Attesa

Dizionario

1) Lasso di tempo che intercorre tra il preannuncio di un evento e il suo verificarsi

2) ( spec. pl. ) Ciò che ci si attende

Sinonimo: speranze, aspettative


L'attesa del Messia

In occasione dell'Avvento, il tema del messianismo nel popolo ebraico: come si è costruita e sviluppata lungo la storia di Israele l'aspettativa di una guida che lo liberasse da tutte le schiavitù

L'Avvento liturgico, che la Chiesa celebra da secoli come tempo di preparazione al Natale del Signore, richiama inevitabilmente alla memoria l'Avvento storico, cioè il periodo in cui nacque e si formò in Israele l'attesa del Messia.

Quando, come e perché prese forma tale attesa?

Proviamo qui a tratteggiare una risposta, ovviamente a grandi linee, sperando di non sbagliare nell'essenziale.

Conviene partire da un chiarimento terminologico.

Tanto l'ebraico Messia quanto il greco Cristo signicano « unto », o meglio « consacrato mediante l'unzione ».

Nell'ordinamento dell'antico Israele vi erano due « unti », cioè due persone a cui veniva applicata l'unzione quando entravano in carica: il re ed il sommo sacerdote.

Possiamo di conseguenza distinguere tra un messianismo regale ed uno sacerdotale.

È però dominante il filone regale: il popolo attendeva soprattutto un re che lo liberasse dall'oppressione dei grandi imperi.

Il messianismo sacerdotale venne più tardi, dopo l'esilio e la deportazione, e non riuscì mai a soppiantare realmente quello regale.

È necessario perciò innanzitutto comprendere che cosa rappresentasse il re per Israele.

La monarchia, come è noto, si è istituzionalizzata in Israele nel secolo X a.Ch.; prima vi erano i cosiddetti « giudici », cioè delle persone cui il Signore adava la missione di liberare il popolo da quella o questa oppressione particolare.

Ma non si trattava di una autorità stabile, e le tribù vivevano libere, ciascuna nel suo territorio, gli anziani della città o del villaggio esercitando una sorta di governo.

L'arrivo dei Filistei dal mare, la loro installazione nella pianura costiera e il loro tentativo di dominare l'intero paese portò una minaccia terribile alle tribù di Israele, e le costrinse ad accettare l'autorità di un unico capo.

Le resistenze però furono enormi.

In 1 Sam 8 leggiamo che la volontà di avere un re che liberi il popolo dai nemici equivale ad una disistima e ad un rifiuto del Signore, unico vero liberatore di Israele.

La coscienza religiosa di Israele, come era custodita ad esempio da Samuele, affermava che Dio è l'unico sovrano legittimo di Israele; perché solo l'autorità di Dio è liberatrice, mentre ogni autorità umana è asservitrice.

Il re difenderà il popolo dai nemici, ma finirà per far pesare il suo giogo sugli altri, e li renderà schiavi

Il regno di Davide

L'anima profonda di Israele continuò sempre perciò ad aspirare ad una teocrazia diretta, ad una dipendenza da Dio senza intermediari.

Il potere umano è costituzionalmente fragile, e perciò inevitabilmente assolutista: non potrà sempre vincere all'esterno, né rispettare la libertà all'interno.

Questa teologia del potere sembrò confermata dalla vicenda di Saul, il primo re; ma a lui succedette David, « un uomo secondo il cuore del Signore » ( cfr. 1 Sam 13,14 ).

David, della tribù di Giuda, riuscì a battere i Filistei ed impose il dominio di Israele su tutti i popoli circonvicini; cosa ancora più difficile, riunì tutte le tribù sotto la sua autorità.

Il suo regno e quello del figlio Salomone rimasero sempre nella memoria del popolo come l'epoca d'oro di Israele, il periodo in cui i nemici circostanti erano sottomessi e il popolo era unito.

Certo anche David peccò, ma seppe riconoscere il peccato e fare penitenza ( 2 Sam 11-12 ).

Veniva così dimostrata una redimibilità del potere, la possibilità che un uomo potesse essere genuino strumento dell'autorità liberatrice di Dio, senza pretendere di usurparla.

La monarchia fu accettata, e con lei altre due istituzioni strettamente collegate: il Tempio e il sacerdozio.

David è così una sorta di prototipo del Messia.

Certo dopo Salomone le cose andarono male: la tradizionale rivalità tra le tribù del Nord e del Sud riprese il sopravvento, e il regno si spaccò in due.

I discendenti di David si trovarono a regnare praticamente sulle tribù di Giuda, nella parte meridionale del paese, oltretutto la più povera.

Al Nord, nessuna dinastia riuscì a mantenersi stabile per più di due o tre generazioni; immancabilmente veniva il « putsch » e un nuovo uomo forte prendeva il potere.

Inoltre i rapporti con gli stati vicini, in particolare con le città fenicie, erano costante incentivo alla penetrazione di culti idolatrici.

In questo contesto comprendiamo un oracolo come quello di Osea ( profeta appunto del Nord ): « Ti ho dato un re nella mia ira e te lo ritolgo nel mio sdegno » ( Os 13,11 ); o questo altro: « Hanno fatto dei re, ma non venivano da me; hanno fatto dei principi, ma io non li conoscevo » ( Os 8,4 ).

È la ripulsa netta della monarchia come istituzione di salvezza.

Al Sud invece la dinastia di David si mantenne miracolosamente stabile.

Ci fu un tentativo di usurpazione da parte della regina Atalia, ma il sommo sacerdote riuscì, dopo sette anni, a riportare sul trono l'erede legittimo ( cfr. 2 Re 11 ).

Questo non signica che i re di Giuda fossero giusti; anzi l'insoddisfazione nei loro confronti era profonda.

Così vediamo emergere il messianismo proprio in Gerusalemme, in un contesto di critica al re Ahaz e alla sua politica.

Il regno era invaso dagli Aramei e dagli Israeliti del Nord, Gerusalemme si preparava a sostenere l'assedio, Ahaz progettava di chiedere aiuto al re di Assur, la grande potenza che premeva da settentrione ( siamo verso il 735 a.Ch. ).

Il profeta Isaia protesta contro questa decisione, che porterebbe ad una dipendenza dagli Assiri, ed invita a rivolgersi al Signore, unico reale difensore di Israele e della sua libertà.

Al rifiuto di Ahaz, Isaia gli annuncia la nascita dell'Emmanuele, un nuovo e più fedele discendente di David ( cfr. Is 7,1-17 ).

Al re che stima di più le armi dello straniero che non la potenza di Dio, succederà un altro, un vero « Dio con noi ».

Michea, che ha tutta l'aria di un discepolo di Isaia, non esita neppure lui a parlare di un dominatore che uscirà da Betlemme, il villaggio di David ( cfr. Mi 5,1-5 ).

Il crollo di Gerusalemme

Si tratta, come si vede, di un messianismo davidico, legato certamente a prospettive nazionalistiche.

È il periodo della grande espansione assira, che distrusse nel 72 a.Ch. il regno del Nord e che costrinse al vassallaggio quello del Sud.

Un secolo più tardi l'impero assiro è crollato, tocca ai babilonesi farsi avanti sulla scena mediorientale.

Il regno di Giuda tenta di resistere a Nabuccodonosor; Gerusalemme è assediata una prima volta, il re Ioiakin è portato prigioniero a Babilonia; il suo successore Sedecia si ribella ancora, e il secondo assedio si conclude con la distruzione del tempio e delle mura, il saccheggio e l'incendio della città, lo sterminio della casa regale, la deportazione dei sacerdoti e di tutta la classe dirigente.

Il profeta Geremia aveva inutilmente predicato la sottomissione ai babilonesi, ricevendo in cambio oltraggi e persecuzioni.

Ma proprio nel momento della massima tragedia, sorgeva la profezia della nuova alleanza ( Ger 31,31-34 ): il Signore scriverà la sua legge non su tavole di pietra, ma nel cuore del suo popolo.

Nascerà un nuovo popolo, una nuova umanità fedele.

C'è posto per un Messia in questo annuncio?

« Verranno giorni, oracolo del Signore, in cui susciterò a David un germoglio giusto » ( Ger 23,5 ): nonostante tutte le delusioni, dalla discendenza di David spunterà ancora un germoglio di giustizia.

Del resto, l'ultima notazione del libro dei Re ( 2 Re 25,27-30 ) registra il fatto che il successore di Nabuccodonosor ridiede la libertà al re Ioiakin, deportato a Babilonia.

Più o meno nello stesso periodo di tempo, un altro sacerdote profetizzava tra gli esiliati, Ezechiele.

Il suo messaggio era che il Signore non aveva interrotto la sua compagnia con loro, anzi il dolore dell'esilio e della lontananza era in funzione della loro conversione e quindi della ricostruzione.

Il cuore di pietra doveva essere strappato per essere sostituito da quello di carne ( Ez 36,26 ).

Anche in Ezechiele compare il tema del Messia: « susciterò su di loro un pastore solo, che li pascerà, il mio servo David … io sarò il loro Dio, e il mio servo David sarà principe in mezzo a loro » ( Ez 34,23-24 ).

Principe e non re: è chiara la sordina messa al tema della regalità.

È indubitabile che nei grandi profeti dell'esilio, l'accento dominante non è sul Messia, ma sul rinnovamento del cuore.

La speranza è che Dio cambi il cuore e rinnovi l'essere; questo nessun re lo potrà mai fare.

Più radicale ancora in questa direzione è il cosiddetto deutero-Isaia, il profeta che annunciò la fine dell'esilio e il ritorno a Gerusalemme ( Is 40-55 ).

L'impero babilonese si sgretola ancora più rapidamente di quello assiro, il persiano Ciro entra in Babilonia e permette il ritorno degli Israeliti alla loro terra: « Così dice il Signore al suo unto, a Ciro … » ( Is 45,1 ): un re pagano è chiamato « unto », cioè Messia!

Tanto poco Israele deve sperare in una istituzione come la monarchia davidica; il Signore per salvare il suo popolo usa chi vuole, anche di un re straniero.

Dimostrazione più smagliante della sua potenza non si poteva dare.

Israele si inganna se ripone la sua speranza in una struttura, qualsiasi essa sia.

D'altra parte abbiamo i famosi canti del « servo del Signore »; chi è questo personaggio?

Negli ultimi due canti si fa luce un tema nuovo e sorprendente: la sofferenza redentrice.

Il servo sopporta gli oltraggi senza resistere ( Is 50,5-6 ), porta su di sè il castigo per le colpe di tutti ( Is 53,4-12 ).

Il riferimento storico di questa figura resta avvolto nel mistero.

Una interpretazione prudente è quella che vede nel servo del Signore l'Israele che ha sofferto e che ha offerto, che è rimasto fedele ed ha sperato contro ogni speranza.

In un recente libro H. Cazelles ha voluto sostenere l'identicazione del servo del Signore con Zorobadel, nipote di Ioiakin, che guidò a Gerusalemme le prime carovane che ritornavano dall'esilio ( cfr. Esd 2,2 ).

In questo caso anche il deutero-Isaia non avrebbe cessato di sperare in una restaurazione della monarchia davidica.

A me la cosa non sembra molto probabile.

È certo invece che il profeta Aggeo ha rivolto a Zorobabel un oracolo di contenuto messianico: « In quel giorno ti prenderò, Zorobabel figlio di Sealtiel, mio servo, e ti terrò come sigillo, perché io ti ho scelto » ( Ag 2,23 ).

Anche Zaccaria, che come Aggeo profetizzò durante la ricostruzione del Tempio, vide in Zorobabel il « germoglio » preannunciato da Geremia ( cfr. Zc 3,8; Zc 6,11-13 ).

Zaccaria però presenta già un messianismo doppio, se così possiamo dire; accanto al re c'è ormai il sommo sacerdote ( vedi i due ulivi, Zc 4,11-14; e le due corone, Zc 6,13-14 ).

Messaggero dell'Alleanza

La realtà storica finì per smentire queste speranze di restaurazione.

Zorobabel non salì mai sul trono, perché l'impero persiano non si sognava evidentemente di concedere la libertà a quella che non era altro che una delle sue provincie.

Il tempio fu riedicato ed i sacerdoti vennero ad assumere quelle funzioni di governo interno che il potere centrale lasciava loro.

Si trattava di una sorta di supplenza in attesa del Messia che doveva venire.

Le funzioni sacerdotali infatti per sè erano limitate al culto, sostanzialmente ai sacrifici che venivano celebrati nel Tempio.

Quanto poco fosse amata l'autorità dei sacerdoti lo mostrano le feroci critiche del profeta cui la tradizione ha attribuito il nome convenzionale di Malachia.

La sua profezia è tutto un grido di protesta contro una religione ritualistica e formalistica, cui contrappone il vero ed autentico timore del Signore.

Malachia non parla di Messia, ma di un « messaggero dell'alleanza » che preparerà la venuta del Signore.

« Chi sopporterà la sua venuta?

Chi resisterà al suo apparire?

Egli sarà come il fuoco del fonditore e come la soda del lavandaio: egli siederà a mondare e puricare » ( Ml 3,2-3 ).

L'attesa è ormai rivolta all'avvento della giustizia pura, senza alcuna speranza nelle strutture.

All'impero persiano succedette quello greco, o se vogliamo ellenistico.

Israele si trovò sottomesso all'autorità prima dei Tolomei d'Egitto, poi dei Seleucidi di Siria.

Fu uno di questi, Antioco Epifane, a dare lo spunto per la prima guerra di liberazione.

Il re diede corso ad un progetto di omogeneizzazione religiosa e culturale di tutti i suoi domini, intervenendo pesantemente contro la particolarità di Israele e della sua legge (cfr. 1 Mac 1,41-53 ).

Soprattutto la costruzione di un'altare pagano nel Tempio ( « l'abominio della desolazione » ) fu sentita come una profanazione.

I sacerdoti si mostrarono in generale inclini al compromesso, mentre nelle campagne si accendeva la rivolta.

Furono i fratelli Maccabei a prendere le redini di una guerriglia che si rivolgeva sia contro il nemico straniero sia contro i collaborazionisti interni.

Grandi speranze si accesero quando Giuda Maccabeo riuscì a riprendere il Tempio, puricandolo dal culto pagano e riconsacrandolo ( 164 a.Ch. ).

La guerra si concluse alla fine con la vittoria dei Maccabei, che divennero sommi sacerdoti e fondarono una dinastia.

Il libro di Daniele fu scritto in questo periodo, e la celebre profezia del « Figlio dell'uomo » ( Dn 7,13-14 ) si riferisce alle grandi speranze suscitate da Giuda Maccabeo.

Compimento più grande dell'attesa

Al dominio greco succedette quello ancora più duro e dispotico dei Romani.

Gli ultimi discendenti dei Maccabei finirono scannandosi a vicenda per il potere, ed un avventuriero edomita senza scrupoli, un certo Erode, riuscì a soppiantarli.

I sacerdoti continuarono a patteggiare con lo straniero cercando di salvare quello che restava della libertà di Israele ( e del loro piccolo potere ).

Il movimento farisaico diffondeva lo studio e la pratica scrupolosa della legge.

Gli zeloti sostenevano che Israele aveva un solo sovrano legittimo, il suo Dio, e si battevano, anche a mano armata, contro chiunque accettasse la sovranità di Cesare.

Gli esseni di Qumran aspettavano nel deserto la venuta dei due Messia di Aronne e di Israele ( sacerdotale e regale ), e si preparavano alla guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre.

Vennero Giovanni il Battista e Gesù di Nazaret.

Venne il re di Israele, non fu creduto, fu venduto da un discepolo, condannato dal Sinedrio, consegnato ai Romani.

Il procuratore Ponzio Pilato lo interrogò secondo le regole: Gesù ammise di essere re, « ma non di questo mondo » ( Gv 18,36 ).

Che cosa può voler dire un regno diverso da quelli del mondo?

Tutta questa storia culmina in Gesù Cristo, cioè Gesù il Messia.

Dedicheremo un prossimo articolo al messianismo di Gesù, senza il quale non è possibile comprendere tutto questo cammino.

Tuttavia una cosa già appare con splendente evidenza, ed è questa: il compimento è stato incomparabilmente più grande dell'attesa.

Dall'Emmanuele di Isaia al re guerriero che doveva sconfiggere i Romani, è un'alternanza continua ed inquieta di speranza e frustrazione.

Quando il Messia venne davvero, non fu riconosciuto, perché era diverso da come lo aspettavano.

Lo riconobbero alcuni, pochi, perché erano poveri di spirito e puri di cuore.

Neppure i profeti dell'Antico Testamento vedevano chiaramente i lineamenti di colui che annunciavano; ma il loro sguardo si appuntava sull'essenziale, il grande fondamentale cambiamento del cuore e dell'essere.

Intuivano il morire per risorgere, la nuova nascita, il battesimo.

Insegnavano che Dio è misterioso ( cfr. Is 45,15 ), che il suo progetto non corrisponde alle attese degli uomini.

Solo Dio salva, l'uomo è sempre un mediatore imperfetto: ma chi si sarebbe atteso un Messia Dio e uomo insieme?

Chi poteva immaginarsi che avrebbe regnato dalla croce?

Il velo non è ancora oggi caduto dagli occhi di Israele ( 2 Cor 3,15 ), e dalla maggior parte degli uomini.

Ai cristiani non resta che rendere grazie al Padre che ha svelato il mistero ai semplici ( Mt 11,25-26 ).

cf Avvento e Compimento

Escatologica

Se l'« eschaton » è il « definitivo », ed esso si è manifestato in Gesù, i primi cristiani attendono il suo ritorno con spirito « escatologico », sentendosi cioè già coinvolti in questa « definitività » compiuta da Gesù, e in attesa del suo definitivo compimento all'interno del mondo e della vita umana.

L'attesa del ritorno imminente del Signore ( parusia ) era una caratteristica delle comunità cristiane delle origini.


Catechismo della Chiesa Cattolica

Anima nell'attesa della risurrezione del corpo 997
Attesa del ritorno di Cristo 1619
-- 2817
Avvento e attesa del Messia 524
Incarnazione come compimento dell'attesa 422
-- 489
Israele e sua attesa del Messia 62
-- 522
-- 529
-- 706
-- 711-716
-- 840
-- 1334
Liturgia e attesa 1096
-- 2760
Maria e l'attesa delle promesse 489
Morti in attesa del Redentore 633
Preghiera e attesa 2772
-- 2854
Speranza e attesa 2090
Tempo presente come tempo di attesa 672
Terra nuova e attesa 1049

Magistero

Catechesi Paolo VI 23-12-1964
L'itinerario dell'attesa messianica
Angelus Benedetto XVI 28-11-2010
E dalle sue attese l'uomo si riconosce: la nostra "statura" morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo.
Meditazione Francesco 23-12-2013
Nel suo cuore la Vergine « sentiva quello che sentono tutte le donne in quel tempo » così particolare: quelle « percezioni interiori nel suo corpo e nella sua anima » dalle quali comprende che il figlio sta ormai per nascere.
È un'esperienza spirituale che viviamo anche « noi, come Chiesa », perché « accompagniamo la Madonna in questo cammino di attesa ».