Formazione negli Istituti Religiosi

Indice

V - Questioni attuali concernenti la formazione dei Religiosi

Vengono qui riunite questioni o posizioni alcune delle quali risultano da un'analisi succinta e che, di conseguenza, meritano probabilmente discussioni, sfumature e complementi.

Per altro, sono enunciati orientamenti e principi, la cui applicazione concreta non può essere fatta che a livello di Chiese particolari.

A) I giovani candidati alla vita religiosa e la pastorale delle vocazioni

86. I giovani sono « la speranza della Chiesa »,1 essa ha « tante cose da dire ai giovani e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa ».2

Sebbene vi siano degli adulti candidati alla vita religiosa, i giovani dai 18 ai 25 anni rappresentano oggi la maggioranza.

Nella misura in cui essi sono toccati da ciò che si è convenuto chiamare « la modernità », si possono trarre con sufficiente esattezza, sembra, alcuni tratti comuni.

Il ritratto risente del modello nord-occidentale, ma questo modello tende ad universalizzarsi, nei suoi valori e nelle sue debolezze, e ciascuna cultura vi apporterà i ritocchi richiesti dalla sua propria originalità.

87. « La sensibilità dei giovani percepisce profondamente i valori della giustizia, della nonviolenza e della pace.

Il loro cuore è aperto alla fraternità, all'amicizia e alla solidarietà.

Essi si mobilitano al massimo in favore delle cause che riguardano la qualità della vita e la conservazione della natura ».3

Essi generalmente, e a volte ardentemente, aspirano ad un mondo migliore e non è raro che si impegnino in associazioni politiche, sociali, culturali e caritative per contribuire a migliorare la situazione dell'umanità.

A meno che non siano stati sviati da ideologie di tipo totalitario, per la maggior parte sono ardenti sostenitori della liberazione dell'uomo in fatto di razzismo, di sottosviluppo, di guerre, di ingiustizie.

Tale atteggiamento non sempre è suggerito e a volte è lontano dall'esserlo da motivi di ordine religioso, filosofico e politico, ma non si può negarne la sincerità e la grande generosità.

Tra questi ve ne sono alcuni che hanno un profondo senso religioso, che tuttavia ha bisogno di essere evangelizzato.

Molti, infine, e non è necessariamente una minoranza, hanno condotto una vita cristiana molto esemplare e si sono impegnati coraggiosamente nell'apostolato, sperimentando ciò che può significare « seguire Gesù Cristo più da vicino ».

88. Stando così le cose, i capisaldi dottrinali ed etici tendono a relativizzarsi, al punto che non sempre sanno molto bene se esistono dei punti solidi di riferimento per conoscere la verità dell'uomo, del mondo e delle cose.

La scarsità all'insegnamento della filosofia nei programmi scolastici ne è spesso responsabile.

Esitano a dire chi sono e ciò che essi sono chiamati a divenire.

Se hanno alcune convinzioni sull'esistenza del bene e del male, il senso di questi termini sembra essersi spostato in rapporto a ciò che esso era per le generazioni precedenti.

Spesso vi è una sproporzione tra il livello delle loro conoscenze profane, a volte molto specializzate, e quello della loro crescita psicologica e della loro vita quotidiana.

Non tutti hanno fatto una felice esperienza nella famiglia, data la crisi che attraversa l'istituto familiare, sia dove la cultura non è stata profondamente impregnata di cristianesimo, sia in culture di tipo postcristiano dove si impone l'urgenza di una nuova evangelizzazione, sia anche nelle culture evangelizzate da molto tempo.

Essi imparano attraverso l'immagine, e la pedagogia scolastica in vigore a volte favorisce tale mezzo, ma leggono meno.

Accade che loro cultura si caratterizzi per una quasi assenza di dimensione storica, come il nostro mondo cominciasse oggi.

La società dei consumi, con le delusioni che essa genera, non li risparmia.

Arrivando, a volte con fatica, a trovare il loro posto nel mondo, alcuni si lasciano sedurre dalla violenza, dalla droga e dall'erotismo.

È sempre meno raro trovare, tra i candidati alla vita religiosa, giovani che non abbiano fatto esperienze infelici in questo campo.

89. Urgono allora i problemi che la ricchezza e la complessità di questo tessuto umano pongono alla pastorale delle vocazioni e nello stesso tempo alla formazione.

È qui in causa il discernimento delle vocazioni.

Soprattutto in certi paesi alcuni candidati e candidate si presenteranno per cercare più o meno coscientemente una promozione sociale ed una sicurezza per l'avvenire;

altri vedranno la vita religiosa come il luogo ideale di un impegno ideologico per la giustizia;

altri, infine, di spirito più conservatore, si aspetteranno che la vita religiosa sia il luogo di salvaguardia della loro fede in questo mondo considerato soprattutto come ostile e corrotto.

Queste motivazioni rappresentano il risvolto di un certo numero di valori, ma richiedono di essere purificate e raddrizzate.

Nei paesi cosiddetti sviluppati, bisognerà promuovere soprattutto l'equilibrio umano e spirituale, a base di rinuncia, di fedeltà duratura, di generosità serena e costante, di gioia autentica e di amore.

Ecco un programma esigente, ma necessario, per le religiose ed i religiosi incaricati della pastorale delle vocazioni e della formazione.

B) La formazione dei Religiosi e la cultura

90. Il termine generale di cultura sembra possa riassumere, come lo propone la Costituzione pastorale Gaudium et spes, « quell'insieme di dati personali e sociali che contrassegnano l'uomo permettendogli di assumere e di dominare la sua condizione e il suo destino » ( GS 53-62 ).4

È perciò che si può dire che la cultura è « ciò per cui l'uomo diventa maggiormente uomo » e « si situa sempre in relazione essenziale e necessaria con ciò che l'uomo è ».5

D'altra parte, « la professione dei consigli evangelici, quantunque comporti la rinuncia di beni certamente apprezzabili, tuttavia non si oppone al vero progresso della persona umana, ma per sua natura gli è di grandissimo giovamento ».6

Esiste dunque un'affinità tra la vita religiosa e la cultura.

91. Concretamente, questa affinità richiama la nostra attenzione su alcuni punti.

Gesù Cristo e il suo Vangelo trascendono ogni cultura, anche se la presenza del Cristo risuscitato e del suo Spirito le penetrano tutte nell'intimo.7

D'altra parte, ogni cultura deve essere evangelizzata, cioè purificata e sanata dalle ferite del peccato.

Nello stesso tempo, la sapienza che porta in se è sorpassata, arricchita e completata dalla saggezza della Croce.8

Converrà dunque, sotto ogni aspetto:

- tener conto del livello di cultura generale del candidato, senza dimenticare che la cultura non si limita alla dimensione intellettuale della persona;

- verificare come le religiose e i religiosi riescono ad inculturare la loro fede nella loro cultura d'origine ed aiutarli in questo.

Ciò non deve condurre a trasformare le case di formazione alla vita religiosa in una sorta di laboratorio di inculturazione.

I responsabili di formazione non possono tuttavia mancare di vigilare nella guida personale della loro fede e del radicamento nella vita di tutta la persona, essi non possono dimenticare che il Vangelo introduce in una cultura di verità ultima dei valori che essa porta e che, d'altra parte, la cultura esprime il Vangelo in modo originale e ne manifesta nuovi aspetti;9

- iniziare le religiose ed i religiosi, che vivono e lavorano in una cultura estranea alla loro cultura di origine, alla conoscenza e alla stima di tale cultura, secondo le raccomandazioni del Decreto conciliare Ad gentes, n. 22;

- promuovere nelle giovani Chiese, in comunione con l'intera Chiesa locale sotto la guida del suo pastore, una vita religiosa inculturata, conformemente al Decreto Ad gentes, n. 18.

C) Vita religiosa e movimenti ecclesiali

92 « Nella Chiesa-comunione, gli stati di vita sono così uniti tra loro da essere coordinati l'uno all'altro.

Il loro senso profondo è il medesimo, è unico per quello di essere un modo di vivere l'uguale dignità cristiana e la vocazione universale alla santità nella perfezione dell'amore.

Le modalità sono nello stesso tempo diverse e complementari, in modo che ciascuna di esse ha la sua fisionomia originale che non si può confondere, e, nello stesso tempo, ciascuna si pone in relazione con tutte le altre e a loro servizio ».10

Ciò è confermato dalle numerose esperienze attuali di condivisione, non solo di lavoro, ma anche talvolta di preghiera e di mensa tra religiosi e laici.

Il nostro proposito non è quello di cominciare qui uno studio d'insieme su questa situazione, ma di considerare unicamente le relazioni religiosi-laici sotto l'aspetto dei movimenti ecclesiali, dovuti per la maggior parte all'iniziativa dei laici.

Da sempre, in seno al popolo di Dio si sono manifestati movimenti ecclesiali da un desiderio di vivere più intensamente il Vangelo e di annunciarlo agli uomini.

Alcuni di essi erano legati abbastanza strettamente ad istituti religiosi, di cui condividevano la spiritualità specifica.

Ai giorni nostri, e specialmente da alcuni decenni, sono apparsi nuovi movimenti, più indipendenti dei primi dalle strutture e dallo stile della vita religiosa, e la cui influenza benefica per la Chiesa è stata spesso ricordata durante il Sinodo dei vescovi sulla vocazione e missione dei laici ( 1987 ), purché obbediscano ad un certo numero di criteri di ecclesialità.11

93. Per mantenere una felice comunione tra questi movimenti e gli istituti religiosi, tanto più che numerose vocazioni religiose sono, qua e là, sorte da questi movimenti, bisogna riflettere sulle seguenti esigenze e sulle conseguenze concrete che esse comportano per i membri di questi istituti:

- Un istituto, tale quale l'ha voluto il fondatore e tale quale l'ha approvato la Chiesa, ha una coerenza interna che riceve dalla sua natura, dal suo fine, dal suo spirito, dal suo carattere e dalle sue tradizioni.

Tutto questo patrimonio costituisce l'asse intorno al quale si mantiene insieme l'identità e l'unità dell'istituto stesso12 e l'unità di vita di ciascuno dei suoi membri.

È un dono dello Spirito alla Chiesa che non può sopportare interferenze né mescolanze.

Il dialogo e la condivisione in seno alla Chiesa suppongono che ciascuno abbia perfetta coscienza di ciò che si è.

- Un candidato alla vita religiosa proveniente dall'uno o dall'altro di questi movimenti ecclesiali si pone liberamente, quando entra nel noviziato, sotto l'autorità dei superiori e dei formatori legittimamente incaricati di formarlo.

Non può, quindi, dipendere nello stesso tempo da un responsabile esterno all'istituto al quale ormai appartiene, anche se prima di entrare apparteneva a tale movimento.

Qui si tratta dell'unità dell'istituto e dell'unità di vita dei novizi.

- Queste esigenze rimangono al di là della professione religiosa, al fine di eliminare ogni fenomeno di pluri-appartenenza, sul piano della vita spirituale del religioso e sul piano della sua missione.

Se non fossero rispettate, la necessaria comunione tra i religiosi e i laici rischierebbe di degenerare in confusione tra i due piani indicati sopra.

D) Il ministero episcopale e la vita religiosa

94. Questa questione è divenuta attuale dopo la pubblicazione del documento Mutuae relationes e dopo che il S. Padre Giovanni Paolo II ha sottolineato in più circostanze l'impatto della carica pastorale dei Vescovi sulla vita religiosa.

Il ministero del Vescovo e quello di un superiore religioso non sono in concorrenza.

Esiste certamente un ordine interno degli istituti che possiede il suo campo proprio di competenza in vista del mantenimento e della crescita della vita religiosa.

Questo ordine interno, gode di una vera autonomia, ma quest'ultima si dovrà esercitare necessariamente nel quadro di una comunione ecclesiale organica.13

95. In effetti, "è riconosciuta ai singoli istituti una giusta autonomia di vita specialmente di governo, mediante la quale abbiano nella Chiesa una propria disciplina e possano conservare integro il proprio patrimonio ( … ).

È compito degli ordinari dei luoghi conservare e tutelare tale autonomia".14

Nel quadro di questa autonomia, « il diritto proprio ( degli istituti ) deve stabilire il regolamento e la "durata della formazione", tenendo presenti le necessità della Chiesa e le condizioni delle persone e dei tempi, secondo quanto esigono le finalità e l'indole dell'istituto ».15

« Quanto all'ufficio di insegnare, i superiori religiosi hanno la competenza e l'autorità dei maestri di spirito in relazione al progetto evangelico del proprio istituto: in tale ambito, quindi, devono esplicare una vera direzione spirituale dell'intera congregazione e delle singole comunità della medesima, in sincera concordia con l'autentico magistero della gerarchia »16

96. D'altra parte, i Vescovi, in quanto « dottori autentici » e « testimoni della verità divina e cattolica »,17 hanno una « responsabilità circa l'insegnamento dottrinale della fede, sia nei centri dove se ne coltiva lo studio, sia nell'impiego dei mezzi di trasmetterla ».18

Spetta ai Vescovi, quali maestri autentici e guide di perfezione per tutti i membri della loro diocesi ( cf ChD 12, n. 15, n. 35/2: LG 25, n. 45 ), di essere i custodi anche della fedeltà alla vocazione religiosa nello spirito di ciascun istituto »,19 secondo le norme del diritto ( cf. c. 386, c. 387, c. 591, c. 593, c. 678 ).

97. A ciò non si oppone affatto l'autonomia di vita, e in particolare di governo riconosciuta agli istituti religiosi.

Se, nell'esercizio della sua giurisdizione, il Vescovo è limitato dal rispetto di questa autonomia, non è pertanto dispensato dal vegliare sul cammino dei religiosi verso la santità.

Compete infatti ad un successore degli Apostoli, in quanto ministro della Parola di Dio, di invitare in generale i cristiani a seguire Cristo e, in special modo, quelli che ricevono la grazia di seguirlo « più da vicino » ( c. 573,1 ).

L'istituto al quale essi appartengono rappresenta già per se stesso e per loro una scuola di perfezione e una via verso la santità, ma la vita religiosa che propone è un bene della Chiesa e, come tale, comporta la responsabilità del Vescovo.

Il rapporto del Vescovo con le religiose ed i religiosi, generalmente percepito a livello di apostolato, si radica più profondamente nel suo compito di ministro del Vangelo, al servizio della santità della Chiesa e dell'integrità della sua fede.

In questo spirito e sulla base di questi principi, è conveniente che i Vescovi delle Chiese particolari siano per lo meno informati dai superiori maggiori dei programmi di formazione in vigore nei centri o servizi di formazione dei religiosi situati sul territorio di cui essi sono i pastori.

Ogni difficoltà rilevata dalla responsabilità episcopale e concernente il funzionamento di questi servizi o centri sarà esaminata tra il Vescovo ed i superiori maggiori, conformemente al diritto ed agli orientamenti dati dal documento Mutuae relationes ( nn. 24-25 ) ed, eventualmente, con l'aiuto degli organi di coordinamento indicati dallo stesso documento ai nn. 52-67.

E) La collaborazione interistituti a livello della formazione

98. La prima responsabilità della formazione dei religiosi appartiene di diritto a ciascun istituto e sono i superiori maggiori degli istituti, con l'aiuto dei loro responsabili qualificati, che hanno l'importante missione di vigilarvi.

Ogni istituto deve, d'altra parte, secondo il diritto, stabilire il proprio programma di formazione ( ratio ).20

Frattanto, diverse circostanze hanno costretto numerosi istituti, in tutti i continenti, a mettere in comune i loro mezzi di formazione ( personale ed istituzioni ) allo scopo di collaborare a questa opera così importante che non era loro più possibile compiere da soli.

99. Questa collaborazione si effettua per mezzo di centri permanenti o di servizi periodici.

Si chiama centro interistituti un centro di studio per religiosi, posto sotto la responsabilità collettiva dei superiori maggiori di istituti i cui membri partecipano a questo centro.

Suo scopo è di assicurare la formazione dottrinale e pratica richiesta dalla missione specifica degli istituti e conformemente alla loro natura.

Esso è distinto dalla comunità di formazione propria di ciascun istituto e in seno alla quale il novizio e il religioso sono iniziati alla vita comunitaria, spirituale e pastorale dell'istituto.

Quando un istituto partecipa ad un centro interistituti, dovrà esser messa a punto una complementarietà tra la comunità di formazione e il centro, in vista di una formazione armoniosa ed integrale.

I centri di formazione in seno ad una federazione obbediscono a norme scritte negli statuti della federazione e qui non vengono trattati.

Lo stesso avviene dei centri o servizi di studi posti sotto la responsabilità di un solo istituto, ma che accolgono come ospiti religiose e religiosi di altri istituti.

100. La collaborazione interistituti per la formazione dei giovani professi e professe, la formazione permanente e la formazione dei formatori, può effettuarsi nell'ambito di un centro.

Quella dei novizi, al contrario, non può essere data che sotto forma di servizi periodici, in quanto la comunità propriamente detta del noviziato non può essere che una comunità omogenea propria di ciascun istituto.

Il nostro Dicastero pubblicherà prossimamente un documento circostanziato e normativo concernente l'attuazione della collaborazione interistituti nel campo della formazione.

Indice

1 GE 2.
2 CL 46;
cf. anche Prop. 51 e 52 del VII Sinodo dei Vescovi ( 1987 ).
3 CL 46.
4 CIT 8.10.1985, n. 4,1;
EV 9, 1622.
5 Giovanni Paolo II all'UNESCO, 1980, nn. 6-7;
IDGP 1980, 1, 1636.
6 LG 46.
7 CIT, Fede e inculturazione, nn. 8-22. Civiltà Cattolica, gennaio 1989.
8 Ibid.;
cf. anche CL 44.
9 CIT, nn. 2-4;
cf. nota 4 di questo capitolo.
10 CL 55.
11 CL 30.
12 Cf. c. 578.
13 ChD 35, 3 e 4.
14 C. 586.
15 C. 659, 2;
cf. anche c. 650, 1 per quello che riguarda specialmente il noviziato.
16 MR 13a; d.
nota 8 Introduzione.
17 LG 25.
18 MR 33;
cf. nota 8 Introduzione;
cf. anche c. 753 e c. 212,1.
19 MR 28;
cf. nota 8 Introduzione.
Per il Vescovo « perfector », cf. Samma Theol., II-IIae q. 184.
20 CC, 650,1 e c. 659,2.
Vedere anche Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile, 11-7-1986, n. 5;
cf. nota 5 Introduzione.