La storia della Chiesa

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IV. Evangelizzazione

1. Nei molti secoli che seguirono l'età apostolica, la preoccupazione dell'Apostolo delle genti per l'anima del suo popolo ebreo aveva trovato pochissimi paralleli.

Purtroppo, questa nostra impressione verrà ancora maggiormente rafforzata.

Se, d'altra parte, non vogliamo che ne esca un'idea falsa, il quadro va integrato anche positivamente; ne nella letteratura, ne nella predicazione il rapporto cristiano col Giudaismo si esaurì nella lotta contro di esso.

Ci furono ancora dei tentativi sinceri di conquistare gli Ebrei alla verità cristiana.

Purtroppo ciò accadde in grandissima parte in modo che non teneva affatto conto della realtà della storia e della fede giudaica.

Nei molti trattati su questo argomento che ci sono noti a partire dal secolo XII, non si trova mai una approfondita conoscenza del Giudaismo.

Questo vale molto spesso per l'Antico Testamento, nella conoscenza del quale gli Ebrei conoscitori dell'Ebraico superavano le loro controparti cristiane.

In fondo i cristiani potevano esser facilmente ribattuti in ciò che essi presentavano come contenuto del Talmud.

Una vera conoscenza del Talmud da parte cristiana la troviamo solo in convertiti dal giudaismo.

Ma, comprensibilmente, essi erano troppo odiati dai loro ex-correligionari per venire ascoltati.

Resisi conto di queste carenze, i Domenicani, a partire dal secolo XIII, si dedicarono intensamente allo studio delle lingue bibliche;30 istituirono appositamente delle case di studio a tale scopo.

Dal secolo XIV in poi esse vennero regolarmente insegnate a Vienna, Parigi e in Curia.

Purtroppo però in tutte le pedantesche controversie con la dottrina ebraica mancò sempre e ripetutamente l'amore, la vera cura d'anime sacerdotale.

Questo l'abbiamo già dedotto a sufficienza da quanto siamo andati esponendo.

Vogliamo ora completare il quadro.

2. Come abbiamo già detto, c'erano moltissimi trattati di teologia controversistica che dovevano illustrare la superiorità del cristianesimo nei confronti della dottrina e della cultura ebraica.

Il mezzo principale però usato dai cristiani per conquistare gli Ebrei fu la parola viva nella disputa e nella predicazione.

Dispute tra cristiani ed Ebrei ne conosciamo di varie forme: il colloquio religioso privato ( nella Francia settentrionale, in Lorena e in Renania ), che all'inizio del secondo millennio, quando l'avversione per gli Ebrei poteva render pericoloso il dibattito pubblico, divenne sempre più frequente; i tornei arrangiati, scientifici, di dispute nelle università; il dialogo tra « Chiesa » e « Sinagoga » nelle forme più disparate di rappresentazione drammatica.

Così la sinagoga gareggia con la Chiesa in rappresentazioni e spiegazioni del Cantico dei Cantici circa il vero amore al Signore e nell'esaltazione dello sposo.

Nella rappresentazione sacra di Tegernsee essa si scaglia aspramente contro l'Anticristo.

In altre rappresentazioni degli Ebrei diventano perfino martiri per Cristo e collaborano così a far cadere l'Anticristo.

Oppure Maria interviene come imperatrice e consolatrice della sinagoga.

Oppure ( per esempio in Hans Sachs ) alla fine della rappresentazione un Ebreo si dichiara vinto e vuole il battesimo.

Molto tempo prima Gisilberto Crispino ( 1084-1117 abate di Westminster ) nel suo dialogo con un Ebreo aveva operato accortamente e l'aveva portato alla conversione.

Abelardo nel suo Trialogo aveva messo un Ebreo tra coloro che cercavano sinceramente la verità.

Ma generalmente l'atmosfera e il tono non erano di questo genere; soltanto in via eccezionale si nota la volontà di conoscere più profondamente il mondo giudaico, attraverso l'interlocutore ebreo.

Il male incarnato della controversia, l'aver ragione, il voler trionfare si manifestò più che mai di fronte agli odiati Ebrei.

Una grave pecca di queste dispute più volte ricordata, è la fiducia illimitata nella dimostrazione razionale, anzi razionalistica, dove si trattava semplicemente ed essenzialmente di misteri di fede.

Nei dibattiti non era possibile giungere ad una sufficiente espressione delle due parti, perché per l'interlocutore ebreo era pericoloso sostenere vittoriosamente il punto di vista giudaico; ciò poteva causare rappresaglie.

Poiché tutta la comunità doveva poi subirne le conseguenze, i rabbini ebrei proibirono ogni discussione coi cristiani.31

La maggior parte delle dispute si ebbero in Spagna, che nel secolo XIII era il Paese classico dell'erudizione ( specialmente della mistica ) giudaica.

È famosa per esempio quella di Tortosa nel 1413-14 con le sue 69 sedute!

3. Altrettanto poco successo ebbero le molte prediche che gli Ebrei in parte regolarmente,32 in parte in occasioni particolari erano costretti ad ascoltare.

C'erano anche delle prediche imposte che venivano tenute nelle sinagoghe ( perfino il sabato ), cosa che, evidentemente, aveva un carattere particolarmente odioso e induceva all'ostinazione; altre avevano luogo in chiese cristiane o in piazze pubbliche; in queste occasioni non era raro il caso che gli Ebrei venissero molestati o dileggiati.

Psicologicamente controproducente era anche il fatto che ebrei convertiti, più o meno fanatici, fungessero da predicatori contro la sinagoga.

Non poteva naturalmente essere invitante quando gli Ebrei avevano fatto l'esperienza che le loro case venivano saccheggiate, mentre loro dovevano sedere davanti al palco dei predicatori.

Il successo non era certo reso più facile quando in tali prediche obbligatoriamente imposte ( per esempio in quelle di Giovanni da Capistrano, Bertoldo da Ratisbona ) gli Ebrei venivano attaccati con dure parole.33

Anche predicatori controversisti come Bernardino da Siena34 o il domenicano Pietro Nigri nel secolo XV, nonostante tutto lo zelo, portarono agli Ebrei il Vangelo tutt'altro che come messaggio d'amore.

Il Concilio di Basilea ordinò almeno che nelle prediche imposte si procedesse con bontà e che esse venissero accompagnate da opere di carità in favore degli Ebrei.

Nello stesso tempo principi e Papi cercarono di impedire nelle prediche una polemica troppo dura ( Martino V, Eugenio IV e Pio II ), naturalmente senza che i predicatori dessero loro ascolto.

Anche sinodi spagnoli ( Toledo 1473; Siviglia 1512 ) si sono espressi in senso moderato.

4. Talune di queste dispute e predicazioni imposte, come per esempio quella menzionata di Tortosa, portavano a battesimi coatti.

Ciò poteva solo confermare la diffidenza degli Ebrei.

Si ripeteva il circolo di « conversione », fedeltà segreta all'antica fede, diffidenza e sospetto cristiani fino alla denuncia all'Inquisizione.

La maggior parte dei battezzati forzatamente tornavano di nuovo alla loro antica fede; il risultato di questi metodi miopi era soprattutto odio ed esasperazione, a causa dei quali erano i pochi veri convertiti a dover maggiormente soffrire.

Alcune leggi pontificie e disposizioni di concili, vescovi e principi dovevano proteggere in particolare preti e monaci di origine ebraica.

Concludendo: quasi mai all'attività della Chiesa mancò la costrizione o per lo meno la pressione morale.

Il pensiero di Vincenzo Ferreri, secondo il quale « i Giudei non sono mai buoni se non vi sono obbligati » era un pensiero troppo diffuso e comune.

Un'istruzione approfondita del resto era una eccezione.

In occasione dei battesimi coatti ci si accontentava spesso di una unica istruzione.

Talvolta mancava anche questa.

5. La liturgia offriva poco al vero e proprio desiderio di evangelizzazione nei confronti degli Ebrei.

Nella vecchia liturgia della notte di Pasqua c'erano invero molti accenni al popolo eletto e salvato dalla rovina, ma questo era stato trasposto da tempo ed esclusivamente al Nuovo Testamento dei cristiani salvati, mediante il battesimo.

Per tutto il Medioevo ci fu un'unica preghiera, a noi nota, il venerdì santo prò perfidis Judaeis.

Si dice persino esplicitamente che questa unica preghiera all'anno è sufficiente, poiché Dio, ora, non vuole più volgersi benigno agli Ebrei …

Siamo molto lontani dalla prassi di san Bonifacio che rafforzava essenzialmente le basi del suo lavoro missionario servendosi di aiuti di preghiere e di comunità di preghiere ( § 38,II ).

Non si sente mai neppure che ci fossero crociate di preghiera per gli Ebrei, fuori della liturgia.

Questa, evidentemente, era una cosa che esulava ancora dalla coscienza generale ( come accadrà ancora per tutta l'Età Moderna e fino ai nostri giorni ).

6. Il più significativo rappresentante di una evangelizzazione che manifesta comprensione anche per altre strutture religiose e cerca di tenerne conto è Raimondo Lutto ( + 1316 ), che aveva subito l'influsso anche della cabala.

Egli non vuole dominare, ma capire; nelle sue prediche mette energicamente in rilievo il monoteismo.

Anch'egli, naturalmente, nei suoi tentativi di conversione, soggiace a una strana sopravvalutazione dell'intelletto.

Egli era convinto di poter dimostrare in senso stretto la fede e i suoi misteri.

Il convincimento gli era talmente radicato che, infine, acconsentì alla costrizione quando in moschee o sinagoghe predicava a infedeli ed Ebrei che dovevano starlo a sentire ( 1292 ).

7. Il più noto caso singolo di un Ebreo convertito, è quello del mercante Ermanno di Colonia, più tardi monaco premonstratense a Kappenberg e prevosto a Schede.

A Magonza riuscì ad entrare in contatto cordiale con l'arcivescovo di Colonia, al quale aveva fatto un prestito, e col suo seguito.

Egli stesso ci ha narrato la sua conversione ( verso il 1137 ).

Risulta quanto proprio l'umanità, la mancanza di ogni odio e di ogni pressione infondata lo abbia aiutato, lui che era un vero ricercatore della verità, sulla sua difficile strada ( egli lo mette insistentemente in rilievo ).

Anche la forza di attrazione della liturgia cristiana gioca una parte notevole nel suo itinerario spirituale.

Forse in lui, più che altrove, emerge l'impotenza delle prove razionali che gli venivano presentate.

Egli, che era stato istruito dalla scuola rabbinica, divenne finalmente credente profondo e convinto del semplice annuncio.

Nella sua autobiografia egli ricorda questa generale avversione per gli Ebrei e fa rilevare il grande torto dei cristiani nel detestare gli Ebrei come fossero cani, di sputar loro addosso e di maledirli, essi, che costituirono già il popolo eletto, che era stato onorato della Rivelazione.

8. Ci si è chiesto quale sia stato il risultato di questi sforzi secolari, quale sia stato il numero dei convertiti.

Ci sono molte relazioni particolari e alcune cifre tramandate, non controllabili; veniamo a conoscenza sporadicamente di ebrei convertiti, specialmente di quelli che entrarono a far parte del clero; a partire dal secolo XIII le conversioni aumentano; ma è impossibile avere delle cifre esatte.

E, tutto sommato, le vere conversioni sono la grande eccezione.

Molti motivi dell'insuccesso li conosciamo già.

Due emergono maggiormente.

Il primo è che gli sforzi per le conversioni erano superati dalla costrizione.

I terribili battesimi coatti non potevano generare che una rivolta interiore.

L'accenno al successo finale delle conversioni imposte per esempio presso i Sassoni e altri, non coglie il segno.

In secondo luogo, non è da sottovalutare il positivo fondamento religioso della resistenza ebraica.

Gli ebrei vivevano infatti la loro fede profondamente radicata da secoli nelle loro famiglie, una fede di straordinaria ricchezza, per la quale molti veramente ardevano e che tanti anonimi suggellarono col loro sangue.

Nelle cronache troviamo delle formulazioni di sorpresa per il giubilo e l'inno di lode a Dio - così si dice - quasi incomprensibili ai testimoni oculari, coi quali i condannati innocenti accettavano i tormenti e la morte.

« Essi andavano alla morte come a una festa nuziale, gioiosi e cantando »35 ( Cronista di Liegi 1348-49 ).

Ma l'attrazione di questo monoteismo profetico giudaico, che talvolta riusciva ad attirare a sé convertendoli al giudaismo persino dei chierici, dava loro la forza di perseverare nella nuova fede, pur dovendo sopportare dure privazioni.36

Certo, in ciò aveva la sua parte anche l'antipatia, anzi un profondo odio degli Ebrei verso i cristiani, la loro fede e verso Cristo.

Ci imbattiamo anche ( si capisce ) in un fanatismo esaltato.

Giulivi come ad una danza corrono alla morte, dapprima gettano tra le fiamme i bambini, poi le donne e infine se stessi, per non fare qualcosa contro la loro religione in un momento di umana debolezza.

La cosa più importante rimane tuttavia che tanti di loro erano pienamente coscienti di essere il popolo di Jahvè, di nutrire in sé una profonda, incrollabile fedeltà al nome di Dio Uno, l'« Eterno ».

Per amor suo, molte migliaia accettarono la morte.

In modo commovente si esprime la pena dei giudei credenti nel grido di soccorso a Jahvè.

Non di rado la loro fede divenne eroica.

I tormenti della persecuzione assurda e ingiusta e della fine crudele di tanti che sono una testimonianza dei « dolori della nascita » del Messia, fa sì che un Ebreo renano nel colmo del dolore nell'inno di lode ( Es 15 ), che esalta l'incomparabile sublimità di Jahvè nelle azioni gloriose e nei miracoli, trasformi il verso 11 ( Chi è pari a tè, fra gli dèi, o Signore? ) nel grido disperato: « Chi è come tè, fra i sordi, che non danno risposta? ».

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30 Il domenicano spagnolo Martino Martini ( + 1284 ) scrisse appositamente un manuale per la confutazione vittoriosa degli Ebrei; porta il titolo significativo « pugnale della fede ».
31 A sua volta fu proibito il disputate a sacerdote! illitterati.
32 Per esempio tre volte all'anno; erano obbligatorie per gli Ebrei sopra i 12 o gli 8 anni.
33 Si diceva che « erano molto peggiori dei pagani; per il loro delitto contro Cristo essi dovevano essere servi non solo dei cristiani, ma anche dei saraceni ».
34 1380-1444, + ad Aquila; spiega ai suoi uditori, mediante una lunga enumerazione, di quanti peccati mortali essi si rendano colpevoli abitando assieme agli Ebrei, mangiando con loro …
35 Quasi letteralmente la stessa cosa troviamo in una elegia dell'anno 1235: « … puri e leali andavano al martirio come a una festa nuziale e non disonoravano il loro sposo celeste ».
36 Cfr. sopra, nota 10.