Contro le due lettere dei Pelagiani

Indice

Libro IV

9.25 - Testimonianze di Cipriano sulla grazia

Quanto poi alla grazia di Dio, come Cipriano la predichi contro costoro apparisce evidente dove tratta dell'Orazione domenicale.

Scrive infatti: Diciamo: "Sia santificato il tuo nome", ( Mt 6,9 ) non per augurare a Dio d'esser santificato dalle nostre orazioni, ma per chiedergli che il suo nome sia santificato in noi.

Del resto, da chi è santificato Dio, che è colui stesso che santifica?

Ma poiché egli ha detto: "Siate santi, perché io sono santo" ( Lv 19,2 ), questo chiediamo e supplichiamo: che dopo esser stati santificati nel battesimo perseveriamo nell'essere quello che abbiamo cominciato ad essere allora.8

In un altro passo della medesima lettera scrive: Aggiungiamo anche e diciamo: "Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra", ( Mt 6,10 ) non nel senso che Dio faccia quello che vuole, ma che noi possiamo fare quello che Dio vuole.

Chi infatti può ostacolare Dio dal fare quello che vuole?

Ma, siccome il diavolo ostacola noi, perché il nostro animo e le nostre attività non siano ossequienti in tutto a Dio, preghiamo e chiediamo che la volontà di Dio si compia in noi.

La quale perché si compia in noi c'è bisogno della volontà di Dio, ossia del suo aiuto e della sua protezione: infatti nessuno è forte delle proprie forze, ma è al sicuro per l'indulgenza e la misericordia di Dio.9

Ugualmente dice in un'altra parte della medesima lettera: Domandiamo poi che si faccia la volontà di Dio in cielo e in terra, e ambedue le petizioni contribuiscono al compimento della nostra incolumità e salvezza.

Avendo infatti avuto in possesso il corpo dalla terra e lo spirito dal cielo, noi stessi siamo terra e cielo, e in entrambi, cioè nel corpo e nello spirito, preghiamo che si faccia la volontà di Dio.

C'è infatti guerra tra la carne e lo spirito e quotidiano scontro per la loro reciproca discordia, cosicché non facciamo le azioni stesse che vogliamo, cercando lo spirito i beni celesti e divini e bramando la carne i piaceri terreni e secolari.

Perciò imploriamo che tra queste due parti si instauri la concordia con l'intervento e l'aiuto di Dio, perché attuandosi nella carne e nello spirito la sua volontà sia salva l'anima che egli ha fatto rinascere.

Il che dichiara apertamente e manifestamente con la sua voce l'apostolo Paolo: "La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne: queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste".10

E poco dopo scrive: Può intendersi pure in quest'altro senso, fratelli dilettissimi.

Poiché il Signore comanda e insegna di amare anche i nemici e di pregare pure per coloro che ci perseguitano, ( Mt 5,44 ) noi dobbiamo chiedere che anche a beneficio di coloro che sono ancora terra e non hanno cominciato ancora ad essere celesti si faccia anche nei loro riguardi la volontà di Dio, che il Cristo fece perfettamente salvando e reintegrando l'uomo0.11

Ancora in un altro passo: Chiediamo che ci sia dato quotidianamente questo pane, perché noi che siamo nel Cristo e quotidianamente riceviamo l'Eucaristia in cibo di salvezza, accadendoci qualche più grave delitto che ci proibisca il pane celeste, mentre ce ne asteniamo e non comunichiamo con esso, non rimaniamo separati dal corpo del Cristo.12

Poco dopo nella medesima opera scrive: Quando poi domandiamo di non cadere in tentazione, siamo avvertiti della nostra infermità e debolezza, mentre così imploriamo che nessuno si esalti insolentemente, che nessuno si attribuisca qualcosa con superbia e arroganza, che nessuno stimi sua la gloria o della confessione o della passione, avendo detto il Signore stesso per insegnare l'umiltà: "Vegliate e pregate per non cadere in tentazione. ( Mt 6,13 )

Lo spirito è pronto ma la carne è debole". ( Mt 26,41 )

Quando precede un'umile e sottomessa confessione e si dà tutto a Dio, allora, qualunque beneficio si chieda con il timore e l'onore di Dio, è concesso dalla sua pietà.13

Altrettanto nel terzo libro della lettera A Quirino, rispetto alla quale Pelagio vuol passare per suo imitatore, dice: In nulla dobbiamo gloriarci, perché nulla è nostro.14

Alla quale massima facendo seguire testimonianze divine pone tra le altre quel passo dell'Apostolo con il quale soprattutto si deve tappar la bocca a costoro: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?

E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti, come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

Così pure nella lettera La pazienza scrive: Questa virtù infatti ci è comune con Dio.

Da lui comincia la pazienza, da lui parte il suo splendore e la sua dignità: l'origine e la grandezza della pazienza procede da Dio come da sua fonte.15

9.26 - Commento agostiniano

Questo santo maestro delle Chiese nella parola della verità, così degno d'essere ricordato, nega forse l'esistenza negli uomini del libero arbitrio per il fatto che attribuisce a Dio tutta la rettitudine del nostro vivere?

Incolpa forse la legge di Dio, perché fa capire che l'uomo non è giustificato dalla legge, dichiarando che si deve impetrare con la preghiera dal Signore Dio ciò che essa comanda?

Sotto il nome di grazia asserisce forse il fato facendo la riserva che non ci si deve vantare di nulla, perché nulla è nostro?

Crede forse a parità di costoro nell'aiuto dato dallo Spirito Santo alla virtù dell'uomo, come se la stessa virtù che è aiutata da lui venga da noi, mentre asserendo che nulla è nostro ricorda che per questo l'Apostolo ha detto: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

E dell'eccellentissima virtù della pazienza non dice che comincia da noi e poi è aiutata dallo Spirito di Dio, ma dice che da Dio stesso prende avvio, che da Dio stesso prende origine.

Infine, confessa che né il buon proposito, né la sollecitudine della virtù, né le buone disposizioni cominciano ad essere presenti negli uomini senza la grazia di Dio, quando dice che non ci si deve vantare di nulla, perché nulla è nostro.16

Che cosa si basa sul libero arbitrio altrettanto quanto ciò che prescrive la legge: non adorare idoli, non commettere adultèri, non uccidere?

Ora, questi e simili sono i delitti che fanno rimuovere dalla comunione del corpo del Cristo chiunque li abbia commessi.

E tuttavia, se il beatissimo Cipriano stimasse che a non commetterli basta la nostra volontà, non intenderebbe quello che diciamo nell'orazione domenicale: Dacci oggi il nostro pane quotidiano ( Mt 6,11 ) così da asserire che noi chiediamo di non essere separati dal corpo del Cristo, accadendoci un qualche delitto più grave che ci proibisca il pane celeste, mentre ce ne asteniamo e non comunichiamo con esso.

Rispondano in modo certo i nuovi eretici quali meriti buoni precedano in uomini che sono nemici del nome cristiano.

Non solo infatti non hanno nessun merito buono, ma hanno pure un merito pessimo.

E tuttavia Cipriano prende la petizione: Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra, ( Mt 6,10 ) anche in questo senso: che preghiamo pure per coloro che secondo tale interpretazione si intendono come terra.

Noi dunque preghiamo non solo per coloro che non vogliono, ma anche per coloro che resistono e si oppongono.

Che cosa chiediamo allora se non che da nolenti diventino volenti, da dissenzienti diventino consenzienti, da nemici diventino amici?

A chi lo chiediamo se non a colui del quale è scritto: Dal Signore è preparata la volontà? ( Pr 8,35 sec. LXX )

Imparino dunque ad essere cattolici coloro che se qualcosa non fanno di male e se qualcosa fanno di bene disdegnano di vantarsi nel Signore invece che in se stessi. ( 1 Cor 1,31 )

10.27 - Testimonianze di Cipriano sulla imperfetta giustizia dell'uomo nella vita presente

Vediamo subito quel terzo punto dal quale ogni membro del Cristo e tutto il corpo del Cristo non aborrisce di meno nei pelagiani, perché dicono che in questa vita ci sono o ci sono stati uomini giusti immuni assolutamente da ogni peccato.

Per la qual presunzione sono in apertissima contraddizione con l'orazione domenicale, nella quale tutte le membra del Cristo gridano con cuore sincero e con voci quotidiane: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

Vediamo dunque che cosa anche su questo tema abbia ritenuto Cipriano, gloriosissimo nel Signore; che cosa per istruire le Chiese, non certo dei manichei, ma dei cattolici, abbia non solo detto, ma anche consegnato ai libri e alla memoria.

Nella lettera Il lavoro e l'elemosina scrive: Riconosciamo pertanto, fratelli dilettissimi, il dono salutare dell'indulgenza divina e per mondarci e purificarci dai nostri peccati, poiché non possiamo vivere senza qualche ferita di coscienza, curiamo le nostre ferite con rimedi spirituali.

Né alcuno confidando nella sua innocenza si illuda così della purezza e immacolatezza del suo cuore da credere di non aver ferite da medicare, poiché è scritto: "Chi può vantarsi d'avere un cuore puro? O chi può vantarsi d'essere senza peccati?", ( Pr 20,9 ) e per suo conto Giovanni in una sua lettera dichiara: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi". ( 1 Gv 1,8 )

Ma se nessuno può essere senza peccato e se chiunque si dice senza colpa o è superbo o è stolto, quanto è necessaria, quanto è buona la clemenza divina, la quale, sapendo che dopo la purificazione non mancano nuove ferite, ha provveduto rimedi salutari per curarci di nuovo e per risanarci dalle ferite!17

Ancora nella medesima lettera scrive: E poiché è impossibile che non si pecchi ogni giorno al cospetto di Dio, non mancavano sacrifici quotidiani che potessero espiare i peccati.18

Lo stesso dice nella lettera Sulla Epidemia: Dobbiamo combattere contro l'avarizia, l'impudicizia, l'ira, l'ambizione.

Siamo in lotta assidua e molesta contro i vizi carnali, contro gli allettamenti secolari.

La mente umana, assediata e serrata da ogni parte dalle vessazioni del diavolo, ce la fa appena a tener testa a tutto, ce la fa appena a resistere.

Se è stata prostrata l'avarizia insorge la libidine, se è stata repressa la libidine incalza l'ambizione, se è stata disprezzata l'ambizione si inasprisce l'ira, scoppia il vento della superbia, ci invita l'ubriachezza, l'invidia rompe la concordia, la gelosia scinde l'amicizia, ti senti portato a maledire i divieti della legge divina e spinto a giurare quello che non è lecito.

Tante persecuzioni soffre ogni giorno l'animo nostro, tanti pericoli ci prendono di petto: eppure ci fa piacere rimanere a lungo in questa vita tra le spade del diavolo, mentre sarebbe da bramare piuttosto e da augurarci d'incontrare presto il Cristo, soccorrendoci più velocemente la morte.19

Ancora nella medesima lettera scrive: Il beato apostolo Paolo in una sua epistola dice: "Per me il vivere è il Cristo e il morire un guadagno", ( Fil 1,21 ) computando come il più grande guadagno quello di non essere più trattenuto dai legami secolari, di non essere più soggetto in nessun modo ai peccati e ai vizi della carne.20

Similmente nell'opera L'orazione domenicale spiega la petizione: Sia santificato il tuo nome ( Mt 6,9 ) scrivendo tra l'altro: Abbiamo bisogno infatti di una santificazione quotidiana per poterci purificare assiduamente dalle colpe che commettiamo quotidianamente.21

Ancora nella stessa opera, spiegando la petizione: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) dice: Quanto necessariamente, quanto provvidenzialmente e salutarmente ci si avvisa che siamo peccatori spingendoci a supplicare per i nostri peccati, perché mentre se ne chiede a Dio l'indulgenza l'animo nostro si ricordi della sua coscienza.

Ognuno, perché non piaccia a se stesso come se fosse innocente e insuperbendosi non si rovini ancora di più, con l'ingiunzione di pregare quotidianamente per i suoi peccati, è istruito ed edotto che pecca quotidianamente.

Così infine ammonisce anche Giovanni in una sua epistola dicendo: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi.

Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati".22

Giustamente anche nella sua lettera a Quirino ha espresso sul nostro argomento la sua sentenza più assoluta corredandola di testimonianze divine: Nessuno è senza macchia e senza peccato.23

E qui cita anche quei testi che confermano il peccato originale e che i pelagiani tentano di volgere a non so quali altri sensi nuovi e perversi: sia l'affermazione del santo Giobbe: Nessuno è senza macchia, neppure se la sua vita sulla terra è di un solo giorno, ( Gb 14,4-5 ) sia l'affermazione del Salmo: Nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre dentro il suo seno. ( Sal 51,7 )

Alle quali testimonianze, per coloro che sono santi in un'età ormai matura, poiché nemmeno essi sono senza macchia e senza colpa, aggiunge anche il testo del beatissimo Giovanni, che ha citato spesso in molti altri luoghi: Se diciamo che siamo senza peccato, ( 1 Gv 1,8 ) con tutte le altre parole che tutti i cattolici non tacciono contro i pelagiani, i quali ingannano se stessi e nei quali non c'è la verità.

10.28 - Commento agostiniano

Dicano i pelagiani, se ne hanno il coraggio, che quest'uomo di Dio è stato travolto dall'errore dei manichei, perché loda i santi con la riserva tuttavia che nessuno in questa vita arriva a tanta perfezione di giustizia da essere assolutamente senza peccato, confermando la sua sentenza con la chiara verità e con la divina autorità di testimonianze canoniche.

Nega forse infatti che "nel battesimo si rimettono tutti i peccati", perché confessa che rimane la fragilità e l'infermità, per le quali dice che pecchiamo dopo il battesimo e abbiamo incessanti conflitti con i vizi carnali fino alla fine di questa vita?

O forse non ricordava più che cosa avesse detto l'Apostolo sulla Chiesa immacolata, ( Ef 5,27 ) quando ordinava che nessuno doveva illudersi della purezza e immacolatezza del suo cuore così da credere, confidando nella propria innocenza, di non aver ferite da medicare?

Credo che i nuovi eretici concedano a questo personaggio cattolico di sapere che "anche nei tempi antichi lo Spirito Santo aiutava le buone disposizioni", anzi - e questo non lo vogliono costoro - che non potevano avere nemmeno buone disposizioni se non per mezzo dello Spirito Santo.

Credo che Cipriano sapesse che "tutti i Profeti, gli Apostoli e i santi che piacquero a Dio in qualunque epoca, non sono stati giusti a paragone degli scellerati", come ci accusano di dire, "ma secondo la regola delle virtù", com'essi si vantano di dire; e tuttavia Cipriano afferma: Nessuno può essere senza peccato e chiunque si dice senza colpa o è superbo o è stolto.24

Né in altro senso interpreta le parole bibliche: Chi può vantarsi d'avere un cuore puro?

O chi può vantarsi d'essere senza peccati? ( Pr 20,9 )

Credo che Cipriano non avesse bisogno d'imparare da costoro ciò che sapeva benissimo: In un tempo futuro ci sarà la ricompensa delle opere buone e il castigo delle opere cattive, e che comunque nessuno potrà osservare di là i precetti che avrà disprezzati di qua.25

E tuttavia, quando lo stesso apostolo Paolo, non spregiatore certamente dei comandamenti divini, dice: Per me il vivere è il Cristo e il morire un guadagno, ( Fil 1,21 ) Cipriano non lo intende se non nel senso che considerava come massimo vantaggio quello di non essere più trattenuto dopo questa vita dai lacci del mondo e di non essere più soggetto in nessun modo ai peccati e ai vizi della carne.

Il beatissimo Cipriano ha dunque sentito e percepito nella verità delle Scritture divine che anche la vita degli stessi Apostoli, per quanto buona, santa e giusta, aveva sofferto gli incagli dei lacci secolari, era soggetta ai peccati e ai vizi della carne, e che la ragione per essi di desiderare la morte era d'esser privi di questi mali e d'arrivare a quella perfetta giustizia che non li dovesse più soffrire, ed essa non fosse più da adempiere per comando, ma da ricevere in premio.

E infatti quando verrà ciò che preghiamo dicendo: Venga il tuo regno, ( Mt 6,10 ) non è che in quel regno di Dio non ci sarà nessuna giustizia, dal momento che l'Apostolo afferma: Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. ( Rm 14,17 )

Precisamente questi tre comandamenti ci vengono dati tra gli altri da Dio.

Il comandamento della giustizia ci viene dato con le parole: Praticate la giustizia. ( Is 56,1 )

Il comandamento della pace con le parole: Siate in pace gli uni con gli altri. ( Mc 9,49 )

Il comandamento della gioia con le parole: Rallegratevi nel Signore sempre. ( Fil 4,4 )

Neghino dunque i pelagiani che abbiano da essere presenti queste tre virtù nel regno di Dio dove vivremo senza fine, o se a loro pare sballino così fino al punto di sostenere che la giustizia, la pace e la gioia saranno anche di là tali e quali i giusti le hanno di qua.

Che se e ci saranno e non saranno tali e quali, certamente di qua ne dobbiamo curare l'azione per comando e sperarne la perfezione in premio di là dove, non trattenuti in nessun modo da lacci secolari, non soggetti più in nessun modo ai peccati e ai vizi della carne - e per questo l'Apostolo, come Cipriano ha inteso cotesto testo, dichiarava che la morte era per lui un guadagno ( Fil 1,21 ) -, potremo amare perfettamente Dio, di cui ci sarà la contemplazione faccia a faccia, ( 1 Cor 13,12 ) e amare perfettamente anche il prossimo, poiché, resi manifesti i pensieri del cuore, nessun sospetto di nessun male potrà turbare nessuno nei riguardi di nessun altro.

11.29 - Testimonianza di Ambrogio sul peccato originale

Ma ormai per rintuzzare costoro con maggiore concorso di prove aggiungiamo al gloriosissimo martire Cipriano anche il beatissimo Ambrogio, poiché Pelagio ha lodato anche lui così tanto da dire che nemmeno i suoi nemici trovano qualcosa da riprendere nei suoi libri.

Atteso dunque che i pelagiani negano l'esistenza del peccato originale con il quale nascano i bambini e tacciano del crimine di eresia manichea i cattolici che si oppongono ad essi in difesa dell'antichissima e saldissima fede della Chiesa, risponda a costoro su questo argomento Ambrogio, cattolico uomo di Dio, elogiato dallo stesso Pelagio nella verità della fede, il quale nel Commento al profeta Isaia dice: Per questo il Cristo è immacolato: perché non è stato macchiato nemmeno dal modo solito di nascere.26

E in un altro passo della medesima opera parlando dell'apostolo Pietro dice: Egli si offrì spontaneamente a ciò che prima reputava peccato, chiedendo che non soltanto i piedi gli fossero lavati, ma anche il capo, ( Gv 13,9 ) perché comprese immediatamente che con il lavaggio dei piedi caduti nel primo uomo si distrugge la macchia della discendenza viziata.27

Dice ancora nella medesima opera: Resta dunque che dall'uomo e dalla donna, cioè dall'unione dei loro corpi, nessuno risulti immune dal peccato: chi poi è immune dal peccato è pure immune da tale concepimento.28

Ugualmente dice scrivendo contro i novaziani: Nasciamo tutti sotto il peccato noi uomini dei quali è viziata l'origine stessa, come hai letto, dicendo Davide: "Nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre".29

Altrettanto scrive nell'Apologia del profeta Davide: Prima di nascere siamo macchiati dal contagio e prima del dono della luce riceviamo il danno dell'origine, essendo generati nella colpa.30

Parlando del Signore dice ancora: Era conveniente che, non dovendo avere il peccato della carne decaduta, non sentisse nessuna contaminazione naturale della generazione.

A buon diritto dunque Davide ha deplorato lamentosamente in sé gli stessi inquinamenti di natura e nell'uomo la precedenza della macchia sulla vita.31

Nell'opera L'arca di Noè scrive similmente: Si dichiara dunque che la salvezza sarebbe venuta alle nazioni solamente dal Signore Gesù, l'unico che, mentre ogni generazione era sviata, ha potuto essere giusto, non per altro se non perché, nato dalla Vergine, non era minimamente tenuto dalla legge della generazione macchiata.

"Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre", ( Sal 51,7 ) dice uno che era reputato più giusto degli altri.

Chi dunque potrò chiamare giusto all'infuori di colui che è libero da questi vincoli, all'infuori di colui che non è tenuto dai vincoli della natura comune?32

Ecco, un personaggio santo, attendibilissimo nella fede cattolica per riconoscimento anche di Pelagio, condanna con tanta manifestazione di chiarezza i pelagiani che negano il peccato originale, né tuttavia o nega con i manichei che Dio è il creatore degli uomini che nascono o accusa le nozze che Dio ha istituite e benedette.

11.30 - Testimonianza di Ambrogio sulla grazia

I pelagiani dicono che il merito comincia dall'uomo per mezzo del libero arbitrio, al quale Dio rende l'aiuto susseguente della grazia.

Li confuti anche su questo punto il venerando Ambrogio, il quale nel Commento al profeta Isaia dice: Poiché la cura umana senza l'aiuto divino è inefficace a guarirci da sola, essa ricerca il soccorso di Dio.33

Lo stesso scrive nel libro La fuga del secolo: Discorriamo spesso sul dovere di sfuggire questo secolo e magari ne fosse tanto attenta e pronta la determinazione quanto ne è facile il discorso!

Ma il peggio è che ci invade spesso il gusto delle brame terrene e un rigurgito di vanità occupa la tua mente portandoti a volgere e a rivolgere nel tuo animo proprio quello che ti studi d'evitare.

Difendersene è difficile per l'uomo, liberarsene del tutto è impossibile.

Che sia un voto più che un fatto l'attesta il Profeta dicendo: "Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti e non verso la sete del guadagno". ( Sal 119,36 )

Perché non sono in nostro potere il nostro cuore e i nostri pensieri, che sollevandosi all'improvviso offuscano la mente e l'animo e ti traggono dove non volevi; ti richiamano ad interessi secolari, introducono dentro di te miraggi mondani, ti istigano ai piaceri, costruiscono allettamenti e nel momento stesso che ci prepariamo ad elevare la mente il più delle volte ruzzoliamo per terra sotto la spinta di vani pensieri infiltratisi in noi.

Chi poi è tanto beato da ascendere sempre con il suo cuore?

Ma questo come potrebbe avvenire senza l'aiuto di Dio? In nessun modo certamente.

La medesima Scrittura dice più avanti: "Beato chi trova in te la sua forza, o Signore, per le ascensioni del suo cuore".34

Che cosa si potrebbe dire di più aperto ed efficace?

Ma perché i pelagiani non replichino per caso che la stessa invocazione dell'aiuto di Dio dà la precedenza al merito dell'uomo, riponendo il merito stesso nella preghiera che fa degno l'uomo d'essere soccorso dalla grazia divina, avvertano quello che il medesimo santo personaggio dice nel Commento al profeta Isaia: Anche pregare Dio è grazia spirituale.

Infatti nessuno può dire: "Gesù è Signore se non sotto l'azione dello Spirito Santo".35

Perciò anche nell'Esposizione del Vangelo secondo Luca dice: Vedi bene che con le premure dell'uomo coopera dovunque la potenza del Signore, cosicché nessuno può edificare senza il Signore, nessuno custodire senza il Signore, nessuno iniziare nulla senza il Signore.36

Forse, poiché un uomo così grande come Ambrogio fa queste affermazioni ed esalta con grata pietà la grazia di Dio, come si conviene ad un figlio della promessa, distrugge per questo il libero arbitrio?

O intende per grazia quella che i pelagiani in modi diversi non vogliono far apparire se non come legge, perché si creda cioè che Dio non ci aiuta a fare quello che conosciamo di dover fare, ma ci aiuta solo a conoscere quello che dobbiamo fare?

Se stimano che questo sia il parere dell'uomo di Dio, sentano che cosa ha detto sulla stessa legge.

Scrive nel libro La fuga del secolo: La legge ha potuto tappare ogni bocca, non ha potuto convertire la mente.37

Lo stesso dice in un altro passo del medesimo libro: La legge condanna il fatto, non toglie la malizia.38

Osservino com'egli da uomo fedele e cattolico sia d'accordo con l'Apostolo, il quale dice: Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio.

Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui. ( Rm 3,19-20 )

È appunto da questa sentenza apostolica che Ambrogio ha preso e scritto quelle sue dichiarazioni.

11.31 - Testimonianza di Ambrogio sulla giustizia nella vita presente

Ma poiché i pelagiani dicono che in questa vita ci sono o ci sono stati dei giusti viventi senza nessun peccato, tanto che la vita futura da sperarsi in premio non potrà essere più progredita e più perfetta, Ambrogio risponda a costoro e li confuti anche su questo.

Egli nel Commento al profeta Isaia a proposito delle parole: Ho sollevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me, ( Is 1,2 ) prende a trattare delle generazioni che vengono da Dio e nella stessa trattazione ricorda il passo dove Giovanni dice: Chiunque è nato da Dio, non commette peccato. ( 1 Gv 3,9 )

Ed esaminando la medesima difficilissima questione scrive: In questo mondo non c'è nessuno che sia immune dal peccato, dicendo lo stesso Giovanni: "Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo". ( 1 Gv 1,10 )

Ora, se coloro che sono nati da Dio non peccano più, e lo intendiamo di coloro che vivono in questo mondo, bisogna che ci riferiamo agli innumerevoli uomini che hanno conseguito la grazia di Dio con la rigenerazione battesimale.

Ma tuttavia, poiché il Profeta dice: "Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno.

Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni.

Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella polvere.

Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra", ( Sal 104,27-30 ) può sembrare che queste parole non siano state dette per qualsiasi tempo, bensì per il tempo avvenire, quando ci sarà una nuova terra e un nuovo cielo.

"Vengono meno" dunque "per ricominciare, e se tu apri la mano si saziano di beni": ciò che non è facilmente di questo secolo.

Che cosa dice infatti la Scrittura di questo secolo? "Nessuno più agisce bene, dice, nemmeno uno". ( Sal 14,1 )

Se dunque ci sono diverse generazioni, se l'entrata ora in questa vita eredita peccati fino a disprezzare colui stesso che ha generato, se l'altra generazione invece non ammette peccati, vediamo se dopo il corso di questa vita non ci sia una qualche nostra rigenerazione, quella di cui è detto: "nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria". ( Mt 19,28 )

Come infatti si chiama rigenerazione quella del battesimo, la quale ci rinnova dopo aver deterso la melma dei peccati, così sembra che sia chiamata rigenerazione quella in cui, purificati da ogni macchia della materialità corporale, siamo rigenerati alla vita eterna con la purezza dei sentimenti dell'anima, perché è una rigenerazione di qualità più pura del battesimo, cosicché non solo nelle sue azioni, ma nemmeno nei nostri pensieri cada nessun'ombra di peccato.39

Ugualmente in un altro luogo della medesima opera scrive: Noi vediamo che è impossibile essere perfettamente immacolati nella vita corporale, dal momento che anche Paolo si dichiara imperfetto.

Ha infatti queste parole: "Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione". ( Fil 3,12 )

E tuttavia poco dopo dice: "Quanti dunque siamo perfetti". ( Fil 3,15 )

La spiegazione non è forse se non questa: altra è la perfezione in questo mondo e altra dopo che sarà arrivato ciò che è perfetto e di cui Paolo scrive ai Corinzi: "Quando verrà ciò che è perfetto",40 e agli Efesini: "Finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità del Cristo". ( Ef 4,13 )

Come dunque l'Apostolo dice perfetti molti che con lui vivevano in questo mondo e non potevano essere perfetti se guardi alla perfezione vera, scrivendo egli stesso: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia.

Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto", ( 1 Cor 13,12 ) altrettanto ci sono immacolati in questo mondo e ci saranno immacolati nel regno di Dio, mentre evidentemente, se discuti sulle minuzie, nessuno può essere immacolato adesso, perché nessuno è senza peccato.41

Ancora nella stessa opera: Vedi che durante tutta la vita presente dobbiamo mondarci e cercare Dio e cominciare dalla purificazione della nostra anima e quasi gettare le fondamenta della virtù per poter conseguire dopo questa vita la perfezione della purezza.42

Ancora nella stessa opera: Ma chi, oppresso e costretto al pianto, non parlerebbe con le parole di Paolo: "Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?". ( Rm 7,24 )

Così alla scuola di questo medesimo maestro abbiamo esaurito tutte le varietà d'interpretazione.

Se infatti è infelice chi si riconosce implicato nelle molestie corporali, ogni corpo è certamente infelice, perché non direi felice chi, confuso da certe tenebre della sua mente, ignora la propria condizione.

C'è anche un'altra considerazione da non ritenere assurda: se infatti è infelice l'uomo che conosce se stesso, sono infelici senza dubbio tutti gli uomini; sia chi con la sua sapienza riconosce la propria debolezza, sia chi per sua insipienza non la conosce.43

Altrettanto dice nel libro Il bene della morte: Operi dunque in noi la morte, perché operi anche la vita, la buona vita dopo la morte, cioè la buona vita dopo la vittoria, la buona vita al termine della battaglia, quando la legge della carne non potrà più contrastare la legge dello spirito, ( Rm 7,23 ) quando non avremo più da combattere con questo corpo di morte.44

Ancora nello stesso libro: Poiché i giusti avranno in premio di vedere il volto di Dio e la luce che illumina ogni uomo, ( Gv 1,9 ) rivestiamoci fin d'ora della sollecitudine che la nostra anima si avvicini a Dio, si avvicini a lui la nostra preghiera, aderisca a Dio il nostro desiderio e non siamo separati da lui.

E finché rimaniamo qui, uniamoci a Dio meditando, leggendo, cercando; conosciamolo quanto possiamo.

Qui infatti lo conosciamo in parte, perché qui tutto è imperfetto e là tutto è perfetto, qui siamo bambini e là uomini robusti.

"Ora - dice - vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia". ( 1 Cor 13,12 )

Allora sarà consentito di contemplare la gloria del Signore svelatamente, mentre adesso le anime, avviluppate dalle membra materiali di questo corpo e offuscate da certe macchie e passioni di questa carne, non possono vedere nitidamente.

Si legge infatti: Chi potrà vedere il mio volto e restare vivo?" ( Es 33,20 )

E lo si capisce: se infatti i nostri occhi non possono sostenere i raggi del sole e si dice che a fissare troppo a lungo la zona solare spesso ci si acceca; se una creatura non può contemplare un'altra creatura senza qualche rischio e danno di sé, in che modo può senza pericolo vedere il volto dardeggiante dell'eterno Creatore chi è coperto dalle spoglie di questo corpo?

Chi è giusto infatti davanti a Dio, ( Sal 143,2 ) se non può essere mondo dal peccato nemmeno un bambino di un giorno ( Gb 14,4-5 ) e se nessuno può vantarsi dell'integrità e della purezza dei proprio cuore?45

12.32 - Cipriano e Ambrogio autentici testimoni della fede cristiana

Sarò troppo lungo se voglio ricordare tutto quello che contro questa eresia dei pelagiani, che sarebbe sorta tanto tempo dopo, ha detto e scritto sant'Ambrogio, non certo per rispondere ad essi, ma per predicare la fede cattolica e per edificare in essa la gente.

Ma nemmeno potevo o dovevo ricordare tutte le testimonianze che Cipriano, gloriosissimo nel Signore, pose nelle sue lettere e che valgono a dimostrare che questa fede posseduta da noi è la fede vera e veramente cristiana e cattolica, come tramandata dall'antichità per mezzo delle sante Scritture così nello stesso modo ritenuta e conservata dai nostri padri e da noi fino a questo tempo in cui i pelagiani hanno tentato di svellerla, e da ritenere e conservare in avvenire per la misericordia di Dio.

Infatti che a Cipriano e da Cipriano la fede sia stata trasmessa così lo attestano queste ed altre simili testimonianze che ho riferite dalle sue lettere.

Che così la fede sia stata conservata fino ai nostri giorni lo mostrano le riflessioni che su questi argomenti scrisse Ambrogio prima che cominciassero a bollire i pelagiani, e lo mostra l'orrore con il quale dappertutto le orecchie cattoliche hanno accolto le novità profane di costoro. ( 1 Tm 6,20 )

Che per l'avvenire si debba conservare la medesima fede l'ha fatto capire abbastanza salutarmente in parte la condanna dei pelagiani e in parte la loro ritrattazione.

Qualunque accusa infatti osino costoro borbottare contro la sana fede di Cipriano e d'Ambrogio, non penso che romperanno verso tanta follia da chiamare manichei questi due uomini di Dio, indimenticati e indimenticabili.

12.33 - Essi non furono né manichei né pelagiani

Cos'è dunque quello che con rabbiosa cecità mentale vanno ora gridando: "In quasi tutto l'Occidente è stato accettato un dogma non meno stupido che empio", se la verità è che, avendo misericordia il Signore e governando con misericordia la sua Chiesa, la fede cattolica ha saputo vigilare così da non far accogliere il dogma non meno stupido che empio come dei manichei così pure dei pelagiani?

Ecco, personaggi dotti e santi, cattolici, come l'attesta la fama di tutta la Chiesa, lodano nei modi debiti e convenienti e la creatura di Dio e le nozze da lui istituite e la legge da lui data per mezzo del santo Mosè e il libero arbitrio insito nella natura dell'uomo e i santi Patriarchi e i Profeti: realtà tutte e cinque che i manichei condannano, in parte negandole e in parte anche detestandole.

Da ciò apparisce che questi maestri cattolici sono lontani dalle sentenze dei manichei, e tuttavia asseriscono il peccato originale, asseriscono che la grazia di Dio al di sopra del libero arbitrio precede ogni merito per prestare un aiuto divino veramente gratuito, asseriscono che i santi sono vissuti in questa carne con tanta giustizia ma hanno avuto bisogno dell'aiuto della preghiera per la remissione dei peccati quotidiani, e asseriscono che una giustizia perfetta incapace d'avere il peccato l'avranno in premio nell'altra vita coloro che saranno vissuti nella giustizia in questa vita.

12.34 - I pelagiani chiedono invano la convocazione di un sinodo

Che cos'è dunque quello che dicono: È stata estorta una sottoscrizione a vescovi ignari, nei luoghi della loro residenza, senza riunirli in concilio?

Forse prima dei pelagiani fu estorta una sottoscrizione contro i pelagiani a uomini beatissimi ed eccellentissimi nella fede cattolica come Cipriano e Ambrogio, i quali sbaragliano gli empi dogmi dei pelagiani con tanta manifestazione di chiarezza che noi a mala pena possiamo trovare che cosa dire di più manifesto contro di loro?

Oppure c'era bisogno che si riunisse un concilio per condannare un aperto flagello?

Come se nessuna eresia sia mai stata condannata fuori dalle riunioni di un concilio, mentre al contrario sono rarissime quelle per la cui condanna sia sorta tale necessità, e molto e incomparabilmente più numerose le eresie che si meritarono la riprovazione e la condanna sul luogo stesso in cui nacquero e che poi di lì poterono esser conosciute in tutte le altre terre come errori da evitare.

Ma si capisce come la superbia dei pelagiani, che tanto s'inalbera contro Dio da non volersi vantare in lui, bensì piuttosto nel libero arbitrio, ambisca di catturare anche questa gloria: che l'Oriente e l'Occidente si riuniscano per loro in un concilio!

Appunto perché, resistendo a loro il Signore, non riescono a trascinare nell'errore l'orbe cattolico, si sforzano di smuoverlo almeno.

Mentre piuttosto la vigilanza e la diligenza pastorale, dopo il giudizio competente e sufficiente già pronunziato su di loro, deve sterminare questi lupi, dovunque siano comparsi, sia perché guariscano e si convertano, sia perché gli altri, ancora sani ed integri, li possano evitare con l'aiuto del Pastore dei pastori.

Egli anche nei bambini cerca la pecora smarrita, fa gratuitamente pecore sante e giuste e alle sue pecore, benché santificate e giustificate, tuttavia previdentemente insegna a chiedere e benevolmente concede in questa fragilità e debolezza la quotidiana remissione dei quotidiani peccati, senza i quali non si vive qui, nemmeno quando si vive bene.

Indice

8 Cipriano, De oratione Dominica 12: CSEL 31, 274
9 Cipriano, De oratione Dominica 14: CSEL 31, 276
10 Gal 5,17;
Cipriano, De oratione Dominica 16: CSEL 3/1, 278
11 Cipriano, De oratione Dominica 17: CSEL 3/1, 279
12 Cipriano, De oratione Dominica 18: CSEL 31, 280
13 Cipriano, De Oratione Dominica 26: CSEL 3/1, 286-287
14 Cipriano, Testimoniorum ad Quirinum 3, 4: CSEL 3/1, 116
15 Cipriano, De bono patientiae 3: CSEL 3/1, 398
16 Cipriano, Testimoniorum ad Quirinum 3, 4: CSEL 3/1, 116
17 Cipriano, De opere et eleemosynis 3: CSEL 3/1, 375
18 Cipriano, De opere et eleemosynis 18: CSEL 3/1, 387
19 Cipriano, De mortalitate 4: CSEL 3/1, 299
20 Cipriano, De mortalitate 7: CSEL 3/1, 301
21 Cipriano, De oratione Dominica 12: CSEL 3/1, 275
22 1 Gv 1,8-9;
Cipriano, De oratione Dominica 22: CSEL 3/1, 283
23 Cipriano, Testimoniorum ad Quirinum 3, 54: CSEL 3/1, 156
24 Cipriano, De opere et eleemosynis 3: CSEL 3/1, 375
25 Cipriano, De mortalitate 7: CSEL 3/1, 301
26 Ambrogio, Expositio in Isaiam (opera perduta)
27 Ambrogio, Expositio in Isaiam (opera perduta)
28 Ibidem.
29 Ambrogio, De poenitentia 1, 3, 13; PL 16, 490
30 Ambrogio, Apologia prophetae David 11, 56-57; CSEL 32/2, 337-338
31 Ibidem.
32 Ambrogio, De arca Noe 3, 7: CSEL 32/1, 417
33 Ambrogio, Expositio in Isaiam (opera perduta)
34 Ambrogio, De fuga saeculi 1, 1; CSEL 32/2; cf. AUG., De dono persev. 23, 64; PL 45, 1013
35 1 Cor 12,3;
Ambrogio, Expositio in Isaiam (opera perduta)
36 Ambrogio, Expositio Evang. sec. Lc 2, 84: CSEL 32/4, 88
37 Ambrogio, De fuga saeculi 3, 15: CSEL 32/2, 175
38 Ambrogio, De fuga saeculi 7, 39; CSEL 32/2, 194
39 Ambrogio, Expositio in Isaiam (opera perduta)
40 1 Cor 13,10;
Ambrogio, Expositio in Isaiam (opera perduta)
41 Ambrogio, Expositio in Isaiam (opera perduta)
42 Ibidem.
43 Ambrogio, Expositio in Isaiam (opera perduta)
44 Ambrogio, De bono mortis 3, 9: CSEL 32/1, 710
45 Pr 20,9;
Ambrogio, De bono mortis 11, 49; CSEL 32/1, 745