Sacro

IndiceA

… Cuore di Gesù

Sommario

I. Prospetto storico.
II. Situazione e problematica attuali.
III. Fondamento biblico ed ecclesiale.
IV. Fondamento dommatico.
V. Dimensione cristologica ed ecclesiologica.
VI. Culto al s. Cuore e vita spirituale.

I - Prospetto storico

La devozione al s. Cuore di Gesù ebbe il primo riconoscimento ufficiale sotto forma di privilegio ed in maniera limitata, il 6 febbraio 1765, da Clemente XIII, che concesse alla Polonia e alla confraternita romana la festa del s. Cuore.

Sotto Pio IX, questa festa, con decreto della s. Congregazione dei Riti del 23 agosto 1856 fu estesa a tutta la chiesa e la devozione al s. Cuore entrò definitivamente nel culto pubblico ed universale della chiesa.

Tra gli ultimi e più significativi documenti pontifici, si possono ricordare le encicliche Annum Sanctum, di Leone XIII ( 25-5-1899 ), sulla consacrazione del genere umano al s. Cuore, e Miserentissimus Redemptor di Pio XI ( 8-5-1928 ) sul dovere universale della riparazione.

Pio XII, nel 1956, primo centenario dell'estensione della festa del s. Cuore alla chiesa universale, ha scritto l'enciclica Haurietis aquas, la quale è una trattazione completa della dottrina riguardante il culto al s. Cuore.1

La devozione al Cuore di Gesù nacque nell'ambiente di spiritualità cristocentrica e di misticismo, createsi intorno agli ordini benedettino e francescano.

La devozione all'umanità di Cristo promossa soprattutto da s. Anselmo e da s. Bernardo, favorì la meditazione sui misteri cristiani e il culto della passione, delle cinque piaghe, del s. costato.

Verso la metà del sec. XII, specialmente presso i discepoli di s. Bernardo, cominciò ad affacciarsi l'idea del simbolismo del cuore.

Alcuni testi indicavano il cuore aperto di Gesù come il rifugio delle anime, il tesoro delle ricchezze divine, il simbolo espressivo dell'amore che chiede amore.2

Un primo accenno esplicito alla devozione al s. Cuore compare nella Vitis mystica di s. Bonaventura, che pertanto può essere considerato uno tra i primi devoti del s. Cuore.3

Più tardi, s. Matilde ( + 1298 ) e s. Gertrude ( + 1302 ), monache benedettine di Helfta, arricchirono la devozione all'umanità di Cristo, specialmente al suo cuore, con esercizi e pratiche nuove.

Alla fine del sec. XIII, però, la devozione al s. Cuore si organizzò distintamente da quella della passione e al simbolo del crocifisso subentrò l'iconografia del cuore staccato dalla persona di Cristo, oppure visibile nel petto squarciato.

A questo cambiamento e al passaggio dal campo mistico a quello ascetico contribuirono molto il certosino di Colonia, Giovanni Giusto di Landsberg ( + 1539 ) e l'abate benedettino di Liessies, Luigi di Blois ( + 1566 ).

Nel sec. XVII, i gesuiti lavorarono intensamente per la propagazione di questa devozione e la portarono anche nelle missioni.

S. Giovanni Eudes ( 1601-1680 ), della scuola del Bérulle, fece approvare il 20 ottobre 1672 dall'arcivescovo di Rouen e da molti altri vescovi francesi il primo ufficio, con messa e litanie proprie.

S. M. Margherita Alacoque ( 1648-1690 ) ebbe direttamente da Nostro Signore la rivelazione della devozione in quattro speciali apparizioni, la più importante delle quali avvenne nell'ottava del Corpus Domini del 1675.

Gesù le mostrò « quel cuore che ha tanto amato gli uomini » e dalla maggior parte dei quali non riceve che ingratitudine e oltraggi, e chiese che venisse istituita una speciale festa riparatrice in onore del suo cuore.

Gli ostacoli alla diffusione della devozione furono notevoli.

Da parte cattolica si era preoccupati della novità, della separazione del cuore dalla persona, delle inesattezze che si riscontravano nell'esposizione.

Da parte giansenista si cercò di inquadrare la lotta al culto del s. Cuore in quella contro i gesuiti e la santa Sede.

In Italia, il più accanito oppositore al culto del s. Cuore fu Scipione dei Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, che diffuse gli scritti dei giansenisti stranieri, proibì la festa e soppresse le confraternite.

La rivoluzione francese tentò di sradicare dalla coscienza religiosa ogni forma di fede e di cancellare il nome stesso del s. Cuore.

L'immagine del s. Cuore, infatti, era considerata un segno di ribellione e di reazione.

Ma nonostante gli ostacoli continuassero anche dal punto di vista dottrinale, ormai il culto al s. Cuore entrava nella teologia cattolica e, a cominciare dal Perrone, si inserì una trattazione specifica nel De Verbo incarnato.

Nella seconda metà del sec. XIX, sorgono nuovi movimenti e nuove forme specializzate di devozione al s. Cuore, come la regalità del Cuore di Cristo ed il culto del suo cuore eucaristico.

Il rinnovamento teologico in atto, promosso dall'enciclica Haurietis aquas di Pio XII, ha approfondito le fonti dommatiche della scrittura, della dottrina dei padri, della liturgia della chiesa, dei documenti del magistero; ha distinto il valore di queste fonti da quello delle varie rivelazioni private; ha aggiornato la forma ed i contenuti della devozione.4

II - Situazione e problematica attuali

Oggi, il culto al s. Cuore è in effettivo regresso, ed indagini condotte in diversi paesi d'Europa hanno svelato uno stato di indifferentismo e raffreddamento, tanto da parlare apertamente di una crisi di questa forma di devozione.5

Ci si chiede se essa sia ancora popolare, in un tempo e in una situazione della cultura e della società in cui il cristianesimo è posto in questione e minacciato nella sua sostanza fondamentale da un mondo secolarizzato.

Quello che più impressiona non è tanto l'obiezione giansenista contro un culto di adorazione all'umanità di Cristo o a una parte di essa, anche perché è stato sufficientemente messo in chiaro che l'umanità di Cristo e le sue parti sono adorate in quanto unite alla persona divina del Verbo, ma il fatto che questo culto è legato a una mentalità, a una psicologia e a un linguaggio ormai superati.

La devozione in senso vero e proprio, infatti, è sorta nel sec. XVII, all'interno di una società in cui il cristianesimo e il suo messaggio erano un'entità ovvia e, nel complesso, non contestata nella vita pubblica.

In una società del genere, questa devozione è stata un richiamo a prendere sul serio il cristianesimo, ad essere devoti in maniera personale e reale, partendo dal centro più intimo dell'esistenza.

Ma questo culto può ancora avere un significato in un'epoca caratterizzata da una società pluralistica e secolarizzata, da un ateismo diffuso in tutto il mondo, da una civiltà tecnica razionale, che sembra minacciare alla radice un'esperienza originariamente religiosa; un'epoca in cui il cristianesimo e la chiesa non sono più entità ovvie nella vita pubblica della società?

In un'epoca contraddistinta dalla lontananza di Dio e dalle minacce spaventose che gravano sull'esistenza umana, non è forse la ( v. ) croce quella destinata a ridiventare il simbolo, che contiene la risposta agli ultimi interrogativi della vita?

Non si ha forse l'impressione che nella nostra epoca, costretta a cercare forme più intense di vita sociale, questo culto non possa più offrire il concetto chiave, in quanto sembra invitare troppo semplicemente all'interiorità dell'anima devota?6

Alcuni che hanno erroneamente ristretto il simbolismo del s. Cuore alla significazione del suo amore simbolico, non comprendono i motivi di un culto particolare al cuore fisico di Gesù.

Altri non accettano volentieri la spiritualità della riparazione e trovano contrari allo spirito dei tempi moderni gli esercizi di penitenza che il culto del s. Cuore comporta.

La stessa iconografia, non sempre felice, del cuore di Gesù è oggetto di rifiuto da parate di coloro che vedono in questa devozione una forma di sentimentalismo.

Infine un linguaggio inesatto e scritti che contengono una materia poco fondata teologicamente hanno favorito lo stato di confusione in cui versano non pochi fedeli.

Il Rahner, addirittura, considerato il destino subito da molte devozioni e pratiche religiose nel corso della storia della chiesa, non esclude l'ipotesi che la devozione al s. Cuore da popolare diventi una devozione dei "santi", degli "spirituali", dei "mistici", i quali troveranno, come in un punto ardente, la risposta dell'unico Cuore alle supreme istanze del loro cuore umano.7

III - Fondamento biblico ed ecclesiale

Vediamo ora brevemente i fondamenti biblici e dommatici di questo culto, i quali autorizzano ad una previsione meno pessimistica sul suo futuro nella vita della chiesa.

Il culto del s. Cuore non dipende, nella sua sostanza, da rivelazioni private, anche se esse hanno influito nella sua diffusione, ma ha le sue radici nella rivelazione e nella tradizione ecclesiastica.

I suoi due elementi essenziali sono: il cuore fisico di Gesù, ipostaticamente unito alla persona del Verbo di Dio, e la sua immensa carità verso il genere umano ( Haurietis aquas, I,3 ).

Nella s. scrittura non si hanno sicuri indizi di un culto speciale al cuore fisico del Verbo incarnato, ne esso è assunto esplicitamente come simbolo dell'amore redentore ed universale.

In essa si hanno però numerosi testi che contengono la descrizione dell'amore di Dio per gli uomini, motivo dominante del culto al s. Cuore.

Nell'AT, pagine meravigliose cantano l'amore di Dio per gli uomini, soprattutto per gli umili e i sofferenti.

Questo amore misericordioso e potente, che si eleva sino all'immolazione, è garantito da un patto solenne, l'alleanza tra Dio ed Israele ( Os 11,1.3-4; Os 14,5-6; Is 49,14-15; Ct 2,2; Ct 6,2; Ct 8,6 ).

Esso, tuttavia, non viene rappresentato col simbolismo del cuore.

Il termine cuore ( leb-lebab ), in senso proprio, indica l'organo principale del corpo umano o animale; in senso traslato la sede centrale delle forze e facoltà psichiche e spirituali.

Nel cuore stanno i sentimenti e gli affetti, le cupidigie e le passioni.

Esso è la sede della volontà e la sorgente delle decisioni, il vero centro dell'uomo a cui Dio si volge, la radice della vita religiosa che determina l'atteggiamento morale.8

Nel NT, l'uomo Cristo Gesù ( 1 Tm 2,5 ) amò tutti indistintamente e ogni suo intervento miracoloso è una storia d'amore.

Le invocazioni dei ciechi ( Mc 8,22; Mc 10,46 ), dei lebbrosi ( Mc 1,40 ), dei paralitici ( Mc 2,1 ), degli storpi si ripercuotono sul suo cuore e a tutti egli ridona la salute.

Egli opera miracoli per confortare un padre o una madre ( Mt 8,5; Mc 7,24; Lc 7,11 ).

Zaccheo, la peccatrice, l'adultera, il ladrone pentito, i crocifissori sperimentano l'amore e il perdono di Gesù, venuto nel mondo per salvare i peccatori ( Mt 9,13 ).

Gesù è la rivelazione assoluta e personale dell'amore del Padre, l'alleanza definitiva di Dio con l'uomo.

Questa alleanza nuova non è più scritta su tavole di pietra o sancita con sangue di capri e di vitelli, ma suggellata sulla croce, quando « l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo » ( Gv 1,29 ) attira a sé tutta l'umanità e la consacra nell'unità ( Eb 9,18-28; Eb 10,1-17; Gv 12,32 ).

Il soldato romano trafisse il costato di Gesù e da esso sgorgarono il sangue della redenzione e l'acqua della rigenerazione spirituale, aprendo, attraverso la porta della vita, il cammino di accesso al Padre.9

Per quanto riguarda i padri, si può affermare che senza dubbio gli elementi essenziali del culto al s. Cuore subirono, nel loro periodo, uno sviluppo notevole.

Non è stata trovata, però, alcuna testimonianza chiara sul simbolismo del cuore di carne applicato al cuore di Gesù ( Haurlefis aquas, II,4 ).

Lo stesso termine kardia, sotto l'influsso platonico, rischiò di perdere nel cristianesimo la ricchezza di significato metaforico introdotta dai LXX e dagli scritti del NT.

È noto, infatti, come nei sec. III e IV i padri tentarono di spiegare intellettualisticamente tutto quello che trovavano di insolito nei sensi scritturistici di kardia.10

Nei commenti al riposo di s. Giovanni sul petto di Gesù e alla trafittura del costato, i padri hanno messo in luce altri significati spirituali, ma non quello dell'amore.

Secondo Origene, l'apostolo Giovanni, poggiato sul petto del maestro, si trovava molto vicino al suo intelletto e più di ogni altro poteva penetrare nell'intimità della sua dottrina.11

Dalla ferita del costato di Cristo i padri hanno visto scaturire i sacramenti, specialmente l'eucaristia ed il battesimo; hanno visto nascere la chiesa, nuova madre dei viventi, ma non hanno intravisto il simbolismo dell'amore.12

Tutto quello che si può leggere negli scritti dei padri è che « lo scopo per cui Gesù Cristo assunse una natura umana ; integra e un corpo caduco e fragile come il nostro, fu appunto quello di provvedere alla nostra salvezza eterna e di manifestare a noi nel modo più evidente il suo amore infinito, compreso quello sensibile » ( Haurietis aquas, II,3 ).

S. Basilio affermò che gli affetti sensibili di Cristo furono ad un tempo veri e santi: « È noto che il Signore ha assunto gli affetti sensibili per confermare la realtà dell'Incarnazione, vera e non fantastica ».13

S. Ambrogio vide nell'unione ipostatica la sorgente naturale delle affezioni e commozioni, cui andò soggetto il Verbo di Dio fatto uomo: « Pertanto, poiché egli assunse l'anima, ne assunse parimenti le passioni; in quanto Dio, infatti, come egli era, non avrebbe potuto né turbarsi né morire ».14

S. Agostino rilevò con insistenza particolare l'intimo nesso tra le affezioni sensibili del Verbo incarnato ed il fine della redenzione umana: « Ora il Signore Gesù assunse questi sentimenti della fragile natura umana, come la carne stessa che fa parte dell'inferma natura dell'uomo, e la morte dell'umana carne, non spinto dal bisogno della sua condizione divina, ma stimolato dalla sua libera volontà di usarci misericordia ».15

IV - Fondamento dommatico

Il cuore fisico di Gesù è degno di un culto di adorazione, perché è « una parte nobilissima della natura umana e quindi ipostaticamente unito alla persona del Verbo » ( Hauriefis aquas, II,2 ).

Il concilio Costantinopolitano II, condannata la duplice adorazione nestoriana e l'unica adorazione monofisita, definì che il Verbo incarnato, con la sua carne, deve essere adorato con un solo culto di latria, che non si scinde in due, uno per Cristo Dio ed uno per Cristo uomo.16

Contro i giansenisti che sostenevano che adorare l'umanità di Cristo, peggio ancora una sua parte, significa rendere un onore divino ad una creatura, Pio VI rispose precisando la dottrina cattolica che « l'umanità e la stessa carne salvifica di Cristo è adorata non per se stessa e in quanto è semplice carne, ma in quanto è unita alla divinità…

Si tratta di una sola e medesima adorazione con la quale è adorato il Verbo incarnato con la sua propria carne ».17

Il culto è diretto alla persona, ed in Cristo c'è una sola persona divina, con la natura divina e quella umana.

In questo senso vanno letti i testi di s. Giovanni ( Gv 5,22-23 ) e di s. Paolo ( Fil 2,8-18; Eb 1,6 ), che propongono all'adorazione Gesù nella sua umanità, senza distinzione tra l'adorazione dovuta al Verbo come tale e quella dovuta al Verbo incarnato.

Così ancora vanno intesi i testi dei padri che, nella lotta contro le eresie e nelle istruzioni pastorali, insistono sull'adorazione dell'umanità di Cristo, precisando che tale umanità è degna di culto di latria in quanto è unita al Verbo.18

L'oggetto proprio del culto al s. Cuore è ancora piuttosto controverso tra i teologi, sia a causa della complessità del problema in se stesso, sia a causa della mancanza di una terminologia esatta e comune.

Il Galot sostiene che l'oggetto proprio della devozione è l'amore, la persona amante del Cristo, ed il cuore di carne sarebbe soltanto una rappresentazione simbolica.19

Il Rahner, dal canto suo, sostiene che l'oggetto della devozione al s. Cuore è il Signore con riferimento al suo cuore.20

Comunque, secondo l'enciclica Haurietis aquas, l'oggetto adeguato e completo del culto al s. Cuore è il cuore fisico di Gesù, in quanto simbolo naturale del suo amore e di tutta la sua vita affettiva.

Per quanto concerne la natura di questo simbolismo, l'enciclica determina che esso non si fonda sulla concezione ormai sorpassata del cuore come organo dell'amore, bensì sull'esperienza che testimonia la ripercussione dell'amore e di ogni affetto sensibile sul cuore.

Riguardo all'estensione del simbolismo, il documento pontificio insegna che nell'oggetto del culto è incluso anche l'amore divino del Verbo.

Innanzitutto ed in modo più naturale e diretto, il cuore di Gesù è il simbolo dell'amore umano con cui egli ci dona il suo amore di fratello ( Rm 8,29; Eb 2,17 ); poi del suo amore spirituale infuso, frutto dello Spirito santo che si effonde nel cuore degli uomini ( Rm 5,5 ); infine, del suo amore divino di Verbo Incarnato ( 1 Gv 4,8 ).

Questi amori, nella persona di Gesù, non sono in una pura e semplice coesistenza, ma sono tra loro congiunti da vincoli strettissimi, in virtù dell'unione ipostatica che unisce le due nature nell'unica persona del Verbo.

Allora, l'intimo nesso tra amore divino ed amore umano fa sì che l'amore di Gesù per noi sia in comune con l'amore del Padre e dello Spirito santo.

Partendo dal cuore fisico di Gesù, ci si eleva per gradi sino alla contemplazione dello stesso amore divino comune alle Tre Persone.

V - Dimensione cristologica ed ecclesiologica

Esiste una via buona per fare in modo che il culto al s. Cuore anche oggi sia « quel modo eccellente di vivere la vera pietà che nel nostro tempo, principalmente e secondo la linea tracciata dal Vat II, deve con tanto impegno fomentarsi per e con Gesù Cristo, re e centro di tutti i cuori »?21

A nostro parere è necessario riscoprire e mettere in primo piano lo stretto rapporto di interdipendenza che esiste tra culto al s. Cuore e mistero di Cristo [ v. Cristocentrismo; Gesù Cristo ] e della sua ( v. ) chiesa.

Una devozione senza un rapporto stretto con il mistero di Cristo, nella sua totalità, viene inevitabilmente ridotta a una manifestazione esterna di sentimenti, all'esercizio di pratiche superficiali e farisaiche, all'apparenza della pietà ( 2 Tm 3,5 ).

D'altra parte, la vita spirituale è una partecipazione soggettiva al fatto storico e oggettivo della morte e risurrezione di Cristo [ v. Mistero pasquale ].

« Tutti i membri, scrive il Vat II, devono a lui conformarsi, fino a che Cristo non sia in essi formato.

Perciò siamo assunti ai misteri della sua vita, resi conformi a lui, morti e risuscitati con lui, finché con lui regneremo.

Ancora peregrinanti in terra, mentre seguiamo le sue orme nella tribolazione e nella persecuzione, come il corpo al capo veniamo ( associati alle sue sofferenze, e soffriamo con lui per essere con lui I glorificati » ( LG 7 ).

Il culto al cuore di Cristo, in quanto esercizio della fede in Gesù Cristo, è prima di tutto culto della persona del Redentore, che ci rivela in sé l'amore della ss. Trinità, amandoci anche con un cuore di uomo ( GS 22 ).

È Cristo, Uomo-Dio, che, nel simbolo del cuore, si presenta all'uomo in tutto lo splendore e la potenza di chi trionfa sulla morte ( Rm 1,4 ) e vuole ricapitolare tutte le cose in se stesso ( Ef 1,10 ), per riportarle purificate al Padre e Creatore.

Cuore è una parola "originaria" ed indica il centro stesso dell'essere e della persona.

Come il corpo è simbolo dell'anima, così il cuore di Cristo è simbolo di tutta la persona del Verbo incarnato e la devozione al cuore di Cristo altro non è se non un incontro con una persona, una relazione interpersonale con il Figlio di Dio fatto uomo.22

Un certo modo di vivere la devozione al cuore di Gesù ricalca con forti tinte l'aspetto umano della personalità di Cristo.

Le immagini del s. Cuore ci presentano per lo più la sua dolcezza e la bontà verso tutti.

Si mettono in evidenza i dolori del cuore di Gesù durante la passione.23

Ma bisogna sottolineare anche la dimensione del Cristo risorto, che, capo della chiesa e del mondo, senso e ultima finalità della storia, rivela Dio come futuro del mondo, come forza vittoriosa della caducità temporale, come destino trascendente dell'uomo.

Dallo stretto rapporto con il mistero di Cristo, per il culto del s. Cuore, dipende anche il rapporto con il mistero della chiesa.

All'istante della morte di Cristo, infatti, il velo del tempio si è lacerato, proclamando la fine del tempio antico e l'inaugurazione di quello nuovo; la nuova alleanza è stata sigillata col sangue e l'acqua, che hanno originato il nuovo popolo di Dio, nato non dal desiderio della carne, ma dal desiderio e dal piano eterno di Dio ( Gv 1,13 ).

Da quel momento decisivo per il destino salvifico dell'umanità, secondo la profezia misteriosa di Zaccaria e le parole dell'evangelista Giovanni, gli uomini « guarderanno a colui che hanno trafitto » ( Gv 19,37 ).

Il cristiano che vuoi capire la missione della chiesa e, di riflesso, la sua, deve guardare a quel cuore trafitto, perché di lì è uscita la chiesa di Cristo.

Il secondo Adamo china il capo e si addormenta nella morte; in quel momento la sposa che gli era stata destinata, esce dal suo costato mentre dorme.24

Questa chiesa è già presente in Cristo, fin dall'inizio della sua vita di uomo: l'elezione degli apostoli, le parabole del regno, la creazione del sacerdozio, l'istitu-zione dell'eucaristia, tutto dimostra che, fin da prima della croce, la chiesa era presente nel suo pensiero e nel suo cuore.

Fino al momento della sua esaltazione sulla croce, la chiesa palpitava nel cuore di Cristo; quando giunse la sua "ora", il cuore di Cristo cominciò a palpitare nella sua chiesa.25

Contemplando colui che hanno trafitto, i cristiani, nel corso della propria storia, non hanno cessato di considerare in che modo Cristo, per mezzo del suo amore, del suo cuore aperto, « fece dell'umanità colpevole una nazione santa, una stirpe regale e sacerdotale, un popolo di acquisizione » ( 1 Pt 2,9 ).

Nata sulla croce, la vita e la missione della chiesa dipenderà dalla sua adesione alla croce; questa dovrà essere il centro di verifica e il polo di una continua purificazione, fino al giorno in cui essa non si convertirà in strumento di gloria e di pienezza escatologica.

La chiesa non solo nacque dal cuore di Cristo, ma vive da quel cuore, come dal suo principio di vita che unifica e muove tutto il corpo.

« Affinché incessantemente ci rinnovassimo in lui.

Cristo ci concesse di partecipare del suo Spirito, che essendo uno solo e lo stesso nel corpo e nelle membra, vivifica, unifica e muove in tal modo tutto il corpo » ( LG 7 ).

Solo se unita e convertita, grazie agli impulsi di unificazione e di metanoia ricevuti dal cuore di Cristo, la chiesa potrà essere per tutti il sacramento della salvezza.

VI - Culto al S. Cuore e vita spirituale

Quale funzione può svolgere oggi il culto al s. Cuore nella vita spirituale del cristiano?

Innanzitutto esso aiuta a scoprire il volto personale di Dio.

Per il cristiano maturo Dio è qualcosa di più di un nome, di un concetto, di una legge morale: è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio non dei morti, ma dei viventi.

Il Dio che rivela l'amore di Cristo è carità ( 1 Gv 4,8 ), conosce, ascolta, si preoccupa, ama, dona se stesso, veste l'erba dei campi e scruta l'intimo dell'uomo.

Il cuore di Cristo, sorgente d'una nuova vita pasquale d'un nuovo Spirito che ci fa chiamare Dio come
Padre, ci fa rifiutare ogni indebita divinizzazione delle cose di questo mondo, siano esse persone, istituzioni, strutture, perché c'è un solo Dio ( Dt 10,17 ), un solo mediatore di salvezza ( 1 Tm 2,5 ).

Una fede in un Dio impersonale facilmente lascia cadere nel nulla il primo comandamento di Gesù e dirige tutte le energie ad osservare il secondo: ama il prossimo tuo come te stesso.

Il culto al cuore di Cristo ci aiuta a ridimensionare la sacralizzazione dell'attivismo e l'idolatria della prassi, ricordandoci che solo Dio ci può aiutare a vivere e ad amare veramente il nostro prossimo, non sempre amabile.

In secondo luogo, il culto al s. Cuore contribuisce efficacemente a trasformare la nostra esperienza religiosa in una testimonianza d'amore.

In un mondo in cui la tecnica si materializza sempre di più e conduce ad una civiltà di "cuori di pietra" incapaci di ogni reazione umana, ci si sente « mal amati » ( Mauriac ).

Spesso si riduce l'amore più a un cercarsi che a un darsi, più ad una speranza di essere salvati e resi felici che non ad una gioia di salvare e di rendere felici.

A chi cerca di capire e di vivere il vero amore, Gesù non da una definizione in più di esso, ma insegna che cosa l'amore è capace di fare: donare e perdonare.

« Non vi è amore più grande che dare la vita per i propri amici » ricorda Gesù ( Gv 15,13 ), e s. Paolo: « anche se dessi il mio corpo per essere bruciato ma non avessi la carità, niente mi giova » ( 1 Cor 13,3 ).

Quello che conta, evidentemente, non è tanto morire, perché si può morire anche senza amore, ma donarsi sino alla morte, come Gesù si è donato per noi ( 1 Gv 3,16 ).

Gesù, nella sua vita pubblica, ha perdonato molti peccatori e peccatrici ( Gv 8,10; Lc 7,48-50 ); sulla croce, ha perdonato i suoi crocifissori; è diventato la nostra pace, « perché ha fatto dei nostri due popoli un solo popolo, abbattendo il muro che li separava, l'inimicizia » ( Ef 2,14-18 ).

Perciò, a chi si pone alla sua sequela, egli chiede di essere magnanimo dinanzi alle ingiurie e agli abusi degli altri ( Mt 5,38-42 ), di perdonare e di riconciliarsi con i propri nemici ( Mt 5,23-24 ), anzi di amarli e di pregare per loro, perché sono « figli del Padre celeste » ( Mt 5,43-48 ).

Il cristiano che contempla il cuore di Cristo, pieno di misericordia per i più lontani e per i più peccatori, trova il coraggio di perdonare fino a settanta volte sette ( Mt 18,21 ) e la forza di rendere bene per male, poiché l'amore che ha imparato dal suo maestro copre una moltitudine di peccati ( Gc 5,20; 1 Pt 4,8 ).

Cristocentrismo del … Cristocentrismo II,3
… sua immagine Immagine V
… per il primato del papa Chiesa I,5

1 J. A. De Aldama, Tres enciclicas pontificias sabre et culto al Sagrado Corazón. Su objecto y su caracter in Cor Jesu, Roma, Herder 1959, I, 1-20
2 Guglielmo di Saint-Thierry, Meditativae orationes, VI,PL 180, 225
3 S. Bonaventura, Opera omnia, ad Claras Aquas 1898, VIII,LIIss
4 J. Stierli (a cura), Cor Salvatoris, Brescia 1956; Aa. Vv., Cor Jesu, Roma, Herder 1959. Sono sempre molto utili J. V. BainveI, La dévotion au Sacré-Coeur de Jésus.
Doctrine et Histoire, Parigi 1906 (tr. it.: La devozione al s. Cuore di Gesù, Milano, Vita e Pensiero 1941); A. Hamon, Histoire de la dévotion au Sacré-Coeur, Parigi 1923-1940, 5 voll
5 A. Tessarolo, Il culto del s. Cuore, Torino-Bologna 1957, p. III: La devozione al s. Cuore in Italia, 273-371; J. N. Zoré, Recentiorum quaestionum de cultu ss. Cordis Jesu conspectus in Gr 37 (1956) 104-109
6 K. Rahner, La devozione al s. Cuore, Roma, Edizioni Paoline 1977, 9
7 K. Rahner, o. c., 10
8 F. Baumgartel, J. Behm, Kardia in GLNT V, 194-215
9 Agostino, Sermo 311, 3
10 A. Guillaumont, Les sens des noms du coeur dans l'antiquité in Le Coeur (t. 29 di EtCarm) 1950, 67s
11 In Canticum Canticorum II, PG 13, 67
12 Agostino, Traci, in loan. 120, 2
13 Epist. 261, 3
14 De Fide ad Gratianum TI. 7, 56, PL 16, 594
15 Enarrai. in Ps., 88, 3
16 H. Denzinger-A. Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum Definition et Declarationum de rebus fidei et morum 431
17 H. Denzinger-A. Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum Definition et Declarationum de rebus fidei et morum 2661
18 S. Atanasio, Adv. Arianos, I, 42, PG 26, 100; Epist. ad Adelphium, 3, PG 26, 1073; S. Giovanni Damasceno, De Fide Ortodoxa 3, 8, PG 94, 1013. Il Rahner, in proposito, scrive che « la mia salvezza, la mia grazia, la mia conoscenza di Dio riposa ora e per sempre sul Verbo, che ha preso la nostra carne »; « l'atto di culto come tale e sempre, se vuole raggiungere Dio, ha e deve avere la struttura dell'Incarnazione, che deve da parte del soggetto corrispondere al dato oggettivo: Dio si è comunicato al mondo nel Verbo Incarnato, che rimane perciò in eterno il Cristo » ( Il significato perenne dell'umanità di Gesù Cristo nel nostro rapporto con Dio in o. c., alla nota 6, 42-43 )
19 J. Galot, Quel est l'object de la dévotion au Sacré-Coeur? in NRT 77 (1955) 933
20 K. Rahner, Alcune tesi per una teologia della devozione al s. Cuore in o. c. alla nota 6, 67
21 Paolo VI, Investigabiles Divitias, AAS 57 [1965] 299-300
22 K. Rahner, Teologia del simbolo in Cor Jesu, 401-501
23 Già s. Giustino, nel sec. il, applicava il Sal 22,15: «il mio cuore è come cera, che si fonde in mezzo alle viscere », ai patimenti di Gesù nel Gethsemani ( Dialogo con Trifone, C 720 A, PG 6, 717 )
24 Agostino. Tract. in Joan., 19
25 J. Ladame, Vatican II et le culte du Coeur de Jésus, Paray le Monial 1967, 78