Ubi arcano

Indice

1 - Ricordo della benedizione "urbi et orbi" da Piazza S. Pietro

Fin dal primo momento in cui, per gli imperscrutabili disegni di Dio, Ci vedemmo elevati, sebbene indegni, a questa cattedra di verità e di carità, abbiamo vivamente desiderato di rivolgere la parola del cuore a voi tutti, Venerabili Fratelli, e a tutti i diletti vostri figli, dei quali voi avete il governo e la cura immediata.

A questo desiderio si ispirava la solenne benedizione che, urbi et orbi, dall'alto della Basilica Vaticana, appena eletti, impartimmo ad un'immensa moltitudine di popolo: benedizione che voi tutti, da tutte le parti del mondo, unendovi al Sacro Collegio Cardinalizio, accoglieste con manifestazione di grata letizia: il che fu per Noi, nell'accingerci ad assumere d'improvviso il gravissimo ufficio, il più soave conforto dopo quello che Ci proveniva dalla fiducia nell'aiuto divino.

Ora "la Nostra parola viene a voi" - os Nostrum patet ad vos ( 2 Cor 6,11 ) - nell'imminenza del giorno natalizio di Nostro Signore Gesù Cristo ed all'inizio del nuovo anno, e viene come strenna festiva ed augurale, che il Padre manda a tutti i suoi figli.

2 - I primi impegni come pastore e successore di S. Pietro

Molteplici ragioni ci impedirono finora di soddisfare prima il Nostro desiderio.

Fu dapprima la gara di filiale pietà, con la quale da tutte le parti del mondo, in innumerevoli lettere, Ci giungeva il saluto dei fratelli e dei figli, che davano il benvenuto e presentavano i loro primi devoti ossequi al nuovo Successore di S. Pietro.

Si aggiungeva poi subito la prima personale esperienza di quella che S. Paolo chiamava la instantia mea quotidiana, sollecitudo omnium Ecclesiarum. ( 2 Cor 11,28 )

E con le cure ordinarie vennero pure le straordinarie: quelle delle gravissime trattative, che trovammo già avviate e che dovemmo proseguire, riguardanti i Luoghi Santi e le condizioni di cristianità e chiese fra le più cospicue dell'orbe cattolico; convegni e trattative che toccavano le sorti di popoli e nazioni, dove, fedeli al ministero di conciliazione e di pace da Dio affidatoci, cercammo di far risonare la parola della carità insieme con quella della giustizia, e di procurare la dovuta considerazione a quei valori e a quegli interessi, che, per essere spirituali, non sono i meno grandi, né i meno importanti, anzi lo sono più e sopra tutti gli altri; le sofferenze inenarrabili di popoli lontani, falciati dalla fame e da ogni genere di calamità, per i quali, mentre Ci affrettavamo a inviare il maggior aiuto a Noi possibile nelle Nostre presenti angustie, invocavamo insieme l'aiuto del mondo intero: e infine le competizioni e le violenze scoppiate in seno allo stesso popolo diletto, dal quale avemmo i natali ed in mezzo al quale la mano di Dio collocò la Cattedra di Pietro: competizioni e violenze che parvero mettere in forse le stesse sorti del Nostro paese e che Noi non tralasciammo con ogni mezzo di sedare.

3 - Grandi eventi religiosi hanno allietato il cuore del Papa

Non mancarono tuttavia straordinari avvenimenti che Ci portarono nell'animo la nota più lieta: il XXVI Congresso Eucaristico internazionale e le solennità trecentenarie della Sacra Congregazione di Propaganda.

Furono quelle inesprimibili consolazioni e gioie spirituali, che mai avremmo immaginato potessero in tanta copia riversarsi sui primi inizi del Nostro Pontificato.

Vedemmo allora quasi tutti i Porporati del Sacro Collegio e potemmo anche intrattenerci a privati colloqui con centinaia di Vescovi accorsi da tutte le parti della terra, quanti, nelle condizioni ordinarie, appena avremmo veduto in parecchi anni; a migliaia vedemmo pure e paternamente benedicemmo larghe ed insigni rappresentanze dell'immensa famiglia che Iddio Ci ha affidata, proprio come dice la sacra parola apocalittica, ex omni tribu et lingua et popolo et natione. ( Ap 5,9 )

E con loro assistemmo a spettacoli veramente divini: vedemmo il divin Redentore sotto i veli eucaristici, quasi a riprendere il suo posto di Re degli uomini, delle città e dei popoli, venir portato in grandissimo e veramente regale trionfo di fede, di adorazione e di amore, nel centro di questa Nostra Roma, in un immenso corteo, nel quale popoli e nazioni di tutte le parti del mondo erano rappresentati.

Vedemmo lo Spirito di Dio ridiscendere nelle anime dei sacerdoti e dei fedeli e riaccender in esso lo spirito di preghiera e di apostolato come nella prima Pentecoste; e la fede vivace dei Romani di nuovo annunciarsi nell'universo mondo, con magnifica glorificazione di Dio ed edificazione delle anime.

Ed intanto la Vergine santa, Madre di Dio e Madre nostra benignissima, Maria, Essa che già amorevolmente Ci aveva sorriso dai santuari di Czestochowa e di Ostrabrana, dalla taumaturga grotta di Lourdes e dall'aerea cuspide della nostra Milano, nonché dal piissimo santuario di Rho, degnavasi anche gradire l'omaggio del Nostro amore e della Nostra devozione, allorquando, riparati i gravissimi danni dell'incendio, restituivamo al venerabile santuario di Loreto la devota effigie già prima presso di Noi preparata, da Noi benedetta ed incoronata.

Fu quello uno splendidissimo trionfo di Maria, cui parteciparono in nobile gara, da Roma a Loreto, dovunque passò la sacra icone, le popolazioni fedeli, accorrendo da tutte le vicinanze, con una spontanea e luminosa affermazione di profonda religiosità, nella quale rifulsero il tenero affetto alla SS.ma Vergine e il devoto attaccamento al Vicario di Gesù Cristo.

Per l'eloquenza di svariati avvenimenti, che Noi tramandiamo alla edificazione dei posteri, veniva sempre più chiarendosi alla Nostra mente quello che sembra rivendicare a sé le prime e più sollecite cure del Nostro apostolico ministero, e, per ciò stesso, quello che dovessimo dire con la prima solenne parola a voi rivolta.

4 - Dopo la tremenda guerra l'umanità non ha trovato la vera pace

Gli uomini, le classi sociali, i popoli, non hanno ancora ritrovato la vera pace dopo la tremenda guerra, e perciò ancora non godono di quell'operosa e feconda tranquillità nell'ordine che è il sospiro ed il bisogno di tutti: ecco la triste verità che da tutte le parti si presenta.

Riconoscere la realtà e la gravità di tanto male ed indagarne le cause è la prima cosa e più necessaria da farsi da chi, come Noi, voglia con frutto studiare ed applicare i mezzi per combattere il male stesso efficacemente.

E questo l'obbligo che la coscienza dell'apostolico ufficio Ci fa sentire imperioso e che Ci proponiamo di adempiere, sia ora con questa prima lettera enciclica, sia in appresso con tutta la sollecitudine del ministero pontificale.

Purtroppo continuano nel mondo le stesse tristissime condizioni che formarono la costante ed angosciosa cura di tutto il pontificato del venerato Nostro antecessore Benedetto XV, e perciò Noi, come è naturale, facciamo Nostri gli stessi pensieri e propositi suoi a questo riguardo.

Così possano essi divenire i pensieri ed i propositi di tutti, sì che, con l'aiuto di Dio e con la generosa cooperazione di tutti i buoni, se ne veggano presto copiosi i frutti nella riconciliazione degli animi.

Sembrano scritte pei giorni nostri le ispirate parole dei grandi Profeti: "Aspettammo la pace e non abbiamo il bene: ( Ger 8,15 ) l'ora della cura e del rimedio ai mali sofferti ed ecco nuovi timori e perturbazioni; ( Ger 14,19 ) aspettammo la luce ed eccoci ancora nelle tenebre; … aspettammo la giustizia e non è; la salute ed essa è ancora da noi lontana". ( Is 59,9-11 )

Si sono infatti deposte le armi fra i belligeranti di ieri, ma ecco nuovi orrori e nuovi timori di guerre nel vicino Oriente: condizioni terribilmente aggravate in una grandissima parte di quelle sterminate regioni, dalla fame, dalle epidemia, dalle devastazioni che mietono innumerevoli vittime, massime fra i vecchi, le donne ed i bambini innocenti.

Su tutto quanto, si può ben dire, l'immenso teatro della guerra mondiale le vecchie rivalità continuano, dissimulate nei maneggi della politica, mascherate nella fluttuazione della finanza, ostentate nella stampa, in giornali e periodici di ogni tipo, penetrando anche nei settori, naturalmente sereni e pacifici, degli studi, delle scienze e dell'arte.

5 - Gravi difficoltà incombono in tutte le nazioni

Quindi la vita pubblica ancora avvolta in una fosca nebbia di odi e di mutue offese, che non dà respiro ai popoli.

Che se più gravemente soffrono le nazioni vinte, non mancano guai gravissimi alle vincitrici; le minori si dolgono di essere sopraffatte o sfruttate dalle maggiori, le maggiori si adontano e si lagnano di trovarsi mal viste o insidiate dalle minori: tutte risentono i tristi effetti della passata guerra.

Né quelle stesse nazioni che andarono esenti dall'immane flagello ne scansarono i mali, né ancora vanno libere dal risentirne gli effetti, come e più li risentono le antiche belligeranti.

I danni del passato, tuttora persistenti, vanno sempre più aggravandosi per l'impossibilità di pronti rimedi, dopo che i ripetuti tentativi di statisti e politici, per curare i mali della società, a nulla hanno approdato, se pure non li hanno coi loro medesimi fallimenti aggravati.

Tanto più perciò si rincrudisce l'angoscia delle genti per la minaccia sempre più forte di nuove guerre, le quali non potrebbero essere che più spaventose e desolatrici delle passate, donde il vivere in una perpetua condizione di pace armata, che è quasi un assetto di guerra, il quale dissangua le finanze dei popoli, ne sciupa il fiore della gioventù e ne avvelena e intorbida le migliori fonti di vita fisica, intellettuale, religiosa e morale.

6 - Lotta di classe e disordine civile sono i malanni maggiori della società

Altro, anche più deplorevole male, si aggiunge alle inimicizie esterne dei popoli per le discordie interne, che minacciano la compagine degli Stati e della stessa civile società.

Primeggia la lotta di classe diventata ormai il morbo più inveterato e mortale della società, quasi verme roditore, che ne insidia tutte le forze vitali: lavoro, industria, arte, commercio, agricoltura, tutto ciò insomma che conferisce al benessere e alla prosperità pubblica e privata.

E la lotta appare sempre più irreconciliabile mentre si combatte tra gli uni insaziabilmente avidi di beni materiali, e gli altri degli stessi beni egoisticamente tenaci: nonché fra i soggetti e le classi dirigenti, per la comune brama di godere e di comandare.

Quindi le frequenti sospensioni del lavoro da una parte e dall'altra provocate; le rivoluzioni e sommosse, le reazioni e repressioni; il malcontento di tutti e il danno comune.

7 - Un'altra causa dei malanni sociali è la degenerazione dei partiti

Si aggiungano le lotte dei partiti, non sempre ingaggiate per una serena divergenza di opinioni circa il pubblico bene e per la sincera e disinteressata ricerca di esso, ma per bramosia di prevalere ed in servizio di particolari interessi a danno degli altri.

Onde il trascendere sovente alla congiura, all'insidia, alle depredazioni contro i cittadini e contro la stessa autorità e i suoi ministri; eccedere con minacce di pubblici moti o anche con aperte sommosse ed altri disordini, tanto più deplorabili e dannosi per un popolo chiamato a partecipare, in qualche maggior grado, alla vita pubblica ed al governo, come avviene nei moderni ordini rappresentativi, i quali, pur non essendo per sé in opposizione alla dottrina cattolica, sempre conciliabile con ogni forma ragionevole e giusta di regime, sono tuttavia i più esposti al sovvertimento delle fazioni.

8 - Il sovvertimento ha colpito anche il santuario della famiglia

Ed è ancor più doloroso notare come ormai il sovvertimento sia penetrato anche nel mite e pacifico santuario della famiglia, che forma il primo nucleo della società, dove i cattivi germi della disgregazione, già da tempo sparsi, sono stati più che mai fomentati nel tempo della guerra dall'allontanamento dei padri e dei figli dal tetto familiare e dalla tanto aumentata licenza di costumi.

Così vedonsi bene spesso i figli alienarsi dal padre, i fratelli inimicarsi coi fratelli, i padroni coi servi e i servi coi padroni: troppo spesso dimenticata la stessa santità del vincolo coniugale e dimenticati i doveri che esso impone davanti a Dio e davanti alla società.

9 - Irrequietezza e insicurezza dominano la società

E come del malessere generale di un organismo, o di una sua notevole parte, si risentono anche le parti minime, così anche agli individui si propagano i mali che affliggono la società e la famiglia.

Lamentiamo infatti il diffondersi di una irrequietezza morbosa in ogni età e condizione; il disprezzo dell'ubbidienza e l'intolleranza della fatica passare in costume; il pudore delle donne e delle fanciulle conculcato nella licenza del vestire, del conversare, delle danze invereconde, con l'insulto aperto all'altrui miseria, reso più provocante dall'ostentazione del lusso.

Di qui l'aumento delle file dei sovvertitori dei pubblici e privati ordinamenti.

Quindi non più fiduciosa sicurezza, ma trepida incertezza e sempre nuovi timori; non operosa laboriosità ma indolenza e disoccupazione; non più la serena tranquillità dell'ordine, nel che consiste la pace, ma dappertutto un irrequieto spirito di rivolta.

Ond'è che, illanguidite le industrie, diminuiti e ritardati i commerci, reso sempre più difficile il culto delle scienze, delle lettere e delle arti, e, ciò ch'è molto più grave, danneggiata la stessa civiltà cristiana, per inevitabile conseguenza, invece del tanto vantato progresso, si aggrava sempre più un regresso doloroso verso l'imbarbarimento della società.

10 - Come conseguenza della guerra mondiale una grave crisi della religione, del clero e delle missioni

A tutti i mali ricordati si debbono aggiungere e porre in cima quelli che sfuggono all'osservatore superficiale, all'uomo del senso, il quale, come dice l'Apostolo, non comprende ea quae sunt spiritus Dei, ( 1 Cor 2,14 ) ma che pur costituiscono quanto hanno di più grave e profondo le odierne piaghe sociali.

Vogliamo dire quei mali che trascendono la materia e la natura, toccando l'ordine più propriamente spirituale e religioso, cioè la vita soprannaturale delle anime; e sono mali tanto più deplorabili quanto più lo spirito sovrasta alla materia.

Infatti, oltre il rilassamento troppo diffuso dei cristiani doveri che abbiamo accennato.

Noi lamentiamo con voi, Venerabili Fratelli, che non siano tuttora restituite alla preghiera ed al culto non poche delle moltissime chiese cui la guerra trasferì ad usi profani; che restino ancora chiusi molti seminari, dove unicamente alla vita religiosa dei popoli si preparano e formano idonee guide e maestri; decimate quasi in tutti i paesi le file del clero, parte del quale o cadde vittima della guerra nell'esercizio del sacro ministero, o n'ebbe più o meno turbata la disciplina e lo spirito per le troppe violente e contrastanti condizioni di vita; ridotta in troppi luoghi al silenzio la predicazione della divina parola coi suoi necessari ed inestimabili benefici "per l'edificazione del corpo mistico di Cristo". ( Ef 4,12 )

I danni spirituali della terribile guerra si fecero sentire fino agli estremi confini del mondo e fin nelle più interne ed appartate regioni dei lontani continenti, perché anche i missionari dovettero abbandonare i campi delle loro apostoliche fatiche e purtroppo molti non poterono più tornarvi, interrompendo ed abbandonando magnifiche conquiste di elevazione morale e materiale, di religione e di civiltà.

Vero è che queste grandi disgrazie spirituali non furono senza qualche prezioso compenso, mentre più chiaramente apparve, smentendo vecchie calunnie, quanto alta e pura e generosa ardesse nei cuori consacrati a Dio la fiamma della carità di patria e la coscienza di tutti i doveri; mentre più larghi si profusero i benefici del sacro ministero sui campi cruenti dove la morte mieteva a migliaia le vittime; mentre moltissime anime, deposti, in presenza di mirabili esempi d'abnegazione, gli antichi pregiudizi, si riaccostarono al sacerdozio ed alla Chiesa.

Ma di questo andiamo unicamente debitori all'infinita bontà e sapienza di Dio, che anche dal male sa trarre il bene.

11 - Individuate le cause del malessere sociale che provengono soprattutto dall'intimo del cuore

Fin qui abbiamo esposto i mali che affliggono la società ai nostri giorni; è tempo ormai di ricercarne le cause con tutto lo studio che Ci sarà possibile, pure avendone già toccate alcune.

E fin dall'inizio, Venerabili Fratelli, Ci sembra di udire il divino consolatore e medico delle umane infermità ripetere le grandi parole: "Tutti questi mali provengono dall'intimo": Omnia haec mala ab intus procedunt. ( Mc 7,23 )

Fu bensì firmata la pace fra i belligeranti con tutte le esteriori solennità; ma questa restò scritta nei pubblici istrumenti, non fu già accolta nei cuori, che ancora nutrono il desiderio della lotta e minacciano sempre più gravemente la tranquillità del civile consorzio.

Troppo a lungo il diritto della violenza ebbe tra gli uomini l'impero, attutendo e quasi annientando i sensi naturali della misericordia e della compassione, che la legge della carità cristiana aveva sublimali; né la pace fittizia, fissata sulla carta, ha risvegliato ancora tali nobili sentimenti.

Di qui l'abito della violenza e dell'odio troppo lungamente intrattenuto e fattosi quasi natura in molti, anzi in troppi; di qui il facile sopravvento dei ciechi elementi inferiori, di quella legge delle membra, "repugnante alla legge dello spirito" ( Rm 7,23 ) che faceva gemere l'Apostolo Paolo.

Gli uomini non più fratelli agli uomini, come detta la legge cristiana, ma quasi stranieri e nemici; smarrito il senso della dignità personale e del valore della stessa umana persona nel brutale prevalere della forza e del numero; gli uni intesi a sfruttare gli altri per questo sol fine di meglio e più largamente godere dei beni di questa vita; tutti erranti, perché rivolti unicamente ai beni materiali e temporali, e dimentichi dei beni spirituali ed eterni al cui acquisto Gesù Redentore, mediante il perenne magistero della Chiesa, ci invita.

Ora, è nella natura stessa dei beni materiali che la loro disordinata ricerca diventi radice di ogni male e segnatamente di abbassamento morale e di discordie.

Infatti da una parte non possono quei beni, in se stessi vili e miti, appagare le nobili aspirazioni del cuore umano, che, creato da Dio e per Iddio, è necessariamente inquieto, finché in Dio non riposi.

Dall'altra parte ( al contrario dei beni dello spirito, che quanto più si comunicano tanto più arricchiscono senza mai diminuire ) i beni materiali quanto più si spartiscono fra molti, più scemano nei singoli, dovendosi di necessità sottrarre agli uni quello che agli altri è dato; onde non possono mai né contentare tutti egualmente, né appagare alcuno interamente, e con ciò diventano fonte di divisione ed insieme afflizione di spirito, come li sperimentò il sapiente Salomone: vanitas vanitatum ed afflictio spiritus. ( Qo 1,2.14 )

E ciò avviene nella società non meno che negli individui.

"Donde mai le guerre e contese tra voi? - domanda l'apostolo S. Giacomo - Non forse dalle vostre concupiscenze?". ( Gc 4,1.2 )

12 - Denunciato il nazionalismo smoderato che crea gravi mali tra i popoli

Così la cupidigia del godere, la concupiscentia carnis, si fa incentivo di lotta interna nella coscienza degli individui e nelle città; la cupidigia dell'avere, concupiscentia oculorum, diviene lotta di classe ed egoismo sociale; la cupidigia del comandare e del sovrastare, la superbia vitae, si converte in concorrenze e competizioni di partiti, in perpetua gara di ambizioni, fino all'aperta ribellione all'autorità, al delitto di lesa maestà, al parricidio stesso della patria.

Ed è questa esorbitanza di desideri, questa cupidigia di beni materiali, che diviene pure fonte di lotte e di rivalità internazionali, quando si presenta mascherata e quasi giustificata da più alte ragioni di Stato o di pubblico bene, dall'amore cioè di patria e di nazione.

Poiché anche questo amore, che è per sé incitamento di molte virtù ed anche di mirabili eroismi, quando sia regolato dalla legge cristiana, diviene occasione ed incentivo di gravi ingiustizie, quando, da giusto amor di patria, diventa smoderato nazionalismo; quando dimentica che tutti i popoli sono fratelli nella grande famiglia dell'umanità, che anche le altre nazioni hanno diritto a vivere e prosperare, che non è mai lecito né savio disgiungere l'utile dall'onesto, e che infine, "la giustizia è quella che solleva le nazioni, laddove il peccato fa miseri i popoli". ( Pr 14,34 )

Onde il vantaggio ottenuto in questo modo alla propria famiglia, città o nazione, può ben sembrare ( il pensiero è di S. Agostino )14 lieto e splendido successo, ma è fragile cosa e tale da ispirare i più paurosi timori di repentina rovina: vitrea fragiliter splendida, cui timeatur horribilius ne repente frangatur.

13 - L'allontanamento da Dio causa prima dei mali sociali

Senonché della mancata pace e dei mali che sono conseguenti dell'accennata mancanza, vi è una causa più alta insieme e più profonda; una causa che già prima della grande guerra era venuta largamente preparandosi; una causa alla quale l'immane calamità avrebbe dovuto essere rimedio, se tutti avessero capito l'alto linguaggio dei grandi avvenimenti.

Sta scritto nel libro di Dio: "quelli che abbandonarono il Signore andranno consunti"; ( Is 1,28 ) e non meno noto è ciò che Gesù Redentore, Maestro degli uomini, ha detto: "senza di me nulla potete fare"; ( Gv 15,5 ) ed ancora: "chi non raccoglie con me, disperde". ( Lc 11,23 )

Queste divine parole si sono avverate ed ancora vanno avverandosi sotto i nostri occhi.

Gli uomini si sono allontanati da Dio e da Gesù Cristo e per questo sono caduti al fondo di tanti mali; per questo stesso si logorano e si consumano in vani e sterili tentativi di porvi rimedio, senza neppure riuscire a raccogliere gli avanzi di tante rovine.

Si è voluto che fossero senza Dio e senza Gesù Cristo le leggi e i governi, derivando ogni autorità non da Dio, ma dagli uomini; e con ciò stesso venivano meno alle leggi, non soltanto le sole vere ed inevitabili sanzioni, ma anche gli stessi supremi criteri del giusto, che anche il filosofo pagano Cicerone intuiva potersi derivare soltanto dalla legge divina.

E veniva pure meno all'autorità ogni solida base, ogni vera ed indiscutibile ragione di supremazia e di comando da una parte, di soggezione e di ubbidienza dall'altra; e così la stessa compagine sociale, per logica necessità, doveva andarne scossa e compromessa, non rimanendole ormai alcun sicuro fulcro, ma tutto riducendosi a contrasti ed a prevalenze di numero e di interessi particolari.

14 - Dalla famiglia e dalla scuola senza Dio sono derivati il disordine e l'odio sociale che hanno portato alla guerra tra i popoli

Si volle che non più Dio, non più Gesù Cristo presiedesse al primo formarsi della famiglia, riducendo a solo contratto civile il matrimonio, del quale Gesù Cristo ha fatto un "Sacramento grande", ( Ef 5,32 ) con erigerlo a santo e santificante simbolo dell'indissolubile vincolo che a Lui stesso lega la sua Chiesa.

Ne rimane abbassata, oscurata e confusa nei popoli tutta quella elevatezza e santità di idee e di sentimenti, di cui la Chiesa aveva circondato fin dal suo primo formarsi questo germe della società civile, che è la famiglia: la gerarchia domestica, e con essa la pace domestica, andò sovvertita; sempre più minacciata e scossa la stabilità ed unità della famiglia; il santuario domestico sempre più frequentemente profanato da basse passioni e da micidiali egoismi, che tendono ad avvelenare ed inaridire le sorgenti stesse della vita, non soltanto della famiglia, ma anche dei popoli.

Non si volle più Dio, né Gesù Cristo, né la dottrina sua nella scuola, e la scuola, per triste ma ineluttabile necessità, divenne non soltanto laica e areligiosa, ma anche apertamente atea e antireligiosa, dovendo l'ignaro fanciullo presto persuadersi che nessuna importanza hanno per la vita Dio e la Religione, di cui mai sente parlare, se non forse con parole di vilipendio.

Così, ed anche solo per questo, la scuola cessava di guidare al bene, ossia di educare, privata di Dio e della sua legge, e della stessa possibilità di formare le coscienze e le volontà alla fuga del male, alla pratica del bene.

Così veniva pur meno ogni possibilità di preparare alla famiglia ed alla società elementi di ordine, di pace e di prosperità.

Spente così od oscurate le luci dello spiritualismo cristiano, l'invadente materialismo non fece che preparare il terreno alla vasta propaganda di anarchia e di odio sociale degli ultimi tempi: donde infine sfrenata, la guerra mondiale gettava nazioni e popoli gli uni contro gli altri, a sfogo di discordie e di odi lungamente covati, abituando gli uomini alla violenza ed al sangue, e col sangue suggellando gli odi e le discordie di prima.

15 - Prima cura: la pacificazione degli animi che porta alla vera pace

La constatazione però di tanti e così gravi mali, non deve toglierci, Venerabili Fratelli, la speranza e la cura di trovare i rimedi, tanto più che i mali stessi già ne dànno qualche indicazione e suggerimento.

Prima di ogni altra cosa, infatti, occorre ed urge pacificare gli animi.

Una pace ci bisogna che non sia soltanto nell'esteriorità di cortesie reciproche ma scenda nei cuori, ed i cuori riavvicini, rassereni e riapra a mutuo affetto di fraterna benevolenza.

Ma tale non è se non la pace di Cristo: et pax Christi exsultet in cordibus vestris; ( Col 3,15 ) né altra potrebbe essere la pace sua, la pace che Egli dà, ( Gv 14,27 ) mentre Dio, com'Egli è, intuisce i cuori ( 1 Re 16,7 ) e nei cuori ha il suo regno.

D'altra parte Gesù Cristo ha ben diritto di chiamare sua questa vera pace dei cuori.

Egli che primo disse agli uomini: "voi siete tutti fratelli" ( Mt 23,8 ) e loro promulgava, suggellandola nel suo Sangue, la legge di universale mutua dilezione e tolleranza: "questo è il mio comandamento che vi amiate a vicenda come io vi ho amati; ( Gv 15,12 ) sopportate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo". ( Gal 6,12 )

Ne consegue immediatamente, che la pace di Cristo dovrà bensì essere una pace giusta ( come il suo profeta l'annunzia: opus iustitiae pax),( Is 32,17 ) essendo Egli quel Dio che giudica la giustizia stessa; ( Sal 19,6 ) non potrà però constare soltanto di dura ed inflessibile giustizia, ma dovrà essere fatta dolce e soave da una almeno uguale misura di carità con effetto di sincera riconciliazione.

Tale è la pace che Gesù Cristo conquistava a noi ed al mondo intero e che l'Apostolo, con tanto energica espressione, in Gesù Cristo stesso impersona, dicendo: "Egli è la nostra pace": Ipse est pax nostra; perché, soddisfacendo alla divina giustizia, col supplizio della carne sua crocifissa, in se stesso uccideva ogni inimicizia, facendo la pace ( Ef 2,14 ) e riconciliando tutti e tutto in se stesso.

Così è che nell'opera redentrice di Cristo, che pure è opera di divina giustizia, l'Apostolo stesso non vede che una divina opera di riconciliazione e di carità: "Dio riconciliava a sé il mondo in Cristo" ( 2 Cor 5,19 ) ; "a tal segno Iddio ha amato il mondo, che ha dato il suo Figliuolo unigenito". ( Gv 3,16 )

L'Angelo delle Scuole ha trovato la formula ed il conio per l'oro di questa dottrina, dicendo che la pace, la vera pace, è cosa piuttosto di carità che di giustizia; perché alla giustizia spetta solo rimuovere gli impedimenti della pace: l'offesa e il danno; ma la pace stessa è atto proprio e specifico di carità.30

16 - Effetti morali e materiali della vera pace

Della pace di Cristo, cosa del cuore e tutta di carità, si può e si deve ripetere quello che l'Apostolo dice del regno di Dio, che appunto per la carità signoreggia nei cuori: non est regnum Dei esca et potus, ( Rm 14,17 ) cioè che la pace di Cristo "non si pasce di beni materiali e terreni", ma di spirituali e celesti.

Né potrebb'essere altrimenti, mentre è Gesù che ha rivelato al mondo i valori spirituali e rivendicato loro il dovuto apprezzamento.

Ha Egli detto: "Che cosa giova all'uomo guadagnare tutto il mondo, se poi danneggia l'anima sua? o che cosa darà l'uomo in cambio dell'anima sua?". ( Mt 16,26 )

Fu Egli che diede quella divina lezione di carattere: "Non temete coloro che uccidono il corpo, e non possono uccidere l'anima; ma bensì temete colui che può mandare in perdizione e l'anima e il corpo". ( Mt 28; Lc 12,14 )

Non che la pace di Cristo, la pace vera, debba rinunciare ai beni materiali e terreni: al contrario tutti le sono da Cristo stesso formalmente promessi: "Cercate prima il regno di Dio, … e tutto ciò vi sarà dato per di più". ( Mt 6,33; Lc 12,31 )

Ma essa sovrasta al senso e lo domina: Pax Dei exsuperat omnem sensum; ( Fil 4,7 ) ed appunto per questo domina le cieche cupidigie ed evita le divisioni, le lotte e le discordie alle quali l'ingordigia dei beni materiali necessariamente dà origine.

Frenata la cupidigia dei beni materiali, rimessi nell'onore che loro compete i valori dello spirito, alla pace di Cristo, per naturale felicissimo accordo, si accompagna, con la illibatezza e dignità della vita, l'elevazione dell'umana persona, nobilitata nel Sangue di Cristo, nella figliuolanza divina, nella santità e nel vincolo fraterno che ci unisce allo stesso Cristo, nella preghiera e nei Sacramenti, mezzi infallibilmente efficaci di elevazione e partecipazione divina, nell'aspirazione all'eterno possesso della gloria e beatitudine di Dio stesso, a tutti proposto come meta e premio.

17 - L'ordinamento della società secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo

Abbiamo visto e considerato che causa precipua dello scompiglio, delle inquietezze e dei pericoli che accompagnano la falsa pace è l'essere venuto meno l'impero della legge, il rispetto dell'autorità, dopo che era venuta meno all'una ed all'altra la stessa ragion d'essere, una volta negata la loro origine da Dio, creatore e ordinatore universale.

Orbene il rimedio è nella pace di Cristo, giacché pace di Cristo è pace di Dio, né questa può essere senza il rispetto dell'ordine, della legge e dell'autorità.

Nel Libro di Dio infatti sta scritto: "Conservate la pace nell'ordine", ( Sir 41,17 ) "gran pace avrà chi amerà la tua legge, o Signore"; ( Sal 118 ) "chi osserva il precetto si troverà in pace". ( Pr 13,13 )

E Gesù stesso più espressamente insegna: "rendete a Cesare quel ch'è di Cesare", ( Mt 22,21 ) e perfino in Pilato.

Egli riconosce l'autorità sociale che viene dall'alto, ( Gv 19,11 ) come aveva riconosciuta l'autorità finanche nei degeneri successori di Mosè, ( Mt 23,2 ) e riconosciuta in Maria e Giuseppe l'autorità domestica, loro soggettandosi per tanta parte della sua vita. ( Lc 2,51 )

E dagli apostoli suoi faceva proclamare quella solenne dottrina che, come insegna "doversi da tutti riverenza ed ossequio ad ogni potestà legittima", così proclama pure "potestà legittima non esserci se non da Dio". ( 1 Pt 2,13-18 )

Se si riflette che i pensieri e gli insegnamenti di Gesù Cristo, sui valori interni e spirituali, sulla dignità e santità della vita, sul dovere dell'ubbidienza, sull'ordinamento divino della società, sulla santità sacramentale del matrimonio e la conseguente santità vera e propria della famiglia; se si riflette, diciamo, che questi pensieri ed insegnamenti di Cristo ( insieme con tutto quel tesoro di verità da lui arrecato all'umanità ), furono da Lui stesso unicamente affidati alla sua Chiesa, con solenne promessa di indefettibile assistenza, affinché in tutti i secoli ed in tutte le genti ne fosse maestra infallibile, non si può non vedere quale e quanta parte può e deve avere la Chiesa Cattolica nel portare rimedio ai mali del mondo e nel condurre alla sincera pacificazione.

18 - Contributo fondamentale della Chiesa alla vita sociale

Appunto perché per divina istituzione è l'unica depositaria e interprete di quei pensieri e insegnamenti, solo la Chiesa possiede, vera ed inesauribile, la capacità di efficacemente combattere quel materialismo, che tante rovine ha già accumulate e tante altre ne minaccia alla società domestica e civile, e di introdurvi e mantenervi il vero e sano spiritualismo, lo spiritualismo cristiano, che di tanto supera in verità e praticità quello puramente filosofico, di quanto la rivelazione divina sovrasta alla pura ragione: la capacità ancora di farsi maestra e conciliatrice di sincera benevolenza, insegnando ed infondendo alle collettività ed alle moltitudini lo spirito di vera fraternità,45 e nobilitando il valore e la dignità individuale con l'elevarla fino a Dio.

La capacità, infine di correggere veramente ed efficacemente tutta la vita privata e pubblica, tutto e tutti assoggettando a Dio, che vede i cuori, alle sue ordinazioni, alle sue leggi, alle sue sanzioni; penetrando così nel santuario delle coscienze, tanto dei cittadini quanto di coloro che comandano, e formandole a tutti i doveri ed a tutte le responsabilità, anche nei pubblici ordinamenti della società civile, perché "sia tutto e in tutti Cristo". ( Col 3,11 )

Per questo, per essere cioè la Chiesa, ed essa sola, formatrice sicura e perfetta di coscienze, mercé gli insegnamenti e gli aiuti a lei sola da Gesù Cristo affidati, non soltanto essa può conferire nel presente alla pace tutto ciò che le manca per essere la vera pace di Cristo, ma può ancora, più di ogni altro fattore, contribuire ad assicurare questa pace anche per l'avvenire, allontanando il pericolo di nuove guerre.

Insegna infatti la Chiesa ( ed essa sola ha da Dio il mandato, e col mandato il diritto di autorevolmente insegnarlo ) che non soltanto gli atti umani privati e personali, ma anche i pubblici e collettivi devono conformarsi alla legge eterna di Dio; anzi assai più dei primi i secondi, come quelli sui quali incombono le responsabilità più gravi e terribili.

Quando governi e popoli seguiranno negli atti loro collettivi, sia all'interno sia nei rapporti internazionali, quelle norme di coscienza che gli insegnamenti, i precetti, gli esempi di Gesù Cristo propongono ed impongono ad ogni uomo; allora soltanto potranno fidarsi gli uni degli altri, ed aver anche fede nella pacifica risoluzione delle difficoltà e controversie che, per differenza di vedute e opposizione d'interessi, possono insorgere.

Qualche tentativo si è fatto e si fa in questo senso, ma con ben esigui risultati, massime nelle questioni più importanti, che più dividono ed accendono i popoli.

E non vi è istituto umano che possa dare alle nazioni un codice internazionale, rispondente alle condizioni moderne, quale ebbe, nell'età di mezzo, quella vera società di nazioni, che fu la cristianità; codice troppo spesso violato in pratica, ma che pur rimaneva come un richiamo e come una norma, secondo la quale giudicare gli atti delle nazioni.

Ma v'è un istituto divino, atto a custodire la santità del diritto delle genti; un istituto che appartiene a tutte le nazioni che a tutte è superiore, e di più dotato di massima autorità, e venerando per pienezza di magistero, la Chiesa di Cristo: la quale sola appare adatta a tanto ufficio, sia per mandato divino, sia per la sua medesima natura e costituzione, per le tradizioni sue e per il prestigio, che dalla stessa guerra mondiale usciva, non soltanto non diminuito, ma piuttosto di molto aumentato.

19 - Il Regno di Cristo porta alla vera pace e al vero bene dei popoli

Appare, da quanto siamo venuti considerando, che la vera pace, la pace di Cristo, non può esistere se non sono ammessi i princìpi, osservate le leggi, ubbiditi i precetti di Cristo nella vita pubblica e nella privata; sicché bene ordinata la società umana, vi possa la Chiesa esercitare il suo magistero, al quale appunto fu affidato l'insegnamento di quei precetti.

Ora tutto questo si esprime con una sola parola: "il regno di Cristo".

Poiché regna Gesù Cristo nella mente degli individui con la sua dottrina, nel cuore con la sua carità, nella vita di ciascuno con l'osservanza della sua legge e l'imitazione dei suoi esempi.

Regna Gesù Cristo nella famiglia quando, formatasi nella santità del vero e proprio Sacramento del matrimonio da Gesù Cristo istituito, conserva inviolato il carattere di santuario, dove l'autorità dei parenti si modella sulla paternità divina, dalla quale discende e si denomina: ( Ef 3,15 ) l'ubbidienza dei figli su quella del fanciullo Gesù in Nazareth; la vita tutta quanta s'ispira alla santità della Sacra Famiglia.

Regna finalmente Gesù Cristo nella società civile quando vi è riconosciuta e riverita la suprema ed universale sovranità di Dio, con la divina origine ed ordinazione dei poteri sociali, donde in alto la norma del comandare, in basso il dovere e la nobiltà dell'ubbidire.

Regna quando è riconosciuto alla Chiesa di Gesù Cristo il posto che Egli stesso le assegnava nella società umana, dandole forma e costituzione di società, e, in ragione del suo fine, perfetta, suprema nell'ordine suo; costituendola depositaria ed interprete del suo pensiero divino, e perciò stesso maestra e guida delle altre società tutte quante; non per menomare l'autorità loro, nel proprio ordine competente, ma per perfezionarle, come la grazia perfeziona la natura, e per farne valido aiuto agli uomini nel conseguimento del fine ultimo, ossia della eterna felicità, e con ciò renderle anche più benemerite e più sicure promotrici della stessa prosperità temporale.

  Indice

14 De Civitate Dei, lib. IV, cap. III
30 II-II, q. 29, a, 3, ad III
45 S. Agostino, De moribus Eccl. cath., I, 30