Parabola

Dal greco parabole, "accostamento", passò a "confronto", "similitudine", "esempio", quindi a "narrazione composta per illustrare una verità".

Come genere letterario fu quasi ignota ai classici, mentre venne usata dai rabbini e sublimata da Cristo.

È diversa dall'allegoria, che esige una corrispondenza completa di tutti gli elementi del racconto con l'idea che si intende affermare ( Gesù stesso applicò i vari particolari del bozzetto del seminatore: Mt 13,18-23 ); nella parabola invece è messaggio solo il concetto centrale che preme, lasciando il resto a puro impianto espositivo:

così Gesù, nell'intento di inculcare l'efficacia di una preghiera insistente, parlò di un giudice iniquo, che impersonava poi Dio Padre ( Lc 18,2-7 ) e,

per invitare a finalizzare i beni terrestri ai valori soprannaturali, propose a modello un amministratore disonesto ( Lc 14,1-9 );

per lo stesso principio è inutile cercare cosa significhino i singoli particolari nella parabola del figliuol prodigo ( Lc 15,11-32 ).

La parabola con la sua anima di sfida all'intelligenza e di stimolo alla curiosità , oltre ad essere particolarmente adatta al mondo semitico che rifuggiva dalla logicità astratta ed amava la concretezza colorita, mantiene un perenne valore didattico, in quanto questa sfida e questo stimolo agiscono dovunque come vividi incentivi all'intuizione ed all'interesse.

Dal greco « parabole », « confronto, paragone, similitudine ».

Sono chiamati così quei racconti, specie evangelici, dove, con paragoni della vita quotidiana e tramite personaggi immaginari, viene comunicato un insegnamento importante in un linguaggio comprensibile a tutti.

Racconto ( dal greco parabole: paragone ) che trasmette in forma narrativa e simbolica insegnamenti religiosi e morali.

Nei Vangeli è la forma privilegiata con cui Gesù comunica il suo insegnamento.

Il carattere intuitivo delle parabole

Lo scopo delle parabole è di far spostare il punto di vista dell'ascoltatore, conducendolo a formulare un giudizio che altrimenti non avrebbe formulato.

La parabola non è un'allegoria, nella quale ciascun particolare ha una sua trasposizione nella realtà.

La parabola concentra i singoli elementi narrativi in un sol punto, che costituisce il vertice della parabola stessa.

E qui che avviene il contatto tra la narrazione fittizia e la realtà che si vuole mostrare.

È per questa concentrazione che la comprensione di una parabola - al di là delle necessarie analisi esegetiche - richiede un'intuizione globale, in un certo senso più vicina all'intuizione dell'artista che alla deduzione razionale filosofico-scientifica.

L'ultimo passo interpretativo ( "chi ha orecchie per intendere, intenda!" ) introduce un salto, che spezza la catena delle semplici deduzioni.

Per sua natura la comunicazione della parabola non avviene attraverso una definizione che chiude il discorso, ma attraverso un lampo, un'intuizione che permette di andare oltre.

La parabola non costringe, ma crea lo spazio per una libera adesione e sollecita l'intelligenza dell'ascoltatore a intuire e a proseguire.

Sta qui gran parte della bellezza delle parabole.

Perché le parabole?

Se Gesù ha raccontato parabole non è semplicemente perché egli amava i paragoni, ne semplicemente perché voleva che il suo parlare fosse chiaro e accessibile, ma perché quando si vuole parlare di Dio e del suo mistero non si può fare diversamente.

Il parlare simbolico dei Vangeli nasce da un'esigenza teologica, cioè dal fatto che non si può parlare direttamente del Regno di Dio, ma solo parabolicamente, indirettamente, mediante paragoni presi dalla vita.

Per parlare di Dio non si può che partire dalle cose dell'uomo.

Ed e proprio da questa origine che derivano le tre proprietà che caratterizzano il linguaggio parabolico.

È un linguaggio inadeguato, perché desunto dal vissuto quotidiano, eppure pretende esprimere qualcosa che sta oltre e nel profondo.

Ma è nello stesso tempo un linguaggio aperto, in grado non certo di esprimere il Regno ma di alludervi; perché se è vero che il Regno non si identifica con la nostra storia, rimane pur vero che ha una profonda relazione con essa.

Ed è un linguaggio che costringe a pensare: non definisce, non è un traguardo riposante, ma allude, provoca, invita ad andare oltre, rende pensosi.

La parabola è un discorso globale che lascia intatto il discorso del Regno, mostrandone però l'impatto con l'esistenza dell'uomo.

Per questo la parabola inquieta e interroga.

Di qui, però, l'ambivalenza delle parabole: sono luminose e oscure, rivelano e nascondono, richiedono uno sforzo di interpretazione e di decisione.

Lasciano trasparire il mistero di Dio a chi ha gli occhi penetranti e il cuore pronto; rimangono oscure per chi ha il cuore ottenebrato o distratto.

Dimensione cristologica ed ecclesiale delle parabole.

Come si trovano scritte nei Vangeli le parabole sono il punto terminale di una storia lunga e complessa: la parabola è stata raccontata da Gesù per rispondere alle domande dei suoi interlocutori, successivamente tramandata e riletta nella predicazione della prima comunità cristiana per rispondere ai propri bisogni, e infine collocata dall'evangelista all'interno della sua prospettiva teologica.

Questo passaggio attribuisce alla parabola una dimensione cristologica e insieme ecclesiale.

Questo passaggio da Gesù alla comunità non ha però tradito la parabola, anche se l'ha introdotta in un nuovo orizzonte.

Gesù ha raccontato le parabole guardando in avanti, verso la Croce/Risurrezione.

La comunità le ha raccontate guardando indietro, verso la Croce/Risurrezione.

Ma nell'un caso come nell'altro, il contenuto delle parabole è sempre il mistero di Dio che si è svelato nella storia di Gesù.

L'origine della parabola è prepasquale, ma l'orizzonte in cui gli evangelisti la raccontano e la comprendono è inserito nella morte e risurrezione di Gesù.

Questo cambiamento di prospettiva non tradisce la parabola, ma approfondisce il modo di osservarla.

Le parabole del Vangelo

Genere di predicazione preferito da Gesù, Mt 13,3.10.34; Mc 4,11.34; Lc 8,10.

- dell'amico importuno, Lc 11,5ss.

- del buon grano e della zizzania, Mt 13,24ss.

- del buon samaritano, Lc 10,30ss.

-  del cattivo ricco, Lc 12,16ss.

- del convito, Lc 14,16ss.

- della dramma perduta, Lc 15,8ss.

- dei due debitori, Lc 7,41ss.

- dei due figli, Mt 21,28ss.

- del fariseo e del pubblicano, Lc 18,10ss.

- del fattore infedele, Lc 16,1ss.

- del fico fiorito, Lc 21,29ss.

- del fico sterile, Lc 13,6ss.

- del figliuol prodigo, Lc 15,11ss.

- del giudice iniquo, Lc 18,2ss.

- del granello di senapa, Mt 13,31ss.; Mc 4,30ss.; Lc 13,19.

- del lievito, Mt 13,33; Lc 13,21.

- del mercante di perle, Mt 13,45ss.

- delle mine, Lc 19,12ss.

- delle nozze del figlio del re, Mt 22,1ss.

- del buon Pastore, Gv 10,1ss.

- della pecorella smarrita, Mt 18,12ss.; Lc 15,4ss.

- del pezzo di stoffa nuova, Mt 9,16; Mc 2,21; Lc 5,36.

- del re che vuol far la guerra, Lc 14,31ss.

- della rete gettata in mare, Mt 13,47ss.

- del ricco epulone, Lc 16,19ss.

- della semina e della mietitura, Mc 4,26ss.

- del seminatore, Mt 13,3ss.; Mc 4,3ss.; Lc 8,5ss.

- del servo che torna dai campi, Lc 17,7ss.

- del servo fedele e del servo cattivo, Mt 24,45ss.; Lc 12,42ss.

- dei servi custodi della casa, Mc 13,34ss.

- dei servi vigilanti, Lc 12,36ss.

- dei debitori, Mt 18,23ss.

- degli spiriti maligni, Mt 12,43ss.; Lc 11,24ss.

- dei talenti, Mt 25,14ss.

- del tesoro nascosto, Mt 13,44.

- dell'uomo che fabbrica sulla pietra o sulla sabbia, Mt 7,24ss.; Lc 6,48.

- dell'uomo che fabbrica una torre, Lc 14,28ss.

- della vera vite, Gv 15,1ss.

- delle vergini stolte e delle prudenti, Mt 25,1ss.

- dei vignaiuoli, Mt 20,1ss.

- dei vignaiuoli ribelli, Mt 21,33ss.

- del vino nuovo in otri vecchi, Mt 9,17; Mc 2,22; Lc 5,37ss.

Schedario biblico

Fico sterile B 102
Banchetto nuziale B 103
Vignaioli omicidi B 104
Dio misericordioso (B) A 19
Incredulità dei Giudei ( A ) C 66
Mistero - Sacramento D 9
Indurimento del cuore E 10

Catechismo della Chiesa Cattolica

L'annunzio del Regno di Dio 546
Gesù insegna a pregare 2613