Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se la fruizione sia soltanto dell'ultimo fine

In 1 Sent., d. 1, q. 2, a. 1; In Philem., lect. 2

Pare che la fruizione non si riferisca soltanto all'ultimo fine.

Infatti:

1. L'apostolo scriveva a Filomene [ 20 ]: « Sì, fratello, possa io fruire di te nel Signore ».

Ora, è evidente che Paolo non aveva risposto il suo ultimo fine in un uomo.

Quindi non c'è la sola fruizione dell'ultimo fine.

2. Il frutto è la cosa di cui uno fruisce.

Ma l'Apostolo [ Gal 5,22 ] scrive: « Frutto dello Spirito è amore, gioia, pace », e altre cose del genere che non hanno la natura di ultimo fine.

Quindi la fruizione non si restringe all'ultimo fine.

3. Gli atti della volontà possono riflettere su se stessi: infatti io voglio volere e amo amare.

Ora, fruire è un atto della volontà: poiché « la volontà è ciò mediante cui abbiamo la fruizione », come scrive S. Agostino [ De Trin. 10,10.13 ].

Quindi uno può fruire della propria fruizione.

Ora, la fruizione non è l'ultimo fine dell'uomo, ma lo è soltanto il bene increato, che è Dio.

Quindi la fruizione non si limita all'ultimo fine.

In contrario:

S. Agostino [ De Trin. 10,11.17 ] scrive: « Non si ha fruizione quando uno fa oggetto della sua facoltà volitiva una cosa desiderandola in vista di un'altra ».

Ora, soltanto l'ultimo fine non viene desiderato in vista di altre cose.

Quindi la fruizione è limitata all'ultimo fine.

Dimostrazione:

Come si è già detto [ a. 1 ], la nozione di frutto implica due elementi: che la cosa sia ultima e che sazi l'appetito con una certa dolcezza o godimento.

Ora, ci sono due modi di essere ultimo, cioè in modo assoluto o in modo relativo: è ultimo in modo assoluto ciò che è tale senza riferimento ad altro; è ultimo invece in modo relativo ciò che è ultimo rispetto ad altro.

Quindi propriamente parlando è frutto la sola cosa che è ultima in modo assoluto, e che viene goduta come ultimo fine: e a proposito di tale oggetto si può parlare in senso proprio di fruizione.

- Le cose al contrario che non sono gradevoli in se stesse, ma che sono desiderate in ordine ad altro, come una bevanda amara in ordine alla guarigione, in nessun modo possono essere dette frutti.

- Trattandosi invece di cose che in sé offrono un certo godimento, verso il quale miravano alcuni degli atti precedenti, si può parlare in qualche modo di frutti, ma non di fruizione in senso proprio e secondo la perfetta nozione di frutto.

Infatti S. Agostino [ De Trin. 10,10.13 ] afferma che « noi abbiamo la fruizione di quegli oggetti di conoscenza nei quali la volontà compiaciuta si riposa ».

Assolutamente parlando, però, questa non si riposa che in ciò che è ultimo: poiché il moto della volontà rimane in sospeso finché è in attesa, sebbene abbia già raggiunto qualcosa.

Come nel moto locale, sebbene uno dei punti intermedi possa essere principio e termine, tuttavia non può essere considerato come termine effettivo se non quando ci si ferma in esso.

Analisi delle obiezioni:

1. Come fa osservare S. Agostino [ De doctr. christ. 1,33.36 ], « se l'Apostolo avesse detto: possa io fruire "di te", senza aggiungere "nel Signore", sarebbe potuto sembrare che egli avesse riposto in lui il fine del suo amore.

Ma con questa aggiunta mostrava di aver posto il suo fine in Dio, e di voler fruire di lui ».

Cosicché l'Apostolo intendeva la fruizione del fratello non come fine, ma come mezzo.

2. Il rapporto del frutto con l'albero che lo produce è diverso da quello esistente tra il frutto e l'uomo che ne fruisce.

Infatti il frutto sta all'albero che lo produce come un effetto alla sua causa, mentre sta a chi ne fruisce come l'ultimo oggetto della sua attesa e la causa del suo godimento.

Quindi le cose enumerate dall'Apostolo sono chiamate frutti perché sono certi effetti determinati dallo Spirito Santo in noi, per cui vengono denominati « frutti dello Spirito »; non invece perché di essi noi abbiamo la fruizione come dell'ultimo fine.

- Oppure si potrebbe rispondere, seguendo S. Ambrogio [ Glossa interlin. su Gal 5,22 ], che sono denominati frutti « poiché sono da chiedersi per se stessi »: non certo perché non abbiano riferimento alla beatitudine, ma perché in se stessi hanno qualcosa di piacevole per noi.

3. Come si è spiegato nelle questioni precedenti [ q. 1, a. 8; q. 2, a. 8 ], il fine può indicare due cose: o l'oggetto da raggiungere, o il suo conseguimento.

E non si tratta di due fini, ma di un identico fine considerato o in se stesso o nella sua applicazione a un soggetto.

Ora, Dio è l'ultimo fine come ultimo oggetto desiderato; la fruizione invece è come il conseguimento di questo ultimo fine.

Quindi, come Dio non è un fine diverso dalla fruizione di Dio, così identica è la ragione della fruizione che abbiamo di Dio e della fruizione che abbiamo della fruizione divina.

E la stessa cosa vale per la beatitudine creata, che consiste nella fruizione.

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