Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

Indice

Capitolo III.

Perfezione della vita cristiana.

295. Ogni vita deve perfezionarsi, ma principalmente la vita cristiana, la quale è, per sua natura, essenzialmente progressiva e non toccherà il suo termine se non in cielo.

Dobbiamo quindi esaminare in che consista la perfezione di questa vita, per poterci così meglio dirigere nelle vie della perfezione.

Essendoci però su questo punto fondamentale errori e idee più o meno monche ed inesatte, cominceremo a rimuovere la false nozioni della perfezione cristiana e ne esporremo poi la vera natura.

I. Le false nozioni

degli increduli;

dei mondani;

dei devoti.

II. La vera nozione

consiste nella carità;

suppone sulla terra il sacrificio;

concilia armoniosamente questi due elementi;

abbraccia i precetti e i consigli;

ha i suoi gradi e i suoi limiti.

ART. I. False nozioni sulla perfezione

Queste false nozioni si trovano presso gl'increduli, i mondano e i falsi devoti.

296. 1° Agli occhi degl'increduli la perfezione cristiana è un puro fenomeno soggettivo, che non corrisponde ad alcuna sicura realtà.

A) Molti di loro studiano quelli che essi chiamano fenomeni mistici con malevoli pregiudizi e senza discernere tra i veri e i falsi mistici: tali Max Nordau, J. H. Leuba, E. Murisier.296-1

A loro giudizio, la pretesa perfezione dei mistici non è che un fenomeno morboso, una specie di psiconevrosi, di esaltazione del sentimento religioso, ed anche una forma speciale di amore sessuale, come appare dai vocaboli di sponsali o sposalizio, di matrimonio spirituale, di baci, di amplessi, di carezze divine, che ricorrono così spesso sotto la penna dei mistici.

È chiaro che questo autori, i quali non s'intendono quasi d'altro che di amore profano, non hanno capito nulla dell'amor divino e sono di coloro a cui si potrebbe applicare la parola di Nostro Signore: "Neque mittatis margaritas vestras ante porcos ( Mt 7,6 ).

Quindi anche gli altri psicologi, come W. James, fanno loro notare che l'istinto sessuale non ha nulla da vedere con la santità; che i veri mistici praticarono la purità eroica, gli uni non avendo mai o quasi mai provato le debolezze della carne, gli altri avendo superate violente tentazioni con mezzi eroici, per esempio voltolandosi tra le spine.

Se dunque unirono il linguaggio dell'amor umano, la ragione è che non ve n'è altro che sia più adatto ad esprimere in modo analogico le tenerezza dell'amore divino.296-2

Del resto essi mostrarono in tutta la loro condotta, con le grandi opere che impresero e condussero a buon fine, che erano persone savie e prudenti; e in ogni caso non si possono che benedire le nevrosi che ci diedero i Tommasi d'Aquino, i Bonaventura, gli Ignazi di Loiola, i Franceschi Saveri, le Terese e i Giovanni della Croce, i Franceschi di Sales, le Giovanne di Chantal, i Vincenzi de' Paoli, le Damigelle Legras, i Berulle e gli Olier, gli Alfonsi de' Liguori e i Paoli della Croce.

297. B) Altri increduli rendono giustizia ai nostri mistici, pur dubitando della realtà obbiettiva dei fenomeni da loro descritti: tali William James e Massimo di Montmorand.297-1

Riconoscono che il sentimento religioso produce nelle anime mirabili effetti, uno slancio invincibile verso il bene, una illimitata dedizione verso il prossimo, che il loro preteso egoismo non è in fondo che una carità eminentemente sociale feconda della più lieta influenza, che la loro sete di patimenti non impedisce loro di godere ineffabili delizie e diffondere un poco di felicità attorno a loro; solo dubitano che siano vittime d'autosuggestione e d'allucinazione.

Ma noi facciamo osservare che così benefici effetti non possono derivare se non da una causa proporzionata; che, nel complesso, il bene reale e duraturo non può venire che dal vero, e che se solo i mistici cristiani hanno praticato le virtù eroiche e prodotto opere sociali utili, la ragione è che la contemplazione e l'amore di Dio, ispiratori di queste opere, non sono allucinazioni ma realtà viventi ed operose: "ex fructibus eorum cognoscetis eos ( Mt 7,20 ).

298. 2° I mondani, anche quando hanno la fede, hanno spesso, sulla perfezione o su ciò ch'essi chiamano la devozione, idee molto false.

A) Gli uni riguardano i devoti come ipocriti, come Tartufi, che, sotto la maschera della pietà, nascondono vizi odiosi o ambiziose mire politiche, come sarebbe il desiderio di dominare le coscienze e così governare il mondo.

Or questo è un confondere l'abuso con la cosa stessa, e la continuazione di questo studio dimostrerà che la semplicità, la lealtà e l'umiltà sono i veri caratteri della devozione.

299. B) Altri considerano la pietà come un'esaltazione della sensibiiltà e dell'immaginazione, una specie di emotività, buona tutt'al più per le donne e per i bambini ma indegna di uomini che vogliono guidarsi con la ragione e con la volontà.

Eppure quanti uomini iscritti nel catalogo dei Santi, che si distinsero per un proverbiale buon senso, per una intelligenza superiore, per una volontà energica e costante?

Anche qui si confonde dunque la caricatura col ritratto.

300. C) Vi sono infine di quelli che pretendono che la perfezione sia un'utopia inattuabile e perciò stesso pericolosa, che basti osservare i comandamenti e sopratutto aiutare il prossimo, senza perdere il tempo in pratiche minuziose, o nella ricerca di virtù straordinarie.

Basta la lettura della vita dei Santi a correggere quest'errore, mostrando che la perfezione fu veramente conseguita sulla terra, e che la pratica dei consigli non solo non nuoce all'osservanza dei precetti ma la rende anzi più facile.

301. 3° Tra le stesse persone devote ce ne sono di quelle che s'ingannano sulla vera natura della perfezione, dipingendola ognuno "secondo la propria passione e la propria fantasia.301-1

A) Molti, confondendo la devozione con le devozioni, si immaginano che la perfezione consista nel recitare un gran numero di preghiere e nel fare parte di molte confraternite, talora anche a detrimento dei doveri del proprio stato che costoro trascurano per fare questo o quel pio esercizio, o mancando alla carità verso le persone di casa.

Questo è un sostituire l'accessorio al principale e un sacrificare al mezzo il fine.

302. B) Altri poi si danno ai digiuni e alle austerità, fino ad esternuarsi e rendersi incapaci di compiere bene i doveri del proprio stato, credendosi con ciò dispensati dalla carità verso il prossimo; e mentre non osano intingere la lingua nel vino, non temono poi "di immergerla nel sangue del prossimo con la maldicenza e con la calunnia".

Anche qui si prende abbaglio su ciò che vi è di più essenziale nella perfezione, e si trascura il dovere capitale della carità per esercizi buoni senza dubbio ma meno importanti.

In pari errore cadono coloro che fanno ricche elemosine, ma non vogliono poi perdonare i nemici, oppure, perdonando i nemici, non pensano poi a pagare i debiti.

303. C) Alcuni, confondendo le consolazioni spirituali col fervore, si credono perfetti quando sono inondati di gioia e pregano con facilità; e s'immaginano invece s'essere rilassati quando sono assaliti dalle aridità e dalle distrazioni.

Dimenticano che ciò che conta agli occhi di Dio è lo sforzo generoso e spesso rinnovato, nonostante le apparenti sconfitte che si possono provare.

304. D) Altri, invaghiti di azioni e di opere esteriori, trascurano la vita interiore per darsi più intieramente all'apostolato.

È un dimenticare che l'anima di ogni apostolato è la preghiera abituale, che attira la grazia divina e rende feconda l'azione.

305.E) Finalmente alcuni, avendo letto libri mistici o vite di Santi in cui si descrivono estasi e visioni, si immaginano che la devozione consista in questi fenomeni straordinarii e fanno sforzi di mente e di fantasia per arrivarvi.

Non capiscono che, a detta dei mistici stessi, questi sono fenomeni accessori che non costituiscono la santità, ai quali quindi non bisogna aspirare, e che la vita della conformità alla volontà di Dio è molto più sicura e più pratica.

Sgombrato così il terreno, potremo ora più facilmente intendere in che essenzialmente consista la vera perfezione.

ART. II. La vera nozione della perfezione.306-1

306.Stato della questione.

Per ben risolvere questo problema, cominciamo con determinare lo stato della questione:

1° Nell'ordine naturale un essere è perfetto ( perfectum ) quando è finito e compito, e quindi quando consegue il suo fine: "Unumquodque dicitur esse perfectum in quantum attingit proprium finem, qui est ultima rei perfectio".306-2

Questa è la perfezione assoluta; ve n'è però un'altra, relativa e progressiva, che consiste nell'avvicinarsi a questo fine, sviluppando tutte le proprie facoltà e praticando tutti i propri doveri secondo le prescrizioni della legge naturale manifestata dalla retta regione.

307.2° Il fine dell'uomo, anche nell'ordine naturale, è Dio.

1) Creati da Lui, siamo necessariamente creati per Lui, poichè è chiaro che non può Dio trovare un fine più perfetto di Sè, essendo la pienezza dell'Essere; e d'altra parte creare per un fine imperfetto sarebbe indegno di Lui.

2) Di più, essendo Dio la perfezione infinita e quindi la fonte di ogni perfezione, l'uomo è tanto più perfetto quanto più s'avvicina a Lui e ne partecipa le divine perfezioni; ecco perchè il cuore umano non trova nelle creature nulla che possa soddisfarne le legittime aspirazioni: "Ultimus hominis finis est bonum increatum, scilicet Deus, qui solus sua infinita bonitate potest voluntatem hominis perfecte implere".307-1

A Dio quindi conviene rivolgere tutte le nostre azioni; conoscerlo, amarlo, servirlo, e così glorificarlo, tal è il fine della vita e la fonte d'ogni perfezione.

308.3° Il che è anche più vero nell'ordine soprannaturale.

Gratuitamente elevati da Dio ad uno stato che supera le nostre esigenze e le nostre possibilità, chiamati a contemplarlo un giorno con la visione beatifica e possedendolo già con la grazia, dotati di un intiero organismo soprannaturale per unirci a Lui con la pratica delle virtù cristiane, è chiaro che non possiamo perfezionarci se non avvicinandoci continuamente a Lui.

E non potendo far questo senza unirci a Gesù, che è la via necessaria per andare al Padre, la nostra perfezione consisterà nel vivere per Dio in unione con Gesù Cristo: "Vivere summe Deo in Christo Jesu".308-1

Il che facciamo praticando le virtù cristiane, teologali e morali, che tutte hanno per fine di unirci in modo più o meno diretto a Dio, facendoci imitare N. S. Gesù Cristo.

309.4° Sorge quindi la questione di sapere se, tra queste virtù, non ve ne sia una che compendi e contenga tutte le altre, e costituisca, a così dire, l'essenza della perfezione.

S. Tommaso, sintetizzando la dottrina della S. Scrittura e dei Padri, risponde affermativamente e c'insegna che la perfezione consiste essenzialmente nell'amor di Dio e del prossimo amato per Dio: "Per se quidem et essentialiter consistit perfectio christianæ vitæ in caritate, principaliter quidem secundum dilectionem Dei, secundario autem secundum dilectionem proximi".309-1

Ma, poichè nella vita presente l'amor di Dio non può praticarsi senza rinunziare all'amore disordinato di se stessi, ossia alla triplice concupiscenza, in pratica all'amore bisogna aggiungere il sacrificio.

Questo verremo esponendo col dimostrare:

1) come l'amor di Dio e del prossimo costituisca l'essenza della perfezione;

2) perchè quest'amore debba giungere fino al sacrificio;

3) in che modo si debbano conciliare questi due elementi;

4) come la perfezione abbracci insieme precetti e consigli;

5) quali ne siano i gradi e fin dove possa arrivare sulla terra.

I. L'essenza della perfezione consiste nella carità.

310. Spieghiamo anzitutto il senso della tesi.

L'amore di Dio e del prossimo, di cui qui trattiamo, è soprannaturale nel suo oggetto come nel suo motivo e nel suo principio.

Il Dio che noi amiamo è il Dio manifestatoci dalla rivelazione, il Dio della Trinità; e l'amiamo perché la fede ce lo mostra infinitamente buono e infinitamente amabile; l'amiamo con la volontà perfezionata dalla virtù della, carità e aiutata dalla grazia attuale.

Non è dunque un amore di sensibilità; è vero che, essendo l'uomo composto d'anima e di corpo, spesso si mescola ai nostri più nobili affetti un elemento sensibile; ma un tal sentimento manca talora intieramente, e in ogni caso è del tutto accessorio.

L'essenza stessa dell'amore è la dedizione, è la volontà ferma di darsi e, occorrendo, d'immolarsi intieramente per Dio e per la sua gloria, di preferire il suo beneplacito al nostro e a quello delle creature.

311. Conviene dire altrettanto, salve le proporzioni, dell'amor del prossimo.

In lui amiamo Dio, un'immagine, un riflesso delle sue divine perfezioni; il motivo quindi che ce lo fa amare è la bontà divina in quanto è manifestata, espressa, irradiata nel prossimo; o, in parole più intelligibili, noi vediamo e amiamo nei nostri fratelli un'anima abitata dallo Spirito Santo, ornata della grazia divina, riscattata dal sangue di Gesù Cristo; e amandola, ne vogliamo il bene soprannaturale, lo spirituale perfezionamento, la salute eterna.

Non vi sono quindi due virtù di carità, l'una verso Dio e l'altra verso il prossimo; ve n'è una sola che abbraccia insieme Dio amato per se stesso e il prossimo amato per Dio.

Con queste nozioni ci sarà facile intendere come la perfezione consiste proprio nella virtù della carità.

Le prove della tesi.

312. 1° Interroghiamo la S. Scrittura.

A) Nel Vecchio come nel Nuovo Testamento, ciò che domina e compendia tutta la Legge è il gran precetto della carità, carità verso Dio e carità verso il prossimo.

Quindi, quando un dottore della legge domanda a Nostro Signore che cosa bisogna fare per acquistare la vita eterna, il divin Maestro gli risponde soltanto: Che cosa dice la legge?

E il dottore pronto gli cita il testo del Deuteronomio: "Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo et ex tota anima tua et ex omnibus viribus tuis et ex omni mente tua, et proximum tuum sicut teipsum.

E Nostro Signore l'approva dicendogli: "Hoc facet vives ( Lc 10,25-29; cfr. Dt 6,5-7 ).

Aggiunge altrove che questo doppio precetto dell'amor di Dio e dell'amor del prossimo costituisce la legge e i Profeti ( Mt 22,39-40 ).

Ed è ciò che sotto altra forma dichiara S. Paolo, quando, dopo aver rammentati i principali precetti del Decalogo, aggiunge che la pienezza della legge è l'amore: "Plenitudo legis dilectio" ( Rm 13,10 ).

Così l'amor di Dio e del prossimo è nello stesso tempo la sintesi e la pienezza della Legge.

Ora la perfezione cristiana non può essere che l'adempimento perfetto ed intero della Legge; perché la Legge é ciò che Dio vuole, e che cosa v'è di più perfetto della santa volontà di Dio?

313. B) Vi è un'altra prova tratta dalla dottrina di S. Paolo sulla carità nel cap. XIII° della Lettera ai Corinti; con lirico linguaggio Paolo vi descrive l'eccellenza della carità, la sua superiorità sui carismi o sulle grazie gratisdate, sulle altre virtù teologali, la fede e la speranza; e mostra ch'essa compendia e contiene in modo eminente tutte le virtù, che è anzi il complesso di queste virtù: "caritas patiens est, benigna est; caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit qua sua sunt, non irritatur, non cogitat malum…"; e in ultimo aggiunge che i carismi passeranno, che la fede e la speranza spariranno, ma che la carità è eterna.

Non è questo un insegnare che non solo la carità è la regina e l'anima delle virtù, ma che è pur così eccellente da bastare a rendere un uomo perfetto, comunicandogli tutte le virtù?

314. C) S. Giovanni, l'apostolo del divino amore, ce ne dà la fondamentale ragione.

Dio, egli dice, è carità, "Deus caritas est"; è questa, a così dire, la sua nota caratteristica.

Se dunque vogliamo somigliare a lui ed essere perfetti come il Padre celeste, bisogna che noi amiamo lui come egli ha amato noi "quoniam prior ipse dilexit nos" ( 1 Gv 3,16; 1 Gv 4,10 ) e non potendo amare lui senza amare pure il prossimo, dobbiamo amare questo caro prossimo fino a sacrificarci per lui "et nos debemus pro fratribus animas ponere": "Carissimi, amiamoci l'un l'altro, perché l'amore viene da Dio e chi ama è nato da Dio e conosce Dio.

Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore …

Or questo amore sta in ciò che non fummo noi ad amar Dio, ma egli il primo amò noi e mandò il suo Figliuolo vittima di propiziazione per i nostri peccati.

Carissimi, se Dio ci ha amati in tal guisa, dobbiamo noi pure amarci l'un l'altro … Dio è amore e chi sta nell'amore sta in Dio e Dio in lui" ( 1 Gv 4,7-16 ).

Si può dire in modo più chiaro che tutta la perfezione consiste nell'amor di Dio e del prossimo per Dio?

315. 2° Interroghiamo la ragione illuminata dalla fede: se consideriamo sia la natura della perfezione sia la natura della carità, arriviamo alla stessa conclusione.

A) Abbiamo detto che la perfezione d'un essere consiste nel conseguire il proprio fine o nell'avvicinarsegli quanto più è possibile ( n. 306 ).

Ora il fine dell'uomo nell'ordine soprannaturale è Dio eternamente posseduto con la visione intuitiva e con l'amore beatifico; sulla terra ci avviciniamo a questo fine vivendo già in unione intima con la SS. Trinità che vive in noi e con Gesù mediatore necessario per andare al Padre.

Quanto più dunque siamo uniti a Dio, ultimo nostro fine e fonte della nostra vita, tanto più siamo perfetti.

31. Or qual è tra le virtù cristiane la più unificante, quella che unisce l'anima nostra intieramente a Dio, se non la divina carità?

Le altre virtù ci preparano a questa unione, o anche a lei ci iniziano, ma non possono compierla.

Le virtù morali, prudenza, fortezza, temperanza, giustizia, etc., non ci uniscono direttamente a Dio, ma servono solo a sopprimere o diminuire gli ostacoli che ce ne allontanano e ad avvicinarci a Dio conformandoci all'ordine; così la temperanza, combattendo lo smoderato uso del piacere, attenua uno dei più violenti ostacoli all'amor di Dio; l'umiltà, allontanando l'orgoglio e l'amor proprio, ci predispone alla pratica della divina carità.

Inoltre queste virtù, facendoci praticare l'ordine ossia la giusta misura, sottomettono la nostra volontà a quella di Dio e ci avvicinano a lui.

Le virtù teologali poi distinte dalla carità, ci uniscono certamente a Dio, ma in modo incompleto.

La fede ci unisce a Dio, infallibile verità, e ci fa vedere le cose alla luce di Dio; ma è compatibile col peccato mortale che ci separa da Dio.

La speranza ci eleva a Dio, in quanto è cosa buona per noi, e ci fa desiderare i beni del cielo, ma può sussistere con colpe gravi che ci allontanano dal nostro fine.

317. La sola carità ci unisce intieramente a Dio.

Suppone la fede e la speranza ma le oltrepassa: prende tutta quanta l'anima, intelligenza, cuore, volontà, attività, e la dà a Dio senza riserva.

Esclude il peccato mortale che è il nemico di Dio, e ci fa godere della divina amicizia: "Si quis diligit me, et Pater meus diliget eum " ( Gv 14,23 ).

Ora l'amicizia è unione, è fusione di due anime in una sola: cor unum et anima una … unum velle, unum nolle; completa unione di tutte le nostre facoltà: unione della mente, che fa che il nostro pensiero si modelli su quello di Dio; unione della volontà, che ci fa abbracciare la volontà di Dio come fosse nostra; unione del cuore, che ci stimola a darci a Dio come Egli si dà a noi, dilectus meus mihi et ego illi; unione delle forze attive, onde Dio mette a servizio della nostra debolezza la divina sua potenza per aiutarci a eseguire i nostri buoni disegni.

La carità ci unisce dunque a Dio, nostro fine, a Dio infinitamente perfetto, e costituisce quindi l'elemento essenziale della nostra perfezione.

318. B) Studiando la natura della carità, arriviamo alla stessa conclusione; come infatti dimostra S. Francesco di Sales, la carità racchiude tutte le virtù e dà loro anzi una speciale perfezione.318-1

a) Racchiude tutte le virtù.

La perfezione consiste com'è chiaro, nell'acquisto delle virtù: chi le possiede tutte, in un grado non solo iniziale ma elevato, è certamente perfetto.

Ora chi possiede la carità possiede tutte le virtù e le possiede nella loro perfezione: possiede la fede, senza cui non si può conoscere ed amare l'infinita amabilità di Dio; e la speranza, che, ispirandoci la fiducia, ci conduce all'amore; e tutte le virtù morali, per esempio, la prudenza, senza cui la carità non potrebbe né conservarsi né crescere; la fortezza, che ci fa trionfare degli ostacoli che si oppongono alla pratica della carità; la temperanza, che doma la sensualità, implacabile nemica dell'amor di Dio.

Anzi, aggiunge S. Francesco di Sales," il grande Apostolo non dice solo che la carità ci dà la pazienza, la benignità, la costanza, la semplicità, ma dice ch'essa stessa è paziente, benigna, costante" ( 1 Cor 13,4 ) perché contiene la perfezione di tutte le virtù.

319. b) Anzi dà loro una perfezione e un valore speciale, perché è, secondo l'espressione di S. Tommaso,319-1 la forma di tutte le virtù.

Tutte le virtù separate dalla carità sono molto imperfette, perché non possono senza di lei giungere al loro fine che è di rendere l'uomo felice …

Non dico che senza la carità non possano nascere e anche progredire; ma che abbiano tale perfezione da meritare il titolo di virtù fatte, formate e compite, questo dipende dalla carità, che dà loro la forza di volare a Dio, e raccogliere dalla sua misericordia il miele del vero merito e della santificazione dei cuori in cui si trovano.

La carità è tra le virtù come il sole tra le stelle: distribuisce a tutte la loro luce e la loro bellezza.

La fede, la speranza, il timor di Dio e la penitenza, vengono ordinariamente nell'anima prima di lei a prepararle la dimora; e giunta che è, la ubbidiscono e la servono come tutte le altre virtù, ed ella le anima, le adorna e le avviva con la sua presenza".319-2

In altri termini, la carità, orientando direttamente l'anima nostra verso Dio, perfezione somma ed ultimo fine, dà pure a tutte le altre virtù che vengono a porsi sotto il suo impero, lo stesso orientamento e quindi lo stesso valore.

Così un atto d'obbedienza e di umiltà, oltre al proprio valore, riceve dalla carità un valore assai più grande quando è fatto per piacere a Dio, perché allora diventa un atto di amore, cioè un atto della più perfetta tra le virtù.

Aggiungiamo che quest'atto diventa più facile e più attraente: obbedire e umiliarsi costano molto alla orgogliosa nostra natura, ma il pensiero che, praticando questi atti, si ama Dio e se ne procura la gloria, li rende singolarmente facili.

Così dunque la carità è non solo la sintesi ma l'anima di tutte le virtù, e ci unisce a Dio in modo più perfetto e più diretto delle altre; è quindi lei quella che costituisce l'essenza stessa della perfezione.

Conclusione

320.Poiché l'essenza della perfezione consiste nell'amor di Dio, ne viene che l'accorciatoia per arrivarvi è d'amare molto, d'amare con generosità ed intensità, e principalmente di amare con amor puro e disinteressato.

Ora noi amiamo Dio non solo quando recitiamo un atto di carità ma anche quando facciamo la sua volontà o quando compiamo un dovere sia pur minimo per piacergli.

Ognuna quindi delle nostre azioni, per quanto volgare ella sia in se stessa, può essere trasformata in un atto di amore e farci avanzare verso la perfezione.

Il progresso sarà tanto più reale e più rapido, quanto più intenso e più generoso sarà quest'amore e quindi quanto più il nostro sforzo sarà energico e costante; perché ciò che conta agli occhi di Dio è la volontà, è lo sforzo, indipendentemente da ogni emozione sensibile.

E poiché l'amore soprannaturale del prossimo è anch'esso un atto d'amor di Dio, tutti i servizi che rendiamo ai nostri fratelli, vedendo in loro un riflesso delle divine perfezioni, o, ciò che torna lo stesso, vedendo in loro Gesù Cristo, diventano tutti atti d' amore che ci fanno avanzare verso la santità.

Amare dunque Dio e il prossimo per Dio, ecco il segreto della perfezione, purché su questa terra vi si aggiunga il sacrificio.

Indice

296-1 Max Nordau, Dégénérescence, t.I, p. 115; J. H. Leure, La psychologie des phénomènes religieux; E. Murisier, Les maladies du sentiment religieux.
296-2 W. James, L'expérience religieuse, trad. Abauzit, 1906, p. 9-12.
297-1 M. Montmorand, Psychologie des mystiques, 1920.
301-1 È quanto osserva S. Fr di Sales, Intr. alla vita devota, P. I, c. I, che è da leggersi per intero.
306-1 S. Thom., IIª IIæ, q. 184, a. 1-3; Opuscul. de perfectione vitæ spiritualis; Alvarez de Paz, op. cit., l. III; Le Gaudier, op. cit., P. 1ª; Schram, Instit. mysticæ, § IX-XX; Ribet, L'Ascétique chrétienne, c. IV-VI; Ighina, Istituzioni di Teol. Ascet. e Mistica, Mondovì, 1889; Garrigou-Lagrange, Perfection chrétienne et contemplation, t. I, p. 151-173.
306-2 Sum. theol., IIª IIæ, q. 184, a. 1.
307-1 S. Thom, Iª IIæ, q. 3, a. 1; Cfr. Tanquerey, Syn. Theol. moralis. Tr. de ultimo fine.
308-1 J.-J. Olier, Pietas Seminarii, n. 1.
309-1 Sum. theol., IIª IIæ, q. 184, a. 3; cfr. De perfectione vitæ spiritualis, c. I, V-VI.
318-1 Trattato dell'amor di Dio, l. XI, c. 8.
319-1 Sum. theol., IIª IIæ, q. 23, a. 8.
319-2 S. Fr. di Sales, l. c., c. 9.