Gli stati di vita del cristiano

Indice

Le forme della chiamata

Ogni chiamata di Dio è la manifestazione di una eterna elezione, che è sempre una « elezione in Cristo prima della fondazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità », e dunque una « predestinazione nell'amore a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo » ( Ef 1,4-5 ).

Essa è un'azione dell'amore e ha per fine la santità, che è sempre una forma dell'amore.

Così la chiamata riceve la sua forma dalle leggi dell'amore ed è guidata da esse.

Essa non può affatto venir compresa senza la speciale maniera di pensare tipica dell'amore.

Già allorché riflettemmo sui presupposti del concetto di stato di vista risultò evidente che non si può tracciare un rigoroso confine tra comandamento e consiglio, tra ciò che un cristiano deve fare e ciò che egli può fare.

Il comandamento dell'amore va senza demarcazione di frontiera dal divieto di peccare gravemente, passando attraverso l'impegno ad evitare le leggerezze e le imperfezioni, fino alle più alte forme di perfezione, irraggiungibili da un punto di vista puramente umano, allorché esso richiede di amare Dio con tutto il cuore, tutta l'anima, tutto il temperamento e con tutte le forze.

Questo comandamento è rivolto a tutti i cristiani, ma è rivolto in forma qualitativamente speciale a quelli che sono eletti ad una speciale sequela del Signore in uno speciale stato di vita.

Infatti l'oggetto verso cui la chiamata guida colui che è eletto alla vita secondo i consigli non è rappresentato tanto dai consigli nella loro materialità e strumentalità, quanto piuttosto dall'amore più grande che essa esige, grazie al quale soltanto egli diviene attento alla possibilità dell'offrirsi nei voti.

Il comandamento dell'amore, contenuto essenziale di ogni vera chiamata, può così venir presentato da Dio con diversa urgenza e chiarezza.

Per alcuni il comandamento suona come qualcosa di ovvio, che essi ascoltano in maniera distratta, e a cui è superfluo dedicare una speciale attenzione.

È naturale che Dio richieda amore, è naturale che ci sia qualcosa come un comandamento principale ed è naturale che il cristiano cerchi di ottemperarvi, bene o male che possa.

E Dio può venire in aiuto alla nostra debolezza e, come speriamo, scusare ciò che non è proprio diritto.

Il comandamento dell'amore risuona chiaro quanto al suo contenuto, ma non acquista in colui che lo ode alcun rilievo plastico.

Non lo0 spinge a nessuna conseguenza che lo possa scagliar fuori centrifugamente dal binario che egli si è tracciato.

Egli se ne sta lì come una colonna, di cui la base e le parti più basse sono illuminate e attirano su di sé l'attenzione, mentre la cima e il capitello restano in ombra e trasmettono di sé solo una conoscenza assai poco chiara.

Si sa che ci sono, ma non viene in mente di osservarli, non ci si sente in obbligo, non ci si sente « chiamati » ad approfondire i loro segreti, che sono tuttavia connessi con ciò che si vede bene, come attraverso il fusto della colonna.

Questa posizione, che certo è quella di moltissimi cristiani, conserva un duplice volto.

Da un lato essa è espressione di una certa indifferenza nei confronti dell'amore di Dio, di un bisogno di « essere lasciati in pace », che è proprio in un certo grado di tutti coloro che sono sottoposti al « peccato originale » e che infine fece dormire nell'Orto degli Ulivi anche i discepoli eletti.

E sotto questo aspetto ognuno avrà, di fronte all'esigenza sempre più grande del comandamento dell'amore, qualcosa come un'abituale cattiva coscienza.

Ma mentre questa si traduce per quelli propriamente chiamati in un mettersi in marcia, in un movimento di dedizione e di sequela, per tutti gli altri rimane come un intangibile sfondo statico.

Qualcuno si rende conto che « dovrebbe accadere qualcosa », ma « non adopera i mezzi per questo sino all'ora della morte » ( Eserc. Nr 153 ).

E un simile restar fermi può anche infine scusarsi sempre col fatto di non aver ricevuto la chiamata speciale.

Poiché alcuni sono chiamati a qualcosa di più che gli altri, questi possono sentirsi meno chiamati di quelli.

Mentre per Dio l'orientamento verso il « di più » corrisponde al suo essere, che è esso pure il « sempre di più » ( Sir 43,30 ), e a questo orientamento non si contrappone alcun guardare indietro verso un « di meno » e prendere le misure da esso, per l'uomo invece il « di più » assume il carattere di una misura, alla quale si contrappone un « di meno ».

Mentre quindi Dio con la sua chiamata al « di più » fa saltare queste misure umane, l'uomo, che solo grazie a questa apertura diventa esattamente cosciente dei limiti, le calcola invece più che mai.

La chiamata al « di più » dell'amore di Dio apre tanto lo sguardo quanto l'accesso a questo « di più ».

La luce penetra in alto e si proietta sull'intero orizzonte dell'amore aperto all'infinito, sulla sua distintiva « forma divina.

L'amore non appare più come un dato di fatto chiuso in sé, l'inadempibilità della sua richiesta non appare più come un fatto triste ma purtroppo immutabile, bensì come una fiamma che si immerge nel cuore del chiamato e lo induce a gettar via a cuor leggero tutto ciò che è finito, per alimentare il fuoco inestinguibile e accenderlo in tal modo più che mai.

Dall'illimitatezza dell'interpellazione divina che si dà a riconoscere l'interpellato viene introdotto in una illimitatezza della possibile risposta, in cui scompaiono i confini tra dovere e potere, comandamento e consiglio.

Tutto quello che l'amore può esprimere non appare più come « opera supererogatoria », ma come rientrante nell' « unica cosa necessaria ».

Ma il mondo appare nel segno della contraddizione: che l'amore assoluto, che deve essere amato, non viene amato.

E colui che è toccato dall'amore non avrà più pace finché non ha compiuto fino all'ultimo tutto ciò che egli può fare per aiutare l'amore a vincere.

Tutta l'etica di un tale uomo si sposta e viene a mettersi sotto il segno di quest'ultimo comandamento: buono e permesso è per lui ciò che di fronte alla chiamata di Dio ad amare di più può reggersi; cattivo è ciò che misurato in base ad essa non resiste, sia anche mille volte considerato dal mondo e persino dai cristiani come ragionevole e moralmente permesso.

Lo sguardo penetra attraverso tutti i parametri consolidati e giunge sin dentro alla spalancata apertura dell'amore infinito; e questo sguardo non può dimenticare ciò che là dentro gli venne mostrato.

Colui che ha osato ciò può forse fare come se non avesse visto niente, non avesse udito niente, può trincerarsi dietro i paragrafi di una morale ufficiale, dietro i quali egli è al sicuro in mezzo agli uomini e si crede forse inattaccabile per Dio stesso.

Questo non impedirà che egli è uno di quelli che hanno detto no e ai quali Gesù volge tristemente lo sguardo.

La chiamata all'amore aperto è rispettivamente un'offerta di sé dell'amore di Dio al chiamato e come tale reca in sé la possibilità non solo di comprendere questo amore, ma anche di rispondervi.

E cioè ogni forma speciale di interpellazione divina contiene anche la forma e grazia speciale della risposta.

Solo così diviene afferrabile la graduazione, altrimenti solo difficilmente comprensibile, dei « tre modi di umiliazione - negli Esercizi ignaziani.

Mentre il primo modo esige dall'uomo che egli si abbassi talmente da obbedire in tutto all'indicazione divina, nella misura in cui essa obbliga sotto pena di peccato mortale, il secondo modo purifica la prontezza a rispondere, cosicché uno aspetta tutto, nella piena indifferenza, da ciò che Dio dispone e non viene più ostacolato da alcun disordine interiore, al punto che anche a costo di perder la propria vita non prenderebbe in considerazione l'ipotesi di compiere un peccato veniale.

Al di là di questa pura disponibilità non sembra esser più possibile alcun grado ulteriore, in base ai presupposti propri del Santo.

Ciononostante egli accenna ad un « terzo, del tutto perfetto modo di umiliazione, che includendo il primo e il secondo, ed essendo uguali lode e gloria della divina Maestà, per più imitare e assomigliare effettivamente a Cristo nostro Signore, desidera e sceglie piuttosto povertà con Cristo povero che ricchezza, obbrobri con Cristo pieno di essi piuttosto che onori, e desidera più di esser stimato stolto e pazzo per Cristo, che primo fu ritenuto tale, piuttosto che savio e intelligente in questo mondo » ( Eserc. Nr 167 ).

Una simile scelta dell'uomo al di là della pura indifferenza sarebbe un voler precorrere la scelta divina e inoltre eliminerebbe in tal modo tutto il fondamento degli Esercizi, nel caso che essa non fosse risposta ad una espressa o implicita scelta di Dio, manifestata ad alta voce o sottovoce a colui che è stato messo in grado di vedere questo terzo modo di umiliazione come qualcosa da prendere in considerazione.

Già il fatto che il proprio sguardo venga guidato verso questa via, che è una via dei prediletti di Dio, è una grazia che viene conferita a seguito di una speciale offerta di Dio in vista di questa via.

Certo nessuna vita cristiana può passare accanto a questo mistero della partecipazione alla Passione e lasciarselo dietro le spalle senza prestarvi alcuna attenzione, poiché anzi « tutti quelli che vogliono vivere pienamente in Cristo Gesù devono patir persecuzione » ( 2 Tm 3,12 ); a solo a pochi è dato di afferrare questo mistero come ciò che è decisivo per la loro vita.

Questo spiega poi anche il fatto che molti di coloro ai quali era offerta da Dio questa grazia di proposito fecero finta di non sentire la chiamata o sin da principio con la loro condotta di vita resero impossibile a Dio di far loro giungere quella chiamata che egli aveva tenuto in serbo per essi.

Le forme della chiamata speciale - poiché è soprattutto di queste che ora si tratta - sono nel loro insieme forme di amore che si distinguono perciò dal puro e semplice comando che il padrone impartisce al servo.

Tuttavia può essere che il modo, per così dire il suono della voce di Dio sia diverso, a seconda che si tratti di una chiamata allo stato sacerdotale o allo stato dei consigli.

Il sacerdozio è primariamente una funzione ecclesiale, per cui anche la chiamata ad esso recherà in sé come qualcosa di ministeriale e gli conferirà così qualcosa di simile ad un comando.

È piuttosto il categorico « Seguimi » rivolto ai discepoli, che li toglie semplicemente dal loro ambiente terreno per collocarli in un nuovo ufficio; una chiamata che è quasi simile ad un appello militare, poiché i singoli vengono chiamati per nome e si fanno avanti ( Mc 3,13 ).

Pietro viene colto di sorpresa dall'improvviso cambiamento di nome e sequestrato per il ministero, le obiezioni di Natanaele vengono sconfitte dalla sorprendente rivelazione dell'onniscienza di colui che gli rivolge la richiesta ( Gv 1,42-48 ).

La chiamata allo stato dei consigli è in qualche modo diversa.

Essa è una chiamata alla sequela personale e per questo abbisogna assai più fortemente della volontaria risposta personale, reca di più il carattere di un invito.

Al giovane ricco, che sente in sé l'impulso alla totalità, il Signore apre una porta e gli mostra la possibilità di entrare: « Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti ».

E inoltre: « Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto ciò che hai ( … ), poi vieni e seguimi » ( Mt 19,17-21 ).

Così si differenzia pure, come già vedemmo, la vocazione del discepolo dell'amore da quella ministeriale di Pietro.

Giovanni viene attirato dall'amore del Signore ed è già in movimento verso di lui.

Quando il Signore si volta e domanda: « Cosa cercate? » alla controdomanda: « Maestro, dove abiti? » fa seguito l'acconsenziente invito: « Venite e vedete » ( Gv 1,38-39 ).

Il non voler udire il « comando » al ministero è perciò piuttosto simile al trascurare un comandamento, mentre il non voler udire l' « invito » alla sequela personale tocca qualcosa di più delicato, che cioè non può propriamente esser valutato come trasgressione di un comandamento ( giacché si tratta in effetti « soltanto » di un consiglio ), ma che colpisce l'amore del Signore in un punto più intimo, più vulnerabile.

Infatti per la passione del giovane ricco per qualcosa di migliore « Gesù lo amò » ( Mc 10,21 ), e allorché il giovane ricco « divenne triste e rattristato se ne andò, poiché possedeva molti beni » ( Mc 10,22 ), questa tristezza è però poca se confrontata con quella del Signore che segue con gli occhi colui che si allontana.

Per questo personale amore di Dio contenuto nell'invito alla sequela personale il termine « consiglio » non è pienamente adeguato.

Un consiglio è pur sempre, anche se è un « buon consiglio », qualcosa che proviene da un'istanza che in qualche modo resta impartecipe, dove in caso di rifiuto a colui che ha dato il consiglio non ne deriva svantaggio alcuno.

L'invitante amore preveniente di Dio, che offre ad un uomo la grazia di poter gettar lo sguardo nei più profondi misteri dell'amore divino e di partecipare ad essi, viene colpita dalla scortesia di un rifiuto in modo diverso che quando viene trasgredita una « legge » reputata come formale.

Questo significa però allo stesso tempo che il passaggio della chiamata da un tono prevalentemente di comando ad un tono prevalentemente di invito non può affatto venir scambiato con un affievolimento della sua urgenza.

Al contrario, quanto più l'amore si rivela nella chiamata, tanto meno perciò questa chiamata può armarsi di sanzioni vere e proprie; quanto più essa è l'espressione dell'indifeso ( anzi implorante aiuto ) amore di Dio che non può addurre nessun altro argomento in favore della sequela che la speranza che le esigenze dell'amore vengano comprese, tanto più urgente diventa la risposta esigila da colui che viene interpellato, se questi è uno che ama.

Questa urgenza diviene così forte che ogni ordine, ogni comandamento o legge, appare come una semplice eco di tale necessità: che Dio deve venir riamato anche senza motivo, per amore del suo amore, che è un amore senza motivo.

A partire di qui Giovanni comprende tutto il cristianesimo: « Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come Lui si è comportato » ( 1 Gv 2,6 ); « da questo conosciamo l'amore, che Egli ha dato la sua vita per noi; anche noi perciò dobbiamo dare la vita per i fratelli » ( 1 Gv 3,16 ).

« Carissimi, se Dio ci ha dimostrato così grande amore, dobbiamo anche noi amarci gli uni gli altri » ( 1 Gv 4,11 ).

Questa necessità è nel Nuovo Testamento alla base di ogni altra necessità di leggi, le quali d'ora innanzi non « stanno » più fondate su di sé, ma « dipendono » ( Mt 22,40 ) oramai soltanto dalla legge dell'amore, « nella quale si adempie tutta la Legge » ( Gal 5,14 ) e inoltre persino « ogni profezia », mentre la legge considerata non come espressione dell'amore « non esiste per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi ( … ) » ( 1 Tm 1,9 ).

Sarebbe ora di nuovo errato pensare che le due forme di chiamata stiano bruscamente l'una di fronte all'altra.

Ci sono fra di esse dei passaggi scorrevoli.

Già per il fatto che, come abbiamo visto, lo stato d'elezione forma un'unità analoga, poiché una chiamata può prender le mosse dal sacerdozio per condurre il chiamato ad una sempre maggiore sequela personale, ad un adempimento dei consigli spirituale o attuale, e poiché d'altra parte la chiamata può condurre primariamente allo stato dei consigli, per far sbocciare da questo il sacerdozio come un frutto interiore che all'inizio rimaneva ancora nascosto.

Perlomeno è vero che ogni chiamata speciale, che nella forma somiglia a un comando, ha nello stesso tempo la forma dell'invito, mentre non ogni forma di invito ha anche forma di comando.

C'è piuttosto all'interno degli inviti di Dio ancora una volta tutta una serie di graduazioni fra un desiderio espresso chiaramente, che per chi ama può equivalere ad un comando, e l'offerta di una possibilità, la cui realizzazione rimane affidata quasi del tutto alla discrezione dell'uomo.

Qualche giovane, riflettendo sullo stato di vita da scegliere, giunge nelle vicinanze della zona della chiamata speciale; la chiamata stessa non ha luogo, ma egli sa che non gli viene impedito di avvicinarsi ancor di più a quella zona nella quale forse ( o anche probabilmente ) la chiamata diviene udibile.

Ma egli devia anzitempo, e così non la potrà mai udire.

Oppure quando uno si lascia condurre nella sua vita da Dio è previsto che se egli crescendo nel tempo a questo o quel punto di svolta della sua vita cammina con Dio, si dirige in virtù di ciò, senza ancora saperlo, in quel binario sul quale la chiamata gli verrà incontro.

Ma egli si impelaga, magari già da bambino, in una boscaglia, e la strada prevista non viene percorsa.

Ma può essere anche che egli perviene nella zona della chiamata qualitativa, si avvicina a Dio « a portata di voce », la quale voce gli lascia però, per la sua forma oggettiva e non semplicemente per la maniera imperfetta in cui viene udita, la scelta di seguire o di non seguire.

Egli vede del tutto obiettivamente: c'è la via normale, e non mi è interdetto di percorrerla.

Tuttavia a questa forma di chiamata manca l'attrazione magnetica con cui altre forme attirano a sé irresistibilmente.

Poiché nell'elezione il mistero della divina libertà della Grazia ha così tanto spazio, questa Grazia divina lascia anche all'umana libertà di risposta il medesimo spazio per decidere.

Le relazioni d'amore fra Dio e uomo, che si intessono inafferrabilmente in entrambe le direzioni, sono non meno delicate e molteplici che quelle fra due amanti prima che si chiudano le porte dello stato matrimoniale.

Parecchie considerazioni, parecchi riguardi trovano posto, e se in un caso i cuori amanti battono così irresistibilmente l'uno verso l'altro che non viene in mente null'altro che il matrimonio, in un altro caso l'amore può esigere, proprio per amore, forse lunghi anni di estrema discrezione, in cui il partner è lasciato libero di decidere.

Così ogni chiamata da parte di Dio ha anche, come ogni rapporto d'amore umano, la sua storia e il suo sviluppo.

Raramente uno che è realmente chiamato non è posto sin dalla prima giovinezza sulla via della chiamata.

Egli ascolta da bambino la voce di Dio, che ritorna penetrante a intermittenza, o come una continua esortazione e invito che non è ancora precisato più da vicino e che non è ancora affatto necessario che il bambino interpreti nel senso di una vocazione allo stato di vita.

Per lo più solo in un secondo tempo, a partire dalla chiamata udita e ricevuta, tutta la via della fanciullezza è interpretabile come una via in cui si è stati guidati, tutelati e preparati secondo i piani al futuro incarico. Ne qui ne nella vocazione stessa ci sono norme universalmente valide: ogni via è una nuova, irripetibile storia d'amore; solo una cosa è certa: che ognuno che segue la luce della chiamata e rimane fedele alla guida divina non viene abbandonato da Dio, ma viene condotto alla chiarezza di una scelta perfetta.

Incerto rimane invece quanto a lungo la pazienza di Dio continua a seguire uno che fa resistenza e che si chiude.

Certamente ci sono casi come quello di Giona, in cui Dio raggiunge colui che lo fugge, e con superiorità lo colloca nella sua missione, casi anche nei quali Dio apparentemente per decenni esaudisce uno senza nemmeno bisogno che questi gli esprima a voce la sua richiesta, per poi all'ultimo, allorché egli giace a terra sopraffatto, dirgli con l'ironia dell'amore divino: « Ti è duro recalcitrare contro il pungolo! » ( At 26,14 ).

E tuttavia dovrebbe essere più frequente l'altro caso, quello del giovane ricco: che Dio chiede una volta, forse un paio di volte, ma alla fine lascia andare l'anima che rifiuta l'amicizia di Dio.

Con ciò l'episodio del reclutamento di questa vita da parte di Dio è essenzialmente terminato; non come se si dovesse disperare della salvezza di quest'uomo, giacché gli rimane sempre offerta la grazia sufficiente per salvarsi, ma è certo nel senso che è per sempre svanita la possibilità di divenire un amico prediletto di Dio.

Dio non conferisce due volte una missione speciale, qualitativa; egli può cioè aspettare che l'uomo si degni infine di compiere la scelta decisiva, ma una volta che essa è stata negativa non giova più nessun pentimento.

Le vie della chiamata restano uniche, irripetibili.

Nessuna casistica le può formulare in leggi bell'e pronte.

E tuttavia queste vie della chiamata sono le vie di ogni vita cristiana, ed ogni casistica si riferisce alla legge della rispettivamente nuova, personale conduzione ad opera di Dio.

Ogni « sistema » della spiritualità, della « ascetica e mistica » tenta di afferrare e descrivere queste vie della chiamata, che esse conducano alla chiamata di grazia nella Chiesa o a speciali vocazioni in essa.

Ma la cosa ultimamente importante nella vita cristiana rimane il personale poter udire e interpretare la mia rispettiva chiamata; nessun altro può udire la mia chiamata al mio posto, nessuna scienza di Dio e delle sue vie può sostituire l'orecchio che ascolta e obbedisce.

Quintessenza dell'esser cristiani è essere aperti alla chiamata ogni giorno e ogni ora, e lasciarsi da essa colpire e guidare.

« Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente.

Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura questo « oggi », perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato ( … )

Udite oggi la sua voce, non indurite i vostri cuori » ( Eb 3,12-15 ).

Le diversità delle forme di chiamata riguardano non solo la preistoria della scelta, ma forgiano anche dopo la scelta, nell'assunzione della missione, tipi diversi di chiamati.

Colui che in virtù della chiamata è diventato prete conserva nella caratterizzazione della sua missione qualcosa della forma di questa vocazione.

Il suo rapporto verso Dio e il prossimo, il suo modo di vedere la vita cristiana, di giudicare vizi e virtù, anche di impartire i Sacramenti e di provvedere al servizio della comunità conserveranno certi tratti che lo distinguono da una tipica vocazione religiosa.

Egli sarà « più vicino alla natura », nonostante tutta la soprannaturalità dei suoi motivi non trascurerà mai i punti di vista naturali, prenderà il peccatore o il figlio spirituale da educare più dal lato caratteriale, morale, per condurlo avanti, manterrà un'intima relazione coi rapporti familiari, statali, sociali.

Il religioso, che grazie all'invito del Crocifisso è entrato nello stato della croce, vedrà e giudicherà ogni cosa a partire dalla croce, si dimostrerà talvolta nelle cose concernenti l'ordine naturale maldestro ed estraneo al mondo, risolverà i casi di coscienza dal punto di vista soprannaturale dell'amore di Dio e di Cristo, guarderà sempre agli uomini in vista del loro compito affidato loro dalla grazia divina e a partire di là li guiderà.

Ma anche all'interno delle esplicite vocazioni personali alla sequela rimangono fino all'ultimo tensioni considerevoli nella forma di vocazione: fra coloro ai quali è stata imposta da Dio una grande missione personale con una certa violenza e coloro invece che sono stati attratti nel loro stato dal delicato ardore del Signore.

Paolo fa parte dei primi, Giovanni dei secondi.

Paolo, che si dirige verso Damasco « fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore », viene gettato giù di sella dalla chiamata come da una folgore.

Tutto in ciò è duro: la luce che lo inonda e letteralmente lo acceca; la quasi beffarda vittoria del Kyrios su quello spirito violento che « scosso e tremante » giace a terra davanti a Lui; la brusca istruzione: « Alzati e va' in città; là ti sarà detto ciò che devi fare »; l'impietosa profezia della durezza della missione: « Egli è per me uno strumento eletto ( … ), io voglio mostrargli quanto dovrà soffrire per il mio nome » ( At 9 ).

Il cavallo scosso viene marchiato col timbro della vocazione.

Non gli si chiede il suo parere: il sì dell'assenso sembra perduto nell'enormità della rivelazione del mistero che gli viene affidato ( Ef 3,1-4 ).

Non si discute.

E così rimane al chiamato qualcosa della violenza della grazia che lo ha sopraffatto, al punto che egli sente il suo apostolato come una corvée impostagli, a cui egli certo acconsente ardentemente e che porta avanti: « Non è per me un vanto predicare il Vangelo, è un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!

Se lo facessi di mia iniziativa, avrei diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato.

Qual è dunque la mia ricompensa? » ( 1 Cor 9,16-18 ).

Questa consapevolezza di essere « un bue che trebbia » ( « Non lo dice Dio forse proprio per noi? », 1 Cor 9,9-10 ) egli la mantiene anche quando riceve le più elevate rivelazioni e canta i più estasianti inni all'amore di Dio.

Egli deve sentire il pungolo per buoi, contro cui recalcitra, anche più tardi: « Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi fu messa una spina nella carne, un inviato di Satana incaricato di colpirmi, affinché io non mi insuperbisca » ( 2 Cor 12,7 ).

Se Paolo appare così forgiato dal piede del Signore « ardente nel crogiuolo », altrettanto è per Giovanni in virtù dei Suoi « occhi fiammeggianti come fuoco » ( Ap 1,15; Ap 2,18 ).

Lui non ha bisogno di essere sopraffatto dal Signore per essere preso nel suo incantesimo; sin dal primo istante in cui Lo ha guardato e ha udito la Sua voce, egli è stato strappato fuori da sé e inserito nel puro guardare, udire, toccare l'Amore: che si rivela: « Ciò che era sin da principio, ciò che noi abbiamo udito e visto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo guardato e che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita ( … ) noi lo annunciamo a voi, affinché anche voi siate in comunione con noi » ( 1 Gv 1,1-2 ).

Provenendo da questa esperienza, per annunciarla come colando dai torrenti della Grazia, Giovanni non sa annunciare altro che i miracoli dell'amore del Signore.

Mentre la personalità di Paolo si innalza, per amore della sua missione, alta come una torre e attira tutti gli sguardi su di sé ( « Prendete come modello me, o miei fratelli! » Fil 3,17 ), la persona di Giovanni è come dissolta, i suoi contorni come cancellati, tutto il suo essere è reso come trasparente per la sola luce della vita del Signore.

Così le forme della chiamata forgiano quelle delle vocazioni, delle quali non si può dire che le une siano migliori delle altre, ma che piuttosto sono tutte la cosa migliore quando corrispondono esattamente alla chiamata giunta loro, poiché « c'è diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; c'è diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; c'è diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti » ( 1 Cor 12,4-6 ).

Indice