Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se i peccati siano specificamente distinti secondo l'oggetto

Infra, aa. 3, 8; De Malo, q. 2, a. 6; q. 14, a. 3

Pare che i peccati non siano specificamente distinti secondo l'oggetto.

Infatti:

1. Gli atti umani si dicono buoni o cattivi principalmente in rapporto al fine, come si è visto [ q. 18, a. 6 ].

Ora, siccome il peccato non è altro che l'atto umano cattivo, come si è detto [ q. 21, a. 1; q. 71, a. 1 ], sembra più logico distinguere specificamente i peccati secondo i fini che secondo gli oggetti.

2. Il male, essendo una privazione, ha le sue distinzioni specifiche secondo le diverse specie dei suoi opposti.

Ma il peccato è un male nel genere degli atti umani.

Quindi i peccati derivano la distinzione specifica più dalle virtù opposte che dal loro oggetto.

3. Se i peccati si distinguessero specificamente per il loro oggetto, sarebbe impossibile che un peccato specificamente identico potesse abbracciare oggetti diversi.

Invece tali peccati esistono: infatti la superbia, al dire di S. Gregorio [ Mor. 34,23 ], abbraccia cose spirituali e cose materiali, e anche l'avarizia si estende a realtà di diverso genere.

Quindi i peccati non si distinguono specificamente secondo il loro oggetto.

In contrario:

« Il peccato è una parola, un'azione o un desiderio contro la legge di Dio » [ Agost., Contra Faustum 22,27 ].

Ora le parole, le azioni e i desideri si distinguono secondo i diversi oggetti, poiché secondo le dimostrazioni date [ q. 18, a. 5; I, q. 77, a. 3 ] gli atti si distinguono in base ai loro oggetti.

Perciò anche i peccati si distinguono specificamente secondo i loro oggetti.

Dimostrazione:

Abbiamo già detto [ q. 71, a. 6 ] che il peccato consta di due elementi: di un atto volontario e del suo disordine, che dipende dal suo scostarsi dalla legge di Dio.

Ora, il primo di questi elementi si rapporta a colui che pecca come ciò che è essenziale [ per se ], poiché costui intende compiere tale atto volontario in una determinata materia; il secondo invece, cioè il disordine dell'atto, è accidentale [ per accidens ] all'intenzione di chi pecca.

Secondo il detto di Dionigi [ De div. nom. 4 ], infatti, « nessuno agisce in cerca del male ».

Ora, è evidente che ogni cosa raggiunge la sua specie in forza di quanto le appartiene essenzialmente [ per se ], e non in base a ciò che le appartiene accidentalmente [ per accidens ]: poiché gli elementi accidentali sono estranei alla specie.

E così i peccati si distinguono specificamente tra loro in quanto atti volontari, e non in forza del disordine in essi esistente.

Ma gli atti volontari, come si è già dimostrato [ q. 18, a. 5 ], si distinguono specificamente tra loro secondo l'oggetto.

Quindi è dall'oggetto che i peccati ricevono propriamente la loro distinzione specifica.

Analisi delle obiezioni:

1. L'aspetto di bene si addice principalmente al fine: perciò quest'ultimo, in rapporto all'atto di volontà, che è l'elemento principale in ogni peccato, forma precisamente l'oggetto.

Dire quindi che i peccati differiscono specificamente secondo il fine è come dire che differiscono secondo l'oggetto.

2. Il peccato non è una pura privazione, ma un atto privo dell'ordine dovuto.

Quindi i peccati sono specificamente distinti più secondo l'oggetto di tali atti che secondo le virtù contrarie.

- Del resto, anche se li volessimo distinguere secondo le virtù opposte, torneremmo alla stessa conclusione: infatti le virtù, come si è visto [ q. 60, a. 5 ], si distinguono specificamente secondo l'oggetto.

3. Nulla impedisce che in realtà di specie o di generi diversi si trovi un'unica ragione formale obiettiva, da cui il peccato desume la sua specie.

E in questo senso la superbia cerca la propria eccellenza in cose diverse, mentre l'avarizia cerca l'abbondanza di tutto ciò che serve alla vita umana.

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