Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se nello stato di innocenza l'uomo potesse peccare venialmente

In 2 Sent., d. 21, q. 2, a. 3; De Malo, q. 2, a. 8, ad 1; q. 7, a. 3, ad 13; a. 7

Pare che nello stato d'innocenza l'uomo potesse peccare venialmente.

Infatti:

1. Spiegando l'espressione di S. Paolo [ 1 Tm 2,14 ]: « Non fu Adamo a essere ingannato », la Glossa [ ord. ] commenta: « Inesperto della severità di Dio, poté ingannarsi al punto di credere di aver commesso un peccato veniale ».

Ma non avrebbe potuto credere questo se non avesse potuto peccare venialmente.

Quindi poteva peccare venialmente, senza peccare mortalmente.

2. S. Agostino [ De Gen. ad litt. 11,5.7 ] scrive: « Non si deve pensare che il tentatore avrebbe abbattuto l'uomo se nell'anima di questo non si fosse già prodotta un'alterigia che doveva essere repressa ».

Ma l'alterigia che precedette la caduta del peccato mortale non poté essere che un peccato veniale.

Inoltre S. Agostino aggiunge [ De Gen. ad litt. 11,42.58 ] che « a sollecitare l'uomo intervenne una certa smania di provare, vedendo che la donna non era morta dopo aver mangiato del frutto ».

E anche in Eva sembra che ci sia stato qualche moto di incredulità, poiché dubitò delle parole del Signore, come si riscontra nella sua espressione [ Gen 3,3 ]: « Che non ci capiti di morire ».

Ora, tutte queste colpe sono peccati veniali.

Quindi l'uomo prima di peccare mortalmente poteva peccare venialmente.

3. È più contrario all'integrità dello stato primitivo il peccato mortale che il peccato veniale.

Ma l'uomo poteva peccare mortalmente, nonostante l'integrità di tale stato.

Quindi poteva peccare anche venialmente.

In contrario:

A ogni colpa corrisponde una pena.

Ora, come insegna S. Agostino [ De civ. Dei 14,10 ], nello stato di innocenza non ci poteva essere penalità alcuna.

Quindi l'uomo non poteva commettere un peccato che non lo togliesse da quello stato di integrità.

Ma il peccato veniale non può mutare lo stato dell'uomo.

Quindi egli non poteva peccare venialmente.

Dimostrazione:

È sentenza comune che l'uomo nello stato di innocenza non potesse peccare venialmente.

Ciò però non va inteso nel senso che quanto è veniale per noi sarebbe stato mortale per Adamo, qualora l'avesse commesso, data la nobiltà del suo stato.

Infatti la dignità della persona è una circostanza aggravante del peccato, ma non ne altera la specie, a meno che non intervenga la deformità della disobbedienza, del voto, o di altre cose del genere; il che nel nostro caso non è ammissibile.

Perciò quanto è di per sé peccato veniale non può mutarsi in mortale per la nobiltà dello stato primitivo.

Si deve quindi ritenere che l'uomo non poteva peccare venialmente nel senso che non gli poteva capitare di commettere una colpa per se stessa veniale prima di aver perduto col peccato mortale l'integrità dello stato primitivo.

E la ragione di ciò sta nel fatto che il peccato veniale si produce in noi o per l'imperfezione dell'atto, come i moti improvvisi nel genere dei peccati mortali, oppure per un disordine relativo ai mezzi, salvato il debito ordine rispetto al fine.

Ora, sia l'una che l'altra cosa avviene per una certa mancanza di ordine, dovuta all'insubordinazione degli elementi inferiori a quelli superiori.

Infatti l'insorgere improvviso dei moti di sensualità avviene in noi per il fatto che la sensualità non è del tutto subordinata alla ragione.

L'insorgere invece dei moti improvvisi nella ragione stessa deriva in noi dal fatto che l'esercizio dell'attività razionale non sottostà alla deliberazione derivante da un bene più alto, come sopra [ q. 74, a. 10 ] si è spiegato.

Il disordine poi dell'animo umano rispetto ai soli mezzi, salvo il debito ordine al fine, è dovuto al fatto che i mezzi non sono subordinati infallibilmente al fine supremo, che tra gli oggetti appetibili ha funzione di principio, secondo le spiegazioni già date [ q. 10, a. 1; a. 2, ad 3; q. 72, a. 5 ].

Invece nello stato di innocenza, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 95, a. 1 ], esisteva un ordine fisso e infallibile per cui l'elemento inferiore era sempre subordinato al superiore fintantoché le facoltà superiori dell'uomo, come dice ancora S. Agostino [ De civ. Dei 14, cc. 17,23 ], erano subordinate a Dio.

Perciò era impossibile che si producesse un disordine nell'uomo senza iniziare dall'insubordinazione a Dio delle sue facoltà supreme: il che avviene col peccato mortale.

E ciò dimostra che l'uomo nello stato di innocenza non poteva peccare venialmente prima di aver commesso un peccato mortale.

Analisi delle obiezioni:

1. In quel testo veniale non è preso nel senso che ora prendiamo in considerazione, ma sta per facilmente remissibile.

2. L'orgoglio che per primo si produsse nell'animo umano fu il primo peccato mortale dell'uomo: e si dice che precedette la caduta in rapporto all'atto esterno del peccato.

E a tale orgoglio seguì nell'uomo la smania di provare, e nella donna il dubbio.

Quest'ultima poi aveva già manifestato in certo qual modo il suo orgoglio prestando orecchio al serpente che metteva in discussione il comando, come se non ne volesse essere vincolata.

3. Il peccato mortale è così incompatibile con lo stato primitivo da distruggerlo: cosa che il peccato veniale non può fare.

E poiché l'integrità dello stato primitivo esclude un disordine qualsiasi, ne viene che il primo uomo non poteva peccare venialmente prima del peccato mortale.

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