Summa Teologica - II-II

Indice

Articolo 12 - Se la preghiera debba essere vocale

In 3 Sent., d. 9, q. 1, a. 3, sol. 3, ad 2; In 4 Sent., d. 15, q. 4, a. 2, sol. 1

Pare che la preghiera non debba essere vocale.

Infatti:

1. Come sopra [ a. 4 ] si è notato, la preghiera è rivolta principalmente a Dio.

Ma Dio conosce il linguaggio segreto dei cuori.

Quindi la preghiera vocale è inutile.

2. Con la preghiera, come si è detto [ a. 1, ad 2 ], la mente dell'uomo deve salire a Dio.

Ora le parole, come tutte le realtà sensibili, impediscono all'uomo di salire verso Dio con la contemplazione.

Quindi nella preghiera non si deve ricorrere alla parola esterna.

3. La preghiera deve essere indirizzata a Dio in segreto, come si legge nel Vangelo [ Mt 6,6 ]: « Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto ».

Ma con la voce la preghiera diviene pubblica.

Quindi la preghiera non deve essere vocale.

In contrario:

Nei Salmi [ Sal 142,2 ] si legge: « Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce supplico il Signore ».

Dimostrazione:

La preghiera può essere di due specie: comune e individuale.

La preghiera comune è quella che è fatta dai ministri della Chiesa ed è presentata a Dio a nome di tutto il popolo fedele.

Ora, questa preghiera deve essere conosciuta da tutto il popolo per il quale viene fatta.

Il che non sarebbe possibile se non fosse vocale.

Per cui fu stabilito giustamente che queste preghiere vengano pronunziate a voce alta, in modo che siano conosciute da tutti.

È individuale invece la preghiera che è presentata da ciascuno in particolare, sia per sé che per altri.

E tale preghiera non è necessario che sia vocale.

Tuttavia ad essa si può aggiungere utilmente la parola esterna per tre motivi.

Primo, per eccitare la devozione interiore, con la quale la mente di chi prega si eleva a Dio.

E questo perché la mente umana mediante i segni esterni, come le parole o anche i gesti, viene predisposta alla conoscenza e quindi all'affetto.

Per cui S. Agostino [ Epist. 130,9.18 ] insegna che « noi possiamo eccitare noi stessi ad accrescere il santo desiderio con la parola e con altri segni ».

Così nella preghiera individuale dobbiamo servirci della parola e degli altri segni nella misura in cui servono a eccitare i sentimenti interni.

Se invece lo spirito ne viene distratto, o comunque ostacolato, allora essi vanno tralasciati.

E ciò avviene specialmente in coloro il cui spirito è già efficacemente predisposto alla devozione senza tali segni.

Da cui le parole del Salmista [ Sal 27,8 ]: « Di te ha detto il mio cuore: "Cercate il suo volto" »; e di Anna si legge [ 1 Sam 1,13 ] che « pregava in cuor suo ».

Secondo, alla preghiera si può aggiungere la parola come per soddisfare il nostro debito, cioè per far sì che l'uomo serva al Signore con tutto ciò che ha ricevuto da Dio, e quindi non solo con lo spirito, ma anche con il corpo.

Il che si addice alla preghiera specialmente in quanto satisfattoria.

Da cui le parole della Scrittura [ Os 14,3 ]: « Togli via ogni colpa, accetta ciò che è bene e ti offriremo il sacrificio delle nostre labbra ».

Terzo, alla preghiera si può aggiungere la parola per la ridondanza dell'anima sul corpo sotto la veemenza degli affetti, secondo le parole del Salmista [ Sal 16,9 ]: « Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima ».

Analisi delle obiezioni:

1. La preghiera vocale non viene presentata per far conoscere a Dio qualcosa che egli non sa, ma per sospingere verso Dio l'animo di chi prega, o degli altri.

2. Le parole riguardanti altre cose distraggono la mente e impediscono la devozione di chi prega, ma quelle che esprimono l'oggetto della devozione eccitano gli animi, specialmente quelli meno devoti.

3. Come spiega il Crisostomo [ Op. imp. in Mt hom. 13 ], « il Signore proibisce di pregare in pubblico allo scopo di essere visti dal pubblico.

Per cui colui che prega non deve fare nulla di particolare per farsi notare dagli altri, né gridare, né battersi il petto, né alzare le mani ».

4. « Tuttavia », come nota S. Agostino [ De serm. Dom. in monte 2,3.10 ], « il peccato non sta nell'essere visti dagli uomini, ma nel compiere certe cose per essere visti dagli uomini ».

Indice