Summa Teologica - III

Indice

Articolo 6 - Se con la sua sofferenza Cristo abbia meritato la propria esaltazione

Supra, q. 19, a. 3; q. 46, a. 1; infra, q. 54, a. 2; q. 59, a. 3; In 3 Sent., d. 18, q. 1, a. 4, sol. 3; De Verit., q. 26, a. 6, ad 4 in contrar.; Comp. Theol., c. 240

Pare che con la sua sofferenza Cristo non abbia meritato la propria esaltazione.

Infatti:

1. La sublimità della gloria è propria di Dio come la conoscenza del vero, secondo le parole del Salmo [ Sal 113,4 ]: « Su tutti i popoli eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua gloria ».

Ora, Cristo in quanto uomo ebbe la conoscenza di tutta la verità non per qualche merito precedente, ma in forza dell'unione ipostatica, secondo le parole di S. Giovanni [ Gv 1,14 ]: « Abbiamo visto la sua gloria, come dell'unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità ».

Perciò anche l'esaltazione egli l'ebbe solo in forza dell'unione ipostatica, e non per il merito della passione.

2. Come si è notato sopra [ q. 34, a. 3 ], Cristo meritò per sé fin dal primo istante del suo concepimento.

Ma durante la sua passione egli non ebbe una carità superiore a quella che aveva prima.

Essendo quindi la carità il principio del merito, pare che con la passione egli non abbia meritato la propria esaltazione più di quanto l'avesse meritata prima.

3. La gloria del corpo risulta dalla gloria dell'anima, come afferma S. Agostino [ Epist. 118,3 ].

Ma Cristo con la sua passione non meritò la propria esaltazione quanto alla gloria dell'anima, poiché questa fu beata fin dal primo istante del suo concepimento.

Perciò con la passione egli non meritò l'esaltazione neppure quanto alla gloria del corpo.

In contrario:

S. Paolo [ Fil 2,8s ] scrive: « Si fece obbediente fino alla morte, e alla morte di croce: per questo Dio lo ha esaltato ».

Dimostrazione:

Il merito implica una certa uguaglianza di giustizia, come dice l'Apostolo [ Rm 4,4 ]: « A chi lavora, il salario viene calcolato come debito ».

Ora, quando uno per un ingiusto volere si arroga più di quanto gli spetta, è giusto che gli venga sottratto anche ciò che gli era dovuto: per cui nell'Esodo [ Es 22,1 ] è prescritto che « chi ruba una pecora ne renderà quattro ».

E in questo caso si parla di merito, in quanto la cattiva volontà viene in tal modo punita.

Così dunque anche quando uno con una giusta volontà toglie a se stesso ciò che gli era dovuto, merita che gli sia restituito in sovrappiù, quale mercede della sua giusta volontà.

Ed è per questo che, come dice il Vangelo [ Lc 14,11 ], « chi si umilia sarà esaltato ».

Ora, Cristo nella sua passione umiliò se stesso al disotto della propria dignità in quattro modi.

Primo, soffrendo la passione e la morte, che a lui non erano dovute.

- Secondo, accettando l'umiliazione del luogo: poiché il suo corpo fu posto nel sepolcro e la sua anima discese agli inferi.

- Terzo, sopportando insulti e derisioni.

- Quarto, lasciandosi consegnare agli umani poteri, secondo le parole da lui rivolte a Pilato [ Gv 19,11 ]: « Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto ».

Egli perciò con la sua passione meritò l'esaltazione in quattro modi.

Primo, quanto alla sua risurrezione gloriosa.

Da cui le parole profetiche del Salmo [ Sal 139,2 ]: « Tu hai conosciuto la mia prostrazione », ossia l'umiliazione della mia passione, « e la mia risurrezione ».

- Secondo, quanto alla sua ascensione al cielo.

Da cui l'affermazione di S. Paolo [ Ef 4,9s ]: « Era disceso prima nelle parti inferiori della terra; ma colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli ».

- Terzo, quanto all'innalzamento alla destra del Padre e alla manifestazione della sua divinità, secondo le parole di Isaia [ Is 52,13s ]: « Sarà onorato, esaltato e molto innalzato: come molti si erano stupiti che il suo aspetto fosse senza gloria tra gli uomini ».

E S. Paolo [ Fil 2,8s ] scrive: « Si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di croce: per questo Dio lo ha esaltato, e gli ha dato il nome che è al di sopra ogni altro nome »; ha fatto cioè che fosse da tutti chiamato Dio, e che tutti gli prestassero ossequio come a Dio.

Da cui le parole che seguono [ Fil 2,10 ]: « Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra ».

- Quarto, quanto al potere di giudicare.

E ciò secondo le parole [ Gb 36,17 Vg ]: « La tua causa è stata giudicata come quella di un empio: perciò sarà affidata a te la causa e il giudizio ».

Analisi delle obiezioni:

1. L'anima era [ in Cristo ] la radice e il principio del merito; il corpo invece era lo strumento dei suoi atti meritori.

Perciò la perfezione dell'anima di Cristo, che era il principio del merito, non doveva essere acquistata da lui mediante il merito, come invece doveva esserlo quella del corpo; il quale fu appunto esposto alla passione, per cui fu strumento del merito stesso.

2. Con i meriti precedenti Cristo aveva meritato l'esaltazione dalla parte della sua anima, la cui volontà era informata dalla carità e dalle altre virtù.

Invece nella passione meritò la propria esaltazione, a modo di un certo compenso, anche dalla parte del corpo: poiché era giusto che il corpo, il quale per la carità era stato sottoposto alla passione, avesse una ricompensa nella gloria.

3. Per un privilegio particolare avvenne che in Cristo la gloria dell'anima non ridondasse nel corpo, in modo che egli potesse conquistare la gloria del corpo in maniera più degna, cioè meritandola con la sua passione.

La gloria dell'anima al contrario non conveniva che fosse differita: poiché l'anima era unita immediatamente al Verbo, per cui era giusto che dal Verbo venisse riempita di gloria.

Il corpo invece era unito al Verbo mediante l'anima.

Indice