La perfezione della giustizia dell'uomo

Indice

6.12 - La dodicesima contestazione: la volontà umana non ha il potere di volgersi al bene?

Scrive costui: Si deve chiedere ancora perché mai l'uomo non possa essere senza peccato: se ciò dipenda dalla volontà o dalla natura.

Se dalla natura, il peccato non c'è; se dalla volontà, è facilissimo con la volontà cambiare la volontà.

Noi rispondiamo ammonendo che si deve riflettere quanto sia grande cotesta presunzione che fa dire che non solo la volontà può cambiare la volontà - e non si deve certamente negare che lo possa con l'aiuto della grazia di Dio -, ma anche che "la volontà può facilissimamente cambiare la volontà", mentre l'Apostolo dice: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 )

Non dice infatti: Queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non volete quello che potete fare, ma dice: Sicché voi non fate quello che vorreste.

Dunque la concupiscenza della carne, la quale è certamente colpevole e viziosa, non è altro che quel desiderio di peccato che il medesimo Apostolo comanda di non far regnare nel nostro corpo mortale, ( Rm 6,12 ) dando così ad intendere sufficientemente che è tuttavia presente nel nostro corpo mortale il peccato a cui non si deve permettere di regnare.

Perché mai dunque cotesta concupiscenza non è stata cambiata da quella volontà espressa dall'Apostolo con sufficiente evidenza nelle parole: Sicché voi non fate quello che vorreste, se è facile con la volontà cambiare la volontà?

Ed in questa maniera non è certamente che noi accusiamo la natura o dell'anima o del corpo, la quale è stata creata da Dio ed è tutta buona, ma diciamo che essa, dopo esser stata viziata dalla propria volontà, non può esser sanata se non dalla grazia di Dio;

6.13 - La tredicesima contestazione: perché l'inevitabile dovrebbe essere una colpa per l'uomo?

Scrive costui: Si deve chiedere ancora di chi sia la colpa che l'uomo non possa essere senza peccato: se dell'uomo stesso o di qualsiasi altro.

Se dell'uomo stesso, come può aver colpa di non essere quello che non può essere?

Noi rispondiamo che in tanto è colpa dell'uomo di non esser senza peccato in quanto è dipeso solo dalla volontà dell'uomo che egli arrivasse a tale necessità da non poter essere superata dalla sola volontà dell'uomo.

6.14 - La quattordicesima contestazione: come può essere buona la natura umana, se non le è possibile evitare il male?

Scrive costui: Si deve chiedere ancora, ammesso che la natura dell'uomo sia buona, ciò che nessuno all'infuori di Marcione o di Manicheo oserà negare, come dunque sia buona la natura dell'uomo, se non le è possibile esser immune dal male.

Chi potrebbe infatti dubitare che ogni peccato sia un male?

Noi rispondiamo che la natura dell'uomo è buona e che essa può esser immune dal male.

È per questo appunto che gridiamo: Liberaci dal male. ( Mt 6,13 )

Ciò non si avvera perfettamente finché un corpo corruttibile appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 )

Ma la grazia ottiene per mezzo della fede che un giorno si possa dire: Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,55-56 )

Perché la legge con le sue proibizioni accresce il desiderio del peccato, se lo Spirito non diffonde la carità, la quale sarà piena e perfetta quando vedremo Dio faccia a faccia. ( 1 Cor 13,12 )

La quindicesima contestazione: con quale giustizia

6.15 - Dio imputerebbe all'uomo quello che l'uomo non può evitare?

Scrive costui: Si deve dire anche questo: Dio è certamente giusto e non lo si può davvero negare.

Ma Dio imputa all'uomo qualsiasi peccato.

E anche questo, credo, si deve riconoscere, perché non è nemmeno peccato ciò che non sarà imputato a peccato.

Ora, concessa l'esistenza di qualche peccato che non si possa evitare, com'è possibile dire giusto Dio, se si crede che imputi a chiunque ciò che non si può evitare?

Noi rispondiamo che già nei tempi antichi si è gridato contro i superbi: Beato l'uomo a cui il Signore non imputa il peccato. ( Sal 32,2 )

Non lo imputa infatti a coloro che gli dicono sinceramente: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )

E giustamente non lo imputa, perché è giusta la regola: Con la misura con la quale misurate sarete misurati. ( Mt 7,2 )

Ora, il peccato si ha o quando non c'è la carità che ci dev'essere o quando la carità è inferiore a quella che dev'essere, sia che ciò si possa evitare dalla volontà, sia che non si possa evitare.

Se si può, il peccato è della volontà presente; se invece non si può, il peccato è stato della volontà passata, e tuttavia tale peccato si può sempre evitare, non quando si aizza una superba volontà, ma quando si aiuta un'umile volontà.

7.16 - La sedicesima contestazione: se non posso, come sono colpevole?

Dopo queste proposizioni colui che le ha scritte s'introduce in prima persona come se discutesse con un altro, si fa interrogare e si fa dire dal finto interrogante: Potresti darmi un uomo senza peccato?

Risponde costui: Ti do chi lo potrebbe essere.

A sua volta l'interrogante gli chiede: Chi è? Egli risponde: Tu stesso.

E prosegue: Se tu dici: Io non posso esser senza peccato, bisogna che tu risponda di chi è la colpa?

Se dici: È mia, ti chiedo: E com'è tua, se tu non puoi esser senza peccato?

Si fa interrogare di nuovo e si fa dire dall'interrogante: Tu che dici l'uomo capace di esser senza peccato, sei tu stesso senza peccato?

Risponde: Che io non sia senza peccato di chi è la colpa?

Se mi si dirà: È tua la colpa, si deve rispondere: Com'è mia, se non posso essere senza peccato?

Noi rispondiamo che nei riguardi di questo dialogo immaginario non ci dev'essere nessun conflitto con costoro, perché l'interessato di turno non ha osato dire che l'uomo, o qualcun altro e lui stesso, è senza peccato, ma ha risposto semplicemente che può esser senza peccato: ciò che nemmeno noi neghiamo.

Ma quando lo possa essere e per mezzo di chi: questa è la questione.

Se infatti lo è già attualmente, allora non è più vero che ogni anima fedele posta nel corpo di questa morte deve pregare dicendo: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) dopo che nel santo battesimo sono già stati rimessi tutti i peccati passati.

Ora, chiunque tenta di convincere che le membra fedeli del Cristo non hanno da pregare in questo modo non fa altro che confessare da sé di non esser cristiano.

Quanto poi al secondo punto della questione, se da se stesso l'uomo può esser senza peccato, allora il Cristo è morto invano. ( Gal 2,21 )

Invece il Cristo non è morto invano.

L'uomo dunque, nemmeno quando lo vuole, può esser senza peccato se non è aiutato dalla grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 )

Il perfetto compimento dell'assenza del peccato si va già preparando adesso in coloro che progrediscono e sarà pieno sotto ogni aspetto, quando la nemica morte sarà stata ingoiata ( 1 Cor 15,54 ) e quando la carità che adesso si nutre di fede e di speranza sarà perfetta per la visione e il possesso.

8.17 - Il precetto di essere senza peccato equivale per l'uomo al precetto di giungere alla vita eterna, dove solamente sarà senza peccato

Prende poi a dimostrare la sua tesi con testimonianze divine.

Vediamo più attentamente come proceda.

Scrive: Testimonianze con le quali si prova che è stato comandato all'uomo d'esser senza peccato.

A questo noi rispondiamo: La questione non è se sia stato comandato, ciò che è molto chiaro, ma se quello stesso che risulta comandato si possa adempiere nel corpo di questa morte, ( Rm 7,24 ) dove la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne, ( Gal 5,17 ) sicché non facciamo ciò che vorremmo.

E dal corpo di questa morte non è che ciascuno si liberi finendo questa vita, ma si libera chi in questa vita ha ricevuto la grazia e ha fatto di tutto con le buone opere per non riceverla invano.

Altra cosa è infatti uscire da questo corpo, al che costringe tutti gli uomini l'ultimo giorno di questa vita; altra cosa è invece liberarsi dal corpo di questa morte, ( Rm 7,24 ) il che solo la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore ( Rm 7,25 ) concede ai suoi santi e fedeli.

Dopo questa vita si rende poi la ricompensa che fa perfetti, ma si rende solamente a coloro dai quali in questa vita si acquista il merito della medesima ricompensa.

Infatti non sarà dato di giungere alla sazietà della giustizia a chiunque sarà partito da quaggiù, ma soltanto a chi, quand'era quaggiù, ha corso verso di essa soffrendone fame e sete.

Beati, appunto, quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. ( Mt 5,6 )

8.18 - L'ideale della nostra giustizia terrena

Finché dunque, esuli e lontani dal Signore, cammineremo in stato di fede e non ancora di visione, ( 2 Cor 5,6-7 ) per cui è scritto: Il giusto vivrà per la sua fede,1 la nostra giustizia durante lo stesso esilio consiste in questo: che alla perfezione e pienezza della giustizia, dove nella visione dello splendore di Dio sarà ormai piena e perfetta la carità, noi presentemente tendiamo con la dirittura e la perfezione dello stesso correre, cioè castigando il nostro corpo e costringendolo a servire, ( 1 Cor 9,27 ) facendo lietamente e cordialmente le opere di misericordia, sia nel prodigare benefici, sia nel perdonare i peccati commessi contro di noi, e attendendo incessantemente alle orazioni, ( Rm 12,12; Col 4,2 ) e compiendo tutto questo nella sana dottrina, ( 1 Tm 1,10; 2 Tm 4,3; Tt 2,1 ) sulla quale si basa l'edificio della fede retta, della speranza ferma, della carità pura.

Questa è per adesso la nostra giustizia con la quale corriamo affamati e assetati verso la perfezione e la pienezza della giustizia per esserne poi saziati.

Per questo il Signore, dopo che ebbe detto nel Vangelo: Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati, ( Mt 6,1 ) perché la nostra corsa non avesse per sua misura la gloria umana, nell'esporre le stesse opere buone non sottolineò se non queste tre soltanto: digiuno, elemosine, orazioni, significando con il digiuno tutta in genere la mortificazione del corpo, con le elemosine ogni benevolenza e ogni beneficenza o nel donare o nel perdonare, e insinuando con l'orazione tutte le regole per realizzare il desiderio della santità.

Ecco alcune considerazioni da fare.

Nella mortificazione del corpo si frena la concupiscenza che in quella perfezione di giustizia, dove non esisterà più assolutamente nessun peccato, non si dovrà frenare, ma dovrà sparire e sparirà del tutto: ebbene anche nell'uso di cose permesse e lecite la concupiscenza mostra spesso la sua smoderatezza.

Difetti si commettono perfino nella vera beneficenza con la quale il giusto si prende cura del prossimo.

Accade in essa di compiere certe azioni che recano nocumento invece del giovamento che si pensava, e talvolta subentra nella beneficenza la noia che appanna la gioia amata da Dio in chi dona. ( 2 Cor 9,7 )

Ciò avviene per nostra debolezza o quando quello che si prodiga di bontà e di fatica non basta alle necessità degli altri o quando produce in loro poco progresso.

La noia poi subentra in ciascuno tanto di più quanto meno egli ha progredito e subentra tanto di meno quanto più egli ha progredito.

Per queste e simili considerazioni noi doverosamente diciamo nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )

Purché facciamo quello che diciamo: cioè giungiamo ad amare anche gli stessi nostri nemici; o se a tanto non arriva chi è ancora piccolo nel Cristo, tuttavia al suo nemico che si pente del peccato che ha commesso contro di lui e ne chiede perdono glielo conceda dall'intimo del cuore, se vuole che il Padre celeste esaudisca la sua orazione.

8.19 - La nostra meta è oltre la vita presente

Nell'orazione domenicale, se non vogliamo essere puntigliosi, ci è stato offerto abbastanza chiaramente uno specchio dove vedere la vita dei giusti che vivono di fede2 e corrono in modo perfetto, sebbene non siano senza peccato.

La ragione per cui dicono: Rimetti a noi ( Mt 6,12 ) è che non sono ancora giunti alla meta verso la quale si corre.

È per la stessa ragione che l'Apostolo dice: Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione.

Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so che, dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù nel Cristo Gesù.

Quanti dunque siamo perfetti dobbiamo aver questi sentimenti. ( Fil 3,12-15 )

Cioè quanti corriamo santamente dobbiamo avere la saggezza di considerarci ancora imperfetti, per diventare perfetti là dove santamente stiamo correndo ancora, e quando arriverà ciò che è perfetto sia distrutto quanto è parziale, ( 1 Cor 13,10 ) cioè non ci sia più la perfezione parziale, ma quella totale, perché alla fede e alla speranza succederà la stessa realtà, non più creduta e sperata, ma veduta e posseduta.

La carità poi che è più grande delle altre due ( 1 Cor 13,13 ) non sarà abolita, ma aumentata e completata, avendo allora raggiunta la contemplazione di quanto credeva e il possesso di quanto sperava.

In quella pienezza di carità verrà a soddisfarsi il famoso comandamento: Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. ( Dt 6,5; Mt 22,37 )

Fin quando infatti rimane qualche traccia di concupiscenza carnale, pur frenata dalla continenza, non si ama Dio con tutta l'anima in modo assoluto.

La carne infatti non può desiderare senza l'anima, mentre si suole dire della carne che desidera, perché l'anima desidera carnalmente.

Il giusto sarà libero assolutamente da ogni peccato soltanto quando nelle sue membra non ci sarà più nessuna legge in lotta con la legge del suo spirito, ( Rm 7,23 ) ma amerà Dio davvero con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente: e questo è il primo e sommo comandamento. ( Mt 22,37-38 )

Perché dunque non dovrebbe esser comandata all'uomo cotesta perfezione, sebbene nessuno l'abbia in questa vita?

Non si corre come si deve se s'ignora dove si deve correre.

Ma come si saprebbe se a indicarlo non ci fossero dei comandamenti?

Cerchiamo dunque di correre così da giungere alla meta.

Tutti infatti quelli che corrono come si deve arriveranno.

Non accade quello che accade nelle gare sportive: Tutti corrono, ma uno solo conquista il premio. ( 1 Cor 9,24 )

Dobbiamo correre credendo, sperando, desiderando, mortificando il corpo, facendo elemosine gioiosamente e cordialmente nel donare i beni nostri e nel perdonare i mali altrui, pregando che siano aiutate le forze di coloro che corrono.

E dobbiamo ascoltare i precetti della perfezione così da non trascurare di correre verso la pienezza della carità.

9.20 - Testimonianze bibliche sul dovere dell'uomo di vivere senza peccato

Ciò premesso, ascoltiamo con attenzione le testimonianze che lo scrittore al quale stiamo rispondendo ha messo nel suo libro, come se fossero state tirate fuori da noi.

Nel Deuteronomio si legge: Tu sarai irreprensibile verso il Signore tuo Dio. ( Dt 18,13 )

Ugualmente nello stesso libro: Non ci dovrà essere nessun uomo imperfetto tra i figli d'Israele. ( Dt 23,17 )

Parimente il Salvatore nel Vangelo: Siate perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste. ( Mt 5,48 )

Altrettanto l'Apostolo nella seconda lettera ai Corinzi: Per il resto, fratelli, siate lieti, tendete alla perfezione. ( 2 Cor 13,11 )

Ai Colossesi lo stesso: Ammoniamo e istruiamo ogni uomo con ogni sapienza per rendere ciascuno perfetto nel Cristo. ( Col 1,28 )

Allo stesso modo ai Filippesi: Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati. ( Fil 2, 14.15 )

Parimente agli Efesini: Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, nel Cristo.

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto. ( Ef 1,4 )

Ancora ai Colossesi: E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici alla sua mente, intenti alle opere cattive che facevate, ora egli ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili [ al suo cospetto ]. ( Col 1,21 )

 Agli Efesini ancora: Al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. ( Ef 5,27 )

Lo stesso nella prima ai Corinzi: Siate sobri e giusti e non peccate. ( 1 Cor 15,34 )

In una lettera di S. Pietro si ha altrettanto: Perciò, dopo aver preparato la vostra mente all'azione, siate vigilanti, fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data.

Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri d'un tempo, quando eravate nell'ignoranza, ma ad immagine del Santo che vi ha chiamati diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: Voi sarete santi, perché io sono santo. ( 1 Pt 1,13-16 )

Nello stesso senso dice anche il beato Davide: Signore, chi abiterà nella tua tenda?

Chi dimorerà sul tuo santo monte? Colui che cammina senza colpa e agisce con giustizia. ( Sal 15,1-2 )

E altrove dice: Integro sono stato con lui. ( Sal 18,24 )

E in un altro passo: Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. ( Sal 119,1 )

Ugualmente presso Salomone: Il Signore ama i cuori puri, si compiace di chi ha una condotta integra. ( Pr 22,11 )

Di queste testimonianze alcune esortano coloro che stanno correndo a correre in modo perfetto, altre ricordano la meta stessa alla quale devono tendere nel loro correre.

Che cammina senza colpa si dice non irragionevolmente anche di chi, pur senza essere ancora perfetto, corre in modo irreprensibile verso la perfezione stessa, libero da crimini gravemente condannabili e attento a mondare i suoi stessi peccati veniali con opere di misericordia.

Il nostro incedere, cioè il cammino con il quale tendiamo alla perfezione, lo monda una monda orazione.

Monda poi è l'orazione nella quale si dice con sincerità: Rimetti a noi come noi rimettiamo. ( Mt 6,12 )

Quando non c'è più nulla da condannare, perché non è più nulla imputato, allora è giudicata irreprensibile, ossia senza colpa, la nostra corsa verso la perfezione.

In quella perfezione, quando ci saremo arrivati, non ci sarà più assolutamente nessuna colpa da mondare con il perdono.

10.21 - Dobbiamo chiedere il dono della facilità

Adopera poi costui alcune testimonianze per dimostrare che i comandamenti di Dio non sono difficili.

Ma chi non sa che, essendo la carità il comandamento generale - perché il fine del precetto è la carità ( 1 Tm 1,5 ) e il pieno compimento della legge è la carità ( Rm 13,10 ) -, non è gravoso ciò che si fa per amore e non per timore?

Durano fatica nei comandamenti di Dio certamente coloro che si sforzano d'osservarli per timore, ma la carità perfetta scaccia invece il timore ( 1 Gv 4,18 ) e rende il fardello leggero del comandamento non solo non opprimente per il carico dei pesi, ma anche sollevante a guisa di ali.

Per avere poi la carità, anche soltanto quanta se ne può avere nel corpo di questa morte, è troppo poco l'arbitrio della nostra volontà, se non l'aiuta la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 )

Si riversa appunto la carità nei nostri cuori, e ciò va ripetuto spesso, non da noi stessi, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )

Né per altro fine la Scrittura ricorda che non sono difficili i comandamenti divini se non perché l'anima che li trova gravosi capisca di non aver ancora ricevuto le forze per le quali i comandamenti del Signore diventino esattamente come sono raccomandati, cioè leggeri e soavi, e perché egli preghi con il gemito della volontà così da impetrare il dono della facilità.

Chi infatti prega in questi modi: Sia il mio cuore integro, e: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non prevalga il male, ( Sal 119,80.133 ) e: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, e: Non c'indurre in tentazione ( Mt 6, 10.13 ) e in altri modi simili che sarebbe troppo lungo enumerare, quello che chiede è precisamente questo: di osservare i comandamenti di Dio.

Che essi siano osservati né si prescriverebbe, se per la loro osservanza non avesse nulla da fare la nostra volontà, né si pregherebbe, se ad osservarli bastasse da sola la nostra volontà.

Si raccomandano dunque come non pesanti, perché la persona che li sente pesanti si renda conto di non aver ancora accolto il dono per cui non sono pesanti e perché non pensi che li sta osservando perfettamente, quando si comporta così che le siano pesanti.

Dio ama infatti chi dona con gioia. ( 2 Cor 9,7 )

Tuttavia chi li sente gravosi non si abbatta per disperazione, ma si butti con forza a cercare, a chiedere, a bussare. ( Lc 11,9 )

10.22 - La Scrittura attesta che i comandamenti di Dio non sono gravosi

Ascoltiamo dunque, anche in altre testimonianze riferite da costui, Dio nell'atto di raccomandare i suoi comandamenti come non gravosi.

Scrive l'autore: I comandamenti di Dio non soltanto non sono impossibili, ma nemmeno difficili.

Nel Deuteronomio si legge: "Il Signore tuo Dio tornerà a godere nel ricolmarti di beni, come gioiva per i tuoi padri, quando ascolterete la voce del Signore vostro Dio, osservando e facendo tutti i suoi comandi, leggi e norme, scritti in questo libro della legge; quando ti sarai convertito al Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima.

Perché questo comando che oggi ti ordino, non è difficile né lontano da te.

Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?

Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?

Anzi questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca, nel tuo cuore, nelle tue mani, perché tu la metta in pratica". ( Dt 30,9-14 )

Anche nel Vangelo il Signore dice: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime.

Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero". ( Mt 11,28-30 )

Ugualmente in una lettera di S. Giovanni: "In questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti, e i suoi comandamenti non sono gravosi". ( 1 Gv 5,3 )

Udite queste testimonianze della Legge, del Vangelo e dell'Apostolo, dobbiamo sentirci crescere nell'edificio della grazia, che non capiscono quanti, ignorando la giustizia di Dio e cercando di far valere la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )

Se infatti non comprendono la testimonianza del Deuteronomio nel senso in cui l'ha ricordata l'apostolo Paolo che con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza, ( Rm 10,10 ) perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati, ( Mt 9,12 ) certamente da cotesta testimonianza dell'apostolo Giovanni che costui ha messa per ultima in appoggio alla propria sentenza e che dice: In questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti, e i suoi comandamenti non sono gravosi ( 1 Gv 5,3 ), costoro si devono sentir avvisati che all'amore di Dio non è grave il comando di Dio, all'amore che non si riversa nei nostri cuori se non per mezzo dello Spirito Santo ( Rm 5,5 ) e non per l'arbitrio della volontà umana.

Costoro, attribuendo a questo arbitrio più del conveniente, dimostrano d'ignorare la giustizia di Dio.

Tuttavia tale amore sarà perfetto solamente quando sarà scomparso ogni timore incusso dal castigo.

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