Accogliere Cristo nei rifugiati

Indice

Parte I - La missione della Chiesa a favore delle persone forzatamente sradicate

15. Nella Chiesa nessuno è straniero perché essa abbraccia "ogni nazione, razza, popolo e lingua" ( Ap 7,9 ).

A questo proposito Papa Giovanni Paolo II affermò che "l'unità della Chiesa non è data dalla stessa origine dei suoi componenti, ma dallo Spirito della Pentecoste che fa di tutte le Nazioni un popolo nuovo, il quale ha come fine il Regno, come condizione la libertà dei figli, come statuto il precetto dell'amore ( cfr Lumen Gentium 9 )".9

Per questa ragione la Chiesa, segno e strumento di comunione con Dio e di unità tra tutti gli uomini, si sente fortemente coinvolta nell'evoluzione della società di cui la mobilità è oggi una rilevante caratteristica10 ed è chiamata a proclamare il Vangelo di amore e di pace anche nelle situazioni di migrazione forzata.

16. I rifugiati e le altre persone forzatamente sradicate sono stati, sono e saranno sempre nel cuore della Chiesa.

Essa lo ha espresso e dimostrato in numerose occasioni, specialmente durante il secolo scorso (cfr EMCC 20-33 ).

Già nel 1949, Papa Pio XII manifestò la sua preoccupazione per i rifugiati Palestinesi nella sua Lettera Enciclica Redemptoris nostri.11

Tre anni dopo, nel 1952, egli promulgò la Cost. Ap. Exsul Familia,12 considerata la magna charta della pastorale per i migranti e i rifugiati.

Nel 1963, Papa Giovanni XXIII attirò di nuovo l'attenzione sulle sofferenze e sui diritti dei rifugiati nella sua Lettera Enciclica Pacem in terris, nn. 57-58.

Il Conc. Ecum. Vat. II e successivi interventi del Magistero13 hanno affrontato questo fenomeno, considerato un segno dei tempi, con una serie di specifiche risposte pastorali.

17. Infine, nel 1970, Papa Paolo VI istituì la "Pontificia Commissio de spirituali migratorum atque itinerantium cura", che divenne Pont. Cons. Migranti nel 1988, con la promulgazione della Cost. Ap. Pastor Bonus.

A esso fu affidata, tra l'altro, la cura pastorale di coloro "che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto".14

Nel 1971, spinto "dal dovere della carità ad incoraggiare l'universale famiglia umana lungo la via della reciproca e sincera solidarietà",15 Papa Paolo VI istituì il Pontificio Consiglio Cor Unum affidandogli la funzione

di "stimolare i fedeli a dare testimonianza di carità evangelica, in quanto sono partecipi della stessa missione della Chiesa, e di sostenerli in questo loro impegno;

favorire e coordinare le iniziative delle istituzioni cattoliche che attendono ad aiutare i popoli che sono nell'indigenza … [ e ]

seguire attentamente e promuovere i progetti e le opere di solidale premura e di fraterno aiuto finalizzati al progresso umano".16

Papa Benedetto XVI definì il Pontificio Consiglio Cor Unum "istanza della Santa Sede responsabile per l'orientamento e il coordinamento tra le organizzazioni e le attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica" ( Dce 32 ).

18 Nel 1981, appena pochi anni dopo l'inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II asserì che ciò che la Chiesa intraprende a favore dei rifugiati è parte integrante della sua missione nel mondo.17

Da parte sua, Benedetto XVI si espresse in favore dei rifugiati poco più di un mese dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, avvenuta nell'aprile 2005, in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite il 20 giugno di ogni anno.

Egli sottolineò la "forza d'animo richiesta a chi deve lasciare tutto, a volte perfino la famiglia, per scampare a gravi difficoltà e pericoli".18

La Comunità Cristiana, che "si sente vicina a quanti vivono questa dolorosa condizione", fa del suo meglio per "sostenerli" e manifestare loro "il suo interessamento e il suo amore".19

Questo è fatto tramite "concreti gesti di solidarietà, perché chiunque si trova lontano dal proprio Paese senta la Chiesa come una patria dove nessuno è straniero".20

19. Una pastorale nata dall'annuncio del Vangelo

Lungo la storia della salvezza, già in alcune pagine dell'Antico Testamento, l'accoglienza degli stranieri è un imperativo ( cfr Lv 19,34; Dt 24,17-22 ), sebbene non manchi il timore che le relazioni con lo straniero possano portare alla perdita della purezza religiosa e, di conseguenza, dell'identità nazionale ( cfr Dt 7,3; Dt 13,6-9 ).

20. Nondimeno, gli stranieri dovevano essere trattati allo stesso modo degli Israeliti ( cfr Lv 19,34 e Dt 1,16; Dt 24,17; Dt 27,19 ).

La giustizia, come obbedienza alla legge divina, era la base della sollecitudine verso costoro e verso le persone vulnerabili, come i poveri, le vedove e gli orfani.

Essi erano spesso soggetti a oppressione, sfruttamento e discriminazione.

Agli Israeliti veniva perciò frequentemente ricordata la particolare attenzione di Dio per i deboli ( cfr Es 22,21-22; Dt 10,17-19 ), e veniva ordinato di non molestarli ( cfr Es 22,20; Ger 7,6 ).

Non si doveva defraudarli ( cfr Dt 24,14 ).

21. Gesù Cristo è il punto di riferimento della nostra pastorale poiché con la sua vita egli ci ha insegnato la natura della carità, donando tutto se stesso ( cfr Gv 15,12-15 ).

In questo, Cristo ha avuto uno speciale interesse per i piccoli e i poveri, inclusi gli stranieri e gli "impuri", come i lebbrosi.

Le sue guarigioni furono sia fisiche che spirituali ( cfr Mt 9,1-8 ).

Il Nuovo Testamento ci ha lasciato una meravigliosa sintesi dell'opera di Cristo, cui anche noi siamo chiamati a partecipare come illustrato nella parabola del Buon Samaritano ( cfr Lc 10,25-37 ).

22. Identificandosi con lo straniero, Gesù Cristo ha messo in luce quale dovrebbe essere il modo cristiano di considerare e trattare lo straniero.

"Negli « stranieri » la Chiesa vede Cristo che « mette la sua tenda in mezzo a noi » ( cfr Gv 1,14 ) e che « bussa alla nostra porta » ( cfr Ap 3,20 )" ( EMCC 101 ).

23. Per la comunità Cristiana delle origini, l'accoglienza e l'ospitalità divennero un atteggiamento fondamentale e una pratica importante.21

Quando viaggiavano per diffondere il Vangelo, i Cristiani dipendevano dall'accoglienza e dall'ospitalità che ricevevano.

A volte essa era programmata ( cfr At 18,27; Fm 22 ), oppure spontaneamente offerta ( cfr At 16,15 ).

Ispirata da Luca 14,12-14, l'ospitalità fu estesa al povero.

Dunque, accoglienza, compassione e uguale trattamento furono tutti elementi distintivi della pratica cristiana.

Quali persone del loro tempo e luogo, i cristiani rispettarono l'ordine sociale esistente, sebbene non mancassero di raccomandare che gli schiavi fossero trattati come fratelli ( cfr Fm 16-17 ).

Questo fu un importante atteggiamento che alla fine trasformò la società.

24. Nel corso della storia, furono stabilite strutture per la pratica dell'ospitalità – per esemPio alloggi per i viaggiatori e ospedali per i pellegrini infermi – senza dimenticare l'aiuto ai poveri del luogo.

Furono anche allestite dimore speciali per le vedove e i bisognosi.

Gradualmente tale sollecitudine si sviluppò e fu istituzionalizzata.

Con il succedersi delle generazioni, l'attenzione alle persone bisognose di assistenza – tra cui migranti, rifugiati e itineranti – ha subito cambiamenti di forma, ma è sempre rimasta una componente essenziale del Cristianesimo.

Alcuni principi fondamentali in questa pastorale

25. Dignità umana e cristiana

La rivelazione di Dio in Cristo e nella Chiesa assegna un ruolo centrale al senso della dignità degli individui,22 inclusi i rifugiati politici, le persone dislocate e le vittime del traffico di esseri umani.

Ciò si fonda sulla convinzione che tutte le persone sono create a immagine di Dio ( cfr Gen 1,26-27 ).

Infatti questa è la base della visione cristiana della società secondo cui "i singoli esseri umani sono e devono essere il fondamento, il fine e i soggetti di tutte le istituzioni".23

Ogni persona ha un valore inestimabile, gli esseri umani sono più importanti delle cose, e l'indicatore dei valori di qualsiasi istituzione è collegato al fatto che essa minacci o migliori la vita e la dignità della persona umana.

26. La Lettera Enciclica Pacem in terris dichiara che "ogni essere umano ha il diritto all'esistenza, all'integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l'alimentazione, il vestiario, l'abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari" ( n. 6 ).

Si può dedurre che se una persona, uomo o donna, nel suo Paese non gode di una vita umanamente dignitosa, ha il diritto, in determinate circostanze, di andare altrove,24 poiché ogni essere umano ha una dignità intrinseca che non dovrebbe essere minacciata.

"Il Magistero ha sempre denunciato altresì gli squilibri socio-economici, che sono per lo più causa delle migrazioni, i rischi di una globalizzazione senza regole, in cui i migranti appaiono più vittime che protagonisti della loro vicenda migratoria" ( EMCC 29 ).

In ogni caso, "ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione" ( CiV 62 ).

27. Il bisogno di una famiglia

Allo stesso tempo, la Chiesa ha sempre invocato la riunificazione delle famiglie separate dalla fuga, a causa della persecuzione di uno o più dei suoi membri.

Essa sa che anche i rifugiati e tutti coloro che sono forzati allo sradicameto, come ogni persona, hanno bisogno di una famiglia per la propria crescita e per uno sviluppo armonico.

Infatti, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2007, Benedetto XVI lo ha sottolineato con queste parole: "sento il dovere di richiamare l'attenzione sulle famiglie dei rifugiati, le cui condizioni sembrano peggiorate rispetto al passato, anche per quanto riguarda proprio il ricongiungimento dei nuclei familiari …

Occorre incoraggiare chi è interiormente distrutto a recuperare la fiducia in se stesso.

Bisogna poi impegnarsi perché siano garantiti i diritti e la dignità delle famiglie e venga assicurato ad esse un alloggio consono alle loro esigenze".25

28. Carità, solidarietà e assistenza

La carità è il dono di Dio rivelato in Gesù Cristo: è in questo amore che il cristiano serve il prossimo ( cfr Dce 18 ), poiché la comunione fraterna nasce dalla "parola di Dio-che-è-amore".

Questo dono ricevuto da Dio è al cuore di quella "forza che costituisce la comunità, unifica gli uomini secondo modalità in cui non ci sono barriere né confini" ( CiV 34 ).

La solidarietà, d'altra parte, è il senso di comune appartenenza, sollecitato già dalla ragione umana, per cui tutti formiamo una sola famiglia umana, nonostante le nostre differenze etniche e culturali, e tutti dipendiamo l'uno dall'altro.

Ciò implica una responsabilità: noi siamo, in effetti, custodi dei nostri fratelli e sorelle, ovunque essi vivano.

L'apertura alle necessità degli altri include il nostro relazionarci con lo straniero, che può essere giustamente considerato "il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano" ( EMCC 101 ).

Papa Giovanni Paolo II ha affermato che la solidarietà "è indubbiamente una virtù cristiana … [ è ] possibile intravedere numerosi punti di contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo ( Cfr Gv 13,35 ).

Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione".26

Il concetto si apre quindi alla carità, che include la grazia di Dio.

Papa Benedetto XVI descrive la carità come "una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace.

È una forza che ha la sua origine in Dio" ( CiV 1 ).

29. La solidarietà ci chiama a stare soprattutto dalla parte del povero e del debole.

Perciò "accogliere i rifugiati e dar loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell'intolleranza e del disinteresse".27

Questo vale sia per andare incontro alle esigenze immediate che a quelle a lungo termine.28

Da parte loro, i rifugiati devono avere "un comportamento rispettoso e di apertura verso la società che li ospita"29 ed essere fedeli nell'osservanza delle sue leggi.

Per favorire questo processo, "gli operatori pastorali che possiedono una specifica competenza in mediazioni culturali sono chiamati ad aiutare nel coniugare l'esigenza legittima di ordine, legalità e sicurezza sociale con la vocazione cristiana all'accoglienza e alla carità in concreto".30

30. Appello alla cooperazione internazionale

Nel corso dei secoli, la Chiesa ha manifestato l'amore di Dio verso l'umanità.

Oggi in un mondo sempre più interdipendente, questa testimonianza, sempre antica e sempre nuova, resta il suo compito e deve acquisire dimensioni globali.

31. Ciascuno ha la responsabilità di rispondere personalmente alla chiamata a globalizzare l'amore e la solidarietà e a essere un attore principale in questo ambito.

Coloro che occupano posizioni di potere o di influenza devono sentirsi responsabili dei più deboli ed essere pronti ad aiutarli.

La Chiesa cattolica ritiene, in ogni caso, che lo sforzo verso la solidarietà internazionale "fondato su un più vasto concetto di bene comune, rappresenti la via possibile per assicurare a tutti un futuro veramente migliore.

Perché questo avvenga, si rende necessario che si diffonda e penetri in profondità nella coscienza universale la cultura dell'interdipendenza solidale, tendente a sensibilizzare pubblici poteri, organizzazioni internazionali e privati cittadini circa il dovere dell'accoglienza e della condivisione nei confronti dei più poveri".31

32. Cosciente della gravità della situazione dei rifugiati e delle condizioni inumane in cui molti di essi vivono, la Chiesa, oltre al suo impegno personale verso di loro, considera suo compito rendere l'opinione pubblica consapevole di questa grave questione, poiché è fermamente convinta che tale tragica situazione non possa e non debba perdurare.

Infatti, Giovanni Paolo II disse che "risalta come grave offesa a Dio e all'uomo ogni situazione in cui persone o gruppi umani sono costretti a fuggire dalla propria terra per cercare rifugio altrove …

Il dramma dei rifugiati chiede alla comunità internazionale di impegnarsi a curare non solo i sintomi, ma prima di tutto le cause del problema: a prevenire, cioè, i conflitti promuovendo la giustizia e la solidarietà in ogni ambito della famiglia umana".32

Tutto questo è applicabile anche ad altre categorie di persone forzatamente sradicate.

33. La Chiesa insiste sulla protezione dei diritti umani anche degli sfollati.

Questo "esige l'adozione di specifici strumenti legislativi e di appropriati meccanismi di coordinamento da parte della comunità internazionale, i cui legittimi interventi non potranno essere considerati come violazioni della sovranità nazionale".33

34. Nel 2001, la Santa Sede ancora una volta invocò la responsabilità globale verso i rifugiati nel corso di una Conferenza Ministeriale dei 140 Stati firmatari della Convenzione del 1951 sullo Status dei Rifugiati.

Il Rappr. Santa Sede affermò che "è nostro compito fare della solidarietà una realtà.

Ciò implica accettazione e riconoscimento del fatto che noi, come un'unica famiglia umana, siamo tutti interdipendenti.

Questo ci chiama alla cooperazione internazionale a favore dei poveri e dei deboli quali nostri fratelli e sorelle …

Un'effettiva responsabilità e una condivisione degli oneri tra tutti gli Stati sono pertanto indispensabili per promuovere pace e stabilità.

Ciò dovrebbe ispirare la famiglia umana delle nazioni a riflettere sulle sfide di oggi e a trovare le necessarie soluzioni in uno spirito di dialogo e mutua comprensione.

La nostra generazione e quelle future lo domandano affinché i rifugiati e gli sfollati possano beneficiarne".34

35. Un servizio spirituale

Nel 1992, facendo eco alla voce dei Papi, il Pont. Cons. Migranti, congiuntamente con il Pontificio Consiglio Cor Unum, pubblicò un Documento intitolato I Rifugiati, una sfida alla solidarietà.

Vi si legge che "la Chiesa offre il suo amore e la sua assistenza a tutti i rifugiati senza distinzione" ( n. 25 ), e per realizzare questo, "la responsabilità di offrire accoglienza, solidarietà e assistenza ai rifugiati è innanzitutto della Chiesa locale.

Essa è chiamata ad incarnare le esigenze del Vangelo andando incontro, senza distinzioni, a queste persone nel momento del bisogno e della solitudine.

Il suo compito assume varie forme:

contatto personale;

difesa dei diritti di singoli e di gruppi;

denuncia delle ingiustizie che sono alla radice del male;

azione per l'adozione di leggi tali da garantire l'effettiva protezione;

educazione contro la xenofobia;

istituzione di gruppi di volontariato e di fondi d'emergenza;

assistenza spirituale" ( n. 26 ).

36. L'anno precedente, Papa Giovanni Paolo II ricordò le varie dimensioni che caratterizzano la missione della Chiesa verso migranti e rifugiati come segue: "Se occuparsi dei loro problemi materiali con rispetto e generosità è il primo impegno da affrontare, occorre non trascurare la loro formazione spirituale, attraverso una pastorale specifica che tenga conto della loro lingua e cultura".35

37. Pertanto, nel suo servizio di carità a migranti, rifugiati, sfollati e vittime del traffico di esseri umani, la Chiesa presta costantemente attenzione alle loro sofferenze e alle loro necessità materiali, senza però dimenticare altri bisogni.

Dai tempi degli Apostoli, infatti, è stato sempre evidente che il servizio sociale della Chiesa è certamente concreto, ma allo stesso tempo spirituale ( cfr Dce 21 ).

Questo è proprio il motivo per cui il presente documento vuole essere di natura eminentemente pastorale.

Esso descrive ampiamente la situazione attuale e le prospettive future dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate al fine di offrire una risposta pastorale ai loro bisogni, ai loro sogni e alle loro speranze.

Indice

9 Giovanni Paolo II, GMMR 1992, n. 6;
cfr EMCC n. 16
10 Cfr Pont. Comm. Migrazioni, Lettera alle Conferenze Episcopali Chiesa e Mobilità Umana, n. 8, 4 Maggio 1978: AAS LXX (1978) 362,
e EMCC, n. 1 e n. 12
11 Cfr Pio XII, Lettera Enciclica Redemptoris Nostri, 15 aprile 1949
12 Cfr ID., Cost. Ap. Exsul Familia, 1 agosto 1952: AAS XLIV (1952) 649-704
13 Gaudium et Spes, n. 4, n. 27, n. 84;
Benedetto XVI, GMMR 2006;
EMCC, Parte I
14 Giovanni Paolo II, Cost. Ap. sulla Curia Romana Pastor Bonus, Art. 149, 28 giugno 1988
15 Paolo VI, Lettera Apostolica Amoris Officio, 15 giugno 1971
16 Giovanni Paolo II, Cost. Ap. Pastor Bonus, Art. 146
17 Cfr Giovanni Paolo II, Campo Rifugiati di Morong, Filippine, n. 3, 21 febbraio 1981
18 Benedetto XVI, Angelus, 19 giugno 2005
19 Ibid.
20 Ibid.
Per la stessa occasione l'anno successivo, Papa Benedetto XVI dichiarò: "auspico che i diritti di queste persone siano sempre rispettati": Angelus, 18 giugno 2006;
Ancora, nel 2007, egli espresse l'auspicio "di cuore che a questi nostri fratelli e sorelle … siano garantiti l'asilo e il riconoscimento dei loro diritti", e invitò "i responsabili delle Nazioni ad offrire protezione a quanti si trovano in così delicate situazioni di bisogno": Appello all'Udienza Generale, 20 giugno 2007;
Il Sommo Pontefice parla in favore delle persone forzatamente sradicate non soltanto in occasione delle Giornate Mondiali del Rifugiato promosse dalle Nazioni Unite, ma anche e specialmente con il suo Messaggio annuale per la celebrazione cattolica della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Questa felice tradizione risale all'inizio del XX secolo, sebbene a quel tempo i Messaggi non avessero ancora preso una dimensione universale.
Tuttavia Paolo VI sottolineò che "Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un'azione effettiva": Lettera Apostolica Octogesima Adveniens, n. 48, 14 maggio 1971
21 Cfr EMCC, nota 11,
con citazione di Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, X-XII: Migne, Patrologia Graeca 1, 228-233;
Didaché, XI, 1; XII, 1-5;
Costituzioni dei Santi Apostoli, VII, 29, 2, ed. F.X. Funk, 1905, 418;
Giustino, Apologia I, 67: Migne, Patrologia Graeca 6, 429;
Tertulliano, Apologeticum, 39;
ID., De praescriptione haereticorum, 20;
Agostino, Sermo 103, 1-2, 6
22 Cfr Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et Magistra, n. 204, 15 maggio 1961;
Gaudium et Spes, n. 66
23 Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et Magistra, n. 203;
cfr EMCC nn. 40-43, l.c. 783-785
24 Cfr EMCC n. 21: "In seguito, il Concilio Vaticano II elaborò importanti linee direttive circa tale pastorale specifica, invitando anzitutto i cristiani a conoscere il fenomeno migratorio ( cfr GS 65 e n. 66 ) e a rendersi conto dell'influsso che l'emigrazione ha sulla vita.
Sono ivi ribaditi il diritto all'emigrazione ( cfr GS 65 ), la dignità del migrante ( cfr GS 66 ), la necessità di superare le sperequazioni nello sviluppo economico e sociale ( cfr GS 63 ) e di rispondere alle esigenze autentiche della persona ( cfr GS 84 ).
All'Autorità civile il Concilio riconobbe peraltro, in un contesto particolare, il diritto di regolare il flusso migratorio ( cfr GS 87 )";
cfr ibid., nota 17
25 Benedetto XVI, GMMR 2007, 18 ottobre 2006;
cfr Pont. Cons. Migranti, Sessione Plenaria sul tema "La famiglia migrante", 13-15 maggio 2008
26 Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis, n. 40, 30 dicembre 1987
27 Benedetto XVI, Appello all'Udienza Generale, 20 giugno 2007
28 Cfr Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Terzo Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, n. 3, 5 ottobre 1991:
"Ma alla progettazione di una politica solidale a lungo termine deve accompagnarsi l'attenzione ai problemi immediati dei Migranti e Rifugiati che continuano a premere alle frontiere dei Paesi ad alto sviluppo industriale …
Sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri, persone e popoli, come un fardello e come fastidiosi importuni …
L'elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale e anche economica dell'intera umanità … non basta … aprire le porte … e permettere loro di entrare; occorre, poi, agevolare un loro reale inserimento nella società che li accoglie.
La solidarietà deve diventare esperienza quotidiana di assistenza, di condivisione e di partecipazione"
29 Rifugiati, n. 26
30 EMCC, n. 42;
Cfr L'intera Sezione dell'Istruzione su "Accoglienza e Solidarietà", nn. 39-43, l.c., 783-785
31 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Terzo Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, n. 3
32 Giovanni Paolo II, Angelus, 15 giugno 2003
33 Rifugiati, n. 21
34 Rappr. Santa Sede, Dichiarazione alla Conferenza Ministeriale dei 140 Stati firmatari della Convenzione del 1951 sullo Status dei Rifugiati 2001, Ginevra, 12 dicembre 2001: O.R., 16 dicembre 2001, 2
35 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Terzo Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, n. 4