De praescriptione haereticorum

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a cura di Gino Mazzoni

Approvazione ecclesiastica

Nihii obstat quominus imprimatur. Can. Aemilius Giorgi, Cens. Eccles. Senis, die 7 Januarii a. 1929.

Imprimtur

Senis, ex Curia Arch. die 9 Jan. 1929. C. Barbieri, Vic. Gen.

I - Non si può negare che le eresie esistano e che abbiano una forza

Lo stato attuale dei nostri tempi fa sì, che noi dobbiamo ben fermare questo punto: ed è quello di consigliarvi, di esortarvi a che voi non vi facciate meraviglia alcuna di queste eresie: esse di fatto esistono ed era infatti già stato preannunziato che esse sarebbero sorte ( Mt 7,15; Mt 24,5.24 ) eppoi, perché meravigliarsi per la ragione che scalzano e infirmano la saldezza di credenza in taluni spiriti? esse sono sorte appunto per questo scopo: perché la fede, col dover sopportare violenza di attacchi, ne acquistasse poi fulgore di conferma e sicurezza maggiore ( 1 Cor 1,19 ).

Non c'è dunque ragione ed è perfettamente inutile e sciocco che la maggior parte dei fedeli si scandalizzino perché l'eresie abbiano preso tanto piede.

Quanta azione, potrebbero esse esercitare, se non esistessero? [ nessuna ]; ma dal momento che vi sono …; quando una data cosa dalla natura ha avuto in sorte un modo qualsiasi di vita, come trova una ragione in essa che giustifichi la sua origine, così acquista quel vigore che la rende attiva e vivace, e non è più possibile allora, per lei, la non esistenza.

II - In che cosa possa consistere la forza delle eresie, e su chi esse possano eventualmente avere la loro influenza

Fra tutti gli altri modi per i quali la vita dell'uomo è tormentata e magari trova la sua fine, non manca, dopo tutto, la febbre: ebbene noi non proviamo doloroso stupore per nessuno di questi due fatti: né che essa esista, dal momento che esiste realmente, e neppure che essa conduca l'uomo al disfacimento del suo organismo: è proprio per questo che essa ha una esistenza.

Così è riguardo all'eresie, le quali sono sorte per affievolire e per spengere, magari, calore e fulgore di fede; noi, anzi che meravigliarci e provare un certo senso di sgomento ché esse abbiano un tale potere, dovremmo riportare questa nostra impressione di timore, al principio della loro esistenza: finché esse siano, è in loro anche tale potenza; è proprio in quanto che esse hanno tale potenza, che possono esistere.

Ma avviene che dinanzi al fatto della febbre, come ognuno sa, non è in noi tanto un senso di stupore e di meraviglia, quanto un'impressione di ostilità, di repugnanza, per le cause che la possono produrre e per gli effetti che quella può avere sul nostro corpo, e non possedendo in noi la facoltà di poterla allontanare, almeno ce ne guardiamo e cerchiamo di evitarla, per quanto è possibile.

Per l'eresie, invece, si nota che, sebbene esse portino la la morte nell'anima e un ardore di un fuoco molto più vorace [ della febbre ], pur tuttavia vi sono alcuni che preferiscono d'indugiarsi in un certo senso di ammirazione per la potenza che esse sono capaci di sviluppare, piuttosto che cercare di sfuggirle, per tentare di paralizzare la loro capacità penetrativa; e tutto ciò lo fanno, avendo pure la facoltà di sottrarsi alla loro influenza.

Se smetteranno costoro di meravigliarsi tanto per la potenza delle eresie, finirà che esse verranno a perderla del tutto.

Una delle due: o è il fatto della meraviglia che essi provano, che fa scendere appunto certe persone allo scandalo, o è il fatto di provare scandalo che quasi provoca in loro un senso di stupore e di accecamento tale, da far loro credere che, dal momento che le eresie abbiano in sé tanta potenza e ardire, significhi che esse non possano provenire che da un qualche principio di verità.

Cosa da meravigliare davvero, che quel che è male possieda in se stesso una sua propria forza.

Se non che le eresie, un forte ascendente hanno su coloro che posseggono scarso ardore dì fede ( 2 Tm 3,8 ).

È precisamente quel che succede, la maggior parte delle volte, nei combattimenti dei gladiatori, nelle gare di lotta: taluno vince, non perché dotato assolutamente di forza superiore che lo renda veramente invincibile, ma perché il suo competitore è stato privo di qualunque energia e capacità di resistenza: così che anche quello che è riuscito una volta vincitore, se dopo viene messo in gara con chi ha robustezza e gagliardia di membra, anche lui sarà costretto a ritirarsi in condizioni di inferiorità: non succede mica diversamente nel campo della eresia: dalla debolezza e dal tepore religioso di alcuni, prendono esse forza e consistenza, ma perdono poi qualunque vigore e ogni fiamma di vita si spenge in loro, se s'imbattono in chi ha nell'animo ben saldo il principio della fede più pura.

III - Le eresie non fanno che provare costanza e saldezza, di fede, la quale non può, né deve essere abbandonata per alcuni che si allontanano dalla credenza vera cristiana

Bastano alcuni individui, che siano rimasti presi dall'eresia, perché, con gran facilità, si abbandonino alla rovina di una credenza falsa questi ingenui creduloni.

Perché quella donna, queir uomo dalla fede così salda, persone dotate di tanta saggezza e che alla Chiesa avevano dato opera di tanto amore e di tanto zelo, passarono dalla parte degli eretici?

Chi è che, ponendosi tale questione, non risponderà a sé stesso che quelli che le eresie hanno potuto far deviare dalla retta via, vuoi dire, che non erano da considerarsi veramente ne saggi, né stretti da saldezza di fede, né dediti con tutto l'animo loro alla Chiesa?

Ma è proprio una cosa da far molta meraviglia, penso, che da uno, che per il passato sia stato riconosciuto uomo al dì sopra di ogni dubbio e di fede saldissima, dopo ne venga ad uscir fuori uno diverso?

Saul, sopra tutti gli altri eccellente, finisce poi coll'essere turbato e sconvolto dal sentimento della gelosia; David, la bontà del quale era secondo quanto il cuore del Signore desiderava ( At 13,22 ), sì rese colpevole dì omicidio e di adulterio ( Sal 51 ); Salomone ebbe pure da Dio ogni più grande dono di grazia e dì sapienza: ebbene: da donne venne spinto all'idolatria.

Soltanto al Figlio di Dio fu riservato dì rimanere sempre senza colpa ( Eb 4,15 ).

Eppoi … anche se un vescovo, se un diacono, se una vedova, se una fanciulla, se un dottore, se perfino un martire si allontanano, ammettiamo, dalia regola di fede, basterà forse questo fatto perché l'eresie debbano acquistare carattere di verità?

Dobbiamo noi dunque riconoscere il valore della fede dalle persone o le persone dalla fede che esse professano?

Non v' è nessuno che sia sapiente veramente, nessuno che possa dir di possedere purità di fede; nessuno si chiamerà grande, se non il Cristiano; ma nessuno potrà chiamarsi così, se non chi abbia perseverato in questo lume di fede fino agli ultimi giorni della sua vita ( Mt 10,22 ).

Tu, data la tua natura di uomo, conosci ciascuno, ma soltanto dalla esteriorità: credi ciò che vedi, ma vedi solo dove il tuo occhio giunge; lungi invece penetra lo sguardo del Signore: dicono i Sacri Libri ( Es 8,20 ): l'uomo guarda nella faccia del suo simile; è Iddio che penetra e intende l'intimo del cuore umano ( 1 Re 16,7 ).

Ed è così che il Signore conosce quelli che sono Suoi ( 2 Tm 2,19 ), e sradica la pianta che non ha piantato ( Mt 15,13 ), e ci fa vedere come gli ultimi divengono i primi, e tiene in mano un ventilabro, perché vuole che il terreno intorno a Lui sia lindo e puro ( Mc 10,31 ).

Prendano pure il volo e se ne vadano lontano, quanto loro piaccia, le pagliuzze di una fede inferma e leggera, appena che esse avranno sentito l'afflato caldo delle tentazioni; tanto più pulita e sana la massa del frumento s'accumulerà allora nel granaio del Signore ( Mt 3,12 ).

Non è pur vero che alcuni dei Discepoli dallo stesso Signore si allontanarono quasi di Lui stesso turbati? ( Mt 13,22 ).

Ma non per questo gli altri pure crederono di doversi staccare dall'orme Sue: quelli che riconobbero che Costui era il Verbo della vita e che da Dio Egli traeva l'origine Sua, Lo seguirono fedelmente, fino al termine della Sua vita, sebbene il Signore avesse loro offerto il modo di allontanarsi impunemente da Lui, qualora essi l'avessero voluto ( Gv 6,67-63 ).

Non ha valore alcuno, se un Figello, un Ermogene,1 un Fileto, un Imeneo abbandonarono il loro Apostolo ( 2 Tm 1,15 ): appartenne proprio alla schiera degli Apostoli colui che si rese colpevole di tradimento verso il Signore.

Ci meravigliamo noi, se da taluni vengono disertate le Sue Chiese, ma dobbiamo sapere che quello che ci fa veramente, chiaramente Cristiani, è appunto la capacità di perseverare e di soffrire secondo l'esempio che Cristo ci ha lasciato ( 1 Pt 4,13 ).

Egli dice: Essi si sono allontanati da noi, ma non furono dei nostri; se alle nostre file avessero veramente appartenuto, costoro sarebbero rimasti fedelmente con noi ( Mt 7,15 ).

IV - Le eresie sono state preannunziate e siamo stati esortati a sapercene guardare

Siamo piuttosto ricordevoli delle parole del Signore e delle Lettere Apostoliche, le quali ci hanno pur messo in avviso che l'eresie sarebbero nate, e ci dissero pure che avrebbero dovuto esser sfuggite da noi.

E come per noi non costituisce ragione di timore alcuno la loro esistenza, così non dobbiamo affatto stupirci della forza che esse posseggono, a causa della quale siamo stati avvertiti di dovercene guardare.

Molti lupi rapaci verranno sotto le spoglie di pecore miti e innocenti, ha detto il Signore ( 1 Gv 4,1 )

E che s'intende mai per l'espressione « sotto le spoglie di pecore » se non la esterna e superficiale professione di fede del nome cristiano?

E chi sono « i lupi rapaci » se non i sostenitori di certe interpretazioni subdole e capziose, che intimamente si nascondono e tentano di disgregare la compattezza della comunità cristiana?

Chi sono gli pseudo profeti, se non i predicatori di una dottrina non rispondente a verità ( 2 Cor 11,13 )?

Chi sono gli pseudo apostoli se non coloro che adulterano l'Evangelo?

Chi sono gli Anticristi ( 1 Gv 2,18,19 ) se non gli spiriti ribelli, che così nell' età nostra, come in qualsiasi altro tempo, si schierano contro Gesù?

E le eresie faranno proprio questo: con la falsità delle loro dottrine dilanieranno la Chiesa non meno di quanto l'Anticristo la sconvolgerà e la strazierà colla fierezza delle persecuzioni crudeli ( Mc 13,7 ): ma pure una differenza esiste: la persecuzione almeno sa far sbocciare dal suo seno, dei Martiri; l'eresia crea soltanto degli apostati.

Proprio per questo anche l'eresie erano necessarie dunque, perché i giusti, i saldi, i costanti venissero in luce, tanto coloro che nel terrore delle persecuzioni hanno saputo tenere fermo e sicuro il loro spirito, quanto quelli che hanno offerto resistenza alle dottrine dell'eresia.

E l'Apostolo non vuole che si consideri come gente ormai di fede provata e schietta chi s'è allontanato dalla retta fede, per seguire l'eresia, come invece i nostri avversarî vorrebbero, interpretando a modo loro, falsamente, una espressione di lui: « Portate il vostro esame su ogni cosa e ritenete ciò che è buono ( 1 Ts 5,21; 1 Cor 11,19 ) ».

Ma io osservo: e non è forse possibile ad ognuno, che proceda erroneamente in questo esame, abbandonarsi, per sbaglio, proprio alla scelta di quello che è appunto male?

V - Le eresie vengono a minare la compattezza e l'unità della Chiesa

L'Apostolo, poi, ha parole di rimprovero per le discussioni e gli scismi ( 1 Cor 1,10 ), i quali, senza dubbio, sono mali; ma nello stesso àmbito fa rientrare anche le eresie.

Il fatto che le unisce a principi cattivi, dimostra all'evidenza che le considera un male e senza dubbio di maggiore entità.

Dicendo S. Paolo che egli ha sempre creduto alla possibile esistenza di scismi e di dissensi, perché sapeva pur che dopo sarebbero necessariamente sorte le eresie, dimostra che di fronte ad un male maggiore aveva facilmente creduto alla realtà di un male minore; e non tutto ciò significava, certamente, che egli, rilevando certi mali, avesse voluto affermare che contenessero alcunché di buono nei loro principi; ma, colla prospettiva di tentazioni e di attacchi ancor più gravi, voleva ammonirci come non bisognasse meravigliarci di quelle scissioni, che tendevano a far riconoscere le anime ormai salde e costanti in un principio di fede, cioè coloro che nessuno era riuscito a far deviare dalla retta strada.

Se tutto il capitolo mira nel suo spirito a mantenere l'unità della credenza cristiana e a rafforzarla, reprimendo e distruggendo le differenze e i contrasti, dal momento che l'eresie tendono, non in minor misura certamente, a spezzare quella che sia l'unità della fede, come perfettamente gli scismi e gli altri dissensi nel seno di lei, non vi è dubbio che l'Apostolo abbraccia in un medesimo concetto di condanna tanto gli scismi e le discordie, come le eresie.

E come egli non approvi affatto coloro che si siano piegati verso principi eretici, lo prova ogni sua parola di esortazione più vivace a che noi li fuggiamo, e l'insegnamento più reciso a che noi, tutti concordemente, affermiamo e sentiamo unità di fede: il che appunto è ciò che l'eresia impedisce.

VI - Le eresie sono da fuggire in ogni modo

Non è il caso d'insistere più lungamente su tale argomento; sappiamo infatti che è lo stesso Paolo che, scrivendo ai Galati, enumera le eresie tra i peccati carnali ( Gal 5,19-20 ), e suggerisce poi a Tito ( Tt 3,10-11 ) di allontanare, di considerare come un reietto, chi sia eretico, e ciò dopo averlo una prima volta avvertito e ammonito, perché un uomo che segue l'eresia è così fuori dalla retta strada, ed è così profondamente guasto, che egli stesso pronunzia da sé la sua condanna irrevocabile.

Ma in quasi tutto il restante della lettera, parlando dell'opera da compiersi con ogni diligenza, per sfuggire le dottrine false e bugiarde, viene implicitamente a colpire le eresie: la falsità delle dottrine non scaturisce infatti direttamente dall'opera loro?

Eresie,2sono chiamate con parola greca che vuol dire scelta; scelta che taluno fa allorché o si volge a dar loro vita, oppure a seguirle.

Ed è appunto per questo che Paolo disse che l'eretico trova la condanna in sé stesso, perché egli stesso s'è scelto quel principio che poi è causa della sua condanna.

A noi Cristiani non è concesso affatto, invece, di intromettere, di nostra testa, nessun altro principio ai fondamenti della nostra fede, e neppure seguire o indulgere quello che eventualmente taluno potesse, di proprio arbitrio, avere escogitato nella mente sua.

Noi invece abbiamo gli Apostoli, che hanno ripetuto le parole del Signore e non si sono permessi affatto d'aggiungere qualcosa di loro arbitrio: essi hanno accolto da Cristo Signore la dottrina Sua e l'hanno bandita fedelmente alle genti ( Gal 1,11-12 ).

Pertanto, se anche un Angelo, che dai Cieli scendesse, divenisse il banditore di un Vangelo diverso, noi chiameremmo tale predicazione anathèma ( Gal 1,8 ).

Già lo Spirito Santo aveva previsto che presso una vergine Filumene3 sarebbe disceso un angelo di seduzione, ma che si sarebbe trasformato e apparso come un angelo di luce: A pelle, attratto ed ammaliato dai miracoli e dagli atti meravigliosi di lei, introdusse nel seno della Chiesa una dottrina eretica.

VII - È la filosofia che favorisce le credenze eretiche

Sono queste le dottrine di uomini e di demoni sorte da quel che sia lo spirito della pretesa sapienza mondana, per le orecchie che non sanno trovar pace e tranquillità ( 2 Tm 4,3 ).

Il Signore, l'ha chiamata follia tale saggezza, e la stoltezza del mondo ha scelto appunto, per confonder quella che sia l'umana filosofia ( 1 Cor 1,27 ).

È la filosofia stessa, invero, che dà materia a quella che si chiama mondana saggezza, dal momento che, con molta libertà e pretesa arroganza, interpreta la natura divina, i suoi disegni e i suoi procedimenti.

Diciamolo francamente: le eresie stesse sono quelle che attingono forza e consistenza da tali principi filosofici.

È dalla filosofia infatti, che Valentino4 prende la concezione degli Eoni e di una quantità di forme, di cui non saprei dire neppure il numero: infinite esse sono; e il concetto di una Trinità umana: o non era costui stato discepolo di Platone?

E non è da quella stessa fonte, che scaturisce il dio di Marcione5 preferibile agli altri? almeno ha un carattere di tranquillità; e anche la sua dottrina deriva dagli Stoici.

Sono stati gli Epicurei6 quelli che hanno sostenuto il principio che l'anima è soggetta alla morte, e se tu vuoi negare il principio della resurrezione della carne, tu potrai attingere per questo punto dai dettami di tutti quanti gli antichi filosofi: dove trovi che la materia è uguagliata colla natura di Dio, quivi potrai riconoscere la dottrina di Zenone; ed ecco invece che ti viene fuori Eraclito,7 quando si parli di una divinità che abbia in sé natura ignea; è la stessa materia, in fondo, che viene trattata, agitata, e da eretici e da filosofi: donde il male e perché? donde l'uomo e come egli è sorto?

Ed ecco il problema che ultimamente Valentino s'è posto: donde Iddio?

Deriva dall'Entimesi o dall'Ectroma?8

O Aristotele, mal facesti, tu, che hai loro insegnato la dialettica, arte abile ugualmente e a costruire e a distruggere, diversa e sfuggevole nelle sue asserzioni, immoderata, sforzata nelle sue congetture; aspra, difficile nelle sue argomentazioni, che crea con facilità contrasti; laboriosa e molesta talvolta a sé stessa, che tutto pone in discussione sottile, perché appunto nulla sfugga all'attento e minuzioso esame di lei!

Di qui proprio derivano quei racconti favolosi ( 1 Tm 1,4; 2 Tm 2,17; Tt 3,9 ), quelle genealogie interminabili, quelle questioni lunghe ed oziose, quelle discussioni sottili, che s'insinuano negli animi come qualcosa di malefico che ti consuma e ti uccide.

L'Apostolo, quando vuole preservarci da quello che è male, ci avverte appunto di star bene in guardia contro l'opera della filosofia: egli la ricorda chiaramente, espressamente: scrive ai Colossesi: Guardatevi, perché non vi sia qualcuno che non v'inganni colla filosofia, che, con vane apparenze di verità, non vi tragga fuori dalla retta strada, secondo l'umana tradizione e contrariamente alla provvidenza dello Spirito Santo ( Col 2,8 ).

Paolo era stato in Atene ( At 17,15 ), e questa specie di umana sapienza l'aveva ben conosciuta colle relazioni che aveva avuto coi filosofi: pretende essa alla verità, ma non fa che impedire il raggiungimento di questa, e, divisa com'è in una quantità di sette contrastanti intimamente fra loro, da luogo a credenze varie e contraddittorie.

Può esservì forse qualcosa di comune fra Atene e Gerusalemme? quale relazione potrà stabilirsi fra la Chiesa e l'accademia?9 fra gli eretici e i Cristiani?

È dal portico di Salomone che la nostra dottrina trae l'origine sua ( At 5,12 ); fu lui stesso che ci ha insegnato che Iddio si deve cercare nella semplicità e nella bontà del nostro cuore.

Se la vedano un po' coloro che hanno messo fuori un Cristianesimo stoico, platonico, dialettico.

Che bisogno abbiamo noi di ricerche, dopo Gesù Cristo? che cosa dobbiamo richiedere noi, dopo che abbiamo avuto il Vangelo?

Noi fermamente crediamo, e non sentiamo più desiderio di credere oltre: perché questo soprattutto è il canone fondamentale della dottrina nostra: il non esservi altra cosa da credere, al di là di ciò che già noi sinceramente crediamo.

VIII - Cercate e troverete, è stato detto, ma è pur necessario intendere sì valore dell' espressione

Vengo ora dunque a quel punto, su cui si basano i nostri, per giustificare il loro principio di continua ricerca e che gli eretici cercano d'infiltrare, per indurre negli animi dubbi che possono spingerli alle loro credenze: dicono dunque costoro: è stato pur scritto « cercate e voi troverete » ( Mt 7,7 ); parole del Vangelo queste.

Ricordiamo, dunque, quando il Signore pronunziò tale frase: io credo, appunto, che ciò avvenisse agli albori della diffusione della Sua dottrina, quando ancora in tutti era forte il dubbio, se fosse stato Egli veramente il Cristo.

Pietro ancora non l'aveva dichiarato « Figlio di Dio » ( Mt 16,13-16) e Giovanni stesso non aveva ancora avuto l'assoluta sicurezza su di Lui.

E fu giustamente che allora si disse: « Cercate e troverete ».

Bisognava infatti cercare quello che era ancora sconosciuto: e ciò s'indirizzava ai Giudei ( Mt 11,1 ): era proprio a loro che si rivolgeva questa parola di rimprovero, a loro, dico, che sapevano bene dove cercare Cristo.

Hanno costoro, Egli disse, Mosè ed Elia ( Lc 16,29 ); cioè a dire la legge e i profeti, annunziatori del Cristo.

Dopo di che, Egli disse altrove apertamente: Esaminate le Sacre Scritture, dalle quali voi attendete la salvezza; sono quelle che parlano di Me: ( Gv 5,39 ) ecco quello che vorrà dire: cercate e troverete.

Ed è chiaro anche che quel che segue, riguarda i Giudei: Bussate e vi sarà aperto: prima i Giudei erano stati ligi a Dio, poi, per le loro colpe, allontanati, cominciarono ad esser fuori dalla grazia divina.

Ma i gentili non mai furono nella casa di Dio, o almeno lo erano come una goccia che cade in un secchio o un granello di polvere in un'aia ( Is 10,4-5 ); ma in ogni modo ne erano sempre fuori.

Ma colui che è stato sempre al di fuori, come farà a bussare là dove non è mai stato? qual conoscenza potrà avere di una porta che non ha mai oltrepassato, né per entrare, né per uscire?

O forse non avverrà piuttosto che busserà colui che saprà d'essere stato oltre quella porta e d'esserne stato poi allontanato, ma che pure conosce bene dove deve bussare?

Così anche il precetto « domandate e riceverete » conviene bene a coloro che sapevano a chi bisognasse domandare; e avrebbero ricevuto da chi aveva promesso, cioè dal Dio di Abramo, d'Isacco, di Giacobbe, che i gentili non conoscevano, più di quello che non conoscessero le promesse di Lui.

Ed era per questo che il Signore parlava al popolo d'Israele: io non sono stato inviato che per le pecorelle smarrite della casa di Israele ( Mt 15,24 ).

Egli non gettava ancora ai cani il pane dei Suoi figli ( Mt 15,26 ): Egli ancora non aveva ordinato di camminare, per rintracciare le nazioni tutte; e se pure alla fine comandò ai Discepoli d'andare a insegnare e a portare il Sacramento del Battesimo ai gentili, dopo che costoro avessero ricevuti in sé i doni dello Spirito Santo, del Paracleto, che avrebbe dovuto condurli al lume di ogni più fulgida verità ( Mt 10,5; Mt 28,19-20; Gv 16,13 ), questo tende in fondo allo stesso suo scopo, sempre: che se gli Apostoli stessi, destinati come maestri alle genti, dovevano essi stessi ricevere come loro guida lo Spirito Santo, il Paracleto, tanto più varrà l'espressione « cercate e troverete » nel nostro riguardo, in quanto la dottrina doveva arrivare a noi direttamente dagli Apostoli, che a loro volta l'attingevano dallo Spirito Santo.

Tutte le parole del Signore sono indirizzate a tutti gli uomini, certamente, e attraverso i Giudei sono arrivate a noi; ma nella loro massima parte, esse, dal momento che sono rivolte ai Giudei personalmente, non rappresentano per noi, a dirla con tutta verità, un ammonimento, quanto invece hanno la forza dell'esempio.

IX - Nulla è da ricercare, dopo che siamo giunti all'intelligenza della dottrina di Cristo

Ma ormai, io, proprio di mia spontanea volontà, mi allontano e abbandono la posizione su cui mi ero posto dianzi.

Ecco: il precetto « cercate e troverete » ( Mt 7,7-8 ) è rivolto, così, in generale, a tutti; ammettiamo ciò: ma anche pensando così, la forza della mia ragione reclama che io proceda a delle considerazioni, e studi in me stesso la cosa.

Non può esistere parola la quale discenda dalla divinità, che manchi di tale carattere di armonia e di coerenza, da doverne cercar solo una difesa formale, senza che non dobbiamo intenderla nel significato più riposto ed intimo dell'espressione.

In primo luogo dunque io pongo come base questo principio: Cristo è stato Colui che ha stabilito un fondamento sicuro, unico, organico, cui le genti debbono in ogni modo prestar fede; ed è perciò doveroso farne ricerca, perché ognuno possa, quando questo principio sia stato trovato, prestare ad esso la debita fede.

Di questo principio unico, infallibile dunque la ricerca non può avvenire, senza che questa non abbia poi un termine.

Bisogna insomma che la ricerca avvenga, finche tu non trovi questa luce di verità; ma quando tu l'abbia scoperta, devi ad essa credere fermamente: e non si domanda poi che tu faccia di più, se non di saper custodire, con ogni diligenza, gelosamente, quello che una volta tu sia arrivato a credere.

E fissa stabilmente anche questo punto nell'animo tuo: come non si debba affatto prestare ad altro fede, e perciò, come non sia necessario ricercare altro, dopo che tu abbia potuto trovare e fermare la tua fede nei principi che Cristo ha stabilito: è proprio Lui che non vuole da te altra opera che questa: che tu, appunto, non avanzi nelle tue ricerche al di là di quanto Egli fermò col Suo insegnamento.

Ci sarà forse qualcuno che possa sollevare dei dubbi sulla dottrina che Cristo ha tramandato?

Ebbene, presso di noi sta, oh! Io sappia costui, quasi in sua propria sede, quella somma di dottrine e d'insegnamenti che il Signore ci ha tramandato.

Si; presso di noi!

Ed è per questo che io, sicuro della rettitudine del pensiero mio, mi faccio avanti pronunziando parole di esortazione per certi Cristiani, perché essi non pensino che sia dovere di far ricerca, anche al di là di quanto essi già prima pensarono che fosse loro obbligo di fare oggetto di ricerca stessa, e non diano quindi all'espressione « cercate e troverete » una estensione fuori dell'ambito di un criterio logico e giusto.

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1 Ermogene: è interessante di lui il ritratto che ce ne ha lasciato lo stesso Tertulliano (Ad. Hermog. I.): dalia irrequietezza del suo carattere era naturalmente portato verso l'eresia: crede d'esser facondo, perché parla molto e alla sfacciataggine suoi dare il nome di fermezza. Ufficio di coscienza virtuosa per lui è il dir male di tutti. Dipinge per giunta quel che non è lecito e passa continuamente da un matrimonio ad un altro: invoca da un lato la legge di Dio a sfogo della sua passione, e la disprezza dall'altro in vantaggio della sua arte: due volte falsario per il pennello e per lo stile, adultero fino alla radice dei capelli e nella dottrina e nella carne. In lui senti il fetido contagio di coloro che amano celebrar nuove nozze… L'eresia di Ermogene era fondata sui dissìdio fra Dio e materia, ed egli, subendo in gran parte l'influenza della dottrina stoica, credeva nell'esistenza di una materia prima dalla quale Dio avrebbe prodotto il mondo e da questa materia sarebbe derivato non solo il corpo ma l'anima dell'uomo: l'eretico poi ammetteva l'identificazione del Padre e del Figlio.
2 Eresia, dal verbo greco ai9re/w: ai3resij : significa propriamente scelta, in quanto uno,
allontanandosi dalla vera credenza, segue a suo piacimento un'altra dottrina.
3 Filumenei sembra che costei fosse una donna di Alessandria, la quale, invasata da spirito diabolico, andasse profetando. Apelle sembra che abbia avuto relazioni con costei e ne divenisse seguace e scrivesse le Profezie e le Rivelazioni di Filumene.
4 Eoni: fu di Valentino questa teoria. Egli nacque in Egitto, e seguì l'eresia gnostica; fu autore del sistema eclettico piò ampio, in cui si uniscono elementi varî, tratti dalla teosofia orientale, dalla dottrina dei Pitagorici, degli stoici e dei sacerdoti egizi; insegnò a Roma verso l'anno 140; ebbe molti discepoli fra i quali, i principali, Eracleone, Tolomeo, Marcos, Bardesane. Eoni : le eternità. Gli gnostici chiamavano cosi, a causa della loro eternità, le emanazioni o proiezioni che, secondo la loro dottrina, colmavano l'intervallo fra la materia e lo spirito, mettendo in contatto questi due principi da essi concepiti come opposti e irriducibili. Gli Eoni si cambiavano in Sigizie o coniugazioni a coppie e in pleromi. Pleroma era detta dagli gnostici la pienezza dell'essere, il complesso degli Eoni in numero di trenta. L'eresia di Valentino si diffuse fra l'epoca di Adriano e di Antonino Pio: senza credere che la
ragione del suo distacco dalla Chiesa fosse la sua mancata elezione, alla carica episcopale, pure, secondo quanto afferma Tertulliano stesso (Adversus Valent. 4), ne può essere stata la ragione occasionale: "Speraverat episcopatum Valentinus, quia et ingenio poterat et eloquio. Sed alium ex martyrii praerogativa loci potitum indignatus, de Ecclesia authenticae regulae abrupit. Ut solent animi pro prioratu exciti praesumptione ultionis accendi, ad expugnandam conversus veritatem et cuiusdam veteris opinionis semitam nactus, aestu colubroso viam deliniavit". La sua dottrina eonologica si dice che l'avesse ricevuta da un certo Theodas, compagno dell'Apostolo Paolo. Al sommo delle cose eterne, incomprensibili, si trova l'abisso , cioè il Padre non generato, e la sua compagna Segè: il Silenzio. Da questi primi due Eoni balza fuori, come estrinsecazione dell'assoluto, un seme dal quale, a sua volta, nascono altri due Eoni: l'Intelletto e la Verità, da cui, con successivo processo, il Verbo e la Vita, l'Uomo ideale e la comunità di vita ; dalla prima delle quali coppie scaturiscono altri dieci Eoni, dalla seconda altri dodici, formando così un numero complessivo di trenta, quindici di natura maschile e altrettanti femminile; divisi in un aggruppamento di otto (Ogdoade), di dieci (Decade), di dodici (Dodecade): tutti uniti formano il Pleroma. "Società perfetta degli esseri ineffabili". Desiderio degli Eoni è di conoscere il primo principio che è l'abisso, ma ciò non può essere ottenuto che dal primo figlio, l'Intelletto, e fra gli Eoni ve n'è uno che aspira più di ciascun altro al principio originario ed è l'ultimo di essi: la Sapienza (sofi/a) la quale, in questa tendenza alle regioni superne della luce, corre rischio di dissolversi se il termine d'ogni realtà non intervenisse: esso è detto Horos (o3roj). Intanto dalla coppia di Eoni, Intelletto e Verità, emanano, come sedicesima coppia, il Cristo e lo Spirito Santo e da essi gli altri Eoni comprendono come debba regolarsi la relazione col principio primo, che non è concesso comprendere, e allora, in uno slancio di gratitudine verso il Padre, dal seno degli Eoni, tutti uniti in questa adorazione al principio, emana Gesù Salvatore, che sarebbe così il trentatreesimo Eone. Ma la Saggezza, nello sforzo da lei compiuto per il raggiungimento del Principio Primo, ha generato imperfettamente una creatura dal nome Achamoth , figlio dunque del travaglio solitario di conoscere l'Essere Supremo. Achamoth sprofonda nel Caos dal quale Cristo e Gesù Salvatore lo sollevano, dando a lui la facoltà dì conoscere e di liberarsi dalle passioni: allora si viene alla formazione della materia inanimata (u9likh&) in quanto Achamoth mantiene la sua impurità originaria; la materia animata e spirituale per un processo di sempre maggior purità ed elevazione. Da Achamoth ha origine il Demiurgo che crea ormai non più le tre sostanze, materiale, psichica, e pneumatica come Achamoth, ma il mondo e l'Uomo che può essere di sostanza materiale carnale di natura animale di natura spirituale. In Gesù di Nazareth appare il Redentore che consta di quattro elementi, uno apparentemente corporeo, lo psichico, il pneumatico, il divino proprio del Pleroma, e su lui discende in forma di Colomba l'Eone Gesù Salvatore, che risale alla perfezione del Pleroma quando il Redentore muore, portando seco l' elemento pneumatico o spirituale del Redentore, lasciando ai tormenti gli altri elementi di cui Egli risulta.
5 Marcione, seguace di Cerdone, gnostico, della Siria: nel 144 venne a rottura colla Chiesa: fondò una dottrina basata sul dualismo, che si concreta appunto in un dualismo fra due principi eterni e increati di un Dio buono e di uno giusto, ma anche cattivo, il quale ultimo è il creatore del mondo. La dottrina stoica fu fondata da lenone, dì Cizico in Cipro e gli Stoici credevano che il principio attivo o dinamico sia una forza sempre in azione, informatrice della materia e la muove e la organizza: l'esistenza stessa del corpo non è possibile che così: occorre alla materia un principio di unità che ne mantenga le parti, che le tenga insieme, come occorre alla forza un sustrato in cui essa risieda e nel quale agisca: l'uno non può stare senza dell'altro: gli Stoici chiamano questa forza , ragione, o anche Dio, forza divina.
6 La scuola Epicurea fu fondata da Epicuro in Atene (341-270) nel 3° Sec. A. C. e durò fino al 4° Sec. D. C.: furono seguaci di questa dottrina Metrodoro, Ermarco, Polistrato, Apollodoro, Diogene di Tarso, Fedro; in Roma Amafinio, Pomponio Attico, T. Lucrezio Caro, che l'espose nel suo poema "De rerum natura". Questo sistema esclude ogni intervento divino e ogni finalità nella natura, nella quale non scorgeva che cause meccaniche; pone il criterio del vero nella certezza data dalla sensazione e il fine supremo della condotta fa consistere non già nel piacere grossolano e immediato dei sensi, ma nella felicità che è data, per quel che riguarda il corpo, dall' assenza del dolore (a0poni/a) e, per ciò che concerne l'animo, dalla tranquillità (a0taraci/a). L'anima è mortale: la materialità dell'anima e la sua mortalità sono i due dogmi fondamentali della psicologia epicurea.
7 Eraclito (540-480) poneva il fuoco come principio, come fondamento e simbolo della sostanza del mondo. Zenone sostiene un panteismo materiale, confondendo la natura con Dio: Dio, o la ragione cosmica, è dappertutto; è il mondo stesso nel suo carattere razionale e nella sua perfezione, è un Dio immanente che s'identifica col mondo e il mondo tutto è come un immenso vivente immortale, di cui tutte le parti cospirano insieme e si corrispondono. Di qui quella parentela di tutte le cose che fanno un tutto unico simpatizzante con sè stesso: quella consentiens, conspirans, continuata cognatio rerum di cui parla Cicerone e che non sarebbe possibile, se tutte le cose non fossero contenute da un solo divino e continuato spirito (Melli).
8 Entimesi: animazione della Sapienza Superiore come Eone a sè separato dal Pleroma o mondo ideale superiore: Ectroma: significherebbe: l'ultimo degli Eoni: Cristo.
9 Platone insegnò negli orti di Academo, i quali rimasero poi la sede della sua scuola detta perciò Accademia: essa durò fino al VI sec. D. C. e si divide in tre periodi: la vecchia Accademia ingolfatasi con Spensippo, Xenocrate e Crantore nella metafisica pitagoreggiante, e in astruso dommatismo; la media, caduta nello scetticismo con Cameade e Arcesilao; la nuova, tornata al primitivo dommatismo con Filone di Larissa e Antioco di Ascalona.