Contro le due lettere dei Pelagiani

Indice

Libro III

5.14 - Accusa pelagiana sulla santità dei Profeti e degli Apostoli

Un'altra accusa è che "tutti gli Apostoli o Profeti non sono ritenuti da noi pienamente santi, ma meno cattivi a confronto di persone peggiori, e questa è la giustizia alla quale rende testimonianza Dio: come il Profeta ( Ez 16,46ss ) dichiara giustificata Sodoma a confronto dei Giudei, così anche noi a confronto degli scellerati diciamo che i santi hanno esercitato una qualche virtù".

Lungi da noi il dirlo, ma costoro o non arrivano a capire o non vogliono avvertire e per amore di calunnia dissimulano di sapere ciò che diciamo noi.

Ascoltino dunque o essi stessi o piuttosto coloro che essi tramano d'ingannare, perché semplici e non istruiti.

La nostra fede, cioè la fede cattolica, distingue i giusti dagli ingiusti non in base alla legge delle opere, ma in base alla legge della stessa fede, perché il giusto vive mediante la fede. ( Rm 1,17; Gal 3,11 )

A cosa porta questo criterio distintivo? Ecco un uomo che conduce una vita senza omicidio, senza furto, senza falsa testimonianza, senza desiderio di nessuna cosa altrui; che rende ai genitori l'onore dovuto, che è così casto da contenersi assolutamente da ogni unione anche nel matrimonio, che è generosissimo nelle elemosine, pazientissimo delle offese, che non solo non prende quello che è degli altri ma non richiede nemmeno il suo se gli è stato preso o che, dopo aver venduto tutte le sue sostanze e averle distribuite ai poveri, non possiede più nulla di suo; ebbene, se costui con sì lodevoli costumi non ha la fede retta e cattolica in Dio, parte da questa vita per essere condannato.

Viceversa un altro pratica, sì, le buone opere in forza della fede retta, la quale agisce mediante la carità, ma tuttavia non è al medesimo livello morale del primo, affida la sua incontinenza all'onestà delle nozze concedendo ed esigendo il debito del coniugie carnale, né si unisce soltanto per la procreazione ma anche per il piacere, benché unicamente con la propria moglie, come l'Apostolo concede per venia ai coniugati; ( 1 Cor 7,3.6 ) non subisce le offese con tanta pazienza, ma nell'ira si lascia trasportare dal desiderio di vendicarsi e tuttavia perdona se lo pregano per poter dire: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori; ( Mt 6,12 ) ha un suo patrimonio e ne usa, sì, per fare delle elemosine, benché non così larghe come l'altro; non si appropria di cose altrui ma rivendica le proprie, anche se presso un tribunale ecclesiastico e non civile: ebbene, costui che moralmente sembra inferiore al primo, per la retta fede che ha in Dio e mediante la quale vive e secondo la quale in tutte le sue mancanze accusa se stesso e in tutte le sue opere buone loda Dio, attribuendo a sé l'ignominia e a Dio la gloria, ricevendo da Dio sia l'indulgenza dei peccati, sia l'amore delle rette azioni, costui, dico, emigrerà da questa vita per essere liberato e per essere accolto nella società di coloro che regneranno con il Cristo.

Per quale ragione se non per la fede? Sebbene questa non salvi nessuno senza le opere - fede non reproba è una fede che opera mediante la carità -, tuttavia per mezzo di essa si sciolgono anche i peccati, perché il giusto vive mediante la fede; ( Rm 1,17 ) senza la fede invece si cambiano in peccati anche le opere che sembrano buone: tutto quello infatti che non viene dalla fede è peccato. ( Rm 14,23 )

E a causa di questa grandissima differenza avviene che, pur essendo per consenso di tutti l'integrità verginale perseverante migliore della castità coniugale, tuttavia una donna cattolica, anche sposata per la seconda volta, si preferisce ad una vergine professa eretica; né si preferisce così da essere migliore di lei nel regno di Dio, ma così che l'altra non sia affatto nel regno di Dio.

Infatti anche quel cristiano che abbiamo descritto come di moralità più alta, supera l'altro se possiede la retta fede, ma ambedue si troveranno nel regno di Dio; se invece gli manca la fede, è così superato dall'altro da non essere nel regno di Dio.

5.15 - La perfezione possibile in questa vita

Poiché dunque tutti i giusti, siano quelli più antichi o siano gli Apostoli, vissero mediante la retta fede che si ha nel Cristo Gesù, nostro Signore, e poiché insieme alla fede ebbero una condotta morale tanto santa che, sebbene non abbiano potuto essere in questa vita di una virtù così perfetta come quella che ci sarà dopo questa vita, tuttavia ogni infiltrazione peccaminosa dovuta alla debolezza umana veniva subito eliminata mediante la pietà della fede stessa, com'è possibile che li dobbiamo dire giusti a confronto dei cattivi che Dio condannerà, quando per la pietà della loro fede, in direzione opposta a quella degli empi, sono così lontani da loro che l'Apostolo grida: Che ha di comune il fedele con l'infedele? ( 2 Cor 6,15 )

Ma evidentemente ai nuovi eretici pelagiani sembra di amare e di lodare scrupolosamente i santi se non si azzardano a dire che furono imperfetti nella virtù, mentre lo riconosce il Vaso di elezione, ( At 9,15 ) il quale, considerando dove stesse ancora e come il corpo corruttibile appesantisce l'anima, ( Sap 9,15 ) afferma: Non che io abbia già conquistato il premio o sia arrivato alla perfezione.

Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto. ( Fil 3,12-13 )

E tuttavia, poco dopo che ha dichiarato di non esser perfetto, dice: Quanti dunque siamo perfetti dobbiamo avere questi sentimenti, ( Fil 3,15 ) per dimostrare che una qualche perfezione esiste secondo lo stato di questa vita e che a tale perfezione si fa appartenere anche la consapevolezza di ciascuno di non essere ancora perfetto.

Che cosa infatti di più perfetto, che cosa di più eccellente dei santi sacerdoti nel popolo antico?

E tuttavia Dio comandò ad essi d'offrire prima d'ogni altro sacrificio il sacrificio per i propri peccati. ( Lv 9,7; Lv 16,6 )

E che cosa di più santo degli Apostoli nel popolo nuovo?

E tuttavia il Signore comandò ad essi di dire nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

Di tutte le persone pie dunque che gemono sotto il peso di questa carne corruttibile e nella debolezza della vita presente una sola è la speranza: Abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto, ed egli è la vittima di espiazione per i nostri peccati. ( 1 Gv 2,1-2 )

6.16 - La perfetta santità di Cristo

Non hanno questo avvocato ( 1 Gv 2,1 ) coloro che sono distanti dai giusti in lungo e in largo - fosse anche questa sola la differenza -.

Il quale giusto avvocato lungi da noi l'affermare, come costoro ci accusano di dire: "per necessità della carne ha mentito".

Ma noi diciamo che in una carne simile a quella del peccato e con il peccato egli ha condannato il peccato nella carne. ( Rm 8,3 )

Il che forse non intendendo costoro e accecati dalla smania di calunniare, ignorando in quanti sensi diversi compaia il nome di peccato nelle Scritture sante, spargono che noi affermiamo nel Cristo il peccato.

A tal proposito noi diciamo che il Cristo e non ebbe nessun peccato né nell'anima né nella carne e che, assumendo una carne simile a quella del peccato, con il peccato, condannò il peccato.

Il termine peccato, usato dall'Apostolo con una certa oscurità, si spiega in due modi: o perché si è soliti denominare le immagini con i nomi delle realtà che rappresentano, così da intendere che l'Apostolo abbia voluto chiamare peccato la stessa carne somigliante alla carne del peccato; o perché i sacrifici per i peccati si chiamavano peccati nella Legge.

Tutti i sacrifici per i peccati furono figure della carne del Cristo, la quale è il vero ed unico sacrificio per i peccati, non solo per quelli che sono distrutti universalmente nel battesimo, ma anche per quelli che successivamente si insinuano per la debolezza di questa vita.

Per essi ogni giorno la Chiesa universalmente grida a Dio nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti; e ci vengono rimessi mediante il singolare sacrificio per i peccati che l'Apostolo parlando secondo la Legge non ha esitato a chiamare peccato.

Dal che viene anche quest'altro suo passo, molto più evidente, né incerto per la presenza di un qualsiasi bivio di qualsiasi ambiguità: Vi supplico in nome del Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. ( 2 Cor 5,20-21 )

Infatti la frase che ho ricordato più sopra: Con il peccato ha condannato il peccato, non essendo stato detto: Con il suo peccato, qualcuno la può intendere nel senso che Paolo dica: Ha condannato il peccato con il peccato dei Giudei, perché a causa del peccato di coloro che crocifissero Gesù avvenne che egli versò il suo sangue per la remissione dei peccati; la frase invece dove si dice che Dio trattò da peccato lo stesso Cristo che non aveva conosciuto peccato, non mi sembra più conveniente intenderla in nessun modo che in questo: Il Cristo fu fatto sacrificio per i peccati, e questa è la ragione per cui fu chiamato peccato.

7.17 - La perfezione nella vita presente e in quella futura

Chi poi sopporterà che costoro ci rinfaccino di dire che "dopo la risurrezione ci saranno tali progressi che allora gli uomini cominceranno ad osservare i comandamenti di Dio che non hanno voluto osservare in questa vita", poiché diciamo che là non vi sarà più nessun peccato, né conflitto con una qualche cupidigia di peccato, quasi che essi osassero negarlo?

Che anche la sapienza e la conoscenza di Dio saranno allora perfette in noi e che nel Signore avremo tale carica di esultanza che essa sarà la nostra vera e piena sicurezza, chi lo negherà all'infuori di chi sia così avverso alla verità da non poter giungere per questo a tale carica d'esultanza?

Ma la sapienza e la conoscenza di Dio non saranno allora dei comandamenti per noi, bensì il premio dei comandamenti che dobbiamo adesso osservare.

Certo il disprezzo di questi comandamenti non conduce al premio dell'aldilà, ma qui la grazia di Dio dona la sollecitudine d'osservare i comandamenti.

La qual grazia anche ci perdona, se qualcosa in questi precetti è osservato un po' meno del dovuto, e per questo nell'orazione diciamo: Sia fatta la tua volontà, e: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,10.12 )

Qui dunque c'è il precetto di non peccare, là ci sarà il premio di non poter più peccare.

Qui c'è il precetto di non obbedire ai desideri del peccato, ( Rm 6,12 ) là ci sarà il premio di non avere desideri di peccato.

Qui c'è il comandamento: Comprendete, dunque, insensati tra il popolo e voi, stolti, imparate una volta! ( Sal 94,8 )

Là ci sarà per premio la sapienza piena e la conoscenza perfetta.

Perché, dice l'Apostolo, ora vediamo come in uno specchio, in una maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia.

Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente come anch'io sono conosciuto. ( 1 Cor 13,12 )

Qui c'è il comandamento: Esultate in Dio, nostra forza, ( Sal 81,2 ) e ancora: Esultate, giusti, nel Signore, ( Sal 33,1 ) là ci sarà il premio d'esultare di un gaudio perfetto e ineffabile. ( 1 Pt 1,8 )

Infine nel comandamento è stabilito: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, ma nel premio è stabilito: Perché saranno saziati. ( Mt 5,6 )

Di che, domando, saranno saziati, se non della giustizia della quale hanno fame e sete?

Chi dunque si opporrà non solo al sentimento divino, ma anche a quello umano così da dire che nell'uomo può esserci tanta giustizia ora che ne ha fame e sete quanta ne avrà allora quando ne sarà saziato?

Quando però abbiamo fame e sete della giustizia, di che dobbiamo credere d'aver fame e sete se non del Cristo, se la fede del Cristo è vigile in noi?

Il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,30-31 )

E poiché adesso crediamo in lui senza vederlo, proprio per questo abbiamo fame e sete della giustizia.

Infatti finché abitiamo nel corpo, siamo in esilio lontani dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora nella visione. ( 2 Cor 5,6-7 )

Quando lo vedremo, nel raggiungimento della visione, esulteremo d'inenarrabile gaudio, ( 1 Pt 1,8 ) e allora saremo saziati della giustizia, poiché ora diciamo al Signore con pio desiderio: Sarò saziato, quando si manifesterà la tua gloria. ( Sal 17,15 )

7.18 - La perfezione raggiunta dall'apostolo Paolo

Quanto è poi non dico superbia sfacciata, ma pazzesca, non essere ancora pari agli angeli di Dio e credere di poter avere già una giustizia pari a quella degli angeli di Dio, né guardare ad un uomo tanto grande e santo, che aveva certamente fame e sete della perfezione della giustizia, quando non voleva insuperbirsi della grandezza delle rivelazioni, e che tuttavia, perché non si inorgoglisse, non fu lasciato al suo arbitrio e alla sua volontà, ma ricevé una spina nella carne, un messo di satana che lo schiaffeggiasse, e per questo pregò tre volte il Signore che l'allontanasse da lui e il Signore gli rispose.

Ti basta la mia grazia: la virtù infatti si manifesta pienamente nella debolezza. ( 2 Cor 12,9 )

Quale virtù se non quella cui spetta di non insuperbirsi?

E chi dubita che questo spetti alla giustizia?

Della perfezione dunque di questa giustizia sono dotati gli angeli di Dio che vedono sempre il volto del Padre ( Mt 18,10 ) e quindi di tutta la Trinità, perché vedono per mezzo del Figlio nello Spirito Santo.

Ora, non c'è nulla di più sublime di questa rivelazione e tuttavia nessuno degli angeli festanti di quella contemplazione ha bisogno d'un messo di satana che lo schiaffeggi, perché non lo faccia montare in superbia tanta grandezza di rivelazione.

Questa perfezione di virtù mancava evidentemente all'apostolo Paolo, non ancora pari agli angeli, ma c'era in lui la debolezza di montare in superbia, da reprimersi anche per mezzo di un messo di satana, perché egli non s'insuperbisse per la grandezza delle rivelazioni.

Sebbene dunque ad abbattere lo stesso satana sia stato il primo colpo di orgoglio, ( 2 Cor 12,7 ) tuttavia quel sommo Medico che sa servirsi bene anche dei mali fu per mezzo di un messo di satana che apprestò contro il vizio dell'orgoglio un medicamento salutare, benché molesto, come anche l'antidoto contro il veleno dei serpenti si suole estrarre dai serpenti.

Qual è dunque il senso della frase: Ti basta la mia grazia, se non questo: Perché tu non soccomba per debolezza sotto lo schiaffo del messo di satana?

E quale il senso della frase: La virtù si manifesta pienamente nella debolezza, se non questo: Nel presente mondo di debolezza ci può esser tanta poca perfezione di virtù che la superbia debba essere repressa dalla stessa presenza della debolezza?

La quale debolezza sarà sicuramente risanata dall'immortalità futura.

Come infatti deve dirsi piena qui la sanità dove è ancora necessario prendere la medicina anche dallo schiaffo d'un messo di satana?

7.19 - Paolo fu un perfetto viator

Da questo è sorta l'abitudine che la virtù in possesso dell'uomo giusto in questa vita in tanto si dica perfetta in quanto nella sua perfezione rientri anche e la conoscenza verace e la confessione umile della sua imperfezione.

Allora infatti, secondo la debolezza attuale, è a suo modo perfetta questa nostra piccola giustizia quando riesce anche a capire quello che le manca.

Perciò l'Apostolo dice se stesso e imperfetto e perfetto: ( Fil 3,12.15 ) cioè imperfetto pensando a quanto gli manca per la giustizia, della cui pienezza ha fame e sete ancora; perfetto invece, e perché non arrossisce di confessare la sua imperfezione e perché avanza di buon passo per raggiungere la perfezione.

Alla stessa maniera possiamo dire che è perfetto un viandante il cui procedere è buono, sebbene il suo intendimento non si realizzi appieno se non nel raggiungimento della meta.

Per questo, dopo aver detto: Irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge, ( Fil 3,6 ) Paolo continua subito: Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo del Cristo.

Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza del Cristo Gesù nostro Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose, e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare il Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. ( Fil 3,7-9 )

Ecco, l'Apostolo dice certamente senza mentire d'essere stato inappuntabile secondo la giustizia legale, e tuttavia rifiuta per il Cristo quanto per lui era stato un guadagno, e stima danno, perdita, sterco non solo queste cose, ma anche tutte le altre cose che ha rammentate sopra, non di fronte ad una conoscenza qualsiasi, bensì di fronte alla sublimità della conoscenza del Cristo Gesù nostro Signore, com'egli si esprime, conoscenza che senza dubbio aveva ancora in fede e non ancora in visione.

Allora infatti sarà sublime la conoscenza del Cristo quando egli sarà così svelato che sia veduto quello che è creduto.

Per questo in un altro passo dice così: Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con il Cristo in Dio.

Quando si manifesterà il Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. ( Col 3,3-4 )

E lo stesso Signore dice in proposito: Chi mi ama, sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui. ( Gv 14,21 )

L'evangelista Giovanni scrive nello stesso senso: Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.

Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. ( 1 Gv 3,2 )

Allora sarà sublime la conoscenza del Cristo.

Per ora infatti c'è essa certamente nascosta nella fede, ma non apparisce ancora sublime nella visione.

7.20 - La giustizia secondo lo spirito viene da Dio

Il beato Paolo dunque butta via la ricchezza della sua giustizia di prima come danno e sterco al fine di guadagnarsi il Cristo e d'esser trovato in lui, non con una sua giustizia che deriva dalla legge.

Perché sua, se deriva dalla legge? Non è vero infatti che quella legge non derivi da Dio: chi l'ha detto all'infuori di Marcione, di Manicheo e di altre simili pesti?

Pur derivando dunque da Dio quella legge, dice sua la giustizia che deriva dalla legge, e non vuole avere questa sua giustizia, ma la butta via come sterco.

Perché così se non in base alla verità che abbiamo mostrata anche più sopra: sono sotto la legge coloro che, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio? ( Fil 3,7-9; Rm 10,3 )

Credono infatti di osservare con le forze del loro arbitrio la legge che comanda e, legati da questa superbia, non si convertono alla grazia che aiuta.

Così li uccide la lettera: ( 2 Cor 3,6 ) o perché, consapevolmente rei anche di fronte a se stessi, non fanno ciò che comanda; o perché credono di farlo, ma non lo fanno con la carità spirituale che viene da Dio.

Così restano o consapevolmente ingiusti o illusoriamente giusti, evidentemente sfrontati nell'ingiustizia cosciente, insipientemente esaltati nella giustizia fallace.

E per questo, in modo certamente paradossale ma vero, la giustizia della legge non si adempie con la giustizia che sta nella legge o che deriva dalla legge, bensì con la giustizia che sta nello spirito della grazia.

La giustizia della legge si adempie appunto in coloro che, com'è scritto, non camminano secondo la carne, ma secondo lo Spirito. ( Rm 8,4 )

Ora, secondo la giustizia che sta nella legge, l'Apostolo dice d'essere stato irreprensibile nella carne, non nello spirito, e la giustizia che deriva dalla legge la dice sua e non di Dio. ( Fil 3,6-9 )

Si deve dunque intendere che la giustizia della legge non si adempie secondo la giustizia che sta nella legge o che deriva dalla legge, ossia secondo la giustizia dell'uomo, ma secondo la giustizia che sta nello spirito della grazia, dunque secondo la giustizia di Dio, ossia secondo quella giustizia che viene all'uomo da Dio.

Lo si può dire in maniera più piana e più breve così: La giustizia della legge non si adempie quando la legge comanda e l'uomo, quasi lo facesse con le proprie forze, la manda in esecuzione, bensì quando lo Spirito aiuta e la volontà dell'uomo, non libera ma liberata dalla grazia di Dio, manda in esecuzione quello che comanda la legge. Giustizia della legge è dunque comandare ciò che piace a Dio e vietare ciò che gli dispiace; giustizia che sta nella legge è invece servire la lettera della legge e non cercare fuori di essa nessun aiuto di Dio per vivere rettamente.

Infatti, dopo aver detto: Non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, aggiunge: Cioè con la giustizia che deriva da Dio. ( Fil 3,9 )

Questa stessa è dunque la giustizia di Dio che i superbi, ignorandola, vogliono sostituire con la propria. ( Rm 10,3 )

La ragione infatti per cui si dice giustizia di Dio non è perché di essa è giusto Dio, ma perché viene all'uomo da Dio.

7.21 - L'Apostolo finché visse tendeva alla pienezza della carità

Ma secondo questa giustizia di Dio, cioè quella che viene a noi da Dio, la fede di ora opera mediante la carità. ( Gal 5,6 )

Opera poi perché l'uomo arrivi a colui nel quale per ora crede senza vederlo, e quando lo vedrà allora ciò che era nella fede come in uno specchio e in maniera confusa sarà già nella visione faccia a faccia; ( 1 Cor 13,12 ) allora toccherà la sua perfezione anche lo stesso amore.

Sarebbe appunto troppo sciocco dire che Dio tanto si ami adesso che non si vede quanto si amerà quando si vedrà.

Ebbene, se in questa vita, come non ne dubita nessuna persona pia, quanto più amiamo Dio tanto più siamo giusti, chi potrebbe contestare che la giustizia pia e vera raggiungerà allora la sua perfezione quando sarà nella sua perfezione l'amore di Dio?

Allora dunque si adempirà così che non le manchi assolutamente nulla la legge, il cui pieno compimento, secondo l'Apostolo, è l'amore. ( Rm 13,10 )

Perciò, dopo aver detto: Non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio basata sulla fede, aggiunge: E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione e la partecipazione alle sue sofferenze. ( Fil 3,9-10 )

Tutte queste realtà non erano ancora nell'Apostolo piene e perfette, ma egli correva come un corridore sulla buona strada verso la loro pienezza e perfezione.

In che modo infatti conosceva già perfettamente il Cristo lui che in un altro luogo dice: Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto? ( 1 Cor 13,12 )

E in che modo conosceva già perfettamente la potenza della sua risurrezione lui al quale restava di conoscerla più appieno sperimentandola al tempo della risurrezione della carne?

E in che modo conosceva già perfettamente la partecipazione alle sue sofferenze lui che non aveva ancora sperimentato la passione della morte per il Signore?

Poi aggiunge e dice: Con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. ( Fil 3,11 )

E dopo dice: Non però che io abbia già conquistato il premio o che sia ormai arrivato alla perfezione. ( Fil 3,12 )

Che è dunque ciò che confessa di non avere ancora conquistato e ciò dove non si sente ancora perfetto se non quella giustizia che deriva da Dio, desiderando la quale non voleva avere la sua derivante dalla legge?

Di questo infatti parlava e questo fu per lui il motivo di dire tali verità, resistendo ai nemici della grazia di Dio, per la cui elargizione il Cristo è stato crocifisso.

Alla risma di quelli appartengono anche questi.

7.22 - Sono nemici della croce di Cristo coloro che pretendono stabilire una propria giustizia

Nel capitolo infatti dove ha preso a fare queste affermazioni ha esordito: Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno circoncidere!

Siamo infatti noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio, o, come hanno alcuni codici: serviamo allo Spirito che è Dio, oppure: serviamo allo spirito di Dio e ci gloriamo nel Cristo Gesù, senza avere fiducia nella carne. ( Fil 3,2-3 )

Di qui si fa chiaro che egli parla contro i Giudei, i quali, osservando carnalmente la legge e volendo stabilire la propria giustizia, rimanevano uccisi dalla lettera, non ricevevano la vita dallo Spirito e si vantavano di sé, mentre gli Apostoli e tutti i figli della promessa si vantano nel Cristo.

Poi soggiunge: Sebbene io possa vantarmi anche nella carne.

Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui. ( Fil 3,4; Rm 10,3; 2 Cor 3,6 )

E nella enumerazione di tutte le cose che hanno merito secondo la carne termina con il dire: Irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge. ( Fil 3,6 )

E avendo poi detto che per guadagnarsi il Cristo tutte queste cose erano diventate per lui assolutamente danno, perdita e sterco, aggiunge l'argomento di cui trattiamo: Essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio. ( Fil 3,9 )

Di questa giustizia dunque ha confessato di non aver raggiunto ancora la perfezione, che non ci sarà se non in quella sublime conoscenza del Cristo, per la quale ha detto che tutto era un danno per lui, e quindi confessa di non essere ancora perfetto.

Solo mi sforzo, dice, di correre per conquistare Gesù Cristo, perché anch'io sono stato conquistato da lui. ( Fil 3,12 )

Le parole: Conquistare, perché anch'io sono stato conquistato equivalgono alle altre: Conoscerò perfettamente come anch'io sono stato conosciuto.

Scrive: Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, nel Cristo Gesù. ( Fil 3,13-14; 1 Cor 13,12 )

La logica delle parole è tutta qui: Ad una meta sola io corro dietro.

Della quale unica meta ben s'intende che anche il Signore ammonì Marta dove disse: Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. ( Lc 10,41-42 )

Quest'unica meta volendo raggiungere Paolo come viandante in marcia, dice di tendere al premio a cui dall'alto lo chiamava Dio nel Cristo Gesù.

Ora, chi esiterà a credere che quando avrà conseguito ciò che afferma d'inseguire avrà allora una giustizia pari a quella degli angeli santi, nessuno dei quali sicuramente è schiaffeggiato da un messo di satana perché non si insuperbisca per la grandezza delle rivelazioni? ( 2 Cor 12,7 )

Ammonendo poi coloro che potevano credersi già perfetti della pienezza di tale giustizia, dice: Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti, ( Fil 3,15 ) quasi dicesse: "Se siamo perfetti secondo la capacità dell'uomo mortale nei limiti della vita presente, dobbiamo capire che la stessa perfezione importa anche la saggezza di non ritenerci ancora perfetti di quella giustizia angelica che noi avremo nella manifestazione del Cristo".

E assicura: Se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. ( Fil 3,15 )

A quale condizione se non di camminare e di progredire sulla via della retta fede finché non finisca questo pellegrinaggio e non si arrivi alla visione?

Conseguentemente aggiunge: Intanto dal punto a cui siamo arrivati, continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. ( Fil 3,16 )

Poi conclude con l'avvertimento a guardarsi da coloro dai quali ha preso l'avvio questo capitolo della sua Lettera: Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi.

Perché molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce del Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, ( Fil 3,17-19 ) eccetera.

Sono quelli dei quali cominciando aveva detto: Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai. ( Fil 3,2 )

Sono pertanto nemici della croce del Cristo tutti coloro che, cercando di stabilire la propria giustizia derivante dalla legge, ossia dalla lettera che comanda soltanto e non dallo Spirito che fa osservare il comando, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )

Poiché se diventassero eredi coloro che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede. ( Rm 4,14 )

Se la giustificazione viene dalla legge, il Cristo è morto invano, ( Gal 2,21 ) è dunque annullato lo scandalo della croce. ( Gal 5,11 )

E per questo nemici della croce del Cristo sono coloro che dicono che la giustificazione viene tramite la legge, alla quale spetta di comandare e non di aiutare.

La grazia di Dio invece tramite il Signore Gesù Cristo nello Spirito Santo aiuta la nostra debolezza.

7.23 - La perfetta giustizia sarà il premio della vita

Perciò chi seguendo la giustizia che si ha nella legge vive senza la fede della grazia del Cristo, come l'Apostolo ricorda d'esser vissuto egli stesso irreprensibilmente, ( Fil 3,6 ) è da ritenersi privo assolutamente di vera giustizia, non perché la legge non sia vera e santa, ma perché voler obbedire alla lettera che comanda senza lo Spirito di Dio che dà vita, come se tale obbedienza provenisse dalle forze del libero arbitrio, non è vera giustizia.

La giustizia invece della quale chi è giusto vive mediante la fede, ( Rm 1,17 ) poiché proviene all'uomo da Dio tramite lo Spirito di grazia, è vera giustizia.

La quale, benché non senza ragione si dica perfetta in alcuni giusti secondo la capacità di questa vita, è tuttavia una piccola giustizia rispetto a quella grande giustizia di cui ci dà la capacità la parità con gli angeli.

La quale parità non avendola ancora l'Apostolo, diceva sia di esser perfetto per la giustizia che era già in lui, sia di essere imperfetto per la giustizia che non era ancora in lui.

Ma è chiaro: questa giustizia minore fa merito, quella giustizia maggiore si fa premio.

Pertanto chi non persegue la giustizia minore non consegue la giustizia maggiore.

Perciò negare che dopo la risurrezione dell'uomo ci sarà la pienezza della giustizia e pensare che nel corpo di quella vita ci sarà tanta giustizia quanta ce ne può essere nel corpo di questa morte è una singolare follia.

Che invece non comincino di là gli uomini ad osservare i comandamenti di Dio che non hanno voluto osservare di qua è verissimo.

Ci sarà infatti la pienezza della più perfetta giustizia, non tuttavia di uomini che seguano i comandamenti e si adoperino di progredire per raggiungere quella pienezza; ma in un batter d'occhio, nel modo stesso in cui avverrà la stessa risurrezione dei morti, ( 1 Cor 15,52 ) poiché quella grandezza di giustizia perfetta sarà data in premio a coloro che hanno osservato di qua i comandamenti e non sarà comandata essa stessa come un comandamento da osservare.

Ma hanno osservato i comandamenti in tal modo, vorrei dire, da ricordarci che appartiene agli stessi comandamenti l'orazione nella quale quotidianamente i figli santi della promessa dicono con sincerità e la petizione: Sia fatta la tua volontà; e la petizione: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,10.12 )

8.24 - I principali punti dell'eresia pelagiana e i tentativi di mascherarli

Ordunque i pelagiani con queste e simili testimonianze o voci della verità sono incalzati perché non neghino il peccato originale, perché non dicano che la grazia di Dio con la quale siamo giustificati ( Rm 3,24 ) non è data gratuitamente ma secondo i nostri meriti, perché non dicano che in un uomo mortale, per quanto santo e ben operante, si può trovare tanta giustizia da non essergli necessaria la remissione dei peccati anche dopo il lavacro della rigenerazione fino a quando non cessi di vivere questa vita.

Ma quando sono incalzati a non dire questi tre spropositi e a non allontanare per mezzo di essi dalla grazia del Salvatore quelli che credono a loro e a non farli precipitare nella condanna del diavolo dopo averli sollevati in superbia, ( 1 Tm 3,6 ) essi spargono le nebbie di altre questioni dove possa andare a nascondersi la loro empietà agli occhi delle persone un po' semplici o un po' dure di mente o meno erudite nelle Lettere sante.

Queste sono le nebbie: la dignità della creatura, la dignità delle nozze, la dignità della legge, la dignità del libero arbitrio, la dignità dei santi; quasi che qualcuno di noi vituperi questi valori e non li esalti piuttosto tutti con le dovute lodi ad onore del Creatore e del Salvatore.

Ma né la creatura vuol essere lodata così da non voler essere risanata, e le nozze quanto più sono da lodare, tanto meno è da imputare ad esse la vergognosa concupiscenza della carne, che non viene dal Padre, ma dal mondo, ( 1 Gv 2,16 ) e che le nozze hanno certamente trovata e non provocata negli uomini, perché essa ed esiste in moltissimi anche senza le nozze e, se nessuno avesse peccato, le nozze avrebbero potuto esistere anche senza la concupiscenza.

E la legge santa e giusta e buona ( Rm 7,12 ) né è grazia per se stessa, né per mezzo di essa si fa rettamente alcunché senza la grazia.

Perché la legge non fu data con la capacità di vivificare ma in vista della trasgressione, affinché rinchiudesse sotto il peccato coloro che avesse convinti di trasgressione, e ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,19-22 )

E il libero arbitrio, diventato schiavo, non vale che a peccare; per la giustizia invece non vale, se non è liberato e aiutato da Dio.

E per questo anche tutti i santi, sia dall'antico Abele fino a Giovanni Battista, sia dagli stessi Apostoli fino ad oggi e in seguito fino al termine del secolo, sono da lodarsi nel Signore e non in se stessi.

Perché dei primi è voce l'esclamazione: L'anima mia si gloria nel Signore, ( Sal 34,3 ) dei secondi è voce la dichiarazione: Per grazia di Dio sono quello che sono. ( 1 Cor 15,10 )

A tutti poi si riferisce l'avvertimento: Chi si vanta si vanti nel Signore, ( 1 Cor 1,31 ) e comune a tutti è la confessione: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 )

9.25 - I cattolici contrari al manicheismo e al pelagianesimo

Ma poiché in questi cinque problemi da me accennati, nei quali cercano costoro di nascondersi e con i quali intessono le loro calunnie, sono smascherati e confutati in forza degli insegnamenti divini, essi hanno escogitato d'atterrire con il detestabile nome di manichei quanti più potessero tra i fedeli non istruiti, perché non prestassero orecchio alla verità contro i loro perversissimi dogmi; ciò evidentemente per la ragione che i manichei condannano in modo blasfemo i primi tre di questi cinque valori, dicendo che non è stato il sommo e vero Dio a fare né la creatura, né le nozze, né la legge.

Non accettano poi i manichei ciò che dice la verità: dal libero arbitrio ebbe inizio il peccato e dal peccato deriva ogni male o dell'angelo o dell'uomo, perché, troppo esorbitando da Dio, hanno preferito credere che il male sia una natura cattiva da sempre e coeterna a Dio.

Anche i santi Patriarchi e Profeti li ricoprono, i manichei, d'insulti quanto più possono.

Ecco per quale via i nuovi eretici, buttandoci in faccia il nome di manichei, pensano di sfuggire alla forza della verità, ma non le sfuggono.

È la verità appunto che li insegue e insieme sbaraglia manichei e pelagiani.

L'uomo infatti quando nasce, poiché è qualcosa di buono in quanto uomo, redarguisce il manicheo e loda il Creatore; in quanto però contrae il peccato originale, redarguisce Pelagio e ha necessità del Salvatore.

L'affermazione infatti che questa natura è da sanare colpisce l'uno e l'altro errore, perché né avrebbe bisogno di medicina se fosse sana - e questo è contro Pelagio -, né potrebbe in nessun modo esser sanata se fosse un male eterno e immutabile - e questo è contro Manicheo -.

Similmente il nostro non imputare la concupiscenza della carne alle nozze che lodiamo come istituite dal Signore va sia contro i pelagiani che ne celebrano le lodi, sia contro i manichei che l'attribuiscono ad una natura cattiva diversa da Dio, mentre la concupiscenza, essendo un male accidentale della nostra natura, non va separata inventando un Dio diverso, ma risanata dalla misericordia di Dio.

Ugualmente l'asserire come facciamo noi che la legge santa e giusta e buona ( Rm 7,12 ) non è stata data per la giustificazione degli empi ma in vista della trasgressione per disingannare i superbi, ( Gal 3,19 ) va contro i manichei per un verso, perché si loda la legge seguendo l'Apostolo, e va per un altro verso contro i pelagiani, perché secondo l'Apostolo nessuno è giustificato dalla legge. ( Gal 3,11 )

Per dare quindi la vita a coloro che la lettera uccide, ossia a coloro che la legge buona comandando rende rei di trasgressione, viene gratuitamente in aiuto lo Spirito di grazia. ( 2 Cor 3,6 )

Così pure la nostra affermazione che l'arbitrio umano, libero nel male, dev'essere liberato dalla grazia di Dio a fare il bene, è contro i pelagiani; ma la nostra affermazione che dal libero arbitrio è sorto il male che prima non esisteva, è contro i manichei.

Parimenti che onoriamo in Dio con debite lodi i santi Patriarchi e Profeti è contro i manichei, ma che anche a loro, sebbene giusti e piacenti a Dio, diciamo che è stata necessaria la propiziazione del Signore, è contro i pelagiani.

Entrambi dunque la fede cattolica trova suoi avversari, come anche tutti gli altri eretici, ed entrambi confuta con l'autorità delle testimonianze divine e con la luce della verità.

10.26 - La dottrina dei peccato originale e il traducianismo

Alle nebbie dei loro nascondigli aggiungono i pelagiani la questione non affatto necessaria dell'origine dell'anima, per tentare di costruirsi un riparo, turbando le verità manifeste con l'oscurità di altri problemi.

Dicono infatti "che noi confondiamo la trasmissione delle anime con la trasmissione del peccato".

Il che dove e quando l'abbiano udito nei discorsi o letto negli scritti di coloro che difendono la fede cattolica contro i pelagiani non lo so.

Perché, sebbene io trovi che qualcosa è stato scritto dai cattolici su questo problema, tuttavia non si era a quei tempi intrapresa ancora la difesa della verità contro i pelagiani, né si pensava a rispondere ad essi.

Ma questo io dico: è tanto manifesto secondo le Scritture sante il peccato originale ed è confermata da tanta antichità e autorità della fede cattolica ed è notissima per così chiara prassi della Chiesa la sua remissione nei bambini con il lavacro della rigenerazione che nella discussione sull'origine dell'anima qualsiasi ricerca ed affermazione si faccia da parte di chiunque, se è contro tale dottrina, non può essere vera.

Perciò chiunque o riguardo all'anima o riguardo a qualsiasi problema oscuro costruisce un'ipotesi che distrugga questo insegnamento, che è verissimo, fondatissimo, notissimo, sia egli figlio della Chiesa o suo nemico, costui è da correggere o da espellere.

Ma qui sia la fine di questo volume per poter dare inizio al successivo.

Indice