Summa Teologica - I

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Il punto di partenza delle cinque vie e la sua importanza

V

14 - Con le famose cinque vie dell'art. 3, l'Aquinate conclude cinque attributi esclusivamente appartenenti a Dio come Principio di tutte le cose; i quali, confermati nella piena luce della Rivelazione, gli serviranno per stabilire organicamente, secondo uno stretto ordine logico metafisico, « quomodo Deus sit » o piuttosto « quomodo Deus non sit »: e cioè che Dio non può esser corpo, né avere in sé mistura di materia, né di composizioni qualsiasi: tutto pura sostanza senza accidenti, semplicità assoluta, cui ripugna entrare in combinazione con qualsiasi essere ( q. 3 ).

Giova riassumere a brevi tratti il procedimento seguito da S. Tommaso nel determinare la natura di Dio.

In tal modo risalterà meglio la stretta unità di tutto il trattato, e insieme la ricchezza filosofico-teologica del suo contenuto.

Il metodo di S. Tommaso è rigorosamente logico, e sempre strettamente coerente ai principi della sua filosofia, innalzandosi gradualmente a un concetto di Dio massimamente comprensivo; il quale concetto illumina in seguito tutte le questioni studiate.

É questo, infatti, il modo connaturale di procedere della nostra mente, la quale nella sua attività conoscitiva passa dal generale al particolare, dall'ndeterminato al determinato, « procede, cioè, dalla potenza all'atto, e quindi perviene a un atto di conoscenza incompleto, prima che a un atto completo.

L'atto perfetto a cui perviene la mente è la scienza completa, per cui le cose si conoscono distintamente e determinatamente: mentre l'atto incompleto è la scienza imperfetta, che ci fa conoscere le cose in modo indistinto sotto una certa quale confusione » ( cfr. I, q. 85., a. 3 ).

C'è quindi in noi una conoscenza imperfetta e incompleta prima che una conoscenza perfetta e completa.

Così avviene anche nella conoscenza di Dio.

L'idea che ci sta dinanzi alla mente, quando cominciamo a speculare di lui e ci domandiamo anzitutto se esista nella realtà, è un'idea massimamente indeterminata.

Si parte da una definizione nominale ( cfr. q. 2, a. 2, ad 2 ), e non si procede analizzando l'idea, molto povera, che ne abbiamo; perché oggetto della mente non è l'idea ( so non per riflessione ), ma la realtà, che l'idea rende presente all'intelletto.

É il peccato originale del famoso argomento di S. Anselmo, quello di procedere dall'idea, che la mente può farsi di Dio, come « ente di cui non si può pensare uno più grande », per arguirne l'esistenza. S. Tommaso lo rigetta, perché, per quanto perfetta ne sia l'idea, « l'ente di cui non sì può pensare uno più grande » resterebbe pur sempre « in apprehensione intellectus tantum », avrebbe cioè soltanto una esistenza pensata, non mai un'esistenza realizzata, in sé, « in rerum natura », se non si concede già che un tale Ente esiste « in rerum natura »; il che non è concesso dall'ateo ( cfr. q. 2, a. 1, ad 2 ).

15. - Se si tratta dell'attività naturale della mente, oggetto proprio di essa, condizionante ogni sua ulteriore cognizione anche circa le cose spirituali e Dio stesso, sono le essenze dello cose fisiche.

La nostra anima, essendo forma, ossia comprincipio sostanziale di un corpo fisico, è in contatto con l'essere fisico o sensibile; e soltanto in esso le è dato di speculare l'universalità dell'ente.

L'anima è spirito, ma vivente e operante nel mondo fisico, fornita, per la sua attività specifica, di uno strumento corporeo da lei vivificato e reso sensibile all' impressione delle cose nell'organo dei sensi.

Non le piovono dall'alta idee divine comprensive ed esistenziali, ma se le elabora essa stessa partendo dai dati concreti che i sensi interni, in continuità coi sensi esterni ( e questi in contatto con la realtà fisica ) forniscono alla sua facoltà operativa per eccellenza, l'intelletto agente ( cfr. Diz. Tom.; I, q. 84 ).

È reale ed esistente ciò che ha rapporti reali, e non solo pensati, con la realtà esistente, che per noi è anzitutto il nostro essere e le cose che ne circondano.

La mente umana da principio è tabula rasa … un foglio bianco su cui nulla è scritto.

Non ha idee, ma solo la capacità di formarsene.

E se le forma con la sua attività, ma a contatto con le cose realmente esistenti, modellandosi su di esse.

É vero: le cose tra cui viviamo, e il nostro stesso essere sostanziale, non hanno i caratteri che hanno le idee.

Le idee infatti sono universali, mentre nulla di universale esiste fuori della nostra mente.

Né potrebbero le cose fisiche nella loro materialità venire di per se stesse a contatto immediato con la intelligenza e operare su di essa, perché è immateriale.

Ma l'anima ha a suo servizio i sensi esterni, che sono facoltà proporzionate alle cose fisiche, essendo legate a un organo corporeo.

É questa, anzi, la ragione più profonda, perché l'anima, pur essendo spirituale, è principio vivificante di un organismo corporeo; non incarcerata in esso per fantastiche colpe commesse in esistenze anteriori quale pura forma, come immaginava Platone; ma dotata di esso, in unità stretta di natura, per formare una sola sostanza completa capace di operare il contatto con le cose esistenti del mondo fisico, che è il territorio nel quale si realizza l'essere connaturale a lei, di cui deve vivere assimilandoselo nell'attività del pensiero.

Le cose fisiche sebbene materiali, particolari, contingenti, incarnano un'idea: sono fatte dal Logos e secondo il Logos, per manifestare il Logos ( cfr. I, q. 44. aa. 1-4 ).

E per questo possono alimentare la nostra vita intellettiva, e portarci fino a una certa conoscenza dello stesso Dio, il quale in esse in qualche modo si rispecchia.

Sotto l'influsso di una speciale facoltà spirituale ( detta intelletto attivo; cfr. I, q. 79, aa. 3-11 )

L'immagine sensibile delle cose, già in certo modo smaterializzata nei sensi interni, rivela l'idea che si cela come incarnata nella materia.

Possiamo paragonare questa facoltà al filtro selettore di un apparecchio radio.

Dalla congerie caotica delle onde hertziane che percorrono gli spazi, il filtro seleziona e rileva le inoculazioni, che quelle onde ebbero alla loro origine, sicché risuonino nell'apparecchio in suoni distinti e precisi, quali segni dell'intelligenza che le ha modulate.

Similmente l'intelletto attivo fa con le cose venute a contatto dell'anima: filtra l'idea che contengono e la rende manifesta.

E solo allora l'intelletto intende e gode, quando ha colto l'elemento intelligibile, cioè l'essere ideale che la cosa incarna e da cui è plasmata, e, per così dire, modellata in tutte le sue parti.

Le cose materiali, dunque, per quanto affoghino l'idea nella materia, sono nondimeno intelligibili ( lo sono in potenza, dicono gli Scolastici ), e l'intelletto è in grado di conoscerle; la sua vita, anzi, sta nell'assimilarsi la luce spirituale che racchiudono, rifacendo in sé la loro forma, che è l'elemento intelligibile che le distingue.

E così l'intelletto può conoscere l'essere del suo proprio mondo con tutte le relazioni che implica.

16 - Né l'intelletto nostro, nella sua attività naturale, può staccarsi da questo suo mondo fisico, perché correrebbe il grave rischio di pensare a vuoto e di costruire il suo edificio con enti di ragione.

Anche nel far uso delle idee che già possiede, ha bisogno del fantasma che faccia come da corpo all'idea astratta ( cfr. I, q. 84, a. 7 ).

Dalle immagini sensibili, che sono nella fantasia, ha origine la nostra cognizione intellettiva; e le immagini della fantasia, a cui ci si riferisce pensando, sono come un controllo della possibilità, se non della realtà, di ciò che pensiamo.

Il fantasma a sua volta è controllato dai sensi esterni in maniera che la connessione col reale è stretta e continua.

Perché l'essere pensato dalla nostra mente, è l'essere esistente - il reale in senso pieno - non il possibile, se non in quanto il possibile deriva dall'esistente ed ha in esso il suo fondamento.

Il possibile, infatti, non è ente in senso pieno; e ci sono enti possibili perché ci sono enti esistenti e non viceversa.

Ogni intelletto è ordinato anzitutto all'esistente: sia l'intelletto divino, sia l'angelico, sia l'umano; perché la scienza è dell'essere esistente. « La scienza riguarda anzitutto e principalmente l'ente esistente in atto » ( III, q. 10, a. 3 ).

Campo proprio dell'intelletto umano, come abbiamo detto, è il mondo fisico, con tutte le relazioni reali che esso implica, le quali sono infinite e portano fino allo stesso Essere infinito per sé sussistente, perché solo in lui le cose hanno la loro giustificazione.

Ma proprio perché la filosofia di S. Tommaso fissa bene questo punto ( che cioè l'oggetto dell'intelletto è l'esistente, essendo l'esistenza ciò che vi è di più formale, di più intimo, di più attuale e reale nell'ente, e ciò che costituisce l'ente stesso come atto, mentre l'essenza è potenza ad esso ordinata; cfr. I, q. 3, a. 4; q. 7, a. 1; q. 105., a. 5.; De Pot., q. 7, a. 2, ad 9 … ), evita radicalmente ogni forma di soggettivismo o idealismo; e conclude con le sue prove all'Ente realissimo, che non può non esistere, anzi è lo stesso esistere sussistente, poiché tutto l'ordine delle cose esistenti è sospeso ad esso.

L'importanza di questa aderenza all'esistente non si potrebbe esagerare, e S. Tommaso la rileva ogni volta che se ne presenta l'occasione. « La nostra conoscenza naturale - egli scrive - trae origine dal senso, e quindi si estende fin dove può essere condotta come per mano dalle cose sensibili ».

E poiché le cose sensibili sono effetti che non adeguano la potenza della Causa, mediante essi non si può avere il pieno conoscimento della potenza di Dio e perciò neppure quello della sua essenza.

« Ma siccome le cose sensibili sono effetti dipendenti dalla loro causa, ne segue che per mezzo di esse possiamo essere condotti fino a conoscere di Dio se esista; a conoscere altresì quello che a lui conviene necessariamente come causa prima di tutte le cose eccedente tutti i suoi effetti.

Quindi noi conosciamo di Dio la sua relazione con le creature, che cioè è la causa di tutte, e la differenza esistente tra esse e lui, che cioè egli non è niente di ciò che è causato da lui; e che tali cose vanno escluse da lui non già perché egli sia mancante di qualche cosa, ma perché tutte le supera » ( q. 12, a. 12 ).

Questo articolo è fondamentale e stabilisce il processo naturale della nostra ascensione a Dio in armonia con tutta la filosofia tomista.

17 - Da quanto abbiamo detto si può comprendere perché le prove dell'esistenza di Dio per S. Tommaso non possono essere a priori, partendo da un'idea ed analizzandone il contenuto, ma solo a posteriori, partendo da effetti realmente esistenti.

In questo del resto egli è perfettamente in armonia con la Scrittura ( Sap 13,1-9; Rm 1,20 ), e con le definizioni della Chiesa ( Conc. Vat. I, cfr. DENZ., 1785. ), che non indicano, come argomento dimostrativo dell'esistenza di Dio, se non quello che va dagli effetti alla causa: « per ea quae farla sunt ».

Il contenuto di un'idea esprime l'essenza di una cosa, ma non ne possiede l'esistenza, la quale è distinta realmente dagli elementi di un'essenza ed in qualche modo estrinseca ad essi.

Per S. Tommaso questa è la verità fondamentale.

In Dio, è vero, essenza ed esistenza coincidono perfettamente.

Egli è l'Essere per sé sussistente.

Ma questo concetto che è il più alto e più sintetico, a cui perviene S. Tommaso ( cfr. q. 3, a. 4 ), non è né può essere un punto di partenza nella via della ricerca ( via inventionis ), ma punto di arrivo.

Suppone dunque che l'esistenza reale di Dio sia data a noi da un'altra fonte.

Soltanto nella via iudicii, cioè quando procediamo a unificare e chiarire tutte le nostre cognizioni su Dio, quel concetto diventa principio illuminante e sorgente di un più perfetto sapere, in quanto ci manifesta la ragione intrinseca di tutto ciò che affermiamo e neghiamo di lui.

Per questa aderenza al reale la posizione di S. Tommaso è altresì lontanissima dalle pretese degli Ontologisti ( p. es., di Malebranche e di Gioberti ), i quali ingenuamente ritenevano che la nostra mente sia in contatto conoscitivo immediato con l'Essere per sé sussistente, fin dalla prima attività intellettiva, affermando che « il primo logico ( ossia il primo ente da noi conosciuto ) è anche il primo ontologico ( ossia il primo esistente ) », per cui provare l'esistenza di Dio sarebbe fatica superflua.

Nell'ordine della nostra cognizione prima sono le cose sensibili, poi Dio; prima i suoi effetti, proporzionati alla nostra forza intellettiva, poi la loro causa.

Sebbene nell'ordine dell'essere sia il contrario - prima la causa, poi gli effetti -, nell'ordine del nostro conoscere è così; e il pensiero dell'uomo è veramente, in questo ordine, il centro dell'universo; non nel senso inteso dagli idealisti, quasi crei e ponga esso stesso la realtà delle cose: ma nel senso vero e giusto inteso da S. Tommaso, in quanto è il pensiero nostro che fa l'ordine nella cognizione, procedendo dal più noto al meno noto, e collegando le cose conosciute secondo un ordine connaturale alla mente umana.

E tuttavia la mente è perfettamente consapevole che l'ordine del suo conoscere ( ordine logico ) non coincide con l'ordine dell'essere ( ordine ontologico ); né la scienza logica, che si occupa del primo, coincide con la metafisica che studia il secondo ( mentre per gli Hegeliani queste due discipline si confondono ).

E per questo la sua cognizione può essere vera, nonostante l'ordine inverso.

Sono gli effetti di Dio, ossia le cose sensibili soggette alla nostra esperienza, che illuminano per noi l'esistenza di Dio e gli attributi conoscibili di lui, come dice S. Paolo ( 1. c. ).

La nostra mente è come l'esploratore delle sorgenti di un fiume, il quale è costretto a risalirne la corrente.

Né si deve pensare che, così procedendo, si arrivi ad un concetto di Dio troppo misero.

Certo non si giunge, né si può giungere, con tale naturale processo, a conoscerne l'essenza intima con un concetto del tutto positivo, che ci manifesti immediatamente ciò che egli è; ma si giunge a un concetto in parte positivo, in parte negativo, legato sempre agli effetti deficienti, da cui la mente è partita: si giunge a un concetto analogo di Dio, per dirlo con una parola tecnica ( cfr. Diz. Tom. ).

Esso però è preziosissimo, sia per quello che manifesta, sia per quello che nasconde, rendendoci Dio conosciuto insieme e sconosciuto, poiché ci orienta sicuramente verso di lui, eccitando, per la sua stessa imperfezione, il desiderio di meglio conoscerlo, e conferendo al nostro amore, che brama di vederlo come è in se stesso, un valore più grande ancora che quello della cognizione ( cfr. nn. 24-25. ), e lasciando adito ad altre superiori manifestazioni divine: quelle della fede; e preparandoci alla visione intuitiva e facciale della divina essenza, quando, per somma grazia « vedremo Dio come egli è » ( 1 Gv 3,2 ): non più, quindi, nello specchio oscuro delle cose per speculum in aenigmate - ma a faccia a faccia - facie ad faciem -, come si esprime S. Paolo ( 1 Cor 13,12 ).

Così S. Tommaso, partendo dalla natura, può distinguere nettamente da essa l'ordine soprannaturale dando risalto alla gratuità assoluta della Rivelazione e della nostra elevazione all'ordine della grazia, mentre nel contempo ne mostra l'armonia profonda con la nostra natura.

Elemento questo preziosissimo della speculazione tomista, di cui ha fatto tesoro tutta la speculazione teologica seguente, e che la Chiesa ha custodito gelosamente come sua dottrina, contenuta nel deposito della fede.

L'aver così ben fondata questa distinzione è merito precipuo dì s. Tommaso; che appare veramente grande quando sì confronta il modo meno preciso o indeciso di pensare, su questo punto vitale, dei pensatori anteriori a lui.

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