L'anima dell'apostolato

Indice

c) Produce nell'apostolo l'Irradiamento soprannaturale.

Quanto è efficace questo irradiamento

Uno dei più seri ostacoli alla conversione di un'anima è che Dio è un Dio nascosto: Deus absconditus.160

Però, per effetto della sua bontà, Dio si svela in qualche modo per mezzo dei suoi Santi e anche per mezzo delle anime fervorose.

Il soprannaturale traspira così agli occhi dei fedeli che scorgono qualche cosa del mistero di Dio.

Che cosa è dunque questa diffusione del soprannaturale?

Non sarebbe esso lo splendore della santità, lo splendore dell'influsso divino che la teologia chiama brevemente grazia santificante, o meglio ancora forse il risultato dell'ineffabile presenza delle Persone divine nelle anime da esse santificate!

San Basilio non la spiegava diversamente: quando lo Spirito Santo, egli dice, si unisce alle anime purificate dalla sua grazia, le rende più spirituali; come il sole rende più risplendente il cristallo che tocca e penetra col suo raggio, lo Spirito santificatore rende più luminose le anime in cui abita, e per la sua presenza esse diventano come focolari che diffondono intorno a sè la grazia e la carità.161

Questa manifestazione del divino, che appariva in un gesto e persino nel riposo dell'Uomo-Dio, la vediamo in certe anime dotate di una più intensa vita interiore.

Le conversioni meravigliose operate da certi Santi con la fama delle loro virtù, le migliaia di aspiranti a vita perfetta, i quali venivano a chiedere di seguirli, dicono chiaramente il segreto del loro silenzioso apostolato.

Cosi con sant'Antonio si popolano i deserti dell'Oriente;

per opera di san Benedetto sorge la falange innumerevole di Santi religiosi che civilizzano l'Europa;

un'influenza non più vista è esercitata da san Bernardo nella Chiesa, sui re e sui popoli;

san Vincenzo Ferreri eccita al suo passaggio un entusiasmo indescrivibile di innumerevoli moltitudini e più ancora determina la loro conversione;

al seguito di sant'Ignazio sorge quell'esercito di valorosi, un solo dei quali, il Saverio, basta a rigenerare una incredibile quantità di pagani.

Soltanto l'irradiamento della potenza di Dio stesso attraverso strumenti umani può spiegare tali miracoli.

Che disgrazia quando tra le persone che sono a capo di istituzioni importanti non ve n'è nessuna veramente interiore!

Il soprannaturale sembra eclissato, e la potenza di Dio è come incatenata; allora, come c'insegnano i Santi, un paese decade, e sembra che la Provvidenza lasci ai cattivi ogni potere di nuocere.

Le anime, non dimentichiamolo, percepiscono come per istinto e senza neppure definire chiaramente quello che provano, questa irradiazione del soprannaturale; perciò vedete come volentieri viene a prostrarsi ai piedi del sacerdote e ad implorarne il perdono, il peccatore che riconosce Dio stesso nel suo rappresentante!

E invece dal giorno in cui il concetto integrale della santità cessa di essere l'ideale necessario del ministro di una setta cristiana, questa si trova infallantemente costretta ad abolire la confessione.

Joannes quidem signum fedi nullum.162

Senza fare miracoli, Giovanni attrae le moltitudini.

La voce del santo Curato d'Ars era troppo esile per giungere alla folla che si pigiava intorno a lui; ma se poco lo udivano, lo vedevano; vedevano un uomo che portava Dio in sè, e quella sola vista soggiogava i presenti e li convertiva.

A un avvocato che ritornava da Ars, fu domandato da che cosa fosse stato colpito, ed egli rispose: Io ho veduto Dio in un uomo.

Ci sia permesso di riassumere tutto con una similitudine un po' volgare: è noto questo esperimento di fisica: una persona posta sopra un isolatore è messa in comunicazione con una macchina elettrica; il suo corpo si carica di fluido e, se viene toccata, manda una scintilla che dà una scossa a chi la tocca.

Lo stesso avviene nell'uomo di vita interiore: quando è staccato dalle creature, si stabilisce tra Gesù e lui una comunicazione incessante, come una corrente continua; l'apostolo divenuto un accumulatore di vita soprannaturale condensa in sè un fluido divino che varia e si adatta alle circostanze e a tutti i bisogni del centro in cui agisce.

Virtus de illo exibat et sanabat omnes.163

Parole e azioni in lui non sono più altro che effluvi di quella forza latente, ma capace di rovesciare gli ostacoli, di ottenere conversioni, di accrescere il fervore.

Quanto più vi sono in un cuore le virtù teologali, tanto più tali effluvi aiutano a far nascere le stesse virtù nelle anime.

Con la vita interiore l'apostolo irradia la fede.

La presenza di Dio in lui è manifesta alle persone che lo ascoltano.

Come san Bernardo del quale si dice: Solitudinem cordis circumferens ubique solus erat, egli si isola dagli altri e cosi si forma una solitudine interiore, ma s'indovina che egli non è solo, che ha nel cuore un ospite misterioso e intimo col quale ogni momento egli viene a discorrere, che parla secondo la sua direzione, i suoi consigli, i suoi ordini.

Si sente che egli è sostenuto e guidato da lui e che le parole che escono dalla sua bocca sono l'eco fedele di quelle del Verbo interiore: Quasi sermones Dei.164

Allora non apparisce tanto la logica e la forza degli argomenti, quanto piuttosto il Verbo interiore, il Verbum docene che parla per bocca della sua creatura: Verba quae ego loquor vobis, a meipso non loquor; Pater autem in me manens, ipse faeit opera.165

È un'influenza profonda e duratura, assai più profonda ohe l'ammirazione superficiale o la divozione passeggera che può far nascere l'uomo privo di spirito interiore.

Questi potrà far dire al suo uditore: « Questa cosa sembra vera e importante »; ma questo sentimento è di per sè affatto insufficiente a condurre alla fede soprannaturale e a far vivere di questa fede.

Fra Gabriele, converso trappista,166 nell'esercizio delle umili funzioni di vice-forestieraio, ravvivava la fede di molti visitatori assai più che non avrebbe fatto un sacerdote dotto, ma il cui linguaggio parla meno al cuore ohe alla mente.

Il generale de Miribel veniva talora a trattenersi con l'umile frate e si compiaceva nel ripetere: Vengo a ritemprarmi nella fede.

Non si predicò mai, nè si discusse, nè si scrissero dotti libri apologetici quanto ai nostri giorni, e forse, almeno considerando soltanto la massa dei fedeli, non fu mai meno viva la fede.

Troppo spesso coloro che hanno la missione d'insegnare, sembra che vedano nell'atto di fede un solo atto dell'intelligenza, mentre esso dipende pure dalla volontà; dimenticano che il credere è un dono soprannaturale e che tra la percezione dei motivi di credibilità e l'atto di fede definitivo corre un abisso.

Dio solo e la buona volontà di colui che viene istruito, colmano quell'abisso, ma quanto aiuta a colmarlo il riflesso della luce divina prodotto dalla santità di colui che insegna!

Irradia speranza.

L'uomo di orazione non può fare a meno d'irradiare la speranza: la sua fede lo ha stabilito per sempre nella convinzione, che la felicità si trova soltanto in Dio.

E allora come è convincente la sua parola, quando parla del cielo, e di quali mezzi dispone per consolare!

Il mezzo migliore per farsi ascoltare dagli uomini, è di offrire loro il segreto di portare allegramente la croce che è la porzione di ogni mortale.

Insieme con l'Eucaristia, la speranza del cielo racchiude tale segreto.

Come è viva la parola confortatrice dell'uomo il quale può, senza mentire, applicare a se stesso il detto: Nostra conversatio in coélis est!.167

Altri potrà forse con più parole e con più retorica parlare delle gioie della patria celeste, ma i suoi discorsi saranno senza frutto.

Una parola del primo, parola convincente e rivelatrice dello stato dell'anima di chi la dice, varrà a calmare quel turbamento, a confortare quel dolore, a far accettare con rassegnazione una pena straziante.

La virtù della speranza, dall'uomo interiore si è comunicata irresistibilmente a un'anima che forse non ne era stata mai riscaldata e che stava per cadere nella disperazione.

Irradia la carità.

L'anima che si vuole santificare, desidera soprattutto di possedere la carità; lo scopo dell'uomo interiore è la compenetrazione di Gesù e dell'anima, il Manet in me et ego in eo.

I predicatori esperti sono unanimi nel riconoscerlo: se le prime prediche sulla morte, sul giudizio, sull'inferno, sono indispensabili e sempre salutari in un ritiro spirituale o in una missione, la predica sull'amore di Gesù Cristo ordinariamente produce un'impressione ancora più salutare; se è fatta da un vero apostolo capace d'infondere negli uditori i sentimenti che lo animano, essa è di sicuro effetto e opera le conversioni.

Quando si tratta di togliere un'anima dalla colpa o di condurla dal fervore alla perfezione, l'amore di Gesù è la leva più potente.

Il cristiano immerso nel fango del peccato, ma capace di scorgere nel suo simile un amore ardente, acceso alle realtà invisibili, e che d'altra parte consideri la delusione e il vuoto degli amori terreni, incomincia a sentirsi disgustato del peccato; egli ha compreso qualche cosa di Dio, qualche cosa dell'immenso amore di Gesù per la sua creatura; ha sentito in se un sussulto della grazia latente del suo battesimo e della sua prima comunione.

Gesù gli si è presentato vivo, perchè le tenerezze del suo Cuore trasparivano dal volto e dalla voce del suo ministro.

Egli ha intravveduto un altro amore, un amore nobile, puro, ardente, e si è detto: Dunque è possibile quaggiù amare con un amore più forte che quello delle creature.

Ancora qualche manifestazione più intima del Dio-Amore per mezzo del suo araldo, e l'anima uscirà dal fango in cui era immersa, e non la spaventeranno più i sacrifìci necessari per acquistare il tesoro dell'amore divino a lei quasi sconosciuto prima di allora.

Anche senza svolgere di più questo pensiero, già si vede abbastanza quali aumenti di amore, e perciò quale progresso, può il vero pastore assicurare nelle anime già uscite dal peccato o già fervorose.

Anche gli uomini di azione non rivestiti del sacerdozio faranno nascere intorno a sè, con la loro carità ardente, la più eccellente delle virtù teologali.

Irradia la bontà.

Lo zelo che non è caritatevole, direbbe san Francesco di Sales, deriva da carità non vera.

Un'anima che gusti, per mezzo dell'orazione, la soavità di Colui che la Chiesa chiama bonitatis oceanus,168 arriva a trasformarsi; ancorché fosse naturalmente portata all'egoismo e alla durezza, tutti questi difetti scompariranno a poco a poco.

Nutrendosi di Colui nel quale appare la benignità di Dio sul mondo: benignitas et humanitas appartiti Salvatoris nostri Dei,169 di colui che è l'immagine, l'espressione giusta della Bontà divina: imago Bonitatis illius,170 l'apostolo partecipa alla beneficenza di Dio e sente il bisogno di essere come lui diffusivo.

Un cuore quanto più è unito a Gesù Cristo, tanto più partecipa della prima qualità del Cuore divino e umano del Redentore, della sua Bontà.

Indulgenza, benevolenza, compassione, tutto in lui è moltiplicato, e la sua generosità e la sua abnegazione arriveranno fino all'immolazione allegra e magnanima.

L'apostolo, trasfigurato dall'amore divino, si attirerà facilmente la simpatia delle anime: in bonitate et alacritate animae suae placit;171 le sue parole e le sue azioni saranno piene di bontà, di una bontà disinteressata che non assomiglia a quella ispirata dal desiderio di popolarità o da un egoismo raffinato.

Il P. Lacordaire dice: « Dio volle che non si facesse nessun beneficio all'uomo, se non amandolo, e che l'insensibilità fosse sempre incapace di dargli la luce e d'ispirargli la virtù ».

Infatti se la forza vuole imporsi, noi ci facciamo un vanto nel resisterle; se la scienza pretende di sempre convincere, noi per puntiglio opponiamo delle obbiezioni; ma siccome noi ci sentiamo punto umiliati quando la bontà ci disarma, facilmente cediamo al fascino della sua condotta.

La piccola suora dei poveri, la piccola suora dell'Assunzione, la Figlia della Carità, potrebbero citare molte conversioni fatte senza discutere, con la sola forza di una bontà instancabile e spesso eroica.

Qui vi è Dio, esclama l'empio e il peccatore dinanzi a tanta abnegazione; io lo vedo questo Dio buono; e buono dev'essere davvero, se il trattare con Lui rende un essere così delicato, capace di calpestare il suo amor proprio e di far tacere le sue più giuste ripugnanze!

Questi angeli della terra sono l'espressione vivente di questa definizione del P. Faber: La bontà è l'effusione di sè negli altri; essere buono vuol dire mettere gli altri al posto di sè.

La bontà convertì più peccatori che non lo zelo, l'eloquenza e l'istruzione, e queste tre cose non convertirono mai nessuno, se non c'entrava anche la bontà.

In una parola, la bontà ci fa altrettanti dèi, gli uni per gli altri.

La manifestazione di tali sentimenti negli uomini apostolici è quella che attira a loro i peccatori e li conduce alla conversione.

E soggiunge: La bontà si mostra dovunque il miglior pioniere del Prezioso Sangue …

Certamente i terrori del Signore sono spesso il principio di quella sapienza che si chiama conversione, ma bisogna spaventare gli uomini con bontà, altrimenti il timore farà soltanto degl'infedeli …172

Abbiate il cuore di una madre, dice san Vincenzo Ferreri, sia che dobbiate incoraggiare, sia che dobbiate spaventare, mostrate a tutti le viscere di una tenera carità, e senta il peccatore che essa ispira le vostre parole.

Se volete essere utili alle anime, incominciate con ricorrere di cuore a Dio, affinchè v'infonda questa carità in cui si riassumono tutte le virtù, affinchè per mezzo di essa otteniate lo scopo che vi siete prefisso.173

Tra la bontà naturale, semplice frutto del temperamento, e la bontà soprannaturale di un'anima apostolica, vi è tutta la distanza che corre tra l'umano e il divino.

La prima potrà far nascere il rispetto, anche la simpatia verso l'operaio evangelico, e talora può far deviare verso la creatura un'affezione che era dovuta a Dio; essa non arriverà mai a determinare le anime a fare, davvero per amore di Dio, il sacrificio necessario per ritornare al loro Creatore: soltanto la bontà che deriva dall'intimità con Gesù, può produrre tale effetto.

L'amore ardente per Gesù e la vera direzione delle anime dà all'apostolo tutte le audacie compatibili con il tatto e la prudenza.

Un illustre secolare ci raccontava che, conversando egli con san Pio X, si era lasciata sfuggire qualche parola mordace contro un nemico della Chiesa, e che il Papa gli disse: « Figlio mio, io non approvo il vostro linguaggio; per punizione, ascoltate questa storia: Un sacerdote che conobbi molto bene, arrivava nella sua prima parrocchia e credette bene di visitare tutte le famiglie, non esclusi gli ebrei, i protestanti e neppure i framassoni, e poi annunziò dal pulpito, che ogni anno avrebbe ripetuto la sua visita.

Fu un gran chiacchierare tra i suoi confratelli che se ne lagnarono con il Vescovo; questi chiamò subito a sè l'accusato e gli fece un severo ammonimento; ma il parroco modestamente gli rispose: "Monsignore, nel Vangelo vedo che Gesù comanda al pastore di ricondurre tutte le pecorelle all'ovile: oportet illas adducere; e come è possibile ciò, se non si vanno a cercare?

Del resto io non transigo mai sui princìpi e mi limito a dimostrare il mio interessamento e la mia carità a tutte le anime, anche traviate, che Dio mi ha affidate.

Annunziai dal pulpito tali visite, ma se è vostro desiderio che me ne astenga, degnatevi di darmene il divieto per iscritto, affinchè si sappia che io non faccio altro che obbedire ai vostri comandi".

Il Vescovo fu toccato da queste giuste parole e non insistette più.

L'avvenire poi diede ragione a quel sacerdote il quale ebbe la gioia di convertire alcuni di quei traviati e obbligò tutti gli altri a rispettare la nostra santa religione.

L'umile parroco è divenuto, per volontà di Dio, il Papa che vi dà questa lezione di carità.

Siate dunque intransigente sui princìpi, ma la vostra carità abbracci tutti, anche i peggiori nemici della Chiesa ».

Irradia l'umiltà

Facilmente si comprende come la bontà e la dolcezza di Gesù attirassero le moltitudini; ma si può attribuire lo stesso potere alla sua umiltà?

Io non ne dubito.

Sine me nihil potestis facere.174

L'apostolo, innalzato dal Creatore alla dignità di suo cooperatore, diventerà un agente di operazioni soprannaturali, ma a condizione che vi apparisca solo Gesù.

Quanto più egli saprà far scomparire se stesso e diventare impersonale, tanto più Gesù avrà cura di manifestarsi.

Ma senza questa impersonalità, l'apostolo pianterà e irrigherà inutilmente: non ne germoglierà nulla!

La vera umiltà possiede un fascino particolare di cui Gesù stesso è la sorgente; essa spira il Divino; allo zelo che spiega l'uomo di azione nel far scomparire se stesso perchè appaia soltanto Gesù: Illum oportet crescere me autem minui,175 corrisponde da parte di Nostro Signore il dono che Egli concede al suo ministro, di guadagnare sempre più i cuori.

Così l'umiltà diventa uno dei più grandi mezzi di azione sulle anime.

Credetemi, diceva san Vincenzo de' Paoli ai suoi sacerdoti, non saremo mai atti a fare l'opera di Dio, se non siamo persuasi che da noi soli siamo più capaci di guastare ogni cosa, che non a riuscire.

Qualcuno forse si meraviglierà perchè ritorno così spesso sugli stessi pensieri; a me sembra che soltanto col ripeterli potrò scolpirli nella mente dei miei cari lettori e mostrarne loro l'importanza.

Il fare arrogante, il tono di pretensione, non hanno forse spesso la loro parte nella infecondità delle opere?

Il cristiano « moderno » vuole conservare la propria indipendenza; accetterà di obbedire a Dio, ma solo a Dio; dal ministro di Dio egli non accetterà ordini nè direzione e neppure consigli, se non ci vede proprio la firma di Dio!

Perciò bisogna che l'apostolo sappia tanto nascondersi e scomparire, con la pratica dell'umiltà che è frutto della vita interiore, da arrivare al punto di non essere più, agli occhi di chi lo vede, altro che il trasparente di Dio e ad avverare in sè la parola del Maestro: Qui tnaior est vestrum erit minisler vester. Vos autem nolite vocari Babbi… nec vocemini Magistri.176

La sola vista dell'uomo interiore diventa un insegnamento della scienza della vita, cioè della scienza della preghiera.177

E perchè? Perchè con l'umiltà egli spira la dipendenza da Dio; e questa dipendenza nella quale quell'anima si mantiene continuamente, si manifesta con l'abitudine di ricorrere a Dio in ogni occasione, sia per prendere una decisione, sia per avere conforto in qualche difficoltà, sia soprattutto per ottenere la forza di trionfarne.

Nel Comune dei Confessori Pontefici, il sacerdote legge queste parole con le quali san Beda commenta così egregiamente l'espressione Pusillus grex: « Il Salvatore chiama piccolo il gregge degli eletti, sia perchè lo paragona alla moltitudine dei reprobi, sia più ancora per causa del suo zelo appasionato per l'umiltà, poiché per quanto numerosa ed estesa sia già la sua Chiesa, vuole tuttavia che essa cresca fino alla fine del mondo nell'umiltà e giunga cosi al Regno promesso all'umiltà ».178

Questo testo s'ispira alle gravi lezioni che Gesù dà agli Apostoli quando, per esempio, essi vogliono rivolgere a vantaggi personali la loro vocazione all'apostolato e si mostrano in quell'occasione cosi pieni di ambizione e di gelosia.

Voi lo sapete, dice loro, coloro che sembrano regnare sulle nazioni dominano su esse, e i grandi comandano imperiosamente al popolo; ma così non dev'essere tra di voi; chi è il più grande tra voi sia come il più piccolo, e colui che vuol essere il primo diventi il servo di tutti.179

Ma, dice Bourdaloue, con questo non viene indebolita l'autorità?

Vi sarà sempre abbastanza di autorità in mezzo a voi se vi sarà abbastanza di umiltà, e se l'umiltà se ne va, l'autorità diventa pesante e insopportabile.

Senza la vera umiltà, l'apostolo cadrà in uno dei due eccessi: o di una esagerata indulgenza o, più spesso, in una tendenza al despotismo.

Non facciamo qui questione di dottrina: supponiamo che l'apostolo sia abbastanza illuminato da preservare la sua intelligenza da una tolleranza senza limiti e da una durezza di zelo che non piacerebbe a Dio; i suoi princìpi sono perfettamente sani e la sua scienza è giusta.

Ciò posto, noi affermiamo che senza l'umiltà l'apostolo non potrà tenere il giusto mezzo tra i due estremi, e nella sua condotta si manifesterà la vigliaccheria o più spesso la superbia.

Oppure, cedendo a una falsa umiltà, sarà pusillanime, lascerà che lo spirito di carità degeneri in debolezza, sarà l'uomo delle concessioni esagerate, delle conciliazioni a qualunque costo, e il suo zelo di conservare intatti i princìpi scomparirà sotto mille pretesti, sotto ragioni di prudenza o sotto calcoli meschini.

Oppure lo spirito della natura e la cattiva direzione della volontà metteranno di mezzo la superbia, la suscettibilità, l'Io; di cui odi personali, « autoritarismo », rancori, dispetti, rivalità, antipatie, parzialità, passione, rappresaglie, ambizione, gelosia, un desiderio affatto umano di dominare, calunnie, maldicenze, parole aspre, spirito di corpo affatto mondano, asprezza nel difendere i princìpi ecc.

La gloria di Dio, invece di restare il fine vero alla cui ricerca si nobilitano le nostre passioni, sarà ridotta da questo apostolo alla condizione di mezzo e di pretesto per sostenere, sviluppare e far scusare quelle stesse passioni in ciò che hanno di troppo umano.

I più piccoli attacchi alla gloria di Dio, alla Chiesa, solleveranno scatti d'ira in cui lo psicologo vedrà la difesa della personalità dell'operaio apostolico o dei privilegi della sua casta come società puramente umana, assai più che la devozione alla causa di Dio, sola ragione di essere della Chiesa come società perfetta stabilita da Dio.

La sicurezza di dottrina e il retto giudizio non bastano a preservare da tali deviazioni, perchè l'apostolo senza vita interiore, e perciò senza vera umiltà, sarà dominato dalle sue passioni.

Soltanto l'umiltà, conservandolo nella rettitudine di giudizio e distogliendolo dall'agire per impressione, metterà maggiore equilibrio e stabilità nella sua vita.

Unendolo a Dio, essa, per così dire, lo farà partecipe dell'immutabilità divina: così la fragile edera diventa forte e stabile della forza incrollabile della quercia, quando con tutte le sue fibre aderisce al tronco robusto di questa regina della foresta.

Dobbiamo dunque ammettere che senza l'umiltà, se non cadremo nel primo eccesso, la nostra natura ci porterà al secondo, oppure andremo ora verso l'uno ora verso l'altro, secondo le circostanze o le passioni.

Così si avvererà quello che dice san Tommaso: L'uomo è un essere mutevole; è costante solo nella sua incostanza.

Il risultato logico di un apostolato così difettoso sarà o il disprezzo di un'autorità pusillanime, o la diffidenza e spesso l'odio contro un'autorità che non è il riflesso di Dio.

Irradia la fermezza e la dolcezza

Molte volte i Santi si scagliarono con forza contro l'errore, lo scandalo e l'ipocrisia, e san Bernardo, l'oracolo del suo secolo, si può citare, mi sembra, come uno dei Santi il cui zelo dimostrò maggiore fermezza.

Ma nel leggere attentamente la sua vita, il lettore saprà distinguere fino a che punto la vita interiore avesse reso impersonale quest'uomo di Dio.

Egli ricorre alla fermezza soltanto dopo di aver constatato con evidenza l'inefficacia degli altri mezzi; spesso anzi li alterna e, nel suo grande amore per le anime, dopo di aver dimostrato, per rivendicare la dottrina, una santa indignazione e dopo di aver chiesto rimedi, riparazioni, pegni e promesse, lo vediamo darsi subito con dolcezza materna alla conversione di coloro che, per obbligo di coscienza, aveva dovuto combattere.

Mentre era senza pietà per gli errori di Abelardo, sapeva farsi amico colui che aveva ridotto vittoriosamente al silenzio.

Quando si tratta dei mezzi da adoperarsi, se la dottrina è fuori di questione, egli si erige a campione per impedire che gli ecclesiastici ricorrano alla violenza.

Venuto a sapere che si vuole fare strage degli Ebrei in Allemagna, lascia subito il chiostro per correre in loro difesa e per predicare una crociata di pace.

Infatti in un memoriabile documento che il P. Ratisbonne ricorda nella sua Vita di san Bernardo, il gran rabbino del paese esprime la sua ammirazione per il monaco di Chiaravalle « senza del quale, egli dice, nessuno di noi non sarebbe rimasto vivo in Allemagna ».

E invita le future generazioni degli Ebrei a non dimenticare mai il debito di gratitudine che essi hanno verso il santo Abate.

« Noi siamo, diceva san Bernardo in quell'occasione, i soldati della pace, siamo l'esercito dei Pacifici: Deo et paci militantibus.

La persuasione, l'esempio, l'abnegazione sono le sole armi degne dei figli del Vangelo ».

Soltanto la vita interiore può ottenere questo spirito impersonale di cui è improntato lo zelo di tutti i Santi.

Nel Chiablese, prima della venuta di san Francesco di Sales, tutti gli sforzi cadono a vuoto.

I capi del protestantesimo si prepararono a una lotta accanita; la setta si propone persino di uccidere il santo.

Ma questi si presenta raggiante di dolcezza e di umiltà; in lui si vede un uomo nel quale l'annientamento dell'Io fa risplendere l'amore di Dio e del prossimo.

La storia ci dice i risultati rapidi e appena verosimili di quell'apostolato.

Ma egli pure, il dolce san Francesco di Sales, quando fu necessario, seppe dimostrare una inesorabile fermezza: egli non esitò a invocare la forza delle leggi umane per confermare i risultati ottenuti con la soavità della sua parola e con l'esempio delle sue virtù.

Così il santo Vescovo consigliava al Duca di Savoia i severi provvedimenti contro la perfidia degli eretici.

I Santi non facevano altro che imitare il Maestro.

Nel Vangelo vediamo il Salvatore che accoglie con misericordia i peccatori, amico di Zaccheo e dei pubblicani, pieno di bontà verso gli ammalati, gli afflitti, gli umili.

Eppure Egli, la dolcezza e la mansuetudine incarnata, non esita a dar mano alla sferza per scacciare i mercanti dal Tempio.

Quanta severità e quanta forza nelle sue espressioni, quando parla di Erode o flagella i vizi degli Scribi e dei Farisei ipocriti!

Soltanto in certi rarissimi casi, dopo di aver adoperato invano gli altri mezzi, oppure quando è evidente che questi sarebbero inutili, si può, a malincuore, per evitare lo scandalo e perciò per carità, ricorrere a mezzi che sembrino violenti.

Eccetto questi casi e quando non vi è questiono di principi, la mansuetudine deve dominare nella condotta dell'operaio evangelico.

Si prendono più mosche, dice san Francesco di Sales, con una goccia di miele, che non con un barile di aceto.

Ricordiamo il biasimo dato da Gesù ai suoi Apostoli quando, urtati e umiliati nella loro dignità umana, e non già guidati da uno zelo puro e disinteressato, volevano ricorrere alla violenza e chiedevano che il fuoco del cielo scendesse sul borgo samaritano che non li voleva ricevere.

Voi non sapete, disse loro Gesù, di quale spirito siete.180

Un Vescovo della Francia, la cui fermezza nei principi è citata come modello, visitava ultimamente nella sua città vescovile le famiglie in lutto, in cui la recente guerra aveva fatto qualche vittima.

Facendosi tutto a tutti, andò a portare il conforto della sua parola a un calvinista che piangeva il figlio caduto sul campo di battaglia, e gli parlò con cuore commosso.

Tocco da questo atto di umile carità, quel protestante diceva poi : « È mai possibile che un Vescovo di famiglia così nobile e così illustre per la sua dottrina, si sia degnato, nonostante la diversità della mia religione, di entrare nella mia modesta casa?

Questo suo atto e le sue parole mi sono scese al cuore ».

L'industriale presso il quale era impiegato quel calvinista, raccontando il fatto, soggiungeva: « Per me, credo che questo protestante sia già per metà convertito; certamente il Vescovo con la sua dolcezza ha fatto ben più per la sua conversione, che non interminabili e vive discussioni ».

Quel pastore di anime manifestò la mansuetudine di Gesù; il protestante vide, per così dire, dinanzi a sè il Salvatore, e per forza dovette pensare: Una Chiesa nella quale vi sono Pontefici che rispecchiano cosi eccezionalmente Colui che io ammiro nel Vangelo, dev'essere la vera Chiesa.

La vita interiore mantiene ad un tempo lo spirito e la volontà al servizio del Vangelo.

Nè l'indolenza nè la violenza ingiustificata fanno deviare la direzione dell'anima che vede e opera secondo il Cuore di Gesù; essa attinge la sua prudenza e il suo ardore unicamente da questo Cuore adorabile: qui sta il segreto della sua riuscita.

Invece la mancanza di vita interiore, e perciò la manifestazione delle passioni umane, spiegano tante sconfitte.

Irradia la mortificazione

Lo spirito di mortificazione è un altro principio fecondatore dell'azione.

Tutto si riassume nella Croce.

Finché non si eia fatto penetrare nelle anime il mistero della Croce, non si sarà mai fatto altro che appena toccarle leggermente.

Ma chi dunque potrà far loro accettare un mistero che ripugna a questo orrore per i patimenti, così naturale alla creatura umana?

Soltanto colui che potrà dire col grande Apostolo: Christo confixus sum cruci.181

Ne saranno capaci coloro che portano in se stessi Gesù mortificato: Semper mortificationem Jesu in corpore nostro circumferentes ut vita Jesu manifestetur in corporibus nostris.182

Mortificarsi vuol dire riprodurre il Christus non sibi placuit,183 vuol dire rinunziare a sè in ogni circostanza, arrivare ad amare ciò che non piace, tendere insomma all'ideale di essere una vittima continuamente immolata.

Ora senza la vita interiore non possiamo giungere a svellere dalle radici i nostri più tenaci istinti.

Mentre il poverello d'Assisi, attraversando in silenzio le vie della città, predica con la sola sua presenza il mistero della Croce, l'apostolo che non è mortificato invano ripeterebbe lo splendido discorso di Bossuet sul Calvario; il mondo sta così trincerato nello spirito del piacere, che per demolire la sua cittadella non bastano gli argomenti comuni e neppure le idee sublimi: ci vuole la Passione resa come sensibile dalla mortificazione e dal distacco del ministro di Dio.

Inimicos crucis Christi, ripeterebbe san Paolo, nemici della Croce quei molti cristiani i quali nella Religione non redono altro che un'espressione della moda, un'abitudine di pratiche esteriori tradizionali che si compiono periodicamente con rispetto, si, ma senza che abbiano relazione con l'emendazione della vita, con la lotta contro le passioni e con l'introduzione dello spirito evangelico nei costumi.

Questo popolo sembra che mi onori, potrebbe dire il Signore, ma mi onora soltanto a parole, e il suo cuore è lontano da me.184

Inimicos crucis Christi, nemici della Croce quei cristiani effeminati che credono cosa indispensabile il circondarsi di tutte le comodità, il piegarsi a tutte le esigenze del mondo, l'abbandonarsi ai suoi piaceri disordinati, il seguirne appassionatamente tutte le mode, e si sentono urtati da quella parola che essi non comprendono più, ma che pure Gesù Cristo disse per tutti: Se non farete penitenza, perirete tutti egualmente.185

La Croce, secondo l'espressione di san Paolo, per essi è divenuta uno scandalo.186

Eppure senza la vita interiore, può l'apostolo produrre cristiani diversi da questi?

Un numeroso concorso a certe funzioni soddisferà certamente il cuore del vero sacerdote, ma lo lascerà senza entusiasmo, se egli non potrà attribuire tale concorso che all'abitudine, a una fedeltà rispettabile verso certe usanze di famiglia, a certe abitudini che non scomodano per nulla il corso della vita, oppure se ne scoprirà la causa nel piacere di trovare della buona musica, un sontuoso apparato, oppure di assistere a un esercizio di eloquenza di cui si viene ad ammirare soltanto la forma.

Almeno, sembrerebbe, non mancherà mai questo entusiasmo allo spettacolo della comunione frequente!

Mi viene alla mente un ricordo del mio viaggio negli Stati Uniti: attraversando certe parrocchie, mi sentivo pieno di gioia nell'udire che un bel numero di uomini erano fedeli alla comunione del primo venerdì del mese. « Homo videt in facie, Deus autem in corde,187 mi disse un santo sacerdote di New York; non dimenticatevi che siete in un paese dove il rispetto umano è sconosciuto e dove dappertutto si trova il bluff.

Conservate la vostra ammirazione per le parrocchie in cui l'osservatore giudizioso può constatare che le comunioni frequenti manifestano davvero, se non la completa emendazione della vita, almeno sforzi sinceri di vita cristiana e un leale desiderio di non venire a patti con l'intemperanza, con la sfrenata ricerca del denaro e altre cose simili ».

Lungi da me il pensiero di non apprezzare anche le più lievi tracce di vita cristiana; lo scopo di queste parole è piuttosto di deplorare quella triste incapacità, in cui ci potremmo trovare per mancanza di vita interiore, di produrre altro che risultati assai meschini, benché non spregevoli.

Il Signore vuole da noi soltanto il cuore; per conquistarlo, per possedere la nostra volontà, per animarci a seguirlo nella vita della rinunzia, Egli venne a rivelare all'uomo le sublimi verità della fede.

Sarà capace di far nascere questa rinunzia che è base di tutta la perfezione, l'apostolo abituato alla vita interiore che è tutta fondata su l'Abneget semetipsum;188 ma ne sarà invece incapace colui che segue troppo da lontano il Salvatore che porta la croce.

Nemo dat quod non habet;189 essendo egli stesso vile nell'imitare Gesù crocifisso, come potrebbe predicare al suo popolo quella guerra santa contro le passioni, alla quale il Signore ci chiama?

L'apostolo disinteressato, umile, casto, è il solo che possa trascinare le anime a lottare contro le onde sempre crescenti della cupidigia, dell'ambizione e dell'impudicizia; soltanto chi conosce la scienza del Crocifisso è abbastanza forte da opporre una diga a quella continua ricerca di agiatezze, a quel culto del piacere che minaccia di sommergere tutto e di rovesciare le famiglie e le nazioni.

San Paolo riassume il suo apostolato nel predicare Gesù crocifisso, e siccome egli vive di Gesù e di Gesù crocifisso, è capace di far gustare alle anime il mistero della Croce e d'insegnare loro a viverne.

Ai nostri giorni troppi apostoli non hanno più abbastanza di vita interiore, per approfondire questo mistero vivificante, per esserne penetrati e per irradiarlo intorno a sè.

Essi nella religione considerano troppo esclusivamente i lati filosofici, sociali o anche estetici, che possono fermare l'attenzione della mente o eccitare la sensibilità e la fantasia; essi sviluppano la loro tendenza a vedere soprattutto nella religione una scuola di poesia sublime, di arte incomparabile.

La religione possiede certamente queste qualità, ma il vederla soltanto sotto questi aspetti secondari sarebbe assolutamente un deformare l'economia del Vangelo, mettendo come fine quello che è soltanto un mezzo.

È sacrilegio fare un Cristo damerino del Cristo del Getsemani, del Pretorio, del Calvario.

Dopo il peccato sono diventate condizioni necessarie della vita la penitenza, la riparazione, il combattimento spirituale, e la Croce di Gesù Cristo lo ricorda in tutte le circostanze.

Allo zelo del Verbo incarnato per la gloria di suo Padre, non basta ottenere degli ammiratori, ma occorrono degli imitatori.

Nell'Enciclica del 1° novembre 1914, Benedetto XV invita i veri apostoli a scavare un solco più profondo per strappare le anime all'amore degli agi, all'egoismo, alla leggerezza dei gusti, alla dimenticanza dei beni eterni, e questo equivale a fare appello alla vita interiore dei ministri del divino Crocifisso.

Dio che ci diede tanto, vuole che dall'età della ragione il cristiano unisca alla Passione sanguinosa di Gesù, qualche cosa di se stesso, quello che potremmo chiamare il sangue dell'anima sua, cioè i sacrifici necessari per osservare le leggi divine.

In che modo il fedele s'indurrà a fare generosamente tale sacrificio di beni, di piaceri, di onori, se non lo attira l'esempio del pastore delle anime, abituato egli stesso allo spirito di sacrificio?

Di dove verrà la salvezza della società, si domanda ansiosamente allo spettacolo delle ripetute vittorie del nemico infernale; quando toccherà alla Chiesa il trionfo?

É facile rispondere col Maestro: Hoc autem genus non eiicitur nisi per orationem et ieiunium.190

Quando dalle file del sacerdozio e dalla milizia dei religiosi uscirà uno stuolo di uomini mortificati che facciano risplendere in mezzo ai popoli il mistero della Croce, questi popoli, contemplando nel sacerdote o nel religioso mortificato le riparazioni per i peccati del mondo, comprenderanno la Redenzione per mezzo del Sangue di Gesù Cristo.

Allora soltanto l'esercito di Satana indietreggerà, e non si udrà più attraverso i secoli l'eco terribile del pietoso lamento del Signore oltraggiato che finalmente avrà trovato delle anime riparatrici: Et quaesivi de eis virum qui interponeret sepem et staret oppositus contra me pro terra ne dissiparem eam, et non inveni.191

Da qualcuno si è voluto ricercare perchè mai un solo segno di croce del P. de Ravignan producesse un effetto così magico sugl'indifferenti e persino sugli empi venuti ad ascoltarlo per semplice curiosità; la conclusione delle domande rivolte a molti uditori fu che l'austerità di vita intima del predicatore si manifestava assai vivamente in quel segno di croce che lo univa al mistero del Calvario.

Indice

160 Is 45,15
161 De Sp. Santo, c. IX, n. 23
162 Giovanni non fece nessun miracolo ( Gv 10,41 )
163 Usciva da lui una forza che guariva tutti ( Lc 6,19 )
164 1 Pt 4,11
165 Le parole che dico a voi non le dico da me; il Padre che dimora in me fa queste opere ( Gv 14,10 )
166 La vita di questo capitano dei dragoni il quale, nel 1870, nella battaglia di Gravellotte fece voto di ritirarsi nella Trappa, dove volle stare come semplice converso, è narrata nel bel libro Du champ de bataille à la Trappe ( Perrin et Cie ed. )
167 La nostra conversazione è in cielo ( Fil 3,20 )
168 Oceano di bontà
169 Apparve la benignità e l'umanità di Dio nostro Salvatore ( Tt 3,4 )
170 Sap 7,26
171 Piacque per la bontà e l'alacrità dell'anima sua ( Sir 40,4 )
172 Conferenze spirituali
173 Trattato della Vita spirituale, p. II, c. X
174 Senza di me voi non potete fare nulla ( Gv 15,5 )
175 Bisogna che egli cresca e che lo diminuisca ( Gv 3,30 )
176 Voi non vi tate chiamare Rabbi … Non chiamatevi Maestri … Il più grande tra voi sia il vostro servo ( Mt 23,8.11 )
177 Sant'Agostino
178 Hom. di S. Beda, lib. IV, cap. LIV su S. Luca, XII
179 Mt 20; Lc 22
180 Lc 9,55
181 Io sono crocifisso insieme con Gesù Cristo ( Gal 2,19 )
182 Portando sempre con noi nel nostro corpo la morte di Gesù affinchè anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale ( 2 Cor 4,10 )
183 Gesù Cristo non ebbe compiacenza di sè ( Rm 15,3 )
184 Mt 15,8
185 Lc 13,3.5
186 1 Cor 1,23
187 Breviario: L'uomo vede in faccia, ma Dio vede il cuore
188 Rinneghi se stesso ( Mt 16,24 )
189 Nessuno dà ciò che non possiede
190 Questo genere di demoni non si scaccia se non con la preghiera e col digiuno ( Mt 18,20 )
191 Cercai tra loro un uomo che facesse siepe e che stesse contro di me a favore della terra affinchè non la distruggessi, e non lo trovai ( Ez 22,30 )