Contro le due lettere dei Pelagiani

Indice

Libro IV

6.12 - La lode del libero arbitrio

Similmente che giova a costoro lodare contro i manichei il libero arbitrio usando la testimonianza del Profeta: Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra.

Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, ( Is 1,19-20 ) dal momento che non difendono tanto il libero arbitrio contro i manichei quanto lo esaltano contro i cattolici?

Così infatti vogliono che s'intendano le parole: Se sarete docili e ascolterete come se nella volontà precedente ci sia il merito della grazia conseguente, con il risultato che la grazia non sia più grazia, ( Rm 11,6 ) perché non sarebbe gratuita quando fosse resa come dovuta.

Se invece intendessero le parole: Se sarete docili così da riconoscere che la stessa buona volontà la prepara colui del quale è scritto: La volontà è preparata dal Signore, ( Pr 8,35 sec. LXX ) allora userebbero da cattolici tale testimonianza e non solo vincerebbero la vecchia eresia dei manichei, ma non fonderebbero la nuova eresia dei pelagiani.

6.13 - La grazia accende l'amore per la virtù

Che giova a costoro dire in lode dello stesso libero arbitrio: "La grazia aiuta il buon proposito di ciascuno"?

Lo si prenderebbe senza scrupolo come detto in senso cattolico, se costoro non riponessero nel buon proposito un merito, al quale la ricompensa sia resa già secondo un debito e non secondo la grazia, ma intendessero e confessassero che anche lo stesso buon proposito, a cui viene in aiuto la grazia conseguente, non sarebbe potuto esistere nell'uomo se la grazia non gli fosse stata data antecedente.

In che modo infatti c'è il buon proposito dell'uomo senza che ci sia prima il Signore ad usare misericordia, dal momento che la stessa buona volontà è quella che è preparata dal Signore?

Ciò che poi, dopo aver detto: "La grazia aiuta pure il buon proposito di ciascuno" aggiungono subito: "Tuttavia non infonde la sollecitudine della virtù in chi è riluttante", si potrebbe intendere correttamente se non fosse detto da costoro dei quali è noto il senso.

A chi è riluttante infatti la stessa grazia di Dio procura prima l'ascolto della vocazione divina e accende poi in lui non più riluttante la sollecitudine della virtù.

La verità è che in tutte le azioni che ciascuno compie secondo Dio la sua misericordia lo previene. ( Sal 59,11 )

Il che non vogliono costoro, perché non vogliono essere cattolici, ma pelagiani.

Molto infatti si compiace la superba empietà che non le sembri donato ma reso anche ciò che si è costretti a confessare dato dal Signore; si deve credere cioè che essi, figli della perdizione e non della promessa, si siano fatti buoni da sé, e che a tal gente, già fatta buona da se stessa, Dio abbia reso per cotesta sua buona opera il debito premio.

6.14 - L'insegnamento della Scrittura sulla grazia

Lo stesso tumore dell'orgoglio ha infatti ostruito talmente ad essi gli orecchi del cuore da non udire:

Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

da non udire: Senza di me non potete far nulla, ( Gv 15,5 )

da non udire: L'amore viene da Dio, ( 1 Gv 4,7 )

da non udire: Dio dà la misura della fede, ( Rm 12,3 )

da non udire: Lo Spirito spira dove vuole, ( Gv 3,8 )

e: Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio costoro sono figli di Dio, ( Rm 8,14 )

da non udire: Nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio, ( Gv 6,66 )

da non udire quello che scrive Esdra: Benedetto il Signore dei nostri padri, che ha messo nel cuore del re il proposito di abbellire la sua casa in Gerusalemme, ( Esd 7,27 )

da non udire ciò che per bocca di Geremia dice il Signore: Metterò nei loro cuori il mio timore, perché non si distacchino da me, e li visiterò per farli buoni, ( Ger 32,40-41 )

e da non udire soprattutto quello che dice per bocca del profeta Ezechiele, dove Dio in modo assoluto mostra di non lasciarsi influenzare da nessun merito buono degli uomini per farli buoni, ossia obbedienti ai suoi comandamenti; ma egli rende piuttosto questi beni per i mali, facendo per se stesso e non per loro.

Dice infatti: Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, gente d'Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete disonorato fra le genti presso le quali siete andati.

Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro.

Allora le genti sapranno che io sono il Signore - parola del Signore Dio -, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi.

Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo.

Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati da tutte le vostre sozzure; io vi purificherò e vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.

Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. ( Ez 36,22-27 )

E poco dopo per mezzo del medesimo Profeta dice: Non per riguardo a voi io agisco - dice il Signore Dio -: sappiatelo bene.

Vergognatevi e arrossite della vostra condotta, o Israeliti.

Così dice il Signore Dio: Nel giorno in cui vi purificherò da tutte le vostre iniquità, ripopolerò le città, che risorgeranno dalle loro rovine.

Quella terra desolata, che agli occhi di ogni viandante appariva un deserto, sarà ricoltivata e si dirà: La terra che era desolata è diventata ora come un giardino di delizie; le città, già rovinate, desolate e sconvolte, ora sono fortificate e abitate.

I popoli che saranno rimasti attorno a voi sapranno che io, il Signore, ho ricostruito ciò che era distrutto e ricoltivato la terra che era un deserto.

Io, il Signore, l'ho detto e l'ho fatto.

Dice il Signore: Permetterò ancora che la gente d'Israele mi preghi d'intervenire in suo favore. Io moltiplicherò gli uomini come greggi, come greggi consacrati, come un gregge di Gerusalemme nelle sue solennità.

Allora le città rovinate saranno ripiene di greggi di uomini e sapranno che io sono il Signore. ( Ez 36,32-38 )

6.15 - La cooperazione dell'uomo e di Dio nel fare il bene

Cos'è rimasto alla loro pelle cadaverica da gonfiarsi e disdegnare di vantarsi nel Signore, quando si vanta? ( 1 Cor 1,31 )

Che l'è rimasto, quando, qualunque cosa dica d'aver fatto per attribuire all'uomo un merito precedente nato dall'uomo dietro al quale corra Dio per fare ciò di cui l'uomo è degno, si risponderà, si reclamerà, si controbatterà: Io agisco non per riguardo a voi, ma per amore del mio nome santo, dice il Signore Dio? ( Ez 36,22 )

Niente demolisce così bene i pelagiani che dicono "la grazia di Dio data secondo i nostri meriti".

Il che lo stesso Pelagio, pur non correggendosi, tuttavia condannò temendo i giudici orientali.

Niente demolisce così bene la presunzione di costoro che dicono: "Siamo noi a fare in modo da meritare che Dio faccia con noi".

Non Pelagio, ma il Signore stesso vi risponde: Io agisco non per riguardo a voi, ma per amore del mio nome santo. ( Ez 36,22 )

Che potete infatti ricavare di buono da un cuore non buono?

Ma perché abbiate un cuore buono, Dio dice: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo. ( Ez 36,26 )

Potete forse voi dire: Prima abbiamo vissuto secondo i suoi statuti, prima abbiamo osservato le sue leggi e ci siamo fatti degni che ci desse la sua grazia?

Che potreste fare di buono voi uomini cattivi e in che modo fareste queste buone azioni, se non foste già buoni?

Ma chi fa che gli uomini siano buoni all'infuori di colui che dice: Li visiterò per farli buoni, all'infuori di colui che dice: Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare le mie leggi? ( Ger 36,27 )

È proprio vero che non vi siete ancora svegliati?

Non udite ancora: Io vi farò camminare, io vi farò osservare, e infine: Io vi farò fare? Perché continuate a gonfiarvi?

Certamente siamo noi a camminare, è vero; siamo noi ad osservare, siamo noi a fare; ma Dio fa che camminiamo, fa che osserviamo, fa che facciamo.

Questa è la grazia divina che ci fa buoni, questa è la misericordia divina che ci previene. ( Sal 59,11 )

Che meritano i luoghi deserti e devastati e rovinati, i quali tuttavia saranno ricostruiti, ricoltivati e fortificati? ( Ez 36,32-38 )

Avverranno forse questi lieti eventi per i meriti della loro desolazione, della loro devastazione, della loro rovina?

Non sia mai detto! Cotesti sono infatti meriti cattivi e questi sono doni buoni.

Si rendono dunque beni ai mali: beni perciò gratuiti, non dovuti, e quindi grazie. ( Rm 3,24 )

Io, dice il Signore, io il Signore. Questa voce del Signore non ti tappa la bocca, o superbia umana, che vai dicendo: Io faccio, per meritare d'essere riedificato e ripiantato dal Signore?

È mai possibile che tu non oda: Non per riguardo a voi io agisco. ( Ez 36,32 )

Io, il Signore, ho ricostruito ciò che era distrutto e ricoltivato la terra che era un deserto.

Io, il Signore, l'ho detto e l'ho fatto.

Tuttavia non per riguardo a voi, ma per amore del mio nome santo? ( Ez 36,36.22 )

Chi moltiplica gli uomini come greggi, come greggi consacrati, come un gregge di Gerusalemme; chi fa sì che quelle città rovinate si riempiano di greggi umani, se non colui che dice: E sapranno che io sono il Signore? ( Ez 36,38 )

Ma di quali greggi umani riempie le città, come ha promesso: di greggi che trova o di greggi che fa?

Interroghiamo il Salmo. Ecco risponde, ascoltiamo: Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore, piangiamo al cospetto del Signore che ci ha fatti.

Poiché egli è il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce. ( Sal 95,6-7 )

È lui dunque che fa le pecore delle quali riempie le città spopolate.

Che c'è di strano? È appunto a quell'unica pecora, ossia alla Chiesa, di cui sono membra tutti gli uomini come pecore di un gregge, che è detto: Io sono il Signore che ti faccio.

Perché mi mostri il libero arbitrio, che non sarà libero per poter fare la giustizia, se tu non sarai pecora del Signore?

Colui dunque che fa sue pecore gli uomini, egli stesso libera le volontà umane per l'obbedienza della pietà.

6.16 - Il mistero della predestinazione

Ma perché colui presso il quale non c'è parzialità, ( Rm 2,11 ) fa sue pecore alcuni uomini e altri no?

Rispetto a questa medesima questione, che alcuni proponevano con più curiosità che perspicacia, il beato Apostolo risponde: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio?

Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: Perché mi hai fatto così? ( Rm 9,20 )

È questa una questione che appartiene a quella profondità che, a volerci guardare dentro, il medesimo Apostolo si è spaventato in certo qual modo ed ha esclamato: O profondità della ricchezza, della sapienza, della scienza di Dio!

Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!

Infatti chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere?

O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio?

Poiché da lui, per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose. A lui sia gloria nei secoli dei secoli. ( Rm 11,33-36 )

Non presumano dunque di scrutare cotesta imperscrutabile questione coloro che difendendo il merito prima della grazia e quindi già contro la grazia vogliono dare a Dio per primi così da riceverne il contraccambio; dare qualsiasi azione per primi certamente in forza del libero arbitrio, cosicché la grazia sia da esser resa in premio.

Sapientemente intendano o fedelmente credano che anche ciò che pensano d'aver dato per primi l'hanno ricevuto da colui dal quale sono tutte le cose, per mezzo del quale sono tutte le cose, nel quale sono tutte le cose. ( Rm 11,36 )

Quanto poi al problema della ragione per cui questo riceve e quello non riceve, mentre ambedue sono immeritevoli di ricevere e, chiunque di essi riceva, riceve indebitamente, misurino le loro forze e non cerchino quello che li sorpassa. ( Sir 3,22 )

Basti a loro sapere che in Dio non c'è ingiustizia. ( Rm 9,14 )

L'Apostolo infatti, non avendo trovato nessun merito per cui Giacobbe dovesse precedere presso Dio il suo gemello, esclama: Che diremo dunque?

C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente!

Egli infatti dice a Mosè: Userò misericordia con chi vorrò e avrò pietà di chi vorrò averla.

Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,14-16 )

Grata ci sia dunque la sua gratuita compassione, benché rimanga insoluta questa profonda questione.

La quale si scioglie tuttavia solo nei limiti in cui la scioglie il medesimo Apostolo dicendo: Pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria. ( Rm 9,22-23 )

La punizione divina non si paga appunto se non dovuta, perché non ci sia ingiustizia da parte di Dio; la misericordia divina invece anche quando si offre senza esser dovuta non è un'ingiustizia da parte di Dio.

E proprio da questo fatto intendono i vasi di misericordia quanto gratuita misericordia si presti ad essi: dal fatto che ai vasi di collera, con i quali hanno in comune la causa della perdizione e la massa della perdizione, si paga una punizione dovuta e giusta. ( Rm 9,22-23 )

Queste considerazioni bastino ormai contro coloro che a causa della libertà dell'arbitrio vogliono distruggere la liberalità della grazia.

7.17 - La lode dei Santi

Che poi, a lode dei santi, non vogliano i pelagiani che noi abbiamo fame e sete di giustizia con l'umiltà di quel pubblicano, ma ruttiamo con la vanità di quel fariseo, come se fossimo pieni zeppi di giustizia; ( Lc 18,10-14 ) che contro i manichei, distruttori del battesimo, i pelagiani dicano: "Dal battesimo gli uomini sono rinnovati perfettamente" e adoperino per questo la testimonianza dell'Apostolo, il quale attesta che per mezzo del lavacro dell'acqua si fa dalle genti una Chiesa santa e immacolata, ( Ef 5,26 ) che giova a costoro, quando con senso superbo e corrotto sollevano le loro discussioni contro le orazioni della Chiesa stessa?

Lo dicono infatti con questo scopo: far credere che la Chiesa dopo il santo battesimo, dove si fa remissione di tutti i peccati, non ha più in seguito nessun peccato; mentre contro di essi la Chiesa dal sorgere del sole fino al suo tramonto grida con tutte le sue membra a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

E che è mai questo: interrogati in tale causa, anche su se stessi, non trovano che cosa rispondere?

Se infatti diranno d'essere senza peccato, Giovanni risponde a costoro che ingannano se stessi e la verità non è in essi. ( 1 Gv 1,8 )

Se al contrario confessano i loro peccati, volendo essere membra del corpo del Cristo, in che modo nel corso ancora di questo tempo sarà perfettamente senza macchia e ruga, com'essi ritengono, quel corpo, ossia la Chiesa, le cui membra confessano non insinceramente d'aver peccati?

Ecco dunque la verità: e nel battesimo si rimettono tutti i peccati, e per mezzo dello stesso lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola si fa comparire davanti al Cristo la sua Chiesa senza macchia né ruga. ( Ef 5,27 )

Perché se non fosse stata battezzata, direbbe infruttuosamente: Rimetti a noi i nostri debiti, fino a quando non sarà condotta alla gloria, dove ancora più perfettamente non vi sarà in essa nessuna macchia né ruga.

7.18 - Lo Spirito Santo e i giusti dell'Ant. Testamento

Si deve confessare che "anche nei tempi antichi lo Spirito Santo" non solo "aiutava le buone disposizioni", come vogliono pure costoro, ma faceva altresì buone le disposizioni: ciò che i pelagiani non vogliono.

Che "anche tutti i Profeti e gli Apostoli o i santi, evangelici o antichi, ai quali rende testimonianza Dio, siano stati giusti non a paragone degli scellerati, ma secondo la regola delle virtù" non c'è dubbio, e questo è contro i manichei che bestemmiano Patriarchi e Profeti; ma è contro anche i pelagiani il fatto che tutti quei personaggi, interrogati su se stessi mentre vivevano in questo corpo, avrebbero risposto ad una sola voce con la più assoluta unanimità: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 )

"Ma che in un tempo futuro ci sarà la ricompensa tanto delle opere buone quanto delle cattive" non si deve negare, "e che a nessuno sarà comandato di là d'osservare i comandamenti che avrà disprezzato di qua".

Ma la sazietà della piena giustizia, nella quale il peccato non possa esistere più, e della quale i santi hanno fame e sete di qua, ora nel precetto si spera, allora nel premio si riceve, impetrando le elemosine e le orazioni che quanto dei comandamenti è rimasto al di sotto del pieno adempimento non sia punito in forza dell'indulgenza dei peccati.

7.19 - I veri scopi delle lodi pelagiane

Stando così le cose, smettano i pelagiani con le lodi più insidiose di coteste cinque realtà, ossia con la lode della natura, con la lode delle nozze, con la lode della legge, con la lode del libero arbitrio, con la lode dei santi, di fingere quasi di voler liberare gli uomini dalle trappole dei manichei per poterli prendere nelle proprie reti.

Cioè smettano di negare il peccato originale e di escludere i bambini dall'aiuto medicinale del Cristo, e di dire che la grazia di Dio è data secondo i nostri meriti, cosicché la grazia non sia più grazia; ( Rm 11,6 ) e di dire che i santi in questa vita non avevano peccati, cosicché si svuoti di senso l'orazione insegnata da colui che fu senza peccato ( 2 Cor 5,21 ) e in virtù del quale ogni peccato è rimesso ai santi che pregano.

A questi tre mali con la lode ingannevole di quei cinque beni seducono costoro i fedeli incauti e incolti.

E su tutti questi punti credo d'aver già sufficientemente risposto alla loro vanità, estremamente crudele, empia e superba.

8.20 - Le Chiese Occidentali e Orientali contrarie ai pelagiani

Ma poiché vanno dicendo: "I nostri nemici hanno accolto le nostre parole in odio alla verità e da quasi tutto l'Occidente è stato accettato un dogma non meno stupido che empio", poiché vanno lamentandosi che "a conferma dell'errore è stata estorta una sottoscrizione ad alcuni vescovi ignari, nei loro luoghi di residenza, senza riunirli in concilio", mentre è vero al contrario che la Chiesa tanto dell'Occidente quanto dell'Oriente ha sentito orrore delle novità profane delle loro chiacchiere, ( 1 Tm 6,20 ) stimo che rientri nella nostra cura non solo adoperare come testimoni contro di essi le sante Scritture canoniche, come abbiamo già fatto a sufficienza, ma riportare anche alcuni insegnamenti dagli scritti dei santi che hanno commentato prima di noi le Scritture con fama celebratissima e ingente gloria.

Non eguaglio l'autorità di un qualche commentatore ai Libri canonici, né dico che la sentenza di un cattolico non possa in modo assoluto essere più buona o più vera di quella di un altro ugualmente cattolico.

Ma a coloro che prestano un qualche credito ai pelagiani vogliamo mostrare come sui medesimi argomenti prima dei vaniloqui dei pelagiani i vescovi cattolici abbiano seguito la parola di Dio, e far sapere a costoro che si difende da noi la fede cattolica, retta e fondata fin dall'antichità, contro la nuova presunzione e perversione degli eretici pelagiani.

8.21 - Testimonianze di Cipriano sul peccato originale

Il beatissimo Cipriano, molto glorioso anche per la corona del martirio, notissimo non solo alle Chiese d'Africa e d'Occidente, ma altresì a quelle d'Oriente per la fama che in lungo e in largo esalta e diffonde i suoi scritti, è citato pure con l'onore che gli spetta dallo stesso eresiarca di costoro, Pelagio, dove scrivendo il libro delle Testimonianze asserisce di imitarlo, cioè "di fare con Romano quello che Cipriano aveva fatto con Quirino".

Vediamo dunque quale sia stata la sentenza di Cipriano sul peccato originale, che a causa di un solo uomo è entrato nel mondo. ( Rm 5,12 )

Nella sua lettera Il lavoro e l'elemosina parla così: Il Signore, dopo aver risanato con la sua venuta quelle ferite che ci aveva inferte Adamo e dopo aver curato gli antichi veleni del serpente, diede all'uomo risanato la sua legge e gli comandò di non peccare più per l'avvenire, perché peccando non gli avesse ad accadere qualcosa di peggio. ( Gv 5,14 )

Questa prescrizione d'innocenza ci coartava e ci chiudeva senza via di scampo, né l'infermità e la debolezza della fragilità umana avrebbe che fare, se la pietà divina venendole ancora una volta in soccorso non le aprisse una qualche via per assicurarle la salvezza indicando le opere della giustizia e della misericordia, così da lavare con le elemosine tutte le sozzure contratte da noi successivamente al battesimo. ( Lc 11,41 )

Con tale testimonianza questo teste colpisce due falsità dei pelagiani: la prima, di dire che il genere umano non contrae da Adamo nessun vizio che abbia bisogno d'essere curato e sanato per mezzo del Cristo; la seconda, di dire che dopo il battesimo i santi non hanno più nessun peccato.

In un altro passo della medesima lettera dice: Immagini ciascuno di vedere con i propri occhi il diavolo insieme con i suoi servitori, cioè con il popolo della perdizione e della morte, farsi in mezzo a provocare la plebe del Cristo, presente e giudicante il Cristo stesso, e a dire facendo un esame comparativo: Io per questi che vedi con me né ho preso schiaffi, né ho subìto flagelli, né ho sofferto la croce, né ho versato il sangue, né ho redento questa mia famiglia a prezzo di passione e di sangue, ma né prometto ad essi il regno celeste, né li richiamo di nuovo al paradiso restituendo ad essi l'immortalità.1

Rispondano i pelagiani quando siamo stati noi nell'immortalità del paradiso e in che modo ne siamo stati espulsi per esservi richiamati in virtù della grazia del Cristo.

E non potendo trovare che cosa rispondere qui secondo la loro perversità, avvertano in che senso Cipriano abbia inteso le parole dell'Apostolo: Nel quale tutti hanno peccato, ( Rm 5,12 ) e i nuovi eretici pelagiani non osino rovesciare la calunnia di vecchi eretici manichei su nessun cattolico per non essere convinti di fare un'ingiuria tanto scellerata anche all'antico martire Cipriano.

8.22 - Le lettere Sulla mortalità e Sulla pazienza

Egli infatti anche nella lettera che porta il titolo L'Epidemia lo ripete in questo modo: Il regno di Dio, fratelli dilettissimi, è prossimo a cominciare, e il premio della vita e il gaudio dell'eterna salvezza e l'eterna letizia e il possesso del paradiso perduto da poco, stanno già per arrivare con il passare del mondo.

Di nuovo nella medesima lettera dice: Abbracciamo il giorno che assegna ciascuno alla sua casa, il giorno che, strappati da qui e sciolti dai lacci del secolo, ci restituisce al paradiso e al regno.2

Similmente nella lettera La pazienza dice: Si pensi alla sentenza di Dio che appena alle origini del mondo e del genere umano Adamo, dimentico del precetto e trasgressore della legge intimatagli, sentì comminarsi.

Impareremo allora quanto abbiamo da soffrire in questo mondo noi che nasciamo così da essere quaggiù afflitti da angustie e da lotte.

La sentenza dice: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui ti avevo proibito di mangiare, maledetto sia il suolo in tutti i tuoi lavori.

Con tristezza e pianto ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.

Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre.

Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, finché ritornerai nella terra dalla quale sei stato preso, poiché sei polvere e in polvere tornerai". ( Gen 3,17-19 )

Dal nodo di questa sentenza siamo legati e stretti tutti noi, finché subendo la morte partiamo da questo secolo.3

E ancora nella medesima lettera dice: Infatti, poiché per quella prima trasgressione del precetto se n'è andata la forza del corpo con l'immortalità ed è sopraggiunta la debolezza del corpo con la morte, e poiché non possiamo ricuperare la forza del corpo se non quando sia stata ricuperata anche l'immortalità, siamo costretti a lottare sempre e a soffrire in questa fragilità e debolezza corporale.

Lotta e sofferenza che non può essere sostenuta se non con le forze della pazienza.4

8.23 - La lettera A Fido

Nella lettera poi che scrisse al vescovo Fido insieme a sessantasei suoi coepiscopi, consultato da lui se, stante la legge della circoncisione, si potesse battezzare un bambino prima dell'ottavo giorno, la nostra causa è trattata in tal maniera da sembrare che la Chiesa cattolica confutasse già allora per previsione divina gli eretici pelagiani tanto lontani ancora nel tempo.

Colui infatti che l'aveva consultato non dubitava che i figli contraessero nel nascere il peccato originale da lavare rinascendo: non sia mai detto che la fede cristiana abbia in qualche tempo dubitato di questa verità.

Fido invece dubitava se il lavacro della rigenerazione, con il quale non dubitava doversi rimettere il peccato originale, fosse da darsi prima dell'ottavo giorno.

Alla quale consultazione rispondendo il beatissimo Cipriano dice: Per quanto concerne la causa dei bambini che tu hai detto non essere opportuno battezzare dentro il secondo o il terzo giorno dalla nascita, e che si deve prendere in considerazione la legge dell'antica circoncisione, ( Gen 17,12 ) così da credere che un neonato non sia da battezzarsi e da santificarsi prima dell'ottavo giorno, ben diversamente è parso a tutti nel nostro concilio.

Nessuno infatti ha condiviso quello che tu credevi doversi fare, ma tutti abbiamo giudicato piuttosto che a nessun bambino si debba negare la grazia del misericordioso Dio.

Dicendo infatti il Signore nel suo Vangelo: "Il Figlio dell'uomo non è venuto a perdere le anime, ma a salvarle", ( Lc 9,56 ) nessun'anima dev'essere perduta per quanto dipende da noi nei limiti del possibile.5

E poco dopo: Nessuno di noi deve vergognarsi di ciò che il Signore si è degnato di plasmare.

Per quanto un bambino sia nuovo di parto, non è tuttavia il caso che qualcuno debba avere orrore di baciarlo nel dare la grazia e nel fare la pace, poiché nel baciare un infante ciascuno di noi deve pensare nella sua pietà alle mani ancora fresche di Dio, che in qualche modo noi baciamo in un bambino appena plasmato e nato da poco, quando abbracciamo quello che Dio ha fatto.6

Similmente dice poco dopo: Del resto, se qualcosa potesse impedire agli uomini di conseguire la grazia, più di tutto dovrebbero impedirlo agli uomini adulti e attempati i peccati più gravi.

Ora però, se si concede la remissione dei peccati anche ai peggiori delinquenti e a coloro che hanno commesso antecedentemente una moltitudine di peccati e successivamente si sono convertiti alla fede, e se a nessuno si rifiuta il battesimo e la grazia, quanto meno se ne deve allontanare un bambino che, appena nato, non ha commesso nessun peccato personale, ma ha solamente contratto con la prima nascita il contagio dell'antica morte, essendo nato carnalmente secondo Adamo!

Egli accede a ricevere la remissione dei peccati tanto più facilmente, perché non gli vengono rimessi peccati propri, ma peccati altrui.7

8.24 - Commento di Ag. alle affermazioni di Cipriano

Che cosa risponderanno a queste testimonianze coloro che della grazia di Dio sono non soltanto disertori, ma anche persecutori?

Che cosa risponderanno? Che senso ha la restituzione a noi del possesso del paradiso?

Come veniamo restituiti al paradiso, se non vi siamo mai stati?

O come vi siamo stati, se non perché siamo stati in Adamo?

E come possiamo esser compresi nella sentenza pronunziata contro il trasgressore, se dal trasgressore non contraiamo la colpa?

Infine, Cipriano giudica che i bambini si debbano battezzare anche prima dell'ottavo giorno, perché le anime dei bambini non periscano a causa del contagio dell'antica morte contratto con la loro prima nascita.

In che modo periscono, se coloro che nascono, anche da genitori credenti, non sono tenuti dal diavolo finché non rinascano nel Cristo e, liberati dal potere delle tenebre, non siano trasferiti nel suo regno? ( Col 1,13 )

E chi dice che periranno le anime di coloro che nascono, se non rinascono?

Lo dice colui appunto che loda così il Creatore e la creatura, l'Artista e l'opera, da riprendere e da correggere, interponendo la venerazione dovuta allo stesso Creatore, l'orrore della sensibilità umana che disdegni di baciare i bambini partoriti da poco, dicendo che nel bacio di quell'età bisogna pensare alle mani di Dio ancora fresche di lavoro.

Confessando dunque il peccato originale, condanna forse o la natura o le nozze?

Applicando a chi nasce reo da Adamo la purificazione della rigenerazione, ha negato forse per questo che Dio è il Creatore di coloro che nascono?

Giudicando con il concilio dei suoi colleghi, nel timore della perdita di anime di qualsiasi età, che esse si devono liberare con il sacramento del battesimo anche prima dell'ottavo giorno, ha forse per questo accusato le nozze, quando nel bambino nato dal matrimonio o dall'adulterio, perché è tuttavia un uomo, addita le fresche mani di Dio degne pure del bacio di pace?

Se dunque il santo vescovo e gloriosissimo martire Cipriano ha potuto giudicare che il peccato originale si deve risanare nei bambini con la medicina del Cristo, salva la dignità della creazione, salva la dignità delle nozze, perché mai una pestilenza novizia, mentre non osa dichiarare manicheo Cipriano, ai cattolici che difendono queste verità crede di dover rinfacciare un crimine altrui per coprire il crimine proprio?

Ecco che un celebratissimo commentatore delle Scritture divine, prima che le nostre terre fossero sfiorate anche dal più lieve sentore della pestilenza manichea, senza nessuna offesa dell'opera divina e delle nozze, confessa il peccato originale, non dicendo spruzzato il Cristo da qualche macchia di peccato, né tuttavia equiparando a lui la carne di tutti gli altri nascenti, ai quali apprestare l'aiuto della purificazione mediante la sua carne somigliante a quella del peccato; né si lascia atterrire dall'oscura questione dell'origine delle anime per confessare il ritorno in paradiso di coloro che fa liberi la grazia del Cristo.

Dice forse che è passata da Adamo negli uomini la condizione della morte senza che ci sia passata la contaminazione del peccato?

Non infatti per evitare la morte corporale, ma per il peccato entrato nel mondo a causa di un solo uomo, ( Rm 5,12 ) dice che con il battesimo si soccorrono i bambini, per quanto freschissimi di nascita.

Indice

1 Cipriano, De opere et eleemosynis 22: CSEL 3/1, 390
2 Cipriano, De mortalitate 2: CSEL 31, 298
3 Cipriano, De bono patientiae 11: CSEL 3/1, 404
4 Cipriano, De bono patientiae 17: CSEL 3/1, 409
5 Cipriano, Ep. 64, 2: CSEL 3/2, 718
6 Cipriano, Ep. 64, 4: CSEL 3/2, 719
7 Cipriano, Ep. 64, 5: CSEL 3/2, 720