Prima catechesi cristiana

Indice

6.10 - Ammonizioni divine e responsi più sicuri delle Scritture

Se poi, per caso, risponde d'essere stato indotto a diventare cristiano perché avvisato o spaventato da un segno divino, allora egli ci offre uno spunto molto favorevole per l'esordio, consistente nel porre in luce quanto grande sia l'interessamento di Dio per noi.

Certamente la sua attenzione deve essere trasferita da un tal genere di ammonizioni miracolose e di sogni al terreno più solido e ai responsi più sicuri delle Scritture, così che comprenda con quanta misericordia gli sia stato dato quell'avvertimento, prima di accostarsi alle Sacre Scritture.

E in ogni modo gli si deve spiegare che il Signore non lo inciterebbe e non lo incalzerebbe a diventare cristiano e ad entrare nel corpo della Chiesa, né lo ammaestrerebbe con tali segni e rivelazioni, se non avesse voluto avviarlo in modo più sicuro e certo sul cammino già predisposto nelle Sacre Scritture: ivi egli, anziché cercare miracoli visibili, si abituerà a sperare miracoli invisibili e riceverà avvertimenti non nel sonno, ma nella veglia.

Per questo occorre cominciare l'esposizione storica dal punto in cui si dice che Dio creò tutti gli esseri molto buoni ( Gen 1,1ss ) e proseguirla - come abbiamo già detto - fino al tempo presente della Chiesa, così da spiegare le ragioni e le cause dei singoli fatti e avvenimenti che narriamo, riferendoli in tal maniera a quel fine dell'amore, ( 1 Tm 1,5 ) che in tutte le nostre azioni e parole dobbiamo sempre mantenere dinanzi agli occhi.

Infatti, anche coloro che sono ritenuti e denominati buoni grammatici si sforzano di riferire a un qualche fine utile i racconti inventati dai poeti per il piacere di spiriti dei quali costituiscono frivolo nutrimento, benché un tale fine sia vano e avido di profano alimento.

Se ciò è vero, quanto più ci conviene esser cauti perché non accada che si presti fede per vano diletto o, peggio, per dannosa passione agli avvenimenti da noi raccontati come veri, per il fatto di presentarli senza rendere conto delle loro cause.

Tuttavia non dobbiamo soffermarci su tali cause in modo che, interrotto il corso dell'esposizione storica, il nostro spirito e la nostra lingua si smarriscano nell'intrico di una discussione troppo ardua; dobbiamo invece adoperarci perché la verità stessa delle motivazioni adottate risulti come il filo d'oro che lega una serie di perle, senza tuttavia turbarne la successione, per eccesso di ornamento.

7.11 - Sul modo di dar precetti e di fare esortazioni

Terminata l'esposizione storica, è necessario annunciare la speranza della resurrezione.

Secondo la capacità e le forze di chi ascolta e secondo il tempo stesso a disposizione, contro il falso scherno degli infedeli, è dunque necessario trattare della resurrezione del corpo, della benignità del futuro giudizio finale verso i buoni, della sua severità verso i malvagi, della sua equità verso tutti.

E, dopo aver ricordato con sentimenti di esecrazione e di orrore le pene riservate agli empi, è necessario preannunciare con animo ardente il regno dei giusti e dei fedeli e quella città superna con la sua beatitudine.

Quindi è necessario ammaestrare e animare la debolezza umana contro le tentazioni e gli scandali, esistenti sia all'esterno che all'interno della Chiesa; all'esterno contro i pagani, gli ebrei e gli eretici, all'interno contro la paglia presente nell'aia del Signore. ( Mt 3,12; Lc 3,17 )

Ciò va fatto non per discutere contro ogni singola categoria di questi uomini stravolti o per confutare con adeguate argomentazioni le loro opinioni erronee, ma per dimostrare, nel breve tempo a disposizione, che così era stato predetto; e inoltre per sottolineare qual sia l'utilità delle tentazioni per la formazione dei fedeli e qual rimedio si possa cogliere nella pazienza di Dio che ha disposto di permettere tali tentazioni fino alla fine. ( Mt 13,30 )

Quando poi il candidato è ammaestrato nei confronti di quei dissennati le cui schiere riempiono materialmente le chiese, gli si deve ricordare in modo breve e conveniente i precetti di un comportamento cristiano e onesto, al fine che non si lasci adescare così facilmente dagli ubriaconi, dagli avari, dai frodatori, dai giocatori d'azzardo, dagli adulteri, dai fornicatori, dagli amanti degli spettacoli, dai propinatori di rimedi sacrileghi, dagli incantatori, dagli astrologhi, dagli indovini di qualsiasi arte vana e malefica e da altri individui dello stesso genere, e non creda di poter fare altrettanto impunemente, perché vede molti che, cristiani di nome, prediligono, operano, difendono, consigliano tali cose e inducono altri a compierle.

Quale sorte attenda coloro che perseverano in un tal genere di vita e quanto debbano essere tollerati nella Chiesa stessa, dalla quale alla fine è necessario siano separati, si deve loro insegnare sulla base delle testimonianze dei libri divini.

Come ugualmente si deve prevenire il candidato del fatto che egli troverà nella Chiesa molti buoni cristiani, veri cittadini della Gerusalemme celeste, ( Eb 12,22 ) se cominci egli stesso ad esser tale.

Infine, occorre raccomandargli con insistenza di non riporre la propria speranza nell'uomo, ( Ger 17,5 ) poiché da parte dell'uomo non si può facilmente valutare chi sia giusto, e se pure lo si potesse, si deve essere consapevoli che i giusti non ci sono proposti ad esempio perché siamo resi giusti da loro, ma perché ci sia chiaro che, imitandoli, anche noi saremo resi giusti da Colui che tali li ha resi.

Di conseguenza avverrà una cosa che è molto importante mettere in luce: quando colui che ci ascolta, anzi ascolta Dio tramite nostro, avrà cominciato a progredire nella condotta della vita e nella conoscenza della dottrina ed a percorrere alacremente la via di Cristo, non oserà attribuire a noi o a sé questo successo, ma amerà se stesso, noi e chiunque altro ami come amico in Chi e per Chi lo ha amato quando era nemico, così da farlo amico rendendolo giusto. ( Rm 5,9-10 )

Non credo poi che tu abbia bisogno di alcun maestro per sapere che, se il tempo a disposizione tua o dei tuoi ascoltatori è limitato, è bene che sia breve; se, al contrario, è più ampio, potrai essere più lungo nel discorso: la necessità stessa te lo suggerirà, senza necessità che alcuno intervenga.

8.12 - Modo di comportarsi se il precatecumeno è persona coltivata negli studi liberali

In particolar modo non bisogna dimenticare che, se viene da te per ricevere la catechesi una persona coltivata negli studi liberali, che già abbia preso la decisione di farsi cristiano e venga allo scopo appunto di diventarlo, è del tutto improbabile che non conosca molti brani delle nostre Scritture e delle nostre opere: essendone già a conoscenza, questi viene soltanto per prender parte ai misteri cristiani.

Infatti le persone di tal genere sono solite considerare ogni cosa con cura e comunicare ed esaminare ciò che sentono nell'animo, con quanti possono, non nel momento stesso in cui divengono cristiani, ma in precedenza.

Pertanto con costoro bisogna esser brevi, senza insistere in maniera fastidiosa su argomenti che già conoscono, ma accennandovi con discrezione, in modo tale da far intendere che riteniamo che essi siano già a conoscenza di questo o di quell'argomento.

Con loro si può passare velocemente in rassegna tutto ciò che si dovrebbe inculcare in quanti non conoscono le cose cristiane e negli ignoranti; sicché se quell'erudito già conosce una cosa, non l'ascolti come detta da un maestro; se ne ignora qualche altra, la apprenda mentre gli si ricorda ciò che gli è già noto.

E non sarà inutile domandargli per quali ragioni sia stato indotto a voler diventare cristiano.

Così, se ti accorgi che è stato persuaso dalla lettura sia di libri canonici, sia di altri trattati utili, puoi cominciare col dire qualcosa riguardo ad essi, facendone le lodi conformemente alla varietà dei pregi, per l'autorità canonica e per la diligente cura posta dagli autori: col mettere in rilievo nelle Scritture soprattutto la semplicità saluberrima della loro mirabile altezza, negli altri libri l'eloquio sonante e, per così dire, maggiormente tornito, adatto - secondo l'abilità oratoria di ciascuno scrittore - agli spiriti superiori, in questo davvero inferiori.

Come pure si deve far in modo che il candidato indichi quale autore abbia letto preferibilmente e quali libri gli siano stati familiari, tanto da averlo persuaso a voler far parte della Chiesa.

Quando avrà risposto, allora, se quei libri ci sono noti o quanto meno se veniamo a sapere, per averlo sentito nell'ambito della Chiesa, che sono stati scritti da autori cattolici di indubbia fama, li approveremo con gioia.

Se, al contrario, il candidato si è imbattuto in opere di qualche eretico e, senza sapere forse ciò che la vera fede riprova, vi ha aderito e le ritiene espressione della dottrina cattolica, occorre istruirlo con cura, adducendo l'autorità della Chiesa universale e anche quella di uomini eminenti segnalatisi in controversie e in scritti relativi alle verità della Chiesa stessa.

Per quanto anche quegli autori che hanno lasciato questa vita nella fede cattolica e hanno tramandato ai posteri opere di letteratura cristiana abbiano fornito, in qualche passo dei loro scritti, ai pretestuosi e ai temerari l'occasione per ordire e far nascere una qualche eresia: e ciò avviene o perché non sono stati compresi rettamente o perché, come accade, per i limiti dell'umano ingegno, non sono stati in grado di penetrare con l'acutezza della mente le cose più recondite, essendosi allontanati dalla verità per seguire la parvenza del vero.

La qual cosa non fa meraviglia, quando dagli stessi scritti canonici, dove ogni cosa è stata detta perfettamente, molti hanno fatto nascere molte dottrine perniciose che hanno spezzato l'unità della comunione; e non certo per aver interpretato qualche passo diversamente da come lo scrittore ha inteso o come il vero senso per se stesso comporta ( infatti, se si trattasse unicamente di questo, chi non concederebbe volentieri perdono alla debolezza umana pronta a correggersi? ), ma per aver difeso con asperrima animosità e con ostinata arroganza le loro opinioni erroneamente perverse.

Al candidato che accede alla comunità del popolo cristiano non, come si dice, da ignorante, ma da persona resa colta e raffinata dallo studio delle opere di uomini dotti, nel corso di una pacata conversazione, devono essere esposte tutte queste cose e, nell'esporle, si deve assumere l'autorità di chi insegna ( perché egli si guardi dagli errori di presunzione ) nella misura in cui l'umiltà stessa del candidato, che lo ha indotto a voler diventare cristiano, ci sembra che ormai lo permetta.

Quanto poi agli altri argomenti da esporre e da discutere secondo le regole della dottrina salvifica, ( 1 Tm 1,10; 2 Tm 4,3; Tt 1,9; Tt 2,1 ) quali che siano, concernenti sia la fede sia la condotta di vita sia le tentazioni, tutto deve essere ricondotto - nel modo che ho già indicato - alla via sopraeminente della carità. ( 1 Cor 12,31 )

9.13 - Se il precatecumeno è grammatico o oratore

Parimenti, ci sono candidati che provengono dalle più diffuse scuole dei grammatici e degli oratori; certamente non puoi enumerare costoro tra gli illetterati, ma neppure li puoi annoverare tra le persone dottissime, la cui intelligenza è adusa ad affrontare ardui problemi.

Pertanto, quando costoro, che appaiono eccellere sugli altri uomini nell'arte oratoria, si presentano per diventare cristiani, si deve impartire loro con più forza che alle persone illetterate questo caloroso avvertimento: che apprendano, rivestiti d'umiltà cristiana, a non disprezzare quanti essi hanno visto evitare gli errori della vita più che quelli del discorso; e che non osino paragonare alla purezza di cuore quell'esercizio della lingua, che erano soliti tenere in maggior considerazione.

Inoltre è necessario ammaestrare costoro a comprendere principalmente le Scritture divine, in modo che non ne spregino l'eloquio sostanzioso, con la scusa che sono prive di enfasi, né credano che le parole e le azioni degli uomini che si leggono nei Libri sacri, avvolte e coperte come sono da rivestimenti carnali, per venir comprese non debbano essere spiegate e interpretate, ma intese così nel loro senso letterale.

Riguardo poi all'utilità stessa del significato recondito - da cui viene anche il nome di mysteria -, quale sia l'efficacia dell'oscurità degli enigmi nell'accrescere l'amore per la verità e nel dissipare il torpore derivante dalla noia è l'esperienza diretta con tali persone a dimostrarlo, quando qualche particolare che, proposto in maniera evidente, non li colpiva, li scuote attraverso la spiegazione del suo senso allegorico.

Infatti a costoro giova massimamente sapere che i pensieri sono da anteporre alle parole, come l'anima è da anteporre al corpo.

Da ciò consegue che si deve preferire ascoltare i discorsi più veri che eloquenti, così come si deve preferire avere amici più saggi che belli di aspetto.

Sappiano pure che non giunge alle orecchie di Dio nessun'altra voce se non il sentimento profondo del cuore.

Così dunque non rideranno se per caso abbiano sentito qualche responsabile e ministro della Chiesa invocare Dio, usando barbarismi e solecismi, o non comprendere il significato delle parole stesse che pronunzia e separarle in modo scorretto.

Non che questi errori non debbano essere corretti ( sì che il popolo possa dire amen a ciò che comprende pienamente ); nondimeno, devono essere tollerati in spirito di carità da chi ha imparato che, come il " parlare in modo acconcio " è legato nel foro al suono della voce, così nella chiesa lo è alla sincerità della preghiera.

Pertanto, il discorso nel foro talvolta può forse essere definito bona dictio, mai tuttavia benedictio.

Per quel che riguarda poi il sacramento al quale si apprestano a partecipare, è sufficiente per i più perspicaci sentir parlare del significato del rito; per i più lenti occorre invece condurre la spiegazione in modo più articolato e con un maggior numero di similitudini, sì che tengano nel dovuto conto ciò a cui assistono.

10.14 - Sul modo di ottenere la gioia. Le cause dell'insoddisfazione interiore nel catechista

A questo punto forse ti attendi un esempio di discorso, che ti mostri in forma concreta in che maniera si debba mettere in pratica ciò che ti ho detto.

E lo farò certamente con l'aiuto del Signore, per quanto sta nelle mie capacità.

Prima, però, devo parlare di quanto ho promesso, ossia del modo di ottenere la gioia.

Infatti, per quel che riguarda i precetti del discorso da tenere nel catechizzare chi si presenta per diventare cristiano, ho mantenuto ciò che avevo promesso, nella misura che è parsa sufficiente.

È davvero inutile che io stesso dia in questo scritto un esempio di ciò che insegno a fare.

Se lo darò, dunque, sarà in sovrappiù; ma come può, in ogni modo, traboccare da me il sovrappiù prima che io abbia colmato la misura del debito?

Ho sentito infatti che ti lamenti soprattutto del fatto che il tuo discorso, quando introduci un candidato alla fede cristiana, ti sembra piatto e trascurato.

D'altronde so bene che ciò accade non tanto per la mancanza di argomenti da trattare, nei quali so che sei ben pronto e ferrato, né per la povertà del tuo eloquio, quanto per un'insoddisfazione interiore.

Questa deriva dal motivo a cui ho fatto cenno: perché ciò che vediamo con la mente, senza l'ausilio delle parole, ci attrae maggiormente, ci avvince e non vogliamo essere portati lungi dal dissonante suono prodotto dalle parole.

Scaturisce dal fatto che, se pure il discorso è brillante, preferiamo ascoltare o leggere ciò che è stato espresso in uno stile più tornito e prodotto senza nostro sforzo e preoccupazione, piuttosto che, improvvisando, dover adattare le parole alla capacità di chi ascolta, non sapendo se esse vengano in ausilio al pensiero e se siano recepite con una qualche utilità.

Un altro motivo può aggiungersi, giacché proviamo fastidio nel tornare più e più volte su argomenti, a noi ben noti e ormai non necessari per progredire nel cammino, proposti a coloro che vogliono diventare cristiani: il nostro spirito, non più ai primi passi, ripercorre con scarso piacere argomentazioni tanto usuali e per così dire infantili.

D'altra parte, in chi parla produce insoddisfazione anche il fatto che chi ascolta resti inerte; non certo perché sia bene per noi desiderare i consensi umani, ma perché le parole di cui siamo dispensatori sono dono di Dio.

E quanto più amiamo coloro a cui ci rivolgiamo, tanto più desideriamo che sia accetto ciò che offriamo per la loro salvezza.

E se la cosa non si verifica, ci rattristiamo e nel corso stesso dell'esposizione ci sentiamo scoraggiati ed abbattuti, come se ci spendessimo in un'opera vana.

Talvolta poi l'insoddisfazione nasce allorché veniamo distolti da un qualche lavoro che desideravamo fare e il cui compimento ci dilettava e ci pareva maggiormente necessario, e siamo costretti, o per volere di qualcuno che non vogliamo urtare o per inevitabile richiesta di altri, a istruire con la catechesi qualche candidato.

In tal modo, già contrariati, ci disponiamo ad un'occupazione che richiede una grande serenità, dispiaciuti perché non ci è concesso di mantenere l'ordine da noi desiderato nel susseguirsi dei lavori e perché non siamo in grado di far fronte a tutto.

E così l'eloquio, ispirato dalla tristezza stessa, riesce meno gradevole, perché dall'aridità interiore, determinata dalla mestizia, fluisce meno copiosi.

Similmente, qualche volta, mentre il dispiacere, derivante da qualche scandalo, angustia il nostro cuore, ci sentiamo dire: "Vieni e parla a questa persona che ha intenzione di farsi cristiana".

Certamente ce lo sentiamo dire da persone che ignorano quale dolore segreto bruci dentro di noi; e se non è opportuno rivelare loro il nostro stato d'animo, intraprendiamo malvolentieri quel che ci viene chiesto: allora, sì, il discorso, passato al vaglio di un cuore bruciante e torbido, riuscirà smorto e poco gradevole.

Dunque, a quest'insieme di cause, quale che sia tra di esse quella che offusca la serenità del nostro animo, bisogna cercar rimedio con la grazia di Dio; di modo che si plachi quella tensione interiore e noi si possa gioiosamente esultare con spirito fervido nella tranquillità che deriva dal compimento di un'opera buona.

Perché Dio ama chi dona con gioia. ( 2 Cor 9,7 )

10.15 - L'esempio datoci da Cristo

Se infatti siamo contrariati perché chi ci ascolta non comprende il nostro pensiero, scendendo dalla cui sommità, in una maniera o nell'altra, siamo costretti ad indugiare lungo un cammino lento fatto di sillabe scandite e ci preoccupiamo di come far uscire dalla bocca, attraverso lunghi ed intricati giri di parole, quello che la mente vede nel tempo di un respiro; e poiché troviamo che viene fuori ben diverso da come vorremmo, dispiace parlare ed è gradito tacere: riflettiamo allora a cosa ci è stato prima donato da Colui che ci ha offerto l'esempio, affinché seguissimo le sue orme. ( 1 Pt 2,21 )

Per quanto infatti possa differire l'articolazione verbale dalla vivacità della nostra intelligenza, molto di più differisce la caducità dell'uomo dall'immutabilità di Dio.

E tuttavia, pur essendo di natura divina, Cristo spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, ecc. fino alla morte di croce. ( Fil 2,6-8 )

E per quale ragione, se non perché si è fatto debole coi deboli, per guadagnare i deboli? ( 1 Cor 9,22 )

Ascolta colui che ne è divenuto imitatore e che dice in un altro passo: Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio: se siamo assennati è per voi.

Poiché l'amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti. ( 2 Cor 5,13-14 )

In che modo infatti sarebbe stato pronto a prodigarsi per le loro anime, ( 2 Cor 12,15 ) se avesse avuto riluttanza a piegarsi alle loro orecchie?

In ragione di questo amore, Cristo si è fatto piccolo tra noi, come una nutrice che nutre i suoi figli; ( 1 Ts 2,7 ) giacché è forse piacevole mormorare parole tronche e spezzate se non fosse l'amore a suggerirle?

E tuttavia gli uomini desiderano avere bambini con i quali far così: per una madre è persino più dolce dare al figlioletto piccoli bocconi da lei sminuzzati, piuttosto che mangiare avidamente bocconi più grandi.

Neppure si dimentichi l'esempio della chioccia che copre con le delicate piume i teneri nati ( Mt 23,37 ) e chiama a sé con debole verso i pulcini pigolanti; quelli che, alteri, si sottraggono alle carezzevoli ali, diventano preda di uccelli di rapina.

Se la facoltà di comprendere si diletta nel penetrare recessi del tutto inviolati, si diletti pure nel comprendere che la carità, quanto più servizievole si cala nelle umili realtà, tanto più fortificata penetra nell'intimità dell'anima, con la chiara consapevolezza di nulla chiedere a coloro a cui si rivolge, se non la loro salvezza eterna.

11.16 - Preferiamo leggere o ascoltare discorsi già espressi in forma compiuta piuttosto che improvvisare

Se invece preferiamo leggere ed ascoltare discorsi già preparati ed espressi in una forma più curata e per questo motivo proviamo fastidio ad improvvisare con esito incerto quanto diciamo secondo le circostanze, bisogna confidare in ciò: fermo restando che l'animo non si deve discostare dalla verità dei fatti, è facile che, se qualche espressione abbia urtato chi ascolta, questi dall'occasione stessa impari - allorché il pensiero sia stato compreso - quanta poca importanza abbia il dato che le parole adoperate per farlo comprendere non siano perfettamente compiute o appropriate.

Se poi la limitata capacità umana abbia portato a scostarsi anche dalla verità stessa delle cose ( sebbene nel catechizzare è difficile che ciò possa accadere, dal momento che bisogna mantenersi in un tracciato già battuto ), tuttavia, perché non accada per caso che chi ascolta ne abbia danno, non dobbiamo vedere nell'accaduto se non che Dio ha voluto mettere alla prova la nostra capacità di sopportare la correzione con animo sereno, in modo da evitare di cadere, difendendo il nostro errore, in un errore più grande.

Se poi nessuno ce lo ha fatto notare e il nostro errore è passato inosservato a noi e all'uditorio, non vi è motivo di dolersene, purché non accada di nuovo.

Il più delle volte, però, passando mentalmente in rassegna quanto abbiamo detto, disapproviamo qualche parola e non sappiamo in che modo, quando è stata detta, abbia potuto essere presa per buona; quando in noi arde la carità, ci addoloriamo ancor di più se la nostra parola sia stata tranquillamente accolta, benché fosse erronea.

Per questo motivo, quando si presenta l'opportunità, come abbiamo disapprovato noi stessi in silenzio, così dobbiamo preoccuparci di correggere con delicatezza anche coloro che sono caduti in qualche errore non per difetto della parola di Dio, ma certo della nostra.

Se poi ci sono quelli che, maldicenti, detrattori, odiosi dinanzi a Dio, ( Rm 1, 29s ) accecati da un'insana invidia si rallegrano del fatto che abbiamo sbagliato, sia questa per noi l'occasione di esercitare la pazienza insieme alla benevolenza, giacché anche la pazienza di Dio li spinge alla penitenza.

Che cosa invero è più detestabile e che cosa accumula la collera per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, ( Rm 2, 4s ) più che il rallegrarsi del male altrui, a mala somiglianza ed imitazione del diavolo?

Talvolta, benché abbiamo parlato bene e secondo verità, un qualche argomento o non viene compreso o per la sua stessa novità, contraria all'opinione familiare di un inveterato errore, scandalizza e sconcerta l'uditore mal disposto.

Se il suo dissentire si sia manifestato con chiarezza e si dimostri sanabile, occorre senza alcun indugio ripararlo con abbondanza di testimonianze e di argomentazioni probanti.

Se invece è celato dal silenzio, può venire in soccorso il rimedio divino.

Ma se chi ascolta si ritrae e si rifiuta di essere soccorso, ci consoli l'esempio offerto dal Signore, il quale, essendosene alcuni andati via scandalizzati a causa della sua parola che era parsa dura, disse a quanti erano rimasti: Forse volete andarvene anche voi? ( Gv 6,67 )

Infatti, bisogna tenere per cosa ben ferma ed immutabile nell'animo che, trascorso il tempo opportuno, la Gerusalemme fatta prigioniera dalla Babilonia di questo mondo sarà liberata e nessuno dei suoi cittadini perirà: colui che perirà, infatti, non apparteneva ad essa.

Poiché il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: Il Signore conosce i suoi.

E si allontani dall'iniquità chiunque invoca il nome del Signore. ( 2 Tm 2,19; Nm 16,5; Is 52,12; Is 26,13 )

Meditando ciò ed invocando nel nostro cuore il Signore, avremo meno timore del dubbio risultato del nostro discorso per le incerte reazioni di chi ascolta.

E ci procurerà perfino gioia il sopportare i fastidi che comporta il compiere l'opera di carità, se, nel compierla, non cercheremo la nostra gloria. ( Gv 7,18 )

Un'opera è veramente buona quando l'intuizione di chi agisce è proiettata come un dardo dalla carità e, ritornando per così dire al luogo che le è proprio, trova nuovamente pace nella carità.

Persino una lettura che ci diletta o un discorso particolarmente curato che amiamo ascoltare, tale, se lo si metta in luce, da rendere la nostra parola stanca e tediosa e da relegarla in secondo piano, dopo la nostra fatica ci troveranno più disposti a gustarli e ci risulteranno più graditi.

Con maggiore fiducia pregheremo Dio che ci parli come desideriamo, se accettiamo con gioia che egli parli, per bocca nostra, come possiamo.

Così avviene che per coloro che amano Dio tutto concorra al bene. ( Rm 8,28 )

12.17 - Il fastidio di ripetere molte volte argomenti ben noti

Se poi ci infastidisce ripetere molte volte argomenti usuali e da bambini, adattiamoci a chi ci ascolta con amore fraterno, paterno e materno e, così uniti in un cuor solo, anche a noi quegli argomenti sembreranno nuovi.

Infatti il sentimento di un animo capace di condividere tanto può che, quando coloro che ci ascoltano sono impressionati da noi che parliamo e noi da loro che apprendono, ci si compenetra a vicenda: di conseguenza, quelli espongono quasi per bocca nostra ciò che ascoltano, mentre noi in certo modo apprendiamo da loro ciò che insegniamo.

Forse non accade solitamente che quando mostriamo a persone che mai prima li avevano visti luoghi di splendida bellezza, siti in città o in campagna, davanti ai quali solevamo passare senza sentire alcun piacere per averli già visti molte volte, il nostro diletto si rinnovi partecipando al diletto suscitato negli altri dalla novità?

E ciò tanto più accade, quanto più queste persone ci sono amiche, giacché, in virtù del vincolo dell'amore, in quanto siamo in loro, in tanto sentiamo nuove anche per noi le cose vecchie.

Ma, se abbiamo fatto qualche passo avanti nel contemplare le cose, non desideriamo ormai che le persone che amiamo provino gioia e meraviglia vedendo le opere compiute dalla mano dell'uomo, ma desideriamo che si elevino fino a cogliere l'arte e il progetto dell'istitutore e quindi si innalzino fino ad ammirare e lodare Dio, creatore di tutte le cose, nel quale si trova il fine sommamente fecondo dell'amore.

Dunque, tanto più dobbiamo gioire quando gli uomini si presentano per imparare a conoscere Dio stesso, per il quale deve essere appresa ogni cosa da apprendere; e partecipare come uomini nuovi al loro rinnovamento, cosicché, se solitamente il nostro insegnamento è troppo freddo, diventi ardente per l'udienza insolita riservatagli dai nostri ascoltatori.

A ciò si aggiunge, al fine di ottenere la gioia, la riflessione che facciamo considerando da quale errore mortale l'uomo passi alla vita della fede.

E se per caso, per indicare la strada a una persona provata dallo sforzo di andare errando, ci capita di passare per vie ben conosciute con gioia benefica, con tanta maggiore prontezza e letizia dobbiamo camminare nella dottrina salvifica ( 1 Tm 1,10; 2 Tm 4,3; Tt 1,9; Tt 2,1 ) - anche per quelle parti che non occorre ripetere a noi stessi - allorché conduciamo per le vie della pace un'anima degna di compassione e fiaccata dagli errori di questo mondo, comandandocelo colui stesso che ci ha dato quella pace.

13.18 - L'impassibilità di chi ascolta scoraggia chi parla

Nondimeno, in vero, è certo difficile proseguire il discorso fino al termine prestabilito, quando non si vede alcun cenno di assenso da parte di chi ascolta: o perché, frenato da religioso timore, non osa manifestare verbalmente o con un gesto la sua approvazione, o perché è trattenuto dall'umana timidezza, o perché non comprende ciò che gli viene detto o lo ritiene di poco conto.

Allorché, non potendo discernere da parte nostra lo stato d'animo di chi ascolta, si è nell'incertezza, bisogna allora tentare di mettere in atto con il discorso tutti i mezzi che possono servire a spronarlo e, per così dire, a farlo uscire dal suo nascondiglio.

Giacché bisogna bandire con suasivo incoraggiamento l'eccessivo timore che gli impedisce di esprimere la sua opinione; mitigarne la timidezza introducendo un rapporto fraterno; cercare di rendersi conto con qualche domanda della sua capacità di capire; dargli fiducia, in modo che, qualora gli sembri di dover ribattere su qualche argomento, parli liberamente.

È necessario anche chiedergli se ha già udito qualche volta ciò che gli è insegnato; e se per caso non lo interessi per il fatto che si tratta di argomenti a lui ben conosciuti e familiari.

In conformità alla sua risposta, ci si deve impegnare o a parlare in modo più semplice e più chiaro; o a ribattere un'obiezione; oppure a non dilungarsi in dettagliate spiegazioni sugli argomenti che gli sono già noti, ma a riassumerli brevemente, a scegliere nei Libri Sacri alcuni passi espressi in forma allegorica, e soprattutto nella nostra stessa narrazione spiegarli e chiarirli di modo che il discorso sia reso gradevole.

Se poi il candidato è troppo lento a capire, refrattario e sordo a dolcezze di tal fatta, lo si deve sopportare con benevolenza e dopo aver fatto un breve accenno agli altri argomenti, occorre insistere, in modo da suscitare timore a causa del futuro giudizio, su quei punti che sono affatto necessari, relativi all'unità della Chiesa cattolica, alle tentazioni, alla condotta cristiana; e si devono dire molte più cose a Dio per lui, che a lui di Dio.

Accade che qualche ascoltatore dapprima sia attento e poi si stanchi di stare in piedi o di ascoltare.

13.19 - Occorre provvedere con i rimedi adatti

Spesso accade pure che chi inizialmente ascoltava con piacere, stanco di ascoltare o di stare in piedi, apra la bocca non per lodare, ma per sbadigliare, e dia a vedere, benché involontariamente, di voler andar via.

Appena ci si accorge di ciò, è bene ravvivare la sua attenzione col dire qualcosa insaporito da una gioia composta e conveniente all'argomento trattato; o qualcosa che susciti meraviglia e stupore o commozione e pianto; e più, qualcosa che lo riguardi in prima persona, in modo che, punto sul vivo, egli ridesti il suo interesse; tuttavia la cosa non deve urtare, con qualche espressione aspra, la riservatezza di chi ascolta, ma piuttosto conquistarne il favore con il tono familiare.

Altrimenti, gli si può venire in aiuto offrendogli da sedere; sebbene sarebbe senza dubbio meglio che, là dove è possibile farlo in modo agevole, ascolti stando seduto sin dall'inizio.

Molto opportunamente in alcune chiese d'oltremare, non solo i vescovi parlano al popolo stando seduti, ma pure il popolo dispone di sedili; in tal modo chi è più debole, stanco di stare in piedi, non è distolto dal prestare un'attenzione che si rivela tanto salutare o non è costretto addirittura ad andarsene.

E tuttavia vi è una notevole differenza se si ritiri da una grande assemblea per recuperare le forze una persona già legata dalla comunione dei sacramenti ovvero se ne vada una persona che deve ricevere l'iniziazione a tali sacramenti ( il più delle volte costretto a farlo per non venir meno vinto da un mancamento fisico ); infatti per pudore non dice il motivo per cui si allontana e per debolezza non è in grado di stare in piedi.

Parlo per esperienza, giacché così fece un contadino, mentre lo istruivo nella catechesi; da ciò ho imparato che bisogna usare molta cautela.

Chi sopporterà infatti la nostra presunzione, qualora non permettessimo che siedano davanti a noi uomini che sono nostri fratelli o, meglio ancora uomini verso i quali si deve avere una sollecitudine tanto più grande di modo che diventino nostri fratelli, mentre una donna ha potuto ascoltare, restando seduta, proprio nostro Signore, accanto al quale stanno gli angeli? ( Lc 10,39; Mc 1,13 )

Certo se il discorso che si prevede di fare è breve o se il luogo ove si parla non è adatto per potervi star seduti, si ascolti stando in piedi; ma solo nel caso in cui gli uditori siano in gran numero e non debbano essere iniziati in quell'occasione.

Poiché quando vi sono una, due, o poche persone venute appositamente per diventare cristiane, è inopportuno farle stare in piedi mentre parliamo.

Tuttavia, se si è già intrapreso il discorso in questa situazione, almeno quando ci si avvede dell'incomodo dell'ascoltatore, gli si deve offrire da sedere, anzi, bisogna proprio insistere perché si sieda, e gli si deve anche dire qualche parola che ne ravvivi l'attenzione e allontani dal suo animo il disagio, se mai, fattosi presente, ha cominciato a distrarlo.

Quando invece non siano individuabili con chiarezza le ragioni per cui, già chiuso nel suo silenzio, il candidato rifiuti di ascoltare, gli si dica, quando si sia seduto, qualche parola contro gli insorgenti pensieri derivanti dalle occupazioni di questo mondo, e lo si faccia in tono gioioso, come già ho detto, o in tono addolorato; perché, se sono proprio le preoccupazioni legate agli affari del mondo ad occupargli la mente, queste spariscono essendo state chiamate in causa una ad una.

Se invece non sono tali preoccupazioni a distrarlo, ma si tratta del fatto che il candidato si è stancato di ascoltare, per riscattare la sua attenzione dalla noia, si può dire - nel modo a cui ho fatto cenno - qualcosa di imprevisto e di fuori dal comune riguardo a quelle preoccupazioni come fossero responsabili della situazione stessa ( dal momento che ne ignoriamo la causa ).

Ma che in proposito il nostro discorso sia breve - soprattutto perché viene ad inserirsi come digressione - per evitare che la medicina non aggravi la malattia della noia, a cui vogliamo porre rimedio.

Ci si deve quindi affrettare nel dire le restanti cose e promettere e giungere a una più rapida conclusione del discorso.

Indice