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Lettera 188

Scritta alla fine del 417 o all'inizio del 418.

Alipio e Agostino alla piissima vedova Giuliana, madre della vergine Demetriade; si congratulano che la figlia si sia consacrata a Cristo; esortano lei e i suoi familiari a rifiutare il veleno delle tesi pelagiane ( n. 1-3 ) propinato in un opuscolo indirizzato a Demetriade, del quale desiderano sapere l'autore ( n. 4-14 ).

Alipio e Agostino salutano nel Signore Giuliana, loro signora, degna d'essere onorate coi dovuti riguardi in Cristo e figlia meritatamente illustre

1.1 - Demetriade si è consacrata a Cristo

Con molto nostro piacere e gioia è avvenuto che la lettera della tua Reverenza ci trovasse tutti e due a Ippona in modo che rispondessimo anche insieme, mentre siamo lieti di sapervi in buona salute, facendovi sapere a nostra volta con reciproco affetto ch'è buona anche la nostra ( salute ), persuasi ch'essa vi stia a cuore, signora degna d'essere onorata con i dovuti riguardi in Cristo e figlia meritamente illustre.

Noi sappiamo che voi sapete benissimo quanto religioso affetto vi dobbiamo e quanto ci prendiamo cura di voi al cospetto non solo di Dio ma anche degli uomini.

Sebbene le nostre povere persone vi abbiano conosciute, la prima volta solo attraverso una lettera e in seguito anche attraverso la presenza fisica, quali persone pie e cattoliche, cioè quali veri membri di Cristo, tuttavia, avendo voi ricevuto per mezzo del nostro ministero la parola di Dio, l'accoglieste - come dice l'Apostolo - non come parola di uomini, ma come parola di Dio quale essa è veramente. ( 1 Ts 2,13 )

Con l'aiuto della grazia e della misericordia del Salvatore, dal nostro ministero è derivato nella vostra casa un frutto così prezioso che la buona e pia Demetriade, pur essendo già preparata alle nozze umane, ha preferito l'amplesso spirituale dello Sposo, ch'è il più bello tra i figli degli uomini, ( Sal 45,3 ) al quale si uniscono in matrimonio le vergini per acquistare più abbondante fecondità spirituale senza perdere l'integrità corporale.

Non avremmo saputo in qual modo quella nostra esortazione di allora fu accolta dalla fedele e nobile vergine, se non avessimo appreso dalla lietissima e verace testimonianza della vostra lettera che, avendo essa abbracciato la vita di perfezione nella continenza verginale poco dopo la nostra partenza, era derivato dall'opera nostra questo immenso dono di Dio, il quale pianta e innaffia per mezzo dei suoi servi, ma a far crescere è lui stesso. ( 1 Cor 3,5-7 )

1.2 - I vescovi devono denunciare gli errori contro la grazia

Così stando le cose, nessuno oserà chiamarci temerari se, a causa delle nostre piuttosto intime relazioni d'amicizia, ci preoccupiamo di ammonirvi a fuggire le opinioni contrarie alla grazia di Dio.

Sebbene infatti l'Apostolo ci comandi d'insistere nel predicare la parola di Dio a tempo e fuori tempo, ( 2 Tm 4,2 ) non vi annoveriamo però nel numero di coloro ai quali le nostre parole o i nostri scritti sembrano importuni quando vi esortiamo ad evitare tutto ciò ch'è estraneo alla retta dottrina.

Ecco perché avete accolto il nostro ammonimento con tanta gratitudine che nella lettera, alla quale rispondiamo con la presente, tu dici: " Quanto al fatto che la Reverenza vostra mi esorta a non prestare orecchio agli individui i quali con le loro perverse opinioni corrompono la veneranda fede, ringrazio assai per il pio ammonimento ".

1.3 - Il funesto errore di Pelagio

Tu poi soggiungi, dicendo: " Sappiano però le vostre Eccellenze che io e la mia piccola famiglia non abbiamo nulla in comune con tali individui; tutta la nostra famiglia è talmente attaccata alla fede cattolica, che non s'è mai sviata per seguire alcuna eresia e non è mai caduta, non dico in una delle sette, da cui difficilmente si può uscire senza restarne intossicati spiritualmente, ma neppure in quelle che sembrano contenere solo errori banali".

È proprio questo a spingerci maggiormente a parlarvi di coloro i quali si sforzano di corrompere perfino gli spiriti sani, poiché consideriamo la vostra casa una non trascurabile Chiesa di Cristo.

Ora non è certamente trascurabile l'errore di coloro i quali credono che noi abbiamo da noi stessi tutto ciò che è in noi di santità, di continenza, di pietà e di castità per il fatto che Dio ci avrebbe creati in modo che oltre a darci la conoscenza della rivelazione non ci concederebbe alcun altro aiuto per compiere con l'amarli i doveri che abbiamo appreso con l'impararli; la grazia e l'aiuto di Dio per vivere santamente e onestamente consisterebbero per essi solo nella natura umana e nell'insegnamento religioso.

Essi negano che siamo aiutati da Dio ad avere la buona volontà, in cui consiste il fatto stesso di vivere bene e lo stesso amore; dono di Dio, questo, tanto superiore a tutti gli altri che Dio stesso si chiama amore; ( 1 Gv 4,8.16 ) è solo con l'amore che noi adempiamo tutto ciò che mettiamo in pratica della legge e dei consigli di Dio, mentre essi affermano che a compiere ciò troviamo la forza sufficiente in noi stessi, nel nostro libero arbitrio.

Non vi sembri piccolo l'errore di volersi professare Cristiani rifiutandosi di ascoltare l'Apostolo di Cristo il quale, dopo aver affermato che l'amore di Dio è diffuso nei nostri cuori, perché non si pensasse che tale amore si possa avere solo mediante la nostra volontà, immediatamente soggiunge ch'esso ci è stato infuso per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato largito. ( Rm 5,5 )

Tu comprendi quanto sia grave ed esiziale l'errore di chi non ammette ancora che questa è una grande grazia del Salvatore il quale, salendo nelle sfere celesti, ha reso schiava la schiavitù ed ha elargito doni agli uomini. ( Ef 4,7-8; Sal 68,19 )

2.4 - Un libro di Pelagio indirizzato a Demetriade

Come potremmo dunque trascurare di mettere sull'avviso persone come voi, alle quali siamo debitori di tanto affetto, esortandovi a guardarvi da tali errori, dopo che abbiamo letto lo scritto indirizzato alla religiosa serva di Dio Demetriade, e di cui desideriamo anzi di conoscere nella vostra risposta chi ne è l'autore e se vi è pervenuto.

Una vergine di Cristo legga pure - se pure non è un sacrilegio - affermazioni che la persuadano a considerare come prodotto di meriti personali la propria santità verginale e tutti i suoi beni spirituali in modo da diventare - Dio ne scampi - ingrata verso Dio, prima d'essere giunta alla piena felicità.

Ecco infatti le parole rivolte a lei nel medesimo scritto: " Tu hai dunque anche per questo un pregio per cui giustamente sei posta al di sopra degli altri, o meglio maggiormente per questo.

Perché la nobiltà della nascita e l'opulenza saranno considerate appartenere ai tuoi familiari anziché a te stessa, mentre i tuoi beni spirituali non potrà darteli nessun altro all'infuori di te stessa.

Per questi dunque tu meriti d'essere lodata, per questi devi esser posta al di sopra degli altri, poiché essi non possono venirti che da te stessa ".1

2.5 - Dono della grazia fare il bene

Tu vedi bene qual grave pericolo sia da evitare in queste parole.

Ottima e verissima è l'espressione: " Questi beni non possono essere che in te ", è dottrina davvero benefica, ma quando poi soggiunge e dice: " derivanti solo da te ", questa è una teoria senz'altro venefica.

Non ascolti assolutamente mai volentieri siffatti errori una vergine consacrata a Cristo, la quale con i suoi sentimenti di pietà comprende quanto è povero di beni il cuore dell'uomo e perciò non sa farsi bella se non di quelli provenienti dalla bontà del suo sposo.

Ascolti dunque piuttosto l'Apostolo che dice: Vi ho fidanzati a un unico sposo per presentarvi come una vergine casta a Cristo.

Temo però che allo stesso modo che il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così le vostre menti si lascino corrompere ( allontanandosi ) dalla purezza nei riguardi di Cristo. ( 2 Cor 11,2-3 )

Essa quindi riguardo ai beni spirituali non ascolti cotesto individuo che afferma: " Non te li può dare nessun altro all'infuori di te stessa ", e: " non possono che derivare da te ed essere se non in te ", ma ascolti al contrario l'Apostolo che dice: Portiamo questo tesoro in recipienti d'argilla affinché si comprenda che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. ( 2 Cor 4,7 )

2.6 - La stessa castità è dono di Dio

Quanto alla stessa santa continenza verginale, che a lei non deriva dalle proprie forze, ma è un dono di Dio concesso a chi ha fede e lo desidera, ascolti il medesimo veritiero Maestro della fede, il quale, a proposito di questa virtù, dice: Vorrei che tutti fossero come me; ognuno però ha il proprio dono da Dio, chi in un modo e chi in un altro. ( 1 Cor 7,7 )

Ascolti anche lo sposo non solo suo, ma l'unico sposo di tutta la Chiesa, il quale a proposito della castità e integrità, di cui parliamo, afferma: Non tutti comprendono ciò, ma solo coloro ai quali è stato concesso, ( Mt 19,11 ) per comprendere che per il fatto di avere un dono tanto eccellente e prezioso ha il dovere di ringraziare Dio nostro Signore anziché ascoltare le parole, non diciamo d'un adulatore che abbaglia, per non sembrare di voler giudicare temerariamente dei sentimenti nascosti in fondo al cuore, ma certo d'un incensatore che sbaglia.

In realtà ogni grazia eccellente, ogni dono perfetto - come dice anche l'apostolo Giacomo - viene dall'alto e discende dal Padre della luce. ( Gc 1,17 )

Dalla stessa sorgente deriva dunque anche il dono della verginità, a causa del quale tu sei ben contenta d'essere sorpassata dalla tua figliuola; essa è posteriore a te per la nascita, ma superiore per la condotta; procede da te per la generazione carnale, ma ti precede per la generazione spirituale; ti segue per l'età, ma ti precede per la santità; per merito suo è cominciato ad essere anche tuo il bene che non è potuto essere in te stessa.

Essa infatti ha rinunciato alle nozze carnali per arricchirsi di tesori spirituali non solo per se stessa, ma anche per te, meglio di quanto avresti potuto tu stessa.

Tu infatti, sotto questo aspetto, sei inferiore ad essa per esserti sposata al fine di darle l'esistenza.

Questi sono doni di Dio e anche vostri, ma non provengono da voi. ( Ef 2,8 )

Voi in realtà portate questo tesoro in corpi mortali e ancora fragili come in recipienti d'argilla affinché si riconosca che una virtù così eccellente è dono di Dio e non proviene da voi. ( 2 Cor 4,7 )

Non stupitevi se affermiamo che tali doni sono anche vostri ma non derivano da voi, poiché diciamo nostro il pane quotidiano, ma tuttavia aggiungiamo: Dallo a noi, ( Lc 11,3 ) affinché non si creda che provenga " da noi ".

2.7 - La volontà dev'essere aiutata dalla grazia

Perciò - come sta scritto - pregate continuamente e ringraziate Dio riguardo ad ogni cosa: ( 1 Ts 5,17-18 ) voi infatti pregate per ottenere, perseverare e progredire nel bene, mentre ringraziate in quanto non lo avete da voi.

Chi mai in realtà vi separa dalla massa di morte e di perdizione originata da Adamo? ( Rm 9,21 )

Non è forse Colui il quale è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto? ( Lc 19,10; Mt 18,11 )

Oppure, quando sentiremo dire dall'Apostolo: Chi ti separa? risponderemo forse: " La mia buona volontà, la mia fede, la mia giustizia "?

Come se lo stesso Apostolo non soggiungesse immediatamente nello stesso passo: Che cosa mai possiedi senza averlo ricevuto?

Se dunque lo hai ricevuto, perché mai te ne vanti, come se non lo avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7.9-11 )

Quando perciò una vergine consacrata a Dio ascolta o legge: " Nessuno all'infuori di te stessa potrà darti i beni spirituali; per essi tu meriti d'esser lodata, per essi meriti d'essere anteposta agli altri, poiché quelli non possono derivarti che da te stessa ", non vogliamo affatto che si vanti come se non li avesse ricevuti.

Dovrà dire invece: Ho presenti, o mio Dio, le promesse che ti ho fatte d'offrirti sacrifici di lode e le adempirò. ( Sal 56,12 )

Ma poiché i beni spirituali sono in essa senza che provengano da essa, la vergine si ricordi altresì di ripetere: O Signore, per la tua bontà hai voluto concedermi tale virtù. ( Sal 30,8 )

In realtà, sebbene tali beni derivino anche da essa a causa del libero arbitrio personale, senza il quale non è possibile compiere il bene, tuttavia non è vero che "derivino esclusivamente da essa", come ha detto costui, dal momento che, se il libero arbitrio personale non viene aiutato dalla grazia di Dio, nell'uomo non può esistere neppure la buona volontà.

È Dio infatti - dice l'Apostolo - colui che opera in voi il volere e l'agire secondo il suo beneplacito, ( Fil 2,13 ) e non solo rivelandoci la dottrina ( morale ) per farci conoscere i nostri doveri, ma ispirandoci anche l'amore, affinché compiamo anche spinti dall'amore i doveri appresi mediante lo studio della rivelazione.

2.8 - Definizione della grazia

Qual gran dono fosse la continenza lo sapeva certo bene colui che diceva: Sapevo che nessuno può essere casto, se Dio non glielo concede. ( Sap 8,21-22 )

Non solo dunque sapeva quanto grande sia tale dono e con quanto ardore debba bramarsi, ma sapeva pure che non si può averlo se Dio non lo concede.

Glielo aveva insegnato la sapienza, poiché soggiunge: ed era già per se stesso un dono della sapienza sapere da chi viene tale dono.

Non s'accontentò tuttavia solo di saperlo, ma egli stesso dice: Mi rivolsi al Signore e lo pregai che me lo concedesse. ( Sap 8,21-22 )

Dio quindi non ci aiuta solo a farci conoscere quel che dobbiamo fare, ma anche a farci compiere con amore i doveri che già conosciamo per esserci stati insegnati.

Nessuno pertanto può avere non soltanto la conoscenza ma anche la continenza, se Dio non glielo concede.

Ecco perché il Savio, pur avendo già la conoscenza, chiedeva a Dio di avere anche la continenza, per avere anche ciò che sapeva non provenire da lui; e anche se per il libero arbitrio personale proveniva in piccola parte anche da lui, non derivava però esclusivamente da lui, poiché nessuno può essere casto, se Dio non glielo concede.

Costui, al contrario, parlando dei beni spirituali, tra i quali risplende d'incomparabile bellezza la virtù della continenza, non dice: " Possono essere in te anche per merito tuo ", ma: " non possono provenire se non da te e sono tuo patrimonio esclusivo ", per far credere che, come non li possiede se non in se stessa, così non possono provenire se non da lei stessa, e perciò ( Dio misericordioso ( Sal 103,8 ) allontani dalla sua mente un tale pensiero! ) si vanti come se non li avesse ricevuti. ( 1 Cor 4,7 )

3.9 - Gloria della vergine consacrata, Dio stesso

Noi però, da parte nostra, conoscendo, l'obbedienza religiosa e l'umiltà cristiana della vergine consacrata a Dio, nella quale essa è stata allevata ed educata, crediamo che nel leggere tali espressioni - se pure le ha lette - sarà scoppiata in gemiti, si sarà battuta umilmente il petto e forse avrà pure pianto ed avrà pregato con fede il Signore ( al quale s'è consacrata e dal quale ha ricevuto la grazia di consacrarglisi ) che, allo stesso modo che quelle non sono espressioni di lei ma di un altro, così la propria fede non sia mai simile a quella e non abbia mai a credere d'avere qualcosa ( 1 Cor 1,31 ) di cui possa vantarsi come di cosa propria e non come cosa da riferirsi al Signore.

In realtà i motivi di vantarsi risiedono nell'intimo della sua anima e non già nelle parole altrui, secondo l'affermazione dell'Apostolo che dice: Esamini ciascuno le proprie azioni e allora avrà ( motivo di ) vanto non già nei riguardi degli altri, ma solo di se stesso. ( Gal 6,4 )

Comunque, Dio non voglia mai che il motivo di vantarsi sia la propria persona e non Colui, al quale viene detto: Il mio vanto sei tu, o Signore, tu che elevi la mia fronte! ( Sal 3,4 )

Infatti il vantarsi solo in se stessa è per lei fonte di salvezza allorché Dio, ch'è in lei, è lui stesso la ragione del suo vanto, dal momento che da lui riceve tutti i beni, grazie ai quali essa è buona, ed avrà tutti i beni che la renderanno migliore - per quanto potrà esserlo in questa vita - e con tali beni arriverà anche alla perfezione, allorché sarà perfetta non in virtù delle lodi umane, ma della grazia divina.

In realtà la sua anima si vanterà nel Signore, ( Sal 34,3 ) se questi avrà arricchito di beni la sua buona volontà, ( Sal 103,5 ) perché anche questa a sua volta è stata ispirata da lui, affinché la vergine a lui consacrata non si vanti d'alcun bene come se non l'avesse ricevuto. ( 1 Cor 4,7 )

3.10 - Peccato contro la Trinità non riconoscere i doni di Dio

Sarà dunque meglio che nella tua risposta tu ci faccia sapere se c'inganniamo riguardo a tali suoi sentimenti, poiché conosciamo assai bene come voi e tutti i vostri congiunti siete rimasti sempre adoratori fedeli dell'indivisibile Trinità.

Ma non solo su questo punto, cioè d'aver opinioni diverse riguardo all'indivisibile Trinità, si sono propagati di soppiatto errori umani, poiché ci sono molti altri errori funestissimi, come quello di cui abbiamo trattato nella presente lettera più a lungo forse di quanto bastasse a persone come voi, così pie e scrupolose della purezza in materia di fede.

A chi mai, d'altra parte, si fa oltraggio se non a Dio e per conseguenza alla Trinità, quando si afferma che non è dono di Dio il bene che viene da lui?

Il Signore tenga assolutamente lontana da voi una simile disgrazia come crediamo sia lontana attualmente; non sia mai che codesto scritto, di cui abbiamo citato solo alcune delle espressioni più facili a capirsi, insinui sentimenti così pericolosi nell'animo non dico tuo o della tua figliola consacrata a Dio, ma neppure dell'infimo dei vostri domestici o domestiche.

3.11 - Ambiguo linguaggio di Pelagio sulla grazia

Se esaminerete più attentamente le espressioni di quello scritto, vi accorgerete che, anche quando sembra parlare in difesa della grazia o dell'aiuto di Dio, le sue sono espressioni talmente ambigue che possono riferirsi o alla natura o all'insegnamento della rivelazione o alla remissione dei peccati.

Quando, per esempio, costoro sono costretti ad ammettere che dobbiamo pregare per non cadere in tentazione, ( Mt 26,41; Mc 14,38; Lc 22,46 ) possono intenderlo in modo da rispondere che per ottenere quello scopo noi siamo aiutati solo in quanto a chi di noi prega e bussa viene agevolata la conoscenza della verità ( Mt 7,7-8; Lc 11,9-10 ) affinché possiamo conoscere i nostri doveri e non già affinché la nostra volontà riceva le forze per mettere in pratica ciò che abbiamo conosciuto.

Così quando affermano ch'è una grazia o aiuto divino l'esempio di ben vivere propostoci da nostro Signore Gesù Cristo, lo fanno rientrare nell'ambito del medesimo insegnamento, in quanto cioè attraverso il suo esempio noi impariamo come dobbiamo vivere, ma non ammettono che siamo aiutati a poter compiere anche con amore ciò che sappiamo per esserci stato insegnato.

3.12 - La grazia è un aiuto non dovuto di Dio

In quello scritto trovate - se vi riuscite - almeno un solo passo in cui, tranne la natura e il libero arbitrio della volontà, appartenente anch'esso alla natura, tranne il perdono dei peccati e l'insegnamento delle verità religiose, sia ammesso l'aiuto di Dio come lo ammette il Savio, il quale dice: Poiché sapevo che nessuno può essere casto, se Dio non glielo concede, e che era già di per se stesso segno di sapienza sapere da chi viene tale dono, mi rivolsi al Signore e glielo chiesi con suppliche. ( Sap 8,21 )

Ora, il Savio non pregava per ottenere la natura in cui era stato già creato né si dava pensiero d'avere l'arbitrio naturale della volontà con cui era stato altresì già creato, né desiderava tanto il perdono dei peccati quanto piuttosto la castità per non peccare; né voleva sapere che cosa dovesse fare, dal momento che confessava di sapere già da chi viene tale dono.

Egli voleva, al contrario, ricevere dallo Spirito della sapienza tanta forza di volontà, tanto ardore di carità, quanto era necessario per praticare la gran virtù della continenza.

Se dunque in quello scritto riuscirete a trovare qualcosa di simile, ve ne saremo sommamente grati se ce lo farete gentilmente sapere con una vostra risposta.

3.13 - Il libro a Demetriade non parla della vera grazia

Non ci sono parole sufficienti per esprimere quanto bramiamo di trovare negli scritti di quegli individui i quali per acutezza d'ingegno ed eloquenza si fanno leggere da tante persone, una chiara affermazione della grazia, tanto energicamente messa in risalto dall'Apostolo. ( Rm 12,3 )

Egli afferma che la fede è largita a ciascuno da Dio nella misura che a lui piace; senza di essa è impossibile piacere a Dio; ( Eb 11,6 ) di essa vive il giusto; ( Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38; Eb 2,4 ) è essa che spinge ad agire per mezzo della carità; ( Gal 5,6 ) prima di essa e senza di essa assolutamente nessun'opera di alcun uomo può considerarsi buona, poiché: Tutto ciò che non viene dalla fede, è peccato. ( Rm 14,23 )

Bramiamo inoltre di trovare affermato che l'aiuto che Dio ci concede per vivere nella bontà e nella giustizia ( Rm 12,3 ) non consiste unicamente nella rivelazione della scienza, la quale, se è priva della carità, non fa che renderci orgogliosi, ( 1 Cor 8,1 ) ma anche nell'infusione della stessa carità, la quale è compimento della Legge, ( Rm 13,10 ) ed edifica il nostro cuore affinché la scienza non ci riempia di orgoglio.

Finora purtroppo noi non abbiamo potuto trovare nulla di simile in nessun passo dei loro scritti.

3.14 - Chi è l'autore di quel libro?

Tali affermazioni soprattutto vorremmo trovare in quello scritto dal quale abbiamo riferito le parole del brano citato, in cui l'autore loda la vergine consacrata a Cristo come se avesse potuto ricevere esclusivamente da se stessa e da nessun altro i beni spirituali e perciò vuole che se ne vanti non riferendoli al Signore, ( 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17; Ger 9,23-24 ) ma come di beni personali, come se non li avesse ricevuti. ( 1 Cor 4,7 )

Sebbene in quello scritto l'autore non abbia chiaramente indicato né il proprio né il tuo nome, ricorda tuttavia che a scrivere alla vergine fu pregato dalla madre di lei. Il medesimo Pelagio però in una sua lettera, nella quale indica apertamente il proprio nome senza tacere quello della vergine, afferma d'averle indirizzato uno scritto e adducendo la testimonianza della medesima sua opera si sforza di provare ch'egli ammette senz'alcuna esitazione la grazia di Dio che gli si rimprovera di tacere o di negare.

Vi preghiamo d'essere tanto cortesi da informarci con una vostra risposta se questo scritto sia il medesimo in cui egli scrisse quelle espressioni sui beni spirituali o se è giunto nelle mani della Santità vostra.

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1 Pelag., Lib. ad Demetr. 11