Summa Teologica - II-II

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Articolo 7 - Se la contemplazione sia accompagnata dal godimento

I-II, q. 3, a. 5; q. 38, a. 4; In De Hebd., Prol.; In 10 Ethic., lectt. 10, 11

Pare che la contemplazione non sia accompagnata dal godimento.

Infatti:

1. Il godimento appartiene alle facoltà appetitive.

La contemplazione invece si attua principalmente nell'intelletto.

Quindi il godimento non accompagna la contemplazione.

2. Lo sforzo e la lotta impediscono sempre il godimento.

Ora, nella contemplazione c'è sforzo e c'è lotta: poiché, secondo S. Gregorio [ In Ez hom. 14 ], « quando l'anima si sforza di contemplare Dio, trovandosi come in un combattimento a volte trionfa, riuscendo a capire e a gustare qualcosa della luce infinita, a volte invece soccombe, venendo nuovamente meno nel godimento ».

Quindi la vita contemplativa non è accompagnata dalla gioia

3. Il godimento, come insegna il Filosofo [ Ethic. 10,4 ], accompagna l'operazione perfetta.

Ma la contemplazione di questa vita è imperfetta, come dice S. Paolo [ 1 Cor 13,12 ]: « Ora noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa ».

Quindi la vita contemplativa non implica godimento.

4. Le lesioni del corpo impediscono di godere.

Ma la contemplazione produce delle lesioni corporali: infatti Giacobbe [ Gen 32,30ss ], dopo aver detto: « Ho visto Dio faccia a faccia », « zoppicava da un piede, perché [ Dio ] gli aveva colpito l'articolazione del femore ed egli era rimasto impedito ».

Quindi nella vita contemplativa non c'è godimento.

In contrario:

A proposito della contemplazione della sapienza nella Scrittura [ Sap 8,16 ] si legge: « La sua compagnia non dà amarezza, né dolore la sua convivenza, ma contentezza e gioia ».

E S. Gregorio [ l. cit. ] afferma che « la vita contemplativa è una dolcezza molto gustosa ».

Dimostrazione:

Una contemplazione può essere gradevole per due motivi.

Primo, per il suo atto medesimo: poiché ognuno trova gradevole l'operazione che gli è propria, o secondo la natura o secondo l'abito.

Ora, la contemplazione della verità si addice all'uomo secondo la sua natura, essendo egli un animale ragionevole.

Ed è per questo che « tutti gli uomini per natura desiderano conoscere » [ Met. 1,1 ], e quindi godono nel conoscere la verità.

E ciò è anche più gradito per chi possiede l'abito della sapienza e della scienza, poiché con esso uno può contemplare senza obiezioni.

Secondo, la contemplazione può essere piacevole a motivo dell'oggetto, in quanto uno contempla ciò che ama: ed è quanto avviene anche nella visione materiale, in cui si ha il piacere non solo perché il vedere stesso è piacevole, ma anche perché uno vede la persona amata.

Siccome quindi la vita contemplativa consiste soprattutto nella contemplazione di Dio, alla quale siamo spinti dalla carità, come si è detto [ a. 1; a. 2, ad 1 ], nella vita contemplativa si ha il godimento non solo a motivo della contemplazione stessa, ma anche a motivo dell'amore verso Dio.

E da tutti e due i punti di vista il suo godimento sorpassa qualsiasi gioia umana.

Infatti già il godimento spirituale è superiore a quello carnale, come si è visto nel trattato sulle passioni [ I-II, q. 31, a. 5 ]; inoltre l'amore di carità verso Dio supera ogni altro amore.

Per cui nei Salmi [ Sal 34,9 ] si legge: « Gustate e vedete quanto è buono il Signore ».

Analisi delle obiezioni:

1. La vita contemplativa, sebbene consista essenzialmente nell'intelletto, tuttavia ha il suo principio nella volontà: per il fatto che si è spinti alla contemplazione dall'amore di Dio.

E poiché il fine corrisponde al principio, anche il termine finale della vita contemplativa è posseduto nella volontà: in quanto cioè uno gode alla vista di ciò che ama, mentre il godimento stesso della sua visione eccita maggiormente l'amore.

Da cui le parole di S. Gregorio [ l. cit. ]: « Quando uno vede colui che ama, si infiamma maggiormente nel suo amore ».

E questa è la perfezione ultima della vita contemplativa: avere cioè non la sola visione della verità divina, ma anche il suo amore.

2. Lo sforzo o la lotta che proviene da un oggetto esterno impedisce di goderne: nessuno infatti gode della cosa contro cui combatte.

Della cosa invece per la quale si combatte si gode maggiormente, a parità di condizioni, una volta che la si possiede: poiché, come dice S. Agostino [ Conf. 8,3 ], « quanto maggiore fu il pericolo nella lotta, tanto maggiore è la gioia del trionfo ».

Ora, lo sforzo e la lotta nella contemplazione non dipendono da qualche ripugnanza nei confronti della verità contemplata, ma dalle deficienze del nostro intelletto, e dal nostro corpo corruttibile che ci trascina a cose più basse, secondo quelle parole [ Sap 9,15 ]: « Un corpo corruttibile appesantisce l'anima, e la tenda di argilla grava la mente dai molti pensieri ».

Di conseguenza l'uomo, quando giunge a contemplare la verità, la ama con più ardore e odia maggiormente le deficienze derivanti dal corpo corruttibile, così da ripetere con l'Apostolo [ Rm 7,24 ]: « Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? ».

E S. Gregorio [ l. cit. ] afferma: « Quando Dio viene a essere conosciuto con il desiderio e con l'intelletto, dissecca ogni piacere della carne ».

3. La contemplazione di Dio in questa vita è imperfetta rispetto alla contemplazione della patria celeste; e parimenti ne è imperfetta la gioia in rapporto a quella della patria, della quale il Salmista [ Sal 36,9 ] afferma: « Li disseterai al torrente delle tue delizie ».

Tuttavia la contemplazione delle realtà divine che si può avere nella vita presente, sebbene imperfetta, è più deliziosa di ogni altra contemplazione per quanto si voglia perfetta, data la superiorità dell'oggetto contemplato.

Scrive infatti il Filosofo [ De part. animal. 1,5 ]: « Capita che in rapporto a queste sublimi e divine realtà noi non possediamo che delle idee inadeguate.

Ma per quanto poco noi le conosciamo, solo per l'onore di conoscerle ci producono più soddisfazione di tutto il resto che è alla nostra portata ».

E anche S. Gregorio [ l. cit. ] si esprime allo stesso modo: « La vita contemplativa è una dolcezza così attraente che rapisce l'anima a se stessa, apre i segreti celesti e mostra agli occhi della mente le realtà spirituali ».

4. Giacobbe dopo la contemplazione zoppicava da un piede poiché, come spiega S. Gregorio [ l. cit. ], « è necessario crescere nell'amore di Dio dopo aver fiaccato l'amore del mondo.

Per cui dopo che abbiamo gustato la soavità di Dio in noi rimane sano un piede solo, e l'altro zoppica.

Infatti chi è zoppo da un piede si appoggia unicamente a quello sano ».

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