in materia religiosa.

Molteplici sono le credenze; si distinguono secondo i principali elementi del loro contenuto.

È "credente" chi le accetta.

È detto credente l'indù, il maomettano, l'ebreo e, in genere, chiunque professa una determinata religione o credenza.

Noi consideriamo il credente cristiano; la problematica che egli presenta è comune, in parte, agli altri credenti; tuttavia possiede anche dei tratti caratteristici.

1. Il credere come atto tipicamente umano

Dobbiamo in primo luogo considerare l'aspetto umano del credere, dato che il "credere" è un'attività propria dell'uomo.

In virtù della sua razionalità, libertà ed affettività l'uomo crede e può credere.

Tale attività del credere è tanto umana quanto quella di poter usare il linguaggio concettuale.

Nel credere possiamo scoprire tre qualità umane: apertura agli altri in quanto persone; capacità di percepire e valutare il senso di quanto ci viene detto; possibilità di accettarlo con adesione e stima o di rifiutarlo come non veridico.

La necessità, radicata nell'uomo, di comunicare con i suoi simili stimola ed attua queste tre qualità del credere.

L'uomo si realizza pienamente soltanto nell'interscambio con gli altri.

Senza mutua accettazione di quello che diciamo e che ci viene detto, vale a dire senza credere e senza essere creduti, la convivenza umana sarebbe impossibile.

La capacità umana di credere ammette dei gradi, dipende da altre qualità umane ( a sua volta le condiziona ) e può presentare, come tutto ciò che è umano, manifestazioni difettose e anche anormali.

Ugualmente la possibilità di credere è soggetta a complesse leggi psicologiche e sociali.

Non possiamo credere qualunque cosa, ne di qualsiasi persona, ne in qualsiasi circostanza; e a quello che crediamo possiamo dare una maggiore o minore adesione.

La nostra ragione si comporta da giudice; giudica circa la veracità della persona e la razionalità del contenuto che essa ci comunica.

Anche la nostra volontà, la nostra affettività, come pure il nostro sentimento intervengono ed agiscono come complementi indispensabili del credere, quantunque in grado diverso.

In base ad essi abbiamo fiducia nella persona che ci parla, diamo importanza a quanto ci dice e adottiamo un determinato atteggiamento.

La credulità o lo scetticismo sono posizioni viziate; si devono evitare.

Di fronte a questa complessità si deve notare in primo luogo che la necessaria subordinazione del credere alla ragione non costituisce il credere in una mera supplenza del poter conoscere o investigare.

In virtù degli altri elementi che contiene il credere non solo ci arricchisce di nuove conoscenze ma anche conferisce alla nostra intercomunicazione con gli altri la dimensione tipicamente umana di libertà e di valutazione.

Credere ad un altro è accettarlo nella mia libertà e nella mia stima; il non credergli è rifiutarlo con giudizio di disprezzo.

D'altra parte l'importanza del credere si manifesta nel fatto che esso, in certo modo e fino ad un certo punto, condiziona la nostra ragione ed il nostro ragionare, il nostro volere ed anche il nostro sentire.

Tutte queste attività umane hanno i loro limiti intrinseci più o meno ampi secondo la capacità personale.

Ma nello stesso tempo rimangono chiuse in quella che si suoi definire "mentalità".

La mentalità è una certa e particolare maniera di pensare, decidere, valutare; per conseguenza essa condiziona l'agire.

Caratterizza individui, comunità, epoche e culture.

È formata dall'impercettibile tessuto delle disposizioni psicologiche, dal proprio modo di vivere, da ciò che si assimila attraverso l'educazione e dall'ambiente.

In tutto ciò interviene la credenza.

Avere una determinata mentalità può favorire oppure ostacolare l'accettazione di determinate credenze religiose; ma la mentalità stessa è costituita da credenze ed è un segno inequivocabile della realtà profondamente umana del credere.

La dimensione inalienabilmente umana del credere offre al credente cristiano un punto di partenza per apprezzare il valore dell'atto che lo caratterizza.

La credenza, realizzata nelle dovute condizioni, attualizza, potenzia e conduce alla maturità un settore importantissimo delle qualità umane del credente: l'intercomunicazione con gli altri.

Ma il credere manifesta un peculiare valore, perché aiuta ad adottare un atteggiamento che da unità e forza al mondo psicologico del credente.

Questo "atteggiamento" può raggiungere la sua pienezza ed essere radicale e definitivo.

L' atteggiamento definitivo può avere dei rischi, ma è arricchente in modo specifico.

Esso da all'uomo i mezzi adeguati per superare la triplice angoscia: dolore-morte, peccato-condanna, fallimento-non senso della vita, che Paul Tillich abilmente presenta come pericoli costanti che minacciano la vita psicologica dell'essere umano.1

2. Elementi del credere cristiano

Come conseguenza di quanto è stato detto si può affermare che il credere autentico attua un aspetto ricchissimo e profondo dell'essere dell'uomo.

Il credere cristiano abbraccia tutti i suddetti elementi e da loro concretezza e trascendenza.

Il credere come cristiano potenzia la comunicabilità dell'uomo aprendola a Dio in Cristo, accetta la verità della sua persona affidandosi ad essa e aderendo al suo contenuto e adotta un atteggiamento definitivo richiesto dall'importanza assoluta del medesimo per la propria vita spirituale.

I tre aspetti: comunicabilità, accettazione e impegno definitivo sono inseparabili e costituiscono il credere cristiano.

Eliminarne uno o ridurre a uno solo di essi lo specifico del credere cristiano - come hanno inteso fare R. Bultmann, P. Tillich, H. Braun e altri - significa svigorire e dunque falsare la ricchezza e le esigenze inerenti al credente cristiano.

Questi poi risulta tale per l'intreccio mutuo e il risultato armonico di questi tre elementi sotto l'azione della grazia divina e dello Spirito santo.

Si può affermare, perciò, che il credente cristiano, in virtù della sua fede, gode di una vita "nuova".

E ogni vita, ma ancora più quella di livello umano arricchita da un'inserzione divina - che è il principale elemento - possiede molteplicità di aspetti, leggi complesse e risultati meravigliosi che nel cristiano determinano la sua spiritualità.

Per cogliere questa spiritualità si devono indicare prima il terreno originario, cioè dove nasce la fede del cristiano ( II-III ), poi le esigenze che essa propone ( IV ) e per ultimo le possibilità e gli obblighi che essa impone al credente in vista del futuro ( V ).

II - La storia della salvezza, luogo originario e sostentatore del credente cristiano

Il luogo originario e sostentatore del credente e in pari tempo il banco di prova della sua fede altro non è che la stessa storia umana comune a tutti gli uomini.

Lo snodarsi degli avvenimenti si trasforma in storia umana quando in essi si inserisce la libertà.2

Per mezzo di essa ogni cambiamento nel tempo porta il sigillo dell'uomo e questi a sua volta vi imprime una particolare fisionomia.

1. Storicità della fede

La storia umana, osservata nella visuale del credente, è caratterizzata dalla nascita e dal tramonto di determinate credenze e da periodi in cui predominano la fede o l'incredulità.

Lo studio storico della fede permette inoltre di distinguere in essa gli elementi ricevuti da altre credenze, gli influssi da essa stessa esercitati, i suoi diversi modi di espressione e le caratteristiche di quanti la accettano o trasmettono.

Accettare come terreno germinale e sostentatore della fede la storia umana e che la fede sia sottoposta alle leggi della storia, non implica necessariamente che si cada nel relativismo storico, il quale evidentemente svuota di contenuto proprio il credere cristiano.

Accettare la storicità della fede è riconoscere onestamente i complessi problemi che essa porta con sé.

La storia scopre nella fede cristiana vasti strati che, come quelli geologici, non solo si sedimentano ma sono soggetti a gigantesche pressioni che li ammassano l'uno sull'altro.

Il credente cristiano deve essere cosciente di queste modificazioni, perché esse offrono la complicata ma realistica orografia della sua credenza.

Questa orografia è indispensabile per conoscere a fondo la propria fede e contribuisce a che la spiritualità del credente cresca e possa superare felicemente i diversi "terremoti" che si producono nella storia.

2. La crisi attuale della fede cristiana

La nostra epoca, se paragonata ad altri periodi storici, si presenta al nostro sguardo di occidentali, nel suo aspetto più appariscente, con caratteristiche di ( v. ) crisi.

Si costata un abbandono crescente non solo delle pratiche religiose, ma anche della fede in Dio, in Cristo, nella chiesa e in tutto ciò che riguarda l'essere e il destino dell'uomo.

Il credere attraversa un momento critico e di ripiegamento.

L'abbondante bibliografia sulla cosiddetta "teologia della morte di Dio" lo ha messo allo scoperto.

Ciò che caratterizza questo periodo critico non è tanto la risposta "atea" o "agnostica" agli interrogativi più trascendentali dell'uomo ( il suo essere specifico, il suo destino, Dio ), quanto questa risposta stessa data come cristiana.

La negazione di ciò che propriamente trascende il contenuto semplicemente umano si è sempre avuta, quantunque tale negazione ora assuma maggior ampiezza e profondità.

Caratterizzanti e tipici del nostro tempo sono invece gli sforzi che, dalla posizione di partenza credente ed appoggiandosi, almeno in parte, sulla stessa rivelazione, sono stati compiuti per manifestare la vacuità - secondo certi autori - del concetto di Dio, di Cristo, della chiesa e dell'amore cristiano.

Autori dell'ala radicale della teologia della morte di Dio, pur professandosi cristiani, come W. Hamilton, G. Vahanian e più radicalmente Th. J. J. Altizer, riducono a misura antropologica quanto il credente accetta di Dio e del divino.

Ma anche i rappresentanti dell'ala moderata, come il primo H. Cox e, sul suo stesso piano, J. A. T. Robinson, ispirandosi a P. Tillich, D. Bonhoeffer, R. Bultmann, corrono il rischio, ed a volte vi cadono, di espungere dalla fede in Dio ( e da quanto essa suppone per il cristiano ) ciò che - secondo loro - non si adatta più alla maturità della ragione raggiunta dall'uomo moderno.

Del cristianesimo vogliono ritenere il Cristo, ma della sua persona cancellano, o almeno lasciano in fitta penombra, la divinità e la risurrezione.

Nella chiesa e nella sua struttura vedono per lo più o unicamente il risultato di un'ideologia e la concretizzazione di avvenimenti storici, piuttosto che il luogo stabilito da Cristo per la vita del credente; e, infine, dell'amore cristiano ritengono unicamente la dimensione orizzontale.

Questo movimento ha provocato in non pochi credenti una notevole scossa; la fede stessa ne è rimasta intaccata.

Senza dubbio il credente può guardare senza eccessiva sorpresa questo movimento e la storia fugace di questa corrente.

Gli scritti di questi autori ottennero largo ascolto, è vero, ma bastarono pochi anni per giungere alla costatazione che la cresta d'onda di questo movimento, in ciò che aveva di più caratteristico, calava vertiginosamente.

Dalla sua schiuma, che si dissolveva con rapidità, sono sorte altre "teologie": della secolarizzazione, della liberazione, della rivoluzione, le quali, per ciò che hanno di impegnativo e di rispondente a circostanze, in parte geograficamente localizzate, non cessano di sedurre.

Tutto ciò, più che turbare o scoraggiare, deve influire sul crederne perché sia cosciente, da un lato, della dimensione storica del suo credere, che può andar soggetto a tali influssi, e, dall'altro, perché ritenga gli elementi essenziali della sua fede cristiana operando, con tutta la perspicacia possibile, un discernimento da tutto ciò che può essere una loro espressione difettosa.

3. Il Dio Dei Patriarchi

Un valido punto di partenza per un discernimento della fede genuina viene offerto dalla riflessione sul dove e sul come nasce la fede trasmessa dai patriarchi dell'AT e ritenuta dal popolo eletto.

Il loro atteggiamento di credenti è istruttivo.

La presenza di questo loro atteggiamento nella storia umana costituisce la base della visuale cristiana.

Per il cristiano esso è l'origine della propria fede.

E a partire da esso si può capire come la storia umana diventi storia di salvezza e come essa sia il luogo scelto da Dio quale fonte, contenuto e supporto del credere cristiano.

Di tutta la problematica della religione dei patriarchi,3 la loro credenza in Dio illumina un punto essenziale della fede cristiana.

È interessante notare come viene designato il Dio che essi adorano, poiché ciò ci fa cogliere la caratteristica del loro credere.

Il modo più antico per designare Dio è la formula « il Dio di mio padre » e correlativamente, secondo le esigenze della narrazione, « di tuo padre », di « suo padre » ( Gen 31,5.29; Gen 43,23, ecc. ).

Si passa poi a sostituire e ad aggiungere al possessivo il nome proprio del padre; e così abbiamo le espressioni « il Dio di Abramo » ( Gen 31,42 ), «il Dio di mio Padre Isacco » ( Gen 32,10 ).

Si adopera anche la formula al plurale.

Si raggiunge la formula piena dopo varie generazioni, nell'Esodo, quando Dio dice a Mosè: « Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe » ( Es 3,6 ), o, rispetto al popolo, « il Dio dei vostri padri » ( Es 3,15.16 ).

Queste espressioni contengono una concezione tipicamente nomade di Dio che presenta tre caratteristiche:

a. essa non è legata ad un santuario o territorio ma ad un gruppo di persone;

b. indica che egli si è manifestato o rivelato in modo speciale a un antenato o padre che lo ha riconosciuto e adorato come Dio;

c. che questo riconoscimento è concepito come una parentela tra l'uomo e Dio.

Come divinità nomade, il Dio del padre conduce, accompagna e custodisce, nel suo pellegrinare, il gruppo che gli rimane fedele.

L'espressione « il Dio di mio padre » è densa di contenuto poiché per essa il credente da ragione della sua fede: individualizza il suo Dio ed implicitamente mostra di credere che Dio si è rivelato a suo padre e di accettare, come questi, l'impegno e l'obbedienza.

Le diverse rivelazioni di Dio ai patriarchi, ad Abramo ( come centrale si considera quella di Gen 15 ), a Isacco ( Gen 26,24ss ), a Giacobbe ( Gen 28,13ss ), contengono lineamenti comuni.

I principali sono: Dio fa una promessa ed esige l'adempimento dei suoi precetti.

Per mezzo della sua rivelazione Dio si inserisce nella vita dei patriarchi e, tramite essi, nella vita della loro discendenza.

Mediante il suo speciale e libero intervento Dio trasforma la storia umana, cioè di coloro che daranno origine ad un popolo, in storia di salvezza.

Il cambiamento di nome che Dio impone ad Abramo, soprattutto la prova cui lo sottopone - così drammaticamente descritta da Kierkegaard - e il superamento di essa con il conseguente giuramento da parte di Dio che rafforza la sua promessa ( Gen 22,16 ), presentano questo patriarca come il «padre dei credenti», prototipo e trasmettitore della fede che viene accreditata come giustizia ( Rm 4,3.22.23 ).

4. - La fede del popolo eletto

Quando Dio interviene nuovamente nella storia del popolo che si è eletto e si presenta a Mosè nel roveto ardente, si dichiara come « il Dio di tuo padre », il Dio di Abramo, Isacco è Giacobbe ( Es 3,3ss ), e così si stabilisce l'identità tra il Dio dei patriarchi e il Dio che libererà il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto.

In questo modo il sacro noaie di Jahve, che apre una nuova epoca di liberazione, include nella sua azione protettrice le rivelazioni e le promesse fatte ai patriarchi.

Con la rivelazione fatta a Mosè Dio stabilisce un punto irreversibile nella storia del popolo eletto e per suo mezzo di tutta l'umanità.

Il "Dio del padre", che nelle tradizioni eloista e sacerdotale era chiamato, tra altri nomi, Elohim - desunto dal pantheon cananeo -, ora riceve il nome di Jahve: è lui che da coesione di popolo alle dodici tribù e manifesta la sua costante assistenza ai suoi eletti, e in certe evenienze, che segnano importanti pietre miliari nella storia d'Israele, con potenza straordinaria, con «braccio teso » ( Dt 5,15; Sal 136,12; Ger 32,21 ).

È il Dio che arricchisce e educa la fede di Israele con la sua parola; che lo mette alla prova nel deserto ( Es 16,4 ) allo scopo di confermarlo ed esercitarlo come fa il padre con il figlio ( Dt 8,2-6 ); che gli concede la conquista della terra promessa ( Sal 44,4 ); che gli si da a conoscere come « il santo » ( Is 6,3; Lv 20,26 ), come il creatore del ciclo e della terra ( Dt 32,8; Is 42,5; Sap 13,5 ), come il giusto e il fedele alla sua promessa ( Dt 32,4; Sal 145,13 ), che punisce la malvagità ( Is 2,11ss; Is 13,11 ) ed usa misericordia ( Sal 25,10; Sal 89,15; Sal 103,17; Sal 109,21 ).

È il Dio "nascosto" e "salvatore" ( Is 45,15 ) che manda i suoi eletti dotandoli del suo Spirito per liberare, salvare e correggere - per mezzo dei suoi profeti - le deviazioni del suo popolo.

È lui che gli concede momenti di splendore e la sua speciale presenza nel tempio di Gerusalemme ( 1 Re 8,10-11 ).

È ancora lui che fa predire la distruzione di quello stesso tempio ( Ger 7,3ss ) e la deportazione a Babilonia ( Ez 12,1ss ).

Ciò nonostante la sua ultima parola è sempre di misericordia, di perdono e di consolazione.

Egli fa profetizzare la risurrezione del suo popolo ( Ez 37,1ss ) e fa annunciare che stabilirà un nuovo patto e infonderà il suo Spirito ( Ez 36,25ss ) per inaugurare, mediante il suo Unto, una nuova èra di pace, di benedizione e soprattutto di conoscenza-amore-di Dio ( Is 11,1-9 ).

A questa azione di Dio nella storia il popolo d'Israele risponde, in complesso, con una fondamentale accettazione di fede e di obbedienza che lo caratterizza.

Certo, questa fede non esclude numerose infedeltà, deviazioni ed apostasie, fino al punto che solo il "resto" d'Israele sarà salvato.

Tutta la complessa trama dell'azione di Dio e della risposta umana, che l'AT ci scopre o piuttosto ci fa indovinare, costituisce il luogo originario e sostentatore del credente giudeo.

L'esistenza innegabile del suo stesso popolo con la sua storia particolare alimenta la fede del credente, anche se vi sono degli "insensati" che negano nel proprio cuore l'esistenza di Dio ( Sal 14; Sal 53 ).

Tema costante degli autori ispirati sarà la storia stessa del popolo, il modo di agire di Dio con coloro che lo temono, il potere di lui, la forza, la saggezza, l'efficacia della sua parola e del suo Spirito, la sua onnipresenza e la sua misericordia verso l'individuo o la collettività.

I salmi, nel loro ricco contenuto, esprimono la fede nell'azione di Dio nella storia umana in forma di preghiera: lode, ringraziamento, supplica, che sostiene la fede di tutto il popolo [ v. Salmi ].

Gli altri libri ispirati dell'AT, nella loro immensa varietà, avranno in comune questa caratteristica: testimoniano l'azione di Dio nella storia [ v. Esperienza spirituale nella bibbia I ].

Questo è anche un punto fondamentale del credere cristiano: Dio creatore agisce nella storia.

5. - Il fattore che fonda il credere e la trasmissione di esso

In questo dato dei libri sacri si deve distinguere accuratamente il fattore che fonda il credere dalla sua trasmissione attraverso la testimonianza.

Tutte e due le cose dicono relazione alla fede, ma in modo diverso.

Il fattore fondante è uno speciale intervento di Dio nella storia umana.

Chi lo riceve in forma immediata costata un fatto: che Dio lo impone e realizza secondo i suoi piani, al di là del volere o dell'aspettativa del recettore, a volte contro o oltre le forze umane che gli resistono.

Questa rivelazione, epifania, parola di Dio, prodigio o segno, rimane come un marchio di innegabile carattere divino impresso su chi lo riceve immediatamente.

La garanzia per chi deve essere testimone di esso sta nel fatto stesso e nel modo con cui tale fatto si impone alla sua coscienza.

In senso proprio sono questi fatti che convertono la storia umana in storia salvifica.

Il testimone del fatto lo trasmette al credente.

La trasmissione ad opera del testimone va pienamente soggetta alle complesse leggi di espressione della parola e del linguaggio umani; nell'accettazione di questa testimonianza ci si può lasciar guidare dalle esigenze essenziali del credere umano; essa resta garantita come divina in modo concomitante o esterno; solo nella fede raggiunge la sua piena giustificazione.

Ed è precisamente per mezzo della fede e per mezzo di quanto la fede cristiana richiede in fatto di grazia e di azione divina che il credente si associa alla persona che da la testimonianza e, attraverso di lei, al medesimo fatto salvifico, che così effonde nel credente la sua virtualità di salvezza.

Se il fattore fondante si impone, la testimonianza di esso invece interpella piuttosto la libertà del credente; se in un certo senso si può dire che anche la testimonianza s'impone al credente, è solo in virtù della realtà e della verità ch'essa contiene, perché in ragione della sua verità pone l'eventuale credente nell'alternativa di salvezza o di condanna.

Per l'eventuale credente la testimonianza è pure giudizio di Dio.

La sua accettazione è salvezza; la fede è « principio, fondamento e radice di ogni giustificazione ».4

III - Il credente in Gesù Cristo Signore

L'azione di Dio nella storia d'Israele trasforma codesta storia in contenuto, esempio e paradigma del credente cristiano.

Il privilegio del popolo eletto d'essere il destinatario della parola di Dio ( Rm 3,2 ), di partecipare alla figliolanza, alla gloria di Dio, di possedere il patto, la legge e le promesse ( Rm 9,4 ) e di costituire, per generazione umana, la linea di trasmissione nella quale nascerà Gesù Cristo secondo la carne ( Rm 9,5 ), fa di questo popolo un luogo privilegiato per la fede del credente cristiano.

1. Cristo, il punto massimo dell'intersezione di Dio nella storia

Con Cristo viene scritta una pagina nuova nella storia della salvezza.

In essa vi è continuità e cambiamento.

Da una parte è lo stesso Dio che interviene nuovamente nella storia umana, dall'altra questo suo intervento raggiunge il massimo della profondità; è definitivo e perfetto.

O. Cullman presenta in modo indovinato il complesso del piano salvifico della benevolenza divina mediante il simbolo dei cerchi concentrici.

Il primo cerchio, vastissimo, comprende tutta l'umanità nella sua creazione.

Il cerchio si rimpicciolisce e si concentra in altri cerchi che vanno sempre più riducendosi: il popolo eletto, il resto d'Israele, Gesù Cristo.

In quest'ultimo si raggiunge il massimo della concentrazione.

A partire da lui si avranno ampliamenti: i discepoli, la chiesa, l'intera umanità.

Con l'incarnazione del Figlio di Dio, l'inserzione di Dio nella storia umana raggiunge il massimo grado.

Gesù Cristo è il centro e il fine di tutta la creazione, l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura ( Col 1,15-17 ).

La sua persona, la sua missione e il suo destino cambiano la sorte di quanti credono in lui ( Rm 3,21-26 ).

Si è inaugurato il tempo di pace con Dio ( Rm 5,1 ), di riconciliazione ( Rm 5,11 ), di grazia e di amore ( Rm 5,5.8 ), di libertà ( Rm 8,2 ), dello Spirito ( Rm 8,9-11 ), di misericordia ( Rm 9,15-18 ), di restaurazione di tutto il creato ( Rm 8,19-21 ) [ v. Gesù Cristo ].

2. Cristo e la fede dei Patriarchi

Con Cristo ci troviamo nuovamente di fronte alla fede nel Dio dalle tre caratteristiche risalenti al tempo dei patriarchi [ v. sopra, II,3 ], tipiche di un popolo nomade e che si sono conservate in Israele trasformato in popolo sedentario.

Cristo, tuttavia, le situa su un livello più profondo, più spirituale ed universale.

Per Gesù il "suo" Dio è il Padre suo e il Padre suo è il Dio dei giudei ( Gv 8,54 ).

Il Dio di Gesù non è legato ad un territorio o santuario e tanto meno ad una famiglia o razza.

È spirito e lo si deve adorare in spirito e verità ( Gv 4,24 ).

Come nella religione nomade, viene stabilita una relazione personale.

In Cristo e per Cristo sarà una relazione di mutua abitazione: « rimanete in me ed io in voi» ( Gv 15,4 ); «verremo a lui [ in chi osserva i suoi comandamenti ] e prenderemo dimora presso di lui » ( Gv 14,23 ).

Credere in Cristo e come lui avere Dio per Padre non è solo accettare che Dio si è rivelato a Gesù, ma anche qualcosa di più intrinseco e profondo: egli e il Padre suo sono una cosa sola ( Gv 17,11 ); chi vede Gesù Cristo vede anche il Padre, poiché egli sta nel Padre e il Padre in lui ( Gv 14,9-10 ).

Perciò il credente che accetta il Dio di Gesù crede nel Dio creatore del ciclo e della terra che si è rivelato nella storia d'Israele, ma crede pure in Gesù come Signore e come Dio, per il semplice motivo che la rivelazione e l'inserzione di Dio nella storia mediante Gesù è di ordine sostanziale.

Se la relazione di Dio con l'uomo si presenta nei patriarchi come una parentela, in Gesù Cristo si precisa e si concretizza in una figliolanza.

I credenti in Cristo sono figli perché hanno ricevuto lo Spirito non di timore ma di figliolanza ( Gal 4,6; Rm 8,14 ), ed è questo Spirito di Gesù che testimonia il loro essere figli e permette loro di invocare Dio come faceva Gesù con il nome di Abbà, Padre.

La preghiera specifica dei credenti in Cristo Gesù comincia precisamente con questa invocazione: Padre nostro che sei nei cieli.

Come l'inserzione di Dio nella storia dei patriarchi e del popolo è il fattore fondante della fede per Israele, cosi, in modo simile ed anche più radicale, lo è l'inserzione di Dio in Gesù Cristo, nella sua persona, nella sua missione e nel suo destino per il credente cristiano.

3. Il credente cristiano e la Chiesa

Cristo inoltre è la testimonianza per eccellenza dell'azione di Dio nella storia umana.

La fede autentica è sempre risposta alla parola di Dio, e pertanto viene trasmessa entro un contesto sociale.

Gesù Cristo rispetta questa legge.

Sceglierà degli apostoli, formerà dei discepoli, stabilirà la sua chiesa, il suo gregge, il suo regno e darà loro l'incarico di essere suoi testimoni, di predicare in tutto il mondo ( Mc 16,15 ), di battezzare, di guadagnare gli altri alla stessa fede ( Mt 28,19; Lc 24,48 ).

Cristo stabilisce il luogo nel quale il credente realizza per mezzo della fede un incontro personale con lui: incontro, fiducia nella sua persona che è adesione ed inserimento nel suo mistero di salvezza.

Il battesimo-fede è un sommergersi, un con-seppellirsi, un innestarsi sulla morte redentrice di Cristo, un crocifiggere l'uomo vecchio, un morire con Cristo per vivere con lui e partecipare alla sua risurrezione ( Rm 6,3-9 ).

Per la fede-battesimo il credente forma un corpo, il corpo di Cristo ( 1 Cor 12,12.27 ), per mezzo dello Spirito santo gli vengono infusi la carità di Dio ( Rm 5,5 ) e i doni che lo Spirito santo distribuisce corse vuole ( 1 Cor 12,11 ) in vista di una funzione a vantaggio degli altri ( 1 Cor 12,7 ) all'interno di questo corpo che egli forma in Cristo, essendo, gli uni rispetto agli altri, membri del medesimo corpo ( Rm 12,5 ) che è la chiesa ( Col 1,24 ).

In breve, il credente in Cristo realizza in sé, il piano salvifico di Dio che fa ridondare tutto in bene per i suoi, eletti, per quelli che ha chiamato e predestinato « ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli » ( Rm 8,28-29 ).

Questa conformazione abbraccia tutto quanto è e deve essere il credente cristiano: la sua vocazione, l'elezione e la glorificazione ( Rm 8,30 ).

E questo già da ora, sebbene non si sia ancora manifestato nella sua pienezza, la quale sarà raggiunta quando « vedremo Dio come egli è » ( 1 Gv 3,2 ).

Il credente cristiano deve essere cosciente che per mezzo della sua fede, e di quanto con essa Dio gli concede, diventa una nuova creatura, un uomo nuovo ( Ef 4,24 ), pietra viva della costruzione santa di Dio ( 1 Pt 2,5 ), sacerdozio regate, popolo di sua conquista ( 1 Pt 2,9 ) e perciò è parte viva e responsabile - ognuno nel proprio grado - della chiesa di Cristo.

Questa chiesa, con la sua struttura e coi suoi sacramenti, con la sua diversità di membri e con la sua unità di corpo, costituisce il popolo di Dio ( LG 9ss ).

In essa si trova la speciale connessione del fattore che fonda la fede, Cristo Gesù, e della sua trasmissione ( o kerygma ) guidata dall'intervento speciale dello Spirito santo.

Per la spiritualità del credente è importante notare che l'accoglienza del kerygma mediante la fede presuppone un particolare intervento di Dio nella sua vita per mezzo dello Spirito santo e che l'azione di questi tende a configurarlo a Cristo.

Nella chiesa poi la storia umana si trasforma in storia di salvezza, senza che questa si differenzi empiricamente dalla prima o si sottragga a tutti i processi e le complessità dei fatti storici.

Malgrado l'aspetto umano della chiesa il Vat I ha potuto affermare che essa è « il segno elevato tra le nazioni » ( Is 11,12 ), colei che attesta ai suoi figli che la fede da essi professata ha un fondamento saldissimo.5

Ciò non toglie che la chiesa debba costantemente purificarsi, e portare avanti senza interruzione il suo compito di conversione e di rinnovamento ( LG 8 ), compito che si riassume nel crescere in giustizia e in amore, sforzandosi di diventare la sposa di Cristo «senza macchia ne ruga, ma santa ed immacolata » come egli la vuole e la desidera ( Ef 5,27 ).

Questo sforzo deve essere compiuto da tutti e da ciascun credente, secondo i propri doni, grado e possibilità.

Quanto più e meglio si realizza questo impegno, tanto più e meglio la chiesa stessa svolgerà la sua missione: essere per ogni credente cristiano il luogo originario e sostentatore della sua fede e un invito costante perché il circolo di misericordia divina che essa concretizza nel mondo s'ingrandisca sempre più fino ad accogliere tutte le nazioni della terra [ v. Chiesa ].

IV - Esigenze dell'essere credente cristiano

Quanto abbiamo detto finora ci fa comprendere che cosa significa essere credente cristiano e dove nasce, si mantiene e si sviluppa la sua fede.

Ora dobbiamo riassumere tutto ciò in una formula cristiana, poiché deve far parte della sua spiritualità.

La formula sintetica ci è offerta dalla prima domanda del Padre nostro: « Sia santificato il tuo nome».

La frase, in quanto supplica, esprime il desiderio di una manifestazione progressiva e crescente della santificazione del nome del Padre: parte dal presente e guarda il futuro, perciò tende ad una pienezza, a una perfezione.

Già Origene notava che le parole della stessa preghiera: « come in cielo così in terra » non si riferiscono solo alla terza domanda, bensì alle tre prime domande del Padre nostro.6

Se è così, con questa supplica si chiede la perfezione massima del riconoscimento e della glorificazione del nome del Padre.

Nell'attuazione di questa "santificazione" intervengono due personaggi: Dio e l'uomo.

L'iniziativa e la parte principale sono svolte da Dio: di qui il tono umile e insieme audace della domanda.

Il "nome", nel senso ebraico del termine, designa il medesimo essere del Padre.

A lui si chiede che lo santifichi, che si manifesti come "santo" agli uomini e che intervenga come tale nella storia umana.

La santità di Dio, con la ricchezza che contiene il concetto, include la sua giustizia, misericordia, bontà e il potere ch'egli solo possiede.

Lo si supplica che si riveli agli uomini come Dio e Padre.

Ma nello stesso tempo l'espressione "sia santificato" fa riferimento all'essere umano e alla sua azione.

L'uomo santifica il nome di Dio non solo con le parole ma principalmente riconoscendo ed attribuendo a lui e non ad altri - gli idoli - l'opera da lui compiuta nel rivelarsi.

Questo riconoscimento è fede, è accettazione-obbedienza della santità di Dio e di ciò che essa include, desidera o comanda.

Possiamo dire infatti che se Dio è stato santificato nella storia come Padre di Gesù Cristo e, per mezzo di lui - unico mediatore ( 1 Tm 2,5 ) -, come Padre di tutti coloro che professano che Cristo è il Signore, la risposta della fede è quella che santifica il nome del Padre da parte degli uomini.

Ogni altra risposta che non sia la fede nella sua pienezza lo profana ( Ez 36,20-21 ).

La santificazione del nome del Padre da parte del credente cristiano suppone la conversione [ 1 ], la crescita nella fede [ 2 ] e l'autorealizzazione [ 3 ], con le corrispondenti disposizioni di perseveranza, apostolato ed impegno nel mondo: esigenze che, se soddisfatte, faranno fiorire la spiritualità del credente.

1. Conversione e perseveranza

Se la fede trasforma il credente cristiano nell'immagine del Figlio, con quanto ciò suppone di cambiamento nell'ordine ontologico [ v. sopra, III,3 ], essa include anche una conversione di ordine morale.

La conversione del credente, la sua metanoia, è un'esigenza inerente e promanante dalla sua stessa fede.

La conversione interpella la libertà umana, suppone un cambiamento, accettato e libero, da uno stato precedente di disaccordo, di disordine o di peccato rispetto a Dio, a se stesso e al prossimo, in un altro stato: quello della riconciliazione.

Ma perché questa conversione venga attuata come azione umana la fede deve includere:

a. una speciale conoscenza della realtà e

b. una connessione con la speranza e con l'amore che la rendono operativa,

c. pur nella differenza e

d. nella compenetrazione di queste tre virtù.

a. La conoscenza particolare della fede

La conoscenza acquisita con la fede cristiana si trasmette attraverso la testimonianza.

Per mezzo di essa il credente cristiano ha la possibilità di realizzare l'incontro personale con Cristo.

Dato che è la parola a dirigerei e a renderci possibile questo incontro, essa deve condurci a individuare e a identificare Cristo.

E lo fa non mediante la semplice descrizione delle sue opere esterne, ma individuandolo profondamente nella sua inserzione nella storia, nei suoi fatti - vita, passione, risurrezione - e nelle sue parole.

Tutto ciò implica che il credente deve accettare la realtà di questi aspetti.

Per mezzo di essi egli sa con chi si incontra ed a chi da la sua adesione.

L'accettazione della realtà di questi fatti specifici e concreti di Cristo Gesù può presentare e presenta al credente difficoltà più o meno grandi secondo le epoche e la mentalità.

La fede cristiana è un ossequio razionale.

Perché il credente lo possa porgere, la stessa fede cristiana gli insegna che è necessario l'intervento dello Spirito di Dio; è lo stesso Spirito che da la possibilità di avere questa conoscenza e da la sapienza cristiana, tanto esaltata da s. Paolo nella prima lettera ai Corinzi ( 1 Cor 2,6-16 ), e che s. Giovanni pone come compendio della missione salvifica di Cristo: « che conoscano tè, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato » ( Gv 17,3 ).

Si noti che la fede cristiana non si riduce al solo elemento di accettare la realtà della persona di Cristo come fattore fondante e degli elementi che la precisano; tuttavia lo implica come sua caratteristica essenziale.

In virtù della realtà della persona di Cristo il credente non può ridurre la sua fede a un puro "atteggiamento", per quanto profondo, ne a una "ortoprassi", per quanto questa sia importante.

La fede cristiana possiede un contenuto reale, preciso e determinato nelle sue linee essenziali.

La spiritualità del credente si basa sulla realtà.

b. Connessione della fede con la speranza e con l'amore

La connessione della fede cristiana con la speranza e con l'amore può essere messa in luce a partire da due punti di vista.

Dio, quando rivela Cristo e si rivela in lui, unisce in un medesimo atto l'amore, la promessa e la realizzazione.

Alla parola che manifesta i suoi disegni salvifici egli unisce il desiderio che essa venga accettata, la promessa e l'amore.

La risposta di fede corrispondente deve essere nello stesso tempo adesione alla sua verità, speranza di quanto promette e amore alla persona che si comunica a noi.

Questo riguarda il primo punto di vista.

Secondo: per dare una risposta di fede è indispensabile adottare un atteggiamento di fiducia verso la persona che ci attesta la verità rivelata.

Alla fiducia sono collegate le disposizioni di speranza e di amore: quindi si spera in questa persona e la si ama.

Nella fede cristiana, pertanto, si accordano necessariamente queste forze del credente che sono lo sperare e l'amare.

Per mezzo di esse la fede abbraccia l'uomo intero e lo impegna ad una risposta totale; esse determinano una speciale spiritualità poiché entrano in gioco anche l'affettività, la sensibilità e il sentimento del credente.

c. Differenza tra fede, speranza e amore

Tuttavia si deve notare - e ciò aiuta a comprendere meglio il dinamismo di crescita della spiritualità del credente - che tra la fede, la speranza e l'amore cristiani vi sono differenze.

L'elemento comune tra la fede e la speranza comporta che la seconda abbia il punto d'appoggio nella prima ( Eb 11,1 ) e soddisfi a due delle sue esigenze essenziali: la realtà dell' "oggetto" sperato e la possibilità d'avere i mezzi per conseguirlo.

Fede e speranza tendono verso un al-di-là con ritmo di desiderio; la speranza anela a possedere e la fede aspira a vedere.

Ma l'elemento-di-fiducia della fede, o se si vuole di speranza, rimane limitato a un punto concreto di questa forza dell'anima, vale a dire al fatto che il testimone che gli parla gli dica la "verità".

La speranza in quanto tale abbraccia molto di più: si estende all'esigenza che non le venga a mancare l'insieme di mezzi che le danno la possibilità di raggiungere il suo "oggetto" e che trovi in essi l'energia per superare le difficoltà che incontra nel suo cammino.

C'è anche un'altra differenza: la fede di già fruisce in un certo grado e in una certa maniera sua propria, essendo adesione non tanto alle parole quanto alla persona che testimonia ed al contenuto della testimonianza.

Al contrario la speranza cessa di agire quando ha conseguito ciò che si attendeva ( Rm 8,24 ).

Riguardo alla carità si deve fare una riflessione analoga.

La fede senza di essa non sarebbe salvifica e ciononostante la fede senza la carità può continuare ad esistere come virtù soprannaturale.7

La fede è una tendenza o amore, che però s'incentra sulla verità e sulla persona in quanto mi comunica la verità: se so che essa mi inganna, la tendenza d'amore della fede non può agire, non può aderire alla sua testimonianza.

Invece l'amore in quanto tale, poiché abbraccia più aspetti e non si riduce alla sola verità, può continuare ad amare la persona anche se sa che quanto gli dice è falso.

Sotto l'aspetto concreto della verità e della realtà la fede comporta una certa priorità nell'incontro del credente con Cristo.

La fede è il primo passo della spiritualità. [ v. Speranza III,1 ].

d. Compenetrazione

La compenetrazione della fede con queste altre due energie soprannaturali è scambievole.

La fede sarà il sostegno della speranza e riceverà da essa l'impulso per operare secondo le sue esigenze.

La fede, adesione all'eccelsa realtà di Cristo, è fonte inesauribile d'amore.

L'amore, a sua volta, perfeziona ed intensifica questa adesione e converte l'obbedienza contenuta nella fede in un'obbedienza filiale, caratteristica dei credenti in Cristo.

La perfezione della fede si misura dall'aiuto che essa apporta allo sviluppo delle altre due virtù, le quali, alla loro volta, la sostengono e la sviluppano fino al raggiungimento della spiritualità del credente nella misura di Cristo ( Ef 4,13 ).

Questa sarà la sua mèta.

e. Conversione

Possiamo dunque dire che la fede suppone e rappresenta una conversione, la quale consiste nell'orientare la vita spirituale del credente verso il mistero reale contenuto in Cristo e tramite lui in Dio, escludendo l'ignoranza passata ( 1 Pt 1,14 ).

Conversione che richiede di non vivere in peccato ( Rm 6,2 ), di liberarsi dalla sua schiavitù e dalla sua tirannia ( Rm 6,16 ) per produrre frutti di santità che fiorisce in vita eterna. [ v. Conversione; Crisi III,3,b; Peccatore/Peccato; Penitente; Peccato e penitenza in odierna acculturazione].

f. Perseveranza

Da parte sua la conversione esige la perseveranza.

Con ragione s. Paolo esorta a camminare nello Spirito, se viviamo dello Spirito ( Gal 5,25 ).

Nondimeno si può avere un'autentica conversione e mancare di perseveranza nel cammino intrapreso.

La perseveranza, infatti, richiede il superamento di molte difficoltà che possono ostacolare il cammino del credente.

Questi ostacoli possono essere di ordine molto vario e provenire da molteplici cause, la cui opposizione alla perseveranza nella fede si può compendiare in una parola; provocano il dubbio nel credente.

Segnalare il modo pratico e concreto per superare il dubbio è ufficio di diversi trattati di spiritualità: pedagogia e pastorale della fede [ v. Psicologia ( e spiritualità), discernimento degli spiriti e preghiera ].

Ad ogni modo il credente sappia che il dubbio, contrario alla sua adesione alla persona di Cristo sotto l'aspetto specifico della verità e realtà, non è una componente della sua fede ne da ad essa una maggiore flessibilità o comprensione, ma è un pericolo che gli potrebbe strappare il tesoro del dono ricevuto, che egli porta, come dice Paolo a proposito del suo apostolato, in vaso fragile, di creta ( 2 Cor 4,7 ), esposto continuamente a mille insidie ( 1 Pt 5,8-9 ).

Superare il dubbio è consolidare la propria perseveranza, il progresso nella sua vita spirituale.

Il credente cristiano appartenente alla chiesa cattolica si trova in una posizione privilegiata; non avrà mai una giusta causa per abbandonare la sua fede cristiana.8

Questo privilegio, però, comporta che il credente adegui la sua cultura religiosa ai livelli raggiunti dalla sua maturità umana, alle esigenze dei tempi e della sua cultura e si serva dei mezzi che la chiesa mette a sua disposizione.

È un lavoro arduo, impegnativo e delicato, tuttavia possibile, che chiama in causa non solo il singolo credente ma la stessa chiesa come istituzione.

2. Crescita e apostolato

La conversione riassume ciò che avviene nel credente quando entra in contatto personale con Cristo per mezzo della fede.

Perciò egli deve conservare il suo dinamismo lungo l'arco di tutta la vita.

I termini "crescita" e "progresso spirituale" esprimono meglio che non il termine conversione la trasformazione costante che la fede esige in chi è già credente, così come i termini "giustificato", "riconciliato" indicano meglio chi è il credente che non il termine peccatore.

La conversione alla fede lascia alle spalle un passato di peccato e gli apre un avvenire in cui « non c'è più nessuna condanna per quelli che non camminano più secondo la carne » ( Rm 8,1 ).

La conversione è qualcosa d'iniziale ( AG 13 ) e perciò ammette gradi come la fede ( Lc 17,15 ).

La fede ha una sua misura ( Rm 12,3; 1 Cor 12,11 ); però, in qualunque grado si trovi ed in qualsiasi misura sia stata concessa, essa invita costantemente il credente e la chiesa ad attualizzare le proprie energie di purificazione, di completamento e di attuazione pratica.

a. Purificazione della fede

Purificare la fede significa eliminare quegli elementi che le si sono sovrapposti a motivo della sua incarnazione nella storia, elementi che possono sembrare, in determinate circostanze personali o collettive, strettamente pertinenti ad essa, mentre sono soltanto sottoprodotti umani della sua estrinsecazione o di una sua limitata comprensione.

Ma purificazione della fede significa anche il risultato dello sforzo per rimettere al posto dovuto gli elementi della fede stessa che furono trascurati in qualche caso.

S. Paolo, quando nella sua predicazione rivendica con estrema energia il posto centrale del Cristo crocifisso ( 1 Cor 2,2 ), purifica la fede della comunità di Corinto.

La stessa cosa fa Gesù Cristo quando cerca di inculcare nel cuore dei due discepoli che si recavano a Emmaus nel giorno di Pasqua che il Cristo doveva morire per entrare nella sua gloria ( Lc 24,26 ).

b. Completamento

La retta gerarchia delle verità della fede ( UR 11 ) è già una purificazione ed esige una crescita della fede stessa, poiché c'è un legame reciproco tra tali verità.

Questa connessione sollecita il credente ad acquistare una conoscenza più completa delle medesime.

La "analogia della fede" può guidare il credente sia ad una purificazione di essa sia ad ampliarne gli orizzonti.

Se è importante la purificazione per quanto riguarda l'autenticità e la profondità nella fede, lo è anche in ordine al completamento della conoscenza, sì che il credente possa arricchire maggiormente tutti gli aspetti della sua vita, dare una più completa ragione della sua speranza ( 1 Pt 3,15 ) e comprendere la dimensione onnicomprensiva della carità di Cristo ( Ef 3,18 ).

Tutto questo è essenziale alla sua spiritualità.

c. Attuazione

La fede opera per mezzo della carità ( Gal 5,6 ).

Il credente fedele al vangelo deve costruire sopra la roccia ( Mt 7,24 ), cioè deve agire in conseguenza delle esigenze della sua fede, la quale gli rivela che la ( v. ) carità è il grande carisma ed il cammino più eccellente che si possa seguire ( 1 Cor 12,31-13,1 ss ).

La sua fede è già amicizia con Dio e lo vincola al prossimo; ma senza la carità - la quale è amicizia e per se stessa scambio di beni e desiderio di comunicare il massimo bene - resterebbe inoperante.

In sintesi, la spiritualità del credente fa risplendere il suo volto come quello di un amico che testimonia di fronte al mondo che sono iniziati i tempi della misericordia di Dio e che il suo regno è già presente.

d. Apostolato

L'apostolato del credente è la dimostrazione più eloquente del suo operare cristiano, poiché procede dal suo stesso battesimo.

Ben compreso, l' ( v. ) apostolato deve essere presente in tutte le sue attività.

Ogni cristiano, se è veramente tale, partecipa della missione di Cristo e deve rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia ( PO 2 ).

Gesù manifestò ai suoi discepoli, e per loro mezzo a tutti i credenti, il desiderio che in tal modo « risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli » ( Mt 5,16 ).

Questo operare del credente è un incarnare la propria fede nella propria storia.

Tale condotta, come quella di Gesù, manifesta che si è inviati dal Padre ( Gv 5,36 ).

S. Paolo ci è d'esempio nel modo di attuarla.

Deve essere una condotta fatta di parola e di azione, di rispetto e di decisione, di disinteresse e di zelo, sotto la spinta della carità e della speranza che lo Spirito apra la porta dei cuori; con l'impegno del buon coltivatore del campo e con la coscienza che è Dio a far crescere il seme, tenendo conto del mistero della libertà umana e della grazia divina e conformandosi ai suoi piani.

La spiritualità del credente si arricchisce nel dare e nel comunicare: « a chiunque ha sarà dato di più, ma a chi non ha fruttato sarà tolto anche il poco che ha » ( Lc 19,26 ).

3. Autorealizzazione e impegno nel mondo

La dimensione apostolica rettamente intesa abbraccia tutto quanto si può dire della crescita nella fede, poiché in essa si inseriscono le molteplici forme del vivere quotidiano.

Tutte le attività del credente devono avere radicalmente questa dimensione apostolica: la preghiera ed il lavoro, la vita di famiglia e la vita professionale; verso essa si dirigono la catechesi ed anche la liturgia, le associazioni fra i credenti e le parrocchie, la vita religiosa nelle sue varie forme [ v. Vita consacrata III ] e tutte le strutture che la chiesa può creare per compiere meglio la sua missione.

Tutto questo dimostra la vitalità della chiesa e la sua crescita nella fede; ha una essenziale dimensione apostolica e risulta a beneficio dei credenti stessi.

Tutto è incluso nella crescita della fede, sebbene in diversi gradi d'intensità.

Tuttavia è conveniente far risaltare un aspetto concreto di questa crescita della fede: l'autorealizzazione del credente e il suo impegno nel mondo.

Di fronte alle accuse, lanciate contro la fede cristiana, di provocare l'alienazione o la fuga dal mondo, di menomare la dignità umana del credente o di schiavizzare la sua intelligenza, di limitare la sua libertà o di sottometterla ad egoismi inconfessabili, bisogna affermare che la fede cristiana aiuta il credente alla sua autentica autorealizzazione come uomo.

Non si può negare che il motivo o il pretesto di tali accuse abbia avuto origine ( e l'abbia ancora ) dall'incarnazione concreta della fede in determinati periodi storici o nel presente.

La percezione critica della verità che tali accuse possono contenere deve aprire gli occhi del credente, sia individuo sia chiesa, perché si converta e si purifichi onde non commettere più simili errori.

Tuttavia, in questa percezione critica della storia o del momento presente, il credente non deve dimenticare che vivere la fede cristiana, anche in tutta la purezza possibile, può suscitare ( e di fatto suscita ) la malevolenza e l'odio di quanti, non comprendendola, l'attaccano e la perseguitano come un male ( Gv 15,20-21; Gv 16,2-3; Mt 10,24-39 ).

Il credente cristiano però deve vedere nella sua fede una collaboratrice efficace - poiché in realtà lo è - per la sua autorealizzazione umana.

In questo contributo della fede ci sono due dimensioni complementari.

Anzitutto la fede fa conoscere al credente quella dimensione della realtà per cui uesta si apre all'azione di Dio in Cristo.

E ciò fa capire al credente che la sua autorealizzazione piena deve far assegnamento sull'elemento della grazia divina, la quale lo libera dalla limitatezza che trae con sé il peccato e la morte.

Il credente, nel suo progetto di autorealizzazione e nell'esecuzione di esso, deve inserire gli elementi di carità e di speranza che non delude ( Rm 5,5 ).

Non c'è autorealizzazione piena se uno, nel momento decisivo, rimane defraudato ( Sap 5,6 ); poiché il fine dev'essere il vertice dell'autorealizzazione.

Dimenticare un elemento essenziale è destinare al fallimento il progetto stesso e tutti gli sforzi fatti per realizzarlo.

Ma, al di là di questo aspetto di base e insostituibile, la fede cristiana ha una forza autostrutturatrice per il credente in altre dimensioni essenziali della sua persona: le esigenze di verità, moralità, bontà nella convivenza umana.

Ciò che la fede apporta a tutti questi aspetti è un irrobustimento nuovo di quanto di meglio vi è in essi.

La fede corrobora sul piano individuale e sociale le esigenze e i doveri inerenti alla dignità dell'uomo che questi va man mano scoprendo.

La fede sviluppa la sua dimensione sociale unendo i credenti fra loro, dando ad essi un'apertura verso gli altri, soprattutto verso i più bisognosi e infondendo in essi energie per compiere senza indugi, con il sigillo distintivo dell'amore, i più vasti, ardui e onerosi impegni in favore del prossimo e per la costruzione di una convivenza umana più giusta e più conforme all'amore che Dio, in Cristo, ha manifestato al mondo ( 1 Gv 4,7-11 ).

È vero che la fede non offre soluzioni concrete ai mille problemi pratici che assillano ogni uomo impegnato in questa missione; però il credente trova in essa la fonte inesauribile di una spiritualità che gli permette di conservare la "sua morale" su tali livelli da non venir meno nell'opera coraggiosa di dare al mondo un volto più umano che riverberi meglio la gloria di Dio.

V - Il credente di fronte al futuro

Non mancano le predizioni di coloro che hanno pronosticato la scomparsa totale della religione, della chiesa e della fede in Dio.

Da campi diversi - filosofico, religioso, psicologico, sociale - autori come A. Comte, L. Feuerbach, F. Nietzsehe, S. Freud, K. Marx - tra gli altri - hanno predetto la loro estinzione a scadenza più o meno lunga.

Tali predizioni non si sono avverate, anche se costoro potevano dare l'impressione di essere certi quando descrivevano la società futura priva di credenti.

Secondo loro la fede religiosa, ed anche la fede cristiana, appartiene a forme di pensiero meno evolute e mature dell'essere umano.

Al massimo concedono che nel linguaggio umano rimarranno, come residuo del loro passaggio nella storia, parole come Dio, fede, chiesa, ma svuotate del loro significato.

Stando ai loro sistemi o ideologie, il progresso dell'umanità bandirà l'ignoranza, la pusillanimità, lo sfruttamento o le strutture che dettero origine alla fede cristiana.

Questo fatto ci indica che la problematica del credente di fronte al futuro è complessa ed ha radici in diversi aspetti del suo essere.

Oggi il "futuro", come contrapposto alle origini o al passato dell'uomo, esercita una particolare attrattiva.

Pur prescindendo dalle affermazioni della futurologia, della cibernetica, della politologia, il futuro dell'uomo impegna anche la riflessione dei credenti e dei teologi.

I più prestigiosi fra questi hanno dedicato parte del loro lavoro a penetrare e chiarire le relazioni tra la fede e il futuro.

Per mezzo di esso scoprono la vera essenza della natura umana, la sua storia, la vera essenza della società, della fede e dunque di Dio.

Come frutto dei loro studi ha acquisito un peculiare rilievo la speranza cristiana, l'elemento "escatologico" nella chiesa dell'azione salvifica di Cristo, la sua storicità, le esigenze dell'azione, il significato e la trascendenza delle "promesse" [ v. Speranza I ].

Tutto questo è il risultato positivo della preoccupazione costante del pensiero filosofico-teologico moderno circa il futuro.9

Al credente, tuttavia, più che i pronostici favorevoli circa la sopravvivenza della sua fede, interessa sapere, per lo meno a grandi linee, come si possono affrontare i mutamenti prevedibili ai quali la sua storia si apre.

Il Vat II affronta direttamente il futuro in vari suoi documenti ( CD, PO, PC, UR, AA ); in modo particolare nella costituzione pastorale GS, nella conclusione della quale, lasciando aperta la via alla continuazione ed all'ampliamento ( GS 91 ), essa presenta l'opera immensa ed avvincente che il credente e la chiesa devono intraprendere con tutti gli uomini, anche con i nemici ( GS 92 ), in dialogo e in spirito di unione e fraternità.

Questa apertura all'umanità è il futuro del credente.

Il credente deve guardare senza agitarsi e con animo pieno di speranza al futuro della sua storia.

Il vangelo gli offre istruzioni sufficienti per questo: esso dice con chiarezza che « le forze dell'inferno non prevarranno contro la chiesa » ( Mt 16,18 ) e con diverse parabole, come quella del grano di senape ( Mt 13,31 ), ci insegna che il regno di Dio avrà ritmo di crescita lento, sì, ma promettente sviluppo. S. Paolo, parlando con profetica preveggenza del destino del popolo giudaico, afferma che se la sua prevaricazione fu l'occasione dell'innesto delle nazioni sul vero olivo, la sua conversione, compiuto il tempo delle nazioni, non può essere altro che « una risurrezione dai morti» ( Rm 11,15 ).

La primitiva chiesa cristiana andava incontro al futuro con fiduciosa attesa del Signore, espressa nell'invocazione « maranà tha » ( 1 Cor 16,22 ).

Questa invocazione viene ripresa dall'Apocalisse che ci assicura che « lo Spirito e la sposa dell'Agnello dicono: vieni » ( Ap 22,17 ).

Cristo ha promesso la sua assistenza sino alla fine dei tempi ( Mt 28,20 ).

Tutte queste espressioni confortano il credente; il quale tuttavia nel NT trova anche le enigmatiche parole che s. Luca formula come domanda: « Il Figlio dell'uomo, quando verrà troverà la fede sulla terra?» ( Lc 18,8 ).

Questi dati inducono a distinguere tra l'indefettibilità della chiesa, come gruppo sia pur ridotto di credenti, ed il maggiore o minore numero di credenti lungo la storia.

Il numero può variare nelle diverse epoche, in zone o regioni determinate ed anche in tutto il mondo.

Il credente, guardando al futuro della storia, deve tenere sempre presente l'azione di Dio e del suo Spirito come protagonista essenziale; e lo Spirito di Dio soffia quando e dove vuole secondo i suoi disegni.

Oggi si può costatare, insieme a tante crisi di fede, il rifiorire del sentimento cristiano; diversi movimenti - quello pentecostale per esempio [ v. Carismatici ] - hanno una grande eco nella gioventù.

L'atteggiamento di non pochi giovani ed intellettuali, nel cuore stesso di quei Paesi dove è stato acceso il fuoco della persecuzione "scientifica", convince i credenti che dal vecchio tronco della fede cristiana germogliano nuovi virgulti anche nel terreno che sembrava bruciato.

L'azione di Dio richiede la collaborazione dell'uomo ed in particolare del credente, sia individuo sia chiesa.

Il suo cammino deve essere quello della spiritualità della speranza della gloria di Dio; anche nelle tribolazioni ( Rm 5,2-3 ).

Illuminati dalla fede i credenti devono preparare il loro futuro, e tale preparazione dev'essere coerente con il deposito che è stato loro affidato.

S. Paolo deduce le sue esortazioni morali dal contenuto del mistero di Cristo; in uguale maniera la chiesa deve sapere trarre da esso il programma della sua preparazione al futuro.

Rivolgendo l'attenzione alle giovani generazioni, essa deve appianare il cammino per una più completa instaurazione del regno di Dio.

La chiesa, come Cristo e per mezzo di Cristo, ha il compito di far conoscere Dio come Padre e colui che egli ha inviato, Gesù Cristo.

Così essa prega costantemente nel Padre nostro: Venga il tuo regno.

È la domanda con la quale essa vuole dire che è disposta a collaborare perché si stabilisca tra gli uomini la signoria di amore, di concordia e di pace portata dal re, Cristo.

Il modo per realizzare questa missione è prendere per modello Cristo.

Il discepolo non è più grande del suo maestro: come Cristo, la chiesa deve caricarsi la ( v. ) croce sulle spalle; ma, per seguire le orme del crocifisso, lo deve fare in modo che il giogo di Cristo sia, come egli stesso disse, « soave, e il suo peso leggero » ( Mt 11,30 ).

Mentre prepara il suo futuro, la chiesa deve tener presente che il mondo, e con esso l'uomo, cambia: le sue esigenze sono diverse, come pure la capacità di sopportare il giogo di Cristo.

È una varietà che contraddistingue generazioni ed epoche.

Ciò è del tutto normale.

I mutamenti e il progresso tecnico e sociale che l'uomo introduce nella sua storia si ripercuotono a loro volta sull'uomo nell'ordine intellettuale, morale, psicologico e persino biologico.

La chiesa deve saper utilizzare ogni specie di mezzi che il progresso della scienza, della psicologia e la migliore conoscenza della storia e della sua stessa fede mettono a sua disposizione.

E su questo binario deve seguire la linea del massimo mistero della venuta e dell'azione di Dio: l'incarnazione.

Il Verbo di Dio, assumendo la natura umana - ed assumendola la salva - fa sì che si possano affermare della sua persona le caratteristiche della sua natura umana: Dio nasce, soffre, muore e risuscita.

Dio in Gesù è autenticamente l'Emmanuele, il Dio-con-noi; si è fatto in tutto simile all'uomo eccetto che nel peccato ( Eb 4,15; Eb 2,17 ).

Ciò significa che nella dinamica dell'incarnazione esistono adattamento e trasformazione, e la missione della chiesa è di attualizzare questi due elementi promovendo soprattutto il mutuo amore.

Questo è il grande progetto che deve realizzare.

« Da questo - disse Gesù - tutti sapranno che siete miei discepoli » ( Gv 13,35; GS 93 ).

Lo Spirito di Cristo fa germogliare dall'interno stesso della chiesa questo adattamento e questa trasformazione.

In questo modo la chiesa non solo procederà come qualsiasi società o cultura che vuole sopravvivere, restando fedele a quanto di più profondo e di costruttivo c'è in lei ed adattandosi, per il resto, ai mutamenti, ma innesterà la conoscenza e l'amore di Cristo nel cuore delle future generazioni.

Nella storia l'ultima parola non è dell'uomo ma di Dio che ha realizzato in Cristo l'opera salvifica definitiva.

Il credente e la chiesa lo sanno e devono solo essere disposti ad assecondarla con il loro "amen" di fede.

Allora il futuro è loro: senza inseguire utopie, ma cercando di avvicinarsi alla realizzazione del regno di Dio, che è contrassegnata dalla croce ma pure irradiata dagli splendori di gloria del risorto.

Così la chiesa oggi, come nella cristianità primitiva, di cui è continuazione, ripete con la sua fede e con la sua azione la supplica: « Vieni, Signore Gesù ».

Ed a questa preghiera, a questa domanda, lo stesso Gesù, il testimone fedele, risponde: « Vengo » ( Ap 22,20 ).

Fede
Profeti come credenti Esperienza sp. Bib. I,3
… fedele Senso III
… neocatecumenale Neocatecumenato V,4
… incredulo Tentazione VII

1 P. Tillich, Il coraggio di esistere, Roma, Astrolabio 1970 c. 2
2 W. Kasper, Einfiihrung in den Glauben, Magonza, Griinewaid 1972, e. 9, (vers. it.: Introduzione alla fede, Brescia, Queriniana 1975
3 R. De Vaux, Histoire ancienne d'Israel des origines a l'installation en Canaan, Parigi, Gabalda 1971, e. V; J. Heller, Die Entmythiesirung des ugaritischen Pantheon in ThLZ (1976) 1-10
4 H. Denzinger- A. Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum, Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum 1532
5 H. Denzinger- A. Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum, Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum 3014
6 J. Carmignac, Rechèrches sur le "Notre Pére", Parigi, Letouzey et Ané 1969, e. 6, p. 112
7 H. Denzinger- A. Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum, Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum 1544, 1577, 1578
8 H. Denzinger- A. Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum, Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum 3014, 3036
9 H. Kiing, Incarnazione di Dio. Introduzione al pensiero di Hegel, prolegomeni ad una futura cristologia, Brescia, Queriniana 1972, e. VII, n. 6