La menzogna

Indice

16.31 - La bocca del cuore

Si pone la domanda a quale bocca volesse riferirsi l'autore sacro quando scriveva: La bocca che mente uccide l'anima.

Spesso infatti la Scrittura quando nomina la bocca si riferisce agli intimi recessi del cuore, dove si accetta con godimento e si determina ciò che si proferisce con la voce, allorché parliamo secondo verità.

Ne segue che quanti godono della menzogna, nel cuore sono mentitori.

Potrebbe invece non mentire col cuore colui che, dicendo a parole ciò che non ha nel cuore, lo fa sapendo di commettere del male ma si comporta così per evitare un male maggiore, spiacente di tutt'e due i mali [ che gli si presentano ].

Coloro che sostengono questo principio dicono che in tal senso bisogna intendere anche la parola della Scrittura: Colui che pronunzia la verità nel suo cuore. ( Sal 15,3 )

Col cuore infatti si deve sempre dire la verità, ma non sempre la si dice con le labbra: ad esempio, se a dire con la voce cose diverse da quelle che si hanno nell'animo costringa il motivo d'evitare un male maggiore.

Che effettivamente anche il cuore abbia una bocca lo si comprende dal fatto che là dove ci sono parole non si può escludere che ci sia anche una bocca.

Pertanto non sarebbe corretta l'espressione: Colui che parla nel suo cuore, se non si intendesse ( e giustamente ) che anche il cuore ha una bocca.

Anzi, quello stesso testo dove è scritto che la bocca menzognera uccide l'anima, se si bada bene al contesto non lo si deve ( forse ) riferire ad altro che alla bocca del cuore.

È oscura infatti una risposta quando rimane celata agli uomini: i quali non possono ascoltare [ quanto dice ] la voce del cuore se non risuona anche sulla bocca del corpo.

Dice però la Scrittura nel testo citato che tale voce giunge all'orecchio dello Spirito del Signore, che riempie tutta la terra.

Nello stesso brano la Scrittura parla anche di labbra, di voce e di lingua; ma dicendo che sono note al Signore non consente altro significato se non quello che si riferisce al cuore.

Quando poi di quel suono si dice che colpisce il nostro orecchio, significa che esso non resta celato nemmeno agli uomini.

Così infatti sta scritto: Lo Spirito della sapienza è amico dell'uomo e non libera il maldicente dalle sue parole.

Dio infatti è testimone dei suoi sentimenti, indagatore verace del suo cuore e ascoltatore della sua lingua.

Poiché lo Spirito del Signore riempie tutto l'universo, e colui che contiene tutte le cose [ ne ] conosce la voce.

Per questo, l'uomo che dice cose cattive non può rimanere nascosto, né lo risparmierà il giudizio che viene a punire.

Si farà un'indagine sui pensieri dell'empio: l'ascolto dei suoi discorsi verrà effettuato dal Signore, che lo castigherà delle sue azioni inique.

Infatti l'orecchio geloso ascolta tutto, né gli è nascosto il chiasso delle mormorazioni.

Guardatevi pertanto dalla mormorazione, che non giova a nulla, e impedite alla lingua d'essere maldicente, poiché anche una risposta segreta non rimarrà senza effetto.

La bocca che mente poi uccide l'anima. ( Sap 1,6-11 )

Sembra quindi che le minacce siano rivolte a coloro che ritengono sia nascosto e segreto ciò che pensano e rimuginano nel cuore.

Il testo sacro viceversa dimostra che ciò è talmente palese all'orecchio di Dio da chiamarlo addirittura un chiasso.

16.32 - La bocca del cuore secondo il Vangelo

Anche nel Vangelo troviamo apertamente menzionata la bocca del cuore, tanto che in uno stesso luogo vediamo il Signore far menzione della bocca del corpo e di quella del cuore.

Dice: Anche voi siete tuttora privi d'intelligenza?

Non capite come tutto ciò che entra per la bocca va nel ventre e si scarica nella fogna?

Quanto invece esce dalla bocca proviene dal cuore e questo sì che contamina l'uomo.

Dal cuore infatti escono fuori i pensieri cattivi, gli omicidi, gli adulteri, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.

E queste sono le cose che contaminano l'uomo. ( Mt 15,16-20 )

Se interpreti questo brano pensando a un'unica bocca, cioè quella del corpo, che senso darai alle parole: Le cose che escono dalla bocca provengono dal cuore?

Dalla bocca del corpo infatti viene fuori anche lo sputo, anche il vomito.

Né vorrai dire che non si venga contaminati col mangiare un cibo immondo, mentre ci si contamina col vomitarlo.

Ma se questo è cosa quanto mai assurda, dobbiamo concludere che quando il Signore dice: Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore, le sue parole vanno riferite alla bocca del cuore.

Pensiamo qui al furto. Esso può essere compiuto ( e spesso di fatto lo è ) nel silenzio, senza cioè che si levino voci del corpo o della bocca; e sarebbe proprio roba da matti intendere la cosa nel senso che uno si contamina col peccato di furto quando lo confessa o lo rivela, mentre rimane incontaminato quando lo commette in silenzio.

Se però le parole del Signore le riferiamo alla bocca del cuore, non c'è alcun peccato che si possa commettere senza parlare.

Nessuna colpa infatti si commette senza che esca da quella bocca interiore.

16.33 - Astenersi dalla mormorazione

Come ci si chiede quale sia la bocca di cui è detto: La bocca che mente uccide l'anima, così ci si può chiedere di quale menzogna si tratti.

Sembra infatti che propriamente parli della menzogna detta per detrarre, poiché dice: Astenetevi dalla mormorazione, che non giova in alcun modo, e trattenete la lingua dalla detrazione.

Ora questa detrazione si ha quando uno, mosso da malevolenza, con la bocca e la parola proferisce una cosa inventata ai danni di qualcuno; non solo, ma anche quando in silenzio vuole che quel tale sia creduto così.

E questo è detrarre servendosi della bocca del cuore, cosa che, come ivi è detto, non può essere celata o nascosta a Dio.

16.34 - Non voler proferire alcuna menzogna

Quanto è scritto in un altro passo, e cioè: Non voler proferire alcuna menzogna, dice qualcuno che non equivale a non dire mai alcuna menzogna.

Qualche altro invece afferma che in forza di questa testimonianza della Scrittura tutte le specie di menzogna sono da disapprovarsi.

Infatti la cosa è detta in una forma così generica che, se uno volesse mentire, anche se poi di fatto non mentisca, sarebbe da condannarsi per la stessa sua intenzione.

A tale interpretazione conduce il fatto che non vi si dice: " Non proferire alcuna menzogna ", ma: Non voler proferire alcuna menzogna.

Per cui nessuno dovrà mentire, non solo, ma nessuno dovrà avere la volontà di mentire dicendo falsità.

17.34 - Elenco di menzogne da cui astenersi

Ecco ora venire un altro che dice: Ma certo!, per il fatto che dice: Non voler proferire alcuna menzogna impone l'obbligo di escludere e tener lontana ogni menzogna dalla bocca del cuore, e lo fa con parole tali che da certe menzogne occorre tenersi lontani anche con la bocca del corpo.

Queste sono soprattutto le menzogne riguardanti la dottrina religiosa.

Ce ne sarebbero poi altre da cui non ci si dovrebbe astenere dal proferirle con la bocca del corpo, quando lo richiede la necessità di evitare un male maggiore, mentre con la bocca del cuore dobbiamo in ogni caso astenerci da qualsiasi menzogna.

In tal caso le parole: Non volere vanno interpretate nel senso che la stessa volontà è identificata con la bocca del cuore, per cui quando mentiamo contro voglia per evitare un male maggiore, la cosa non riguarda la bocca del cuore.

C'è poi una terza interpretazione da dare alle parole: Non volere, la quale ti consentirebbe di mentire, escludendo però alcuni tipi di menzogna.

Sarebbe come se ti si dicesse: " Non voler credere ad ogni uomo ", dove non ti si dice di non credere a nessuno ma di non credere a tutti, sebbene a qualcuno tu possa credere.

Riguardo poi alle parole con cui il testo prosegue, e cioè: La frequenza a mentire non arreca alcun bene, ( Sir 7,14 ) a quanto sembra, esse starebbero a significare che non è proibita la menzogna in sé ma la frequenza nel mentire, cioè l'abitudine e la voglia di mentire.

In questo abuso cadrebbe evidentemente chiunque ritenesse lecito l'uso indiscriminato di qualsiasi menzogna, non evitando nemmeno quelle che si dicono in materia di fede e di dottrina religiosa.

Ma dove potremmo trovare un'enormità più grave di questa, non solo fra le menzogne ma anche fra tutti i peccati?

In essa cadrebbe colui che con la volontà acconsente a dire una qualsiasi menzogna, magari semplice, magari innocua, ma la dice non contro voglia, per evitare mali maggiori, ma di proposito, per il gusto di mentire.

Il testo in parola dunque può essere inteso in tre modi: primo, non solo non dire alcuna menzogna ma non aver la volontà di dire menzogne di sorta; secondo, non voler dire menzogne nemmeno contro voglia, sebbene ci sia da evitare un male più grave; terzo, non voler dire qualsiasi menzogna ma, escludendo alcuni casi in cui la menzogna è proibita, negli altri sarebbe permessa.

Una di queste interpretazioni è sostenuta da coloro che non accettano in nessun caso la menzogna, le altre due sono accettate da coloro che pensano che a volte almeno si può mentire.

Sulle parole che seguono [ nel testo, e cioè ]: La frequenza a mentire non arreca alcun bene, non saprei se le si possa prendere a sostegno della prima fra queste interpretazioni, a meno che non si ritenga che il non mentire affatto e la volontà di escludere ogni sorta di menzogna sia un precetto riguardante i perfetti, mentre la frequenza nel mentire sia un divieto che vale anche per i proficienti.

Questo, perché se a tutti fosse ingiunto di non mentire mai e perfino di non nutrire la volontà di mentire, la cosa sarebbe contraddetta da esempi dove almeno alcune menzogne sono approvate da documenti assai autorevoli.

Si potrebbe rispondere così: riguardano i proficienti i divieti di mentire ove ci sia di mezzo l'uno o l'altro dei doveri di carità da praticarsi nella vita presente, ma in generale ogni sorta di menzogna è un male, da evitarsi a tutti i costi dai perfetti e spirituali.

Tant'è vero che la frequenza a mentire non è lecita nemmeno ai proficienti.

Si è già parlato delle ostetriche egiziane, le cui menzogne furono approvate per l'intenzione che avevano di rendersi utili.

C'è infatti un certo avvicinamento nell'amare la vera ed eterna sapienza quando si mente mossi da bontà d'animo, sia pure per procurare a qualcuno la salute nel solo ambito della vita mortale.1

17.35 - Dio disperde tutti i mentitori

Riguardo alle parole della Scrittura: Tu disperdi tutti coloro che proferiscono menzogne c'è chi dice che in esse non viene eccettuata nessuna menzogna ma tutte sono condannate.

Al contrario qualcuno dice: Certo che è così, ma si parla solo di coloro che proferiscono menzogne con il cuore, come è stato esposto nel paragrafo antecedente.

In effetti dice la verità con il cuore chi detesta la necessità di dover mentire ritenendola una punizione che grava sulla presente vita mortale.

Un altro dice: Dio disperde tutti coloro che proferiscono menzogne, ma non tutte le menzogne.

Il profeta infatti lascia sottintendere una particolare menzogna, sulla quale a nessuno si concede perdono.

È quando uno non solo non riconosce il suo peccato ma lo difende, rifiutandosi di farne penitenza.

Gli sembra roba da poco agire male, che anzi, pur volendo apparire giusto, non si sottopone alla medicina della confessione.

La differenza stessa delle parole usate non sembrerebbe richiedere altra spiegazione [ che questa ].

Dice infatti: Tu hai in odio tutti coloro che operano il male, ( Sal 5,6-7 ) ma non li disperdi se pentiti dicono la verità nella loro confessione e operando la verità vengono alla luce, come è detto nel Vangelo di Giovanni: Chi fa la verità viene alla luce. ( Gv 3,21 )

Al contrario nell'altro testo dice: Tu disperdi tutti coloro che non solo compiono opere da te odiate ma anche proferiscono menzogne, pretendendo una falsa giustizia e ricusando di confessare la colpa e ravvedersi.

17.36 - Sulla falsa testimonianza

Ora un cenno sulla falsa testimonianza, ricordata tra i dieci comandamenti.

Al riguardo non si può in alcun modo sostenere che basti conservare nel cuore la verità mentre con la bocca si dice una falsa testimonianza ai danni di colui per il quale la si dice.

Quando si parla con Dio basta certo esser fedeli alla verità con il cuore, ma quando si parla agli uomini occorre dire il vero anche con la bocca, perché all'uomo non è dato penetrare nel cuore.

Riguardo però alla testimonianza in se stessa, non è assurdo chiedersi chi sia colui dinanzi al quale si è testimoni.

Non siamo infatti testimoni con tutti quelli a cui parliamo, ma solo con coloro a cui compete, o è doveroso, conoscere la verità o credere, per mezzo nostro, alla verità.

Tale è il giudice, perché non incorra in errore quando giudica; tale è colui che viene istruito sulla dottrina religiosa, perché non commetta errori nella fede o perché non abbia a dubitare e a restare perplesso sull'autorità del suo insegnante.

Se viceversa viene a interrogarti o a chiederti informazioni uno che va in cerca di cose che non lo riguardano o non giova che lui le sappia, costui è uno che vuol trovare non un testimone ma un delatore.

Se pertanto a costui rispondi con una menzogna, forse non avrai proferito una falsa testimonianza, ma sei certamente reo di menzogna.

18.36 - Se una qualche volta sia lecito mentire

Assodato che non è mai lecito proferire una falsa testimonianza, si pone il quesito se una qualche volta sia lecito mentire.

Se poi qualsiasi menzogna è una falsa testimonianza, è da vedersi se ammetta qualche compensazione che consenta di mentire per evitare più gravi peccati.

È come per il precetto scritturale: Onora il padre e la madre. ( Es 20,12 )

Lo si trasgredisce senza colpa quando urge un dovere superiore.

Pensiamo a quel tale che il Signore chiamava per annunziare il regno di Dio: a lui fu dal Signore stesso proibito di tributare al proprio padre l'estrema onoranza della sepoltura. ( Mt 8,22 )

18.37 - Si discute su Pr 29, 27

Esaminiamo ora il passo della Scrittura che dice: Il figlio che accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione; quando l'accoglie, l'accoglie per sé e nessuna falsità esce dalla sua bocca. ( Pr 29, 27 )

Qualcuno afferma che nel testo citato, e cioè: Il figlio che accoglie la parola, il termine " figlio " non è da riferirsi ad altri che al Verbo di Dio, che è la verità.

Pertanto il figlio che accoglie la parola, sarà molto lontano dalla perdizione va riferito a quell'altro testo: Tu disperdi tutti coloro che proferiscono menzogne. ( Sal 5,7 )

Quanto al seguito della frase: Quando l'accoglie, l'accoglie per sé, cosa vi si insinua se non quanto diceva l'Apostolo con le parole: Esamini dunque ciascuno la sua opera e così avrà la gloria in se stesso e non in altri? ( Gal 6,4 )

Chi infatti accoglie la parola, cioè la verità, non per se stesso ma per piacere agli uomini, non la conserverà integra qualora si accorga che con la menzogna può rendersi loro accetto.

Se al contrario uno accoglie la parola per sé, mai alcuna falsità potrà uscire dalla sua bocca poiché, per quanto agli uomini possa piacere la menzogna, non si lascerà mai indurre a mentire colui che ha accolto per sé la verità, non quella per cui si piace alla gente ma a Dio.

Non si può dire pertanto nel nostro caso che Dio disperde, sì, tutti coloro che proferiscono menzogne ma non ogni menzogna in quanto tale.

Viceversa tutte le menzogne nel senso più ampio della parola sono riprovate nel testo: E nulla di falso esce dalla sua bocca.

A questo punto qualcuno dirà che il testo potrebbe essere preso nel senso in cui l'apostolo Paolo prese la parola del Signore: Ma io vi dico di non giurare affatto. ( Mt 5,34 )

È questa infatti un'affermazione che esclude ogni giuramento.

Lo esclude però dalla bocca del cuore, per cui non è mai consentito approvarlo con la volontà.

Può essere invece reso lecito dalla necessità di andare incontro alla debolezza altrui, cioè da un male che affligge il prossimo, al quale non pare ci sia altra possibilità di fargli accettare quanto diciamo se non lo confermiamo col giuramento.

La liceità può dipendere anche da quel male che è in noi in quanto, rivestiti come siamo dall'involucro della mortalità, non riusciamo ad esternare il nostro cuore.

Se avessimo questo potere, certo non dovremmo ricorrere al giuramento.

Inoltre nella presente espressione presa globalmente [ è consentito prendere ] le parole: Il figlio che accoglie la parola sarà molto lontano dalla perdizione ( Pr 29, 27 ) come dette della stessa Verità ad opera della quale tutto è stato creato, ( Gv 1,3 ) la quale resta sempre immutabile.

E siccome l'insegnamento della religione mira a condurci alla contemplazione della Verità, può supporsi che le parole: E dalla sua bocca non esce alcuna falsità siano dette affinché non si dica alcunché di falso in ciò che riguarda tale insegnamento.

È infatti, questa specie di menzogna, tale che non si deve ammettere alcun motivo che valga a giustificarla; la si deve anzi evitare radicalmente e con somma cura.

Quanto alle parole: Nessuna falsità, è assurdo interpretarle come non riferite ad ogni specie di menzogna.

E le altre: Dalla sua bocca, secondo l'esposizione precedente, cercherà di riferirle alla bocca del cuore colui che ritiene che in qualche caso sia ammesso mentire.

18.38 - Gli uomini errano nella valutazione dei beni

La discussione su questo punto si presenta, certo, diversificata.

Alcuni infatti sostengono che mai è lecito mentire, e a prova della loro asserzione citano testimonianze dei libri divini; contraddicono altri, i quali ricercano fra le testimonianze degli stessi libri divini parole favorevoli alla menzogna.

Nessuno tuttavia può affermare che negli esempi o nelle espressioni scritturali si trovi qualcosa, anche solo apparente, da cui si possa concludere che sia consentito amare la menzogna o soltanto non odiarla.

Al massimo si può ricavare che a volte è lecito, ricorrendo alla menzogna, fare qualcosa che si odia, per evitare un male ancora più detestabile.

Facendo così però l'uomo cade nell'errore in quanto subordina cose preziose ad altre meno apprezzabili.

Ammesso infatti che si possa tollerare un qualche male perché non abbia a succederne un altro più grave, ciascuno classificherà questi mali non secondo la norma della verità ma secondo le sue inclinazioni e consuetudini, e riterrà più grave non ciò che in realtà è da sfuggirsi con maggiore impegno ma ciò che personalmente ciascuno detesta di più.

È questo un vizio prodotto in noi dal disordine nell'amare.

Sono infatti due le nostre vite: la vita eterna, promessa da Dio, e la vita temporale che viviamo adesso.

Se dunque uno comincia ad amare la presente vita temporale più della vita eterna, si riterrà in dovere di fare ogni cosa per la vita che predilige, e concluderà che non ci sono peccati più gravi di quelli che ledono questa vita o che ingiustamente e illecitamente le sottraggono un qualche vantaggio o la sopprimono del tutto mediante la morte.

Odiano pertanto i ladri, i sequestratori, i diffamatori, i torturatori e gli omicidi più che non i dissoluti, gli ubriaconi, gli sporcaccioni, se questi non recano molestia ad alcuno.

Non comprendono, o non vogliono prendere veramente sul serio, il fatto che costoro offendono Dio, non perché nuocciano a lui ma perché danneggiano gravemente se stessi rovinando in se stessi i doni, anche di beni temporali, ricevuti da lui e compromettendo con i loro abusi gli stessi beni eterni.

Questo vale soprattutto per coloro che sono diventati tempio di Dio, come dice l'Apostolo nei confronti di tutti i cristiani: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?

Chi profanerà il tempio di Dio, Dio lo abbatterà.

È infatti santo il tempio di Dio, e questo tempio siete voi. ( 1 Cor 3,16-17 )

18.39 - Varie specie di peccati

Abbiamo elencato peccati con i quali si danneggia la gente nei beni di questa vita e peccati con cui l'uomo si degrada ma non reca danno a nessuno che opponga resistenza.

Ebbene tutti questi peccati, per quanto sembrino arrecare un qualche piacere o vantaggio per la presente vita temporale ( senza tale intenzione o finalità nessuno li commetterebbe! ), tuttavia nei riguardi della vita eterna sono un impedimento assoluto per coloro che ne sono avviluppati.

E di essi alcuni creano impedimento solo a chi li commette, mentre altri sono d'impedimento anche per coloro a danno dei quali si commettono.

Quando infatti si sottraggono agli iniqui i beni che si vuol conservare in vista dell'utile che arrecano nella vita presente, peccano soltanto coloro che commettono il male, estraniandosi così dalla vita eterna, e non coloro a danno dei quali si commette il male.

Se pertanto uno si lascia togliere tali beni sia per non compiere il male sia per non subire conseguenze più gravi nei riguardi degli stessi beni, non solo non commette peccato ma agisce, nel primo caso, con fortezza e in modo encomiabile; nel secondo con profitto e senza cadere in colpa.

Quanto invece ai beni che si tutelano per motivi di santità o di religione, se gli iniqui vorranno sottrarceli ricorrendo alla violenza, potremo salvaguardarli anche ricorrendo a peccati più piccoli, ma non certo recando del danno al prossimo, qualora questa condizione venga posta e ci sia possibilità [ d'agire diversamente ].

In tal caso quanto si compie per evitare i peccati più gravi cessa d'essere peccato.

In questo senso, quando si tratta d'un qualche bene utile, come il denaro o qualche altro oggetto che risulti vantaggioso per il corpo, noi non parliamo di danno se si perde qualcosa per ottenere un guadagno più cospicuo.

Allo stesso modo nelle cose sacre non chiamiamo peccato ciò che si compie per non commettere un peccato più grave.

Che se si chiama danno anche ciò che si perde al fine di non perdere il di più, potrà anche quella perdita chiamarsi peccato, ma nessuno dubiti che lo si possa commettere per evitare il danno più grave, come nessuno dubita che occorre tollerare un danno minore al fine di evitarne uno maggiore.

19.40 - Verecondia, castità, verità

Per conseguire la santità dobbiamo esser forniti di queste tre doti: la verecondia del corpo, la castità del cuore, la verità della dottrina.

Quanto alla verecondia del corpo, nessuno può violarla senza il consenso e l'approvazione dell'anima.

Non è infatti impudicizia una cosa, qualunque sia, che ci raggiunga nel corpo per una violenza esterna senza che noi diamo alcun consenso, anzi restando contrari.

Riguardo a questo, possono esserci dei motivi per permettere la cosa ma nessuno per acconsentirvi.

Vi acconsentiamo quando approviamo il male e lo vogliamo; non lo vogliamo invece ma solo lo permettiamo quando lo facciamo per evitare una qualche sconcezza più grave.

Se al contrario si acconsente all'impudicizia del corpo, un tale atto viola anche la castità del cuore.

In effetti la castità del cuore consiste nella volontà rivolta al bene e nell'amore sincero, che non è violato se non quando amiamo e desideriamo ciò che la Verità ci insegna di non dover amare o desiderare.

Occorre dunque conservare la nitidezza della dilezione tanto verso Dio quanto verso il prossimo, poiché è con essa che viene consacrata la castità del cuore.

Con tutte le forze e con devote suppliche ci si deve impegnare affinché, quando fosse insidiata la pudicizia del nostro corpo, nessuna attrattiva venga a toccare i sensi dell'anima, nemmeno quelli che, essendo più all'esterno, sono collegati con la carne.

Se questo non sarà possibile, si conservi la castità del cuore negando il consenso [ a tali moti ].

Nella castità del cuore è poi importante conservare i requisiti dell'innocenza e della benevolenza, per quel che riguarda l'amore del prossimo, e la pietà per quanto riguarda l'amore di Dio.

L'innocenza sta nel non nuocere ad alcuno, la benevolenza si ha quando ci rendiamo utili a chi ci è possibile; la pietà consiste nell'onorare Dio.

Quanto alla verità della dottrina, della religione e della pietà, è questa che si viola quando si dicono menzogne, poiché la Verità in se stessa, la Verità somma e nascosta nell'anima che è all'origine della dottrina, non la si può in alcun modo violare.

Ad essa si potrà giungere e con lei rimanere ed a lei aderire soltanto allorché questo corpo corruttibile avrà rivestito l'incorruttibilità e questo corpo mortale avrà rivestito l'immortalità. ( 1 Cor 15,53 )

Ma siccome nella vita presente la pietà consiste totalmente in un esercizio con cui si mira ad acquistarla, a questo esercizio fa da guida la dottrina [ della fede ], che propone e inculca la stessa verità con parole umane e con segni concreti carichi di portata sacramentale.

A tal fine anche questa dottrina, che di per sé può essere falsata dalla menzogna, dev'essere con la massima cura conservata incorrotta; e se in tale castità del cuore si fosse violato qualcosa, si procuri in ogni modo di rimediarvi.

Se invece anche la dottrina venisse alterata nella sua autorevolezza, non potrebbe esserci più via né di andata né di ritorno per raggiungere la castità del cuore.

20.41 - La salvaguardia della verecondia non autorizza menzogne

Da tutto quello che è stato detto si ricaverebbe la conclusione che per conservare la verecondia corporale si possa tollerare la menzogna, almeno quella che non lede né la dottrina della fede, né la pietà, né la rettitudine, né la benevolenza.

Ma supponete che uno si proponga d'amare la verità, non solo quella che si vede nel contemplare ma anche quella che sta nel dire ciò che è vero in ogni circostanza.

Supponete anche che costui con la bocca del corpo ritenga di non dover proferire alcuna parola che non sia stata concepita e vagliata nel proprio animo, preferendo la bellezza genuina derivante dalla fede non solo all'oro, all'argento, alle pietre preziose, ai campi fioriti ma anche alla stessa vita temporale e a tutti i beni del corpo.

Non saprei dire come in questo caso ci possa essere chi ragionevolmente dica che ciò facendo egli è in errore.

E se egli preferisse quel bene a tutte quelle altre cose e lo valutasse più di loro, lo dovrebbe anche per giustizia preferire ai beni degli altri uomini, che con la sua innocenza e benevolenza deve aiutare a salvarsi.

Così amerebbe quella fede perfetta con cui non solo si crede integralmente a ciò che viene detto da autorità superiori e degne di fede, ma anche si proferisce con fedeltà quanto ciascuno giudica [ di dover dire ] e dice di fatto.

In latino infatti la fede è chiamata fides per il fatto che quanto si dice si fa ( = fit ).

Ora uno che mente è chiaro che non mostra una tal fede; e se questa fede viene lesa di meno quando uno mente perché gli si creda, senza che ci siano peraltro conseguenze moleste per se stesso o dannose per gli altri e si ha, inoltre, l'intenzione di proteggere la salute o la pudicizia del corpo; tuttavia essa è sempre violata, e la violazione avviene proprio là dove è da conservarsi la castità e la santità del cuore.

È dunque necessario anteporre la fede perfetta alla stessa pudicizia corporale; e a questa conclusione ci induce non l'opinione dell'uomo, che spesso è dominata dall'errore, ma la Verità stessa, che è assolutamente invincibile.

La castità del cuore consiste infatti nell'amore ben ordinato, che non fa porre i beni maggiori al di sotto dei beni minori.

Ora bene minore è tutto ciò che può essere violato nel corpo rispetto a ciò che può essere violato nell'anima.

E quando uno mente per salvaguardare la pudicizia del corpo, s'accorge certamente che solo la passione sregolata d'un estraneo, non la propria, minaccia di ledere il suo corpo, se egli la respinge per non partecipare alla colpa prestando il consenso.

Ebbene, questo consenso dove risiede se non nell'anima?

Anche la pudicizia corporale, quindi, non la si può deturpare se non all'interno dell'anima, poiché se l'anima non consente né dà il suo benestare, non si può propriamente parlare di violazione della pudicizia corporale, qualunque oltraggio a danno del corpo si commetta dalla libidine altrui.

Se ne deduce che la castità dell'anima deve essere rispettata con cura tanto maggiore [ che non quella del corpo ] poiché nell'anima si custodisce anche la pudicizia del corpo.

Concludendo: per quanto sta in noi, occorre che mettiamo al sicuro, con quelle mura e siepi che sono i buoni costumi e la condotta [ irreprensibile ], tutt'e due le cose, in modo che non vengano lese da agenti esterni.

E se tutt'e due non le si può garantire, chi non vede quale sia quella che occorre sacrificare all'altra?

Sappiamo infatti cosa è da valutarsi maggiormente, e cioè l'anima più del corpo, e non il corpo più dell'anima.

Come dunque non vedere che la castità del cuore è da anteporsi alla pudicizia del corpo, e non la pudicizia del corpo alla castità del cuore?

E riguardo al peccato, cosa si dovrà evitare con più cura: la tolleranza d'una colpa altrui o un'azione cattiva commessa da noi?

21.42 - Riassunto

Dall'insieme delle discussioni fatte risulta con estrema chiarezza che dalle testimonianze scritturali addotte non ci viene altro monito all'infuori di quello di non mentire mai e poi mai.

In realtà nella condotta dei santi e nelle loro opere non si trova alcun esempio di menzogna che debba essere imitato.

Questo dico a proposito dei libri che non consentono accezioni figurate o simboliche, ad esempio i racconti riportati negli Atti degli Apostoli.

Quanto invece ai fatti e ai detti del Signore narrati nel Vangelo, che ai meno colti sembrano menzogne, sono da prendersi in senso figurato.

E così le parole dell'Apostolo: Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare tutti. ( 1 Cor 9,22 )

È esatto interpretarle non nel senso che egli le abbia dette per mentire ma per adeguarsi ai deboli, mosso da tanta carità nel desiderio di liberarli come se egli stesso si trovasse in quel male di cui voleva fossero guariti gli altri.

Non si deve dunque mentire quando è in gioco la dottrina religiosa: ciò sarebbe un grave delitto.

È questa la prima specie di menzogne, ed è quanto mai detestabile.

Non si debbono proferire menzogne della seconda specie, perché non è lecito danneggiare nessuno.

Non si debbono proferire menzogne della terza specie, perché non si possono recare vantaggi a uno con danno di un altro.

Non si deve mentire con la quarta specie di menzogne, e cioè solleticati dalla voglia di mentire, cosa viziosa di per se stessa.

Non si deve mentire con la quinta specie di menzogne, poiché, se non è lecito dire la verità con il solo intento di incontrare il plauso della gente, quanto meno sarà lecito proferire la menzogna, quella menzogna che di per se stessa, appunto perché è menzogna, è cosa disonesta?

Non si deve nemmeno mentire con la sesta specie della menzogna; non è infatti cosa ben fatta distorcere la verità della testimonianza, anche se si trattasse di provvedere all'utilità e alla salute temporale di qualsiasi persona.

Quanto poi alla salute eterna, nessuno può esservi addotto con l'ausilio della menzogna.

Non è infatti possibile che uno si converta alla vita buona per la condotta riprovevole di chi lo porta a conversione, poiché se verso il proselito si potesse agir male, lo stesso convertito potrà poi fare lo stesso verso gli altri; e così egli non è convertito per compiere azioni buone ma cattive, dal momento che all'imitazione di lui, una volta convertito, si presenta quel falso che gli fu offerto perché si convertisse.

Non si deve mentire dicendo menzogne del settimo tipo.

Infatti né i vantaggi temporali né la stessa salute di alcuno possono preferirsi al progresso nella fede.

Che se anche ci fosse qualcuno che dalle nostre opere buone venisse spinto a un male così brutto da rovinarsi nell'anima e allontanarsi seriamente dalla [ vera ] religione, neanche per questo dovremmo cessare dal compiere il bene.

Dobbiamo anzi tenere ben saldi quei valori a cui siamo obbligati a chiamare e invitare coloro che amiamo come noi stessi.

E con animo altamente risoluto dobbiamo sorbire quella massima dell'Apostolo: Per alcuni siamo odore di vita per la vita, per altri siamo odore di morte per la morte: e chi mai è capace di questo? ( 2 Cor 2,16 )

Non si debbono nemmeno dire menzogne dell'ottavo tipo, poiché, se si tratta di beni, è superiore la castità del cuore alla pudicizia del corpo; se si tratta di mali, ciò che noi facciamo è più importante di ciò che subiamo.

In queste otto specie di menzogna, uno commette un peccato tanto più lieve quanto più si avvicina all'ottavo tipo, tanto più grave quanto più scende verso il primo.

Se poi qualcuno pensasse che esista una qualche specie di menzogna che non sia peccato, mentre si ritiene un onesto truffatore del prossimo, cadrebbe lui stesso in un bruttissimo inganno.

21.43 - La cecità dei paladini della menzogna

Ma c'è di più. Una cecità così assoluta ha invaso l'anima di alcuni uomini che a loro sembra roba da poco sostenere che certe menzogne non sono peccato, che anzi dicono che a volte è peccato non ricorrere alla menzogna.

Difendendo poi l'onestà della menzogna sono giunti a dire che lo stesso apostolo Paolo è ricorso a quella prima specie di menzogna, che fra tutte è la più esecrabile.

Si riferiscono alla lettera ai Galati, uno scritto che, come gli altri libri biblici, fu composto per l'insegnamento della fede e della vera pietà, e dicono che egli abbia mentito in quel passo dove, parlando di Pietro e Barnaba, dice: Vedendo che non si comportavano rettamente, conforme cioè alla verità del Vangelo. ( Gal 2,14 )

Essi vogliono scusare Pietro dall'errore e da quella distorsione di comportamento in cui era caduto; ma nel loro tentativo, spezzando e distruggendo l'autorità delle Scritture, sovvertono la stessa via della fede, nella quale è riposta la salvezza di tutti gli uomini.

E non s'accorgono che facendo così riversano sull'Apostolo non solo la colpa d'una menzogna ma anche quella dello spergiuro, e questo nell'insegnamento stesso della fede, cioè in una lettera in cui annunzia il Vangelo.

In essa infatti prima di giungere al fatto da noi ricordato dice: Riguardo a quello che vi scrivo, ecco, dinanzi a Dio io non mentisco. ( Gal 1,20 )

Con questo poniamo termine alla nostra dissertazione.

Nel valutare le varie cose che sono state dette e in qualsiasi elaborazione delle medesime, più di tutto il resto si abbia in mente, e nella preghiera, quanto è espresso dal medesimo Apostolo con le parole: Dio è fedele e non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche una via d'uscita perché voi possiate resistere. ( 1 Cor 10,13 )

Indice

1 Sopra, 5, 5-7