Teologia dei Padri

Indice

Gli Angeli

1. - La creazione degli angeli e della loro natura

Dio stesso è il creatore degli angeli.

Li creò dal nulla e produsse a sua immagine la loro sostanza incorporea, come uno spirito o un fuoco immateriale, secondo quanto afferma il divino Davide: il quale fa gli angeli suoi venti e i suoi ministri fuoco fiammeggiante ( Sal 104,4 ).

In tal modo egli descrive la loro leggerezza, il loro ardore, il fervore, la trasparenza e l'energia con la quale desiderano e servono Dio, indicando altresì com'essi tendano verso l'alto e siano del tutto privi di intelligenza materiale.

L'angelo, perciò, è una sostanza intelligente, in movimento continuo nonché fornita di libero arbitrio, incorporea, al servizio di Dio, provvista d'immortalità per dono divino.

Soltanto il Creatore conosce il suo aspetto e la sua definizione.

Tuttavia, quando si afferma che gli angeli sono privi di corpo e di materia, lo si deve intendere in relazione alla nostra corporeità e alla nostra materialità.

Altrimenti, infatti, qualsiasi cosa venga paragonata con Dio, il quale è il solo a non poter essere paragonato con nessuno, risulta essere ben grezza e materiale.

Soltanto la natura divina, infatti, è realmente priva di materia e di corpo.

La natura dell'angelo, pertanto, è razionale, intelligente, libera, variabile nell'opinione ovvero mutevole nella volontà.

Tutto ciò che è stato creato, infatti, subisce necessariamente mutamento; soltanto ciò che è increato, invece, è libero da qualsivoglia modificazione.

E ancora, tutto ciò che è razionale, è fornito di libero arbitrio.

La natura dell'angelo dunque, razionale e intelligente com'è, è dotata anch'essa di libero arbitrio.

Essendo creata, d'altronde, è altresì mutevole e in essa risiede la possibilità, libera qual è, di perseverare nel bene, progredendo in esso, ovvero di rivolgersi verso il male.

Così pure l'angelo, essendo senza corpo, non può in alcun modo pentirsi.

É per la debolezza del corpo, infatti, che l'uomo è soggetto al pentimento.

L'angelo è immortale non per natura, ma per grazia di Dio.

Qualunque sia stata la sua origine, infatti, di per sé avrà anche una fine.

Soltanto Dio esiste sempre; anzi, più di sempre.

Chi ha creato il tempo, infatti, non vi soggiace, ma sta al di sopra di esso.

Gli angeli sono seconde luci spirituali; essi ricevono splendore dalla luce primaria e senza principio.

Non hanno bisogno di lingua né di orecchie, ma comunicano gli uni con gli altri i loro pensieri e le loro decisioni senza proferire parola.

Tutti gli angeli sono stati creati dal Verbo e resi perfetti dalla santificazione dello Spirito Santo affinché, ciascuno secondo la sua dignità e il suo ordine, fossero partecipi dello splendore e della grazia.

Essi sono circoscritti.

Quando si trovano in cielo, infatti, non stanno sulla terra; né, d'altronde, quando sono inviati da Dio sulla terra, rimangono in cielo.

Ciò nondimeno, non sono condizionati né da mura né da porte né da sbarre né da sigilli: non sono limitati, insomma, da alcun termine definito.

Tuttavia, quando gli angeli appaiono a quelle anime degne alle quali Dio volle mostrarli, non si rendono visibili come sono in realtà, bensì mutati in un aspetto diverso, conformemente alle capacità di coloro che vedono.

Propriamente, infatti, soltanto ciò che è increato non è, per sua natura, limitato da alcun confine.

Ogni creatura è rinchiusa dal Creatore fra i suoi limiti.

Gli angeli, inoltre, non hanno la santità da se stessi, ma la ricevono dallo Spirito Santo.

Per grazia straordinaria di Dio, predicono gli avvenimenti futuri.

Immortali come sono, poi, non hanno bisogno di sposarsi.

Essendo spiriti, gli angeli appartengono ad una dimensione spirituale, non essendo circoscritti fisicamente: infatti, essi non sono costituiti di un corpo né hanno la triplice dimensione, ma sono presenti e operano spiritualmente ovunque si rechino; d'altronde, non possono trovarsi e operare contemporaneamente in un luogo e in un altro.

Non sappiamo con esattezza se gli angeli siano eguali o diversi fra loro; soltanto Dio, il loro creatore, conoscendo a fondo tutte le cose, lo sa.

Differiscono, in ogni caso, di splendore e di rango: sia che abbiano la loro condizione a seconda dello splendore di cui sono dotati, sia che, viceversa, partecipino dello splendore conformemente alla qualità della loro condizione.

Si illuminano reciprocamente, secondo l'ordine e la natura di ciascuno di essi: quelli che sono superiori, ovviamente, effondono sugli inferiori luce e sapienza.

Validi e solleciti nel compiere la volontà di Dio, sono talmente veloci da trovarsi immediatamente dove la volontà di Dio li ha assegnati.

Alcuni custodiscono le varie parti della terra, presiedono a nazioni e regioni secondo l'ordine del sommo Creatore, governano le nostre cose e ci recano aiuto.

Anche se, dalla volontà e dal comando di Dio, gli angeli sono stati posti al di sopra di noi, essi stanno sempre attorno a Dio.

Sono restii al male, ma non assolutamente impeccabili.

Se essi attualmente non tendono in alcun modo verso di quello, ciò non dipende dalla loro natura, ma dalla grazia e da quella fedeltà con la quale aderiscono all'unico bene.

Guardando Dio, per quanto ad essi è possibile, in lui trovano il loro nutrimento.

Gli angeli sono superiori a noi, in quanto incorporei e immuni dalle passioni fisiche.

Tuttavia, essi non sono del tutto liberi da ogni genere di passione, poiché ciò è proprio soltanto di Dio.

Si trasformano in qualunque cosa voglia il Signore Iddio e in tal modo si mostrano agli uomini e aprono loro i divini misteri.

Soggiornano in cielo e hanno quest'unico ufficio: lodare Dio e compiere la sua divina volontà.

Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 2,3

2. - Immagini di Dio

Gli spiriti celesti godono di una più alta partecipazione al dono tearchico che non le cose che semplicemente esistono o gli esseri irrazionali o quelli che ragionano alla nostra medesima maniera.

Poiché essi modellano se stessi in modo intelligibile onde imitare Dio e cercano di rassomigliare, in maniera sovrannaturale, alla Tearchia, sforzandosi di conformare la loro intelligenza a questa rassomiglianza, più profondi, naturalmente, sono i loro contatti con la Tearchia: essi, infatti, vivono in comunione con essa e, per quanto è loro consentito, tendono verso l'alto, sospinti dall'amore divino e indefettibile, ricevendo le illuminazioni primordiali in un modo immateriale e senza mescolanza veruna; sono, anzi, ordinati a queste illuminazioni e la loro vita intera non è che intellezione.

Tali sono gli spiriti celesti, prima d'ogni altra cosa e in molte maniere partecipi del divino e rivelatori del segreto tearchico.

Per questo, di preferenza a tutti gli altri, sono stati giudicati degni di essere chiamati « angeli »: è anzitutto ad essi, infatti, che perviene l'illuminazione tearchica ed è attraverso di essi che vengono trasmesse fino a noi le rivelazioni che ci trascendono.

Così dunque, come testimonia la parola di Dio ( Gal 3,19 ), la Legge ci fu concessa per la mediazione degli angeli e, prima della Legge come ai tempi della Legge, furono proprio gli angeli ad ammaestrare i nostri gloriosi padri, sia insegnando loro ciò che essi dovevano fare e stornandoli dall'errore e dalla via empia per aprire loro la via dritta che conduce alla verità; sia rivelando loro, in qualità di interpreti, i santi comandi o le segrete visioni dei misteri sovramondani o talune profezie divine.

Pseudo-Dionigi Areopagita, La gerarchia celeste, 4,2

3. - Il numero degli angeli

Ciò, io credo, merita intelligente riflessione: la tradizione dei Detti, parlando degli angeli, afferma ch'essi sono mille migliaia e diecimila miriadi ( Dn 7,10 ), elevando così al quadrato e moltiplicando per se stessi i numeri più alti di cui noi ci serviamo.

In tal modo essa ci rivela chiaramente che innumerevoli sono per noi le schiere nelle quali si raggruppano gli esseri celesti.

Molti, infatti, sono i beati eserciti degli spiriti sovramondani; essi sorpassano l'ordine debole e limitato dei numeri materiali in uso presso di noi e vengono conosciuti e definiti solo attraverso quella scienza sovramondana e celeste a loro riservata e ch'essi hanno avuto l'immensa felicità di ricevere dalla Tearchia: sapere infinito da cui proviene ogni saggezza, principio sovrasostanziale e causa produttrice d'ogni essere, potenza che tutto comprende e definizione che raggruppa la totalità degli esseri.

Pseudo-Dionigi Areopagita, La gerarchia celeste, 14

4. - I tre ordini degli esseri celesti

Quale sia il numero e quale la natura delle formazioni entro le quali si dividono le essenze sovracelesti e quale sia il modo nel quale le loro gerarchie ricevono l'iniziazione perfettiva, io dichiaro che lo sa esattamente soltanto il loro divino Principe iniziatore e aggiungo che esse stesse conoscono i poteri e le illuminazioni che appartengono loro in proprio, così come il loro buon ordine, santo e sovramondano.

A noi è infatti impossibile conoscere alcunché intorno ai misteri concernenti gli spiriti sovracelesti e le loro santissime realizzazioni, a meno che non si intenda parlare di ciò che la Tearchia ci ha misteriosamente comunicato attraverso il loro tramite.

Così dunque, da parte nostra, noi non affermeremo nulla di nostra propria iniziativa, ma esporremo, per quanto ne saremo capaci, tutto ciò che, degli spettacoli angelici, hanno contemplato i santi, porta-parola di Dio, avendolo peraltro appreso noi stessi nel corso della nostra iniziazione.

La rivelazione designa le essenze celesti nella loro totalità per mezzo di nove nomi rivelatori.

Il nostro iniziatore divino li divide in tre ordini ternari: egli afferma che il primo di questi è quello che dimora sempre presso Dio e del quale la tradizione riferisce ch'esso è immediatamente unito a lui, prima degli altri e senza intermediari.

In effetti, che i tre santi troni e queste corti dagli occhi e dalle ali molteplici chiamate in ebraico cherubini e serafini, siedano immediatamente attorno a Dio in una vicinanza maggiore di tutte le altre, è proprio ciò che, secondo lui, ha trasmesso la rivelazione degli agiografi.

Il nostro illustre precettore dichiara, poi, che nessun altro è più deiforme né più immediatamente vicino alle illuminazioni primordiali della Tearchia di questa formazione ternaria che costituisce un'unica gerarchia, omogenea nel rango e realmente prima.

La seconda, dice lui, è quella che si compone delle potenze, delle dominazioni e delle virtù.

La terza, invece, comprendente le ultime gerarchie celesti, è la classe costituita dagli angeli, dagli arcangeli e dai principati.

Accogliendo, per quanto ci riguarda, un simile ordinamento delle sante gerarchie, noi sosteniamo che tutti i nomi attribuiti agli spiriti celesti indicano la proprietà deiforme di ciascuno di essi.

La santa denominazione di serafini, a dire degli ebrei, significa tanto « incendiari » quanto « riscaldanti »; quella dei cherubini « abbondanza di scienza » o « effusione di saggezza ».

É dunque normale che, nella prima delle gerarchie, si eserciti il santo ministero delle essenze più eminenti: il suo ordine, infatti, è di tutti il più elevato, dal momento ch'ella siede immediatamente presso Dio e che, nella loro prima efficacia, le apparizioni e le iniziazioni perfettrici di Dio, in ragione della maggior vicinanza di questa gerarchia, pervengono ad essa in modo più privilegiato.

Questi spiriti, dunque, si chiamano riscaldanti, troni ed effusioni di saggezza, per usare una denominazione che riveli la loro natura deiforme.

In effetti, il loro movimento eterno e incessante attorno alle realtà divine, il calore, la penetrazione, il ribollire di quest'eterno movimento continuo, fermo e stabile; il potere che essi hanno di elevare energicamente gli spiriti ad essi subordinati alla loro propria somiglianza, facendoli bollire e infiammandoli in maniera ch'essi raggiungano il loro medesimo calore; la loro virtù purificatrice, simile a quella della folgore e dell'olocausto, la loro proprietà luminosa e rischiarante che non si vela né si spegne e resta costantemente identica a se stessa poiché fa sparire tutto ciò che è suscitatore di tenebre oscure: ecco tutto ciò che rivela il nome attribuito ai serafini.

Quanto a quello dei cherubini, esso insegna il loro potere di conoscere e vedere Dio, la loro attitudine a ricevere il più alto dono di luce e a contemplare, nella sua potenza primordiale, lo splendore tearchico; ad appagarsi del dono che rende saggi e a comunicarlo senza invidia agli spiriti di secondo rango, attraverso l'effusione della saggezza ricevuta.

Infine la denominazione conferita ai troni, assai sublimi ed esaltati, significa che la loro purezza senza mescolanza li allontana da ogni compiacenza per le cose vili, che essi si elevano verso l'alto in un modo sovramondano e si astengono fermamente da ogni bassezza, che siedono in maniera stabile ed equilibrata, nella totalità delle loro potenze, attorno a colui che è veramente l'Altissimo; che essi ricevono l'illuminazione tearchica in assoluta impassibilità e in un modo del tutto immateriale; che sono portatori di Dio e si aprono con sollecitudine ai suoi doni.

Pseudo-Dionigi Areopagita, La gerarchia celeste, 6,1-7,1

5. - Conoscenza immediata di Dio e della creazione

I santi angeli non giungono alla conoscenza di Dio per mezzo di parole sonanti, ma per la stessa presenza della verità immutabile, cioè il suo Verbo unigenito; e conoscono lo stesso Verbo, e il Padre e il loro Spirito Santo; e sanno che essi formano la Trinità inseparabile, in cui le singole persone sono un'unica sostanza; e che tuttavia non sono tre dèi, ma un solo Dio: conoscono queste verità più di quanto noi conosciamo noi stessi.

Conoscono anche le creature nella sapienza di Dio - come nel modello interiore secondo cui sono state fatte - meglio che in loro stesse: e parimenti in quella conoscono se stessi, meglio che in se stessi - quantunque si conoscano anche in sé; infatti sono stati creati, e sono ben distinti da colui che li ha creati -.

Nella sapienza di Dio, dunque, hanno una conoscenza diurna; in sé, invece, una conoscenza, per così dire, vespertina, come abbiamo detto sopra.

É molto diverso conoscere una cosa nell'idea secondo cui è stata fatta, o in se stessa.

Così, è ben diverso conoscere la rettitudine delle linee e la verità delle figure geometriche quando si contemplano con l'intelletto, da quando si scrivono nella polvere; e altra cosa è la giustizia nella verità immutabile, altra cosa nell'anima dei giusti.

Ciò vale di tutte le altre cose: così il firmamento fra le acque superiori e le acque inferiori, che fu chiamato cielo; la massa di tutte le acque inferiori e la terra arida e il pullulare delle erbe e delle piante; così la creazione del sole, della luna e delle stelle; quella degli animali usciti dalle acque, cioè dei volatili, dei pesci e degli esseri natanti; quella poi degli animali che camminano o strisciano sulla terra, come quella dello stesso uomo, che eccelle tra tutte le realtà terresti.

Tutte queste realtà sono conosciute dagli angeli in modo diverso nel Verbo di Dio, ove ne contemplano le cause e le ragioni, secondo cui furono create, nella loro immutabile stabilità; e in modo diverso in loro stesse.

Nel primo caso, con una conoscenza più chiara; in questo secondo, con una conoscenza più scura, come sono la conoscenza del modello artistico e quella dell'opera.

Quando queste opere poi sono riferite a gloria e venerazione del Creatore, sembra quasi che sorga mattina nella mente di chi le contempla.

Agostino, La città di Dio, 11,29

6. - La scienza dei santi angeli

Per gli angeli buoni tutta la conoscenza delle realtà corporali e temporanee, di cui sono tanto tronfi i demoni, è cosa ben vile: non perché sono all'oscuro di tali realtà, ma perché loro interessa la carità di Dio che li santifica.

Di fronte a questa bellezza non solo incorporea, ma anche immutabile e ineffabile, nel cui santo amore ardono, disprezzano tutte le cose inferiori, e con esse disprezzano anche se stessi; per poter così, nella loro bontà, godere completamente di quel bene che li rende buoni.

Ma, in tal modo, conoscono con più certezza anche queste cose temporanee e mutevoli, perché ne vedono le cause fondamentali nel Verbo di Dio, per mezzo di cui il mondo è stato fatto; per queste cause alcune realtà sono approvate, altre riprovate, e tutte vengono ordinate.

I demoni invece non contemplano nella sapienza di Dio le cause eterne, fondamentali, delle realtà temporanee; ma per una maggiore esperienza dei segni esteriori, che a noi sfuggono, prevedono, molto più dell'uomo, il futuro.

Ma una cosa è far congetture sulle cose temporanee per mezzo di realtà temporanee e su cose mutevoli per mezzo di realtà mutevoli e applicarle al modulo temporaneo e mutevole della propria volontà e delle proprie facoltà - cosa concessa ai demoni per un fine ben preciso -; altra cosa invece prevedere nelle leggi eterne e immutabili di Dio, che vivono nella sua sapienza, le mutazioni delle realtà temporanee e conoscere insieme - per la partecipazione allo Spirito divino - la volontà di Dio, che è più potente e più sicura di ogni altra realtà.

Questo è il dono che è stato concesso, con opportuna discrezione, ai santi angeli.

Essi perciò, non solo vivono in eterno ma anche sono veramente beati.

Il bene, poi, che li rende beati è il loro Dio, da cui sono stati creati.

Perciò essi godono indefettibilmente della sua contemplazione e della partecipazione a lui.

Agostino, La città di Dio, 9,22

7. - Il corpo degli angeli

Sorge la questione se gli angeli hanno un corpo adatto per i loro uffici e per accorrere in aiuto degli uomini, oppure sono puri spiriti.

Se infatti diciamo che hanno un corpo, ci si presenta l'espressione della sacra Scrittura: Che fa suoi angeli gli spiriti ( Sal 104,4 ).

Se invece diciamo che non lo hanno, crea un imbarazzo anche maggiore il fatto che nella Scrittura si dice che essi, benché privi di corpo, sono apparsi ai sensi corporei degli uomini, sono stati da essi ospitati, sono stati lavati loro i piedi, ed è stato servito loro da mangiare e da bere ( Gen 18,2-9; Gen 19,1-3 ).

Ma sembra più facile pensare che gli angeli sono stati chiamati spiriti, come gli uomini sono stati chiamati anime, in quanto è scritto che insieme a Giacobbe discesero in Egitto molte anime ( Gen 46,27 ) ( e non potevano certo non avere un corpo ); ciò potrebbe sembrare più facile che credere che tutte le azioni, più su ricordate, siano state compiute da creature senza corpo.

Nell'Apocalisse ( Ap 10,1-3 ) inoltre si trova designata una precisa statura dell'angelo, con una specie di misura che può essere propria solo dei corpi, e per conseguenza le apparizioni fatte agli uomini non sono frutto di allucinazioni, ma del potere e della facoltà propria dei corpi spiritualizzati.

Avranno gli angeli un corpo o si può dimostrare che essi, pur non avendolo, hanno potuto compiere diversamente tutte quelle azioni fisiche?

Comunque stiano le cose, è certo che nella città dei santi, dove anche i redenti, per opera di Cristo, dal peccato insito nella natura umana saranno uniti in eterno alle migliaia di angeli, voci fisiche indicheranno tutti i pensieri dell'animo, perché nel consorzio di Dio nessun pensiero potrà nascondersi al prossimo, ma regnerà l'armoniosa concordia nei cantici di lode a Dio, espressa non solo con lo spirito, ma anche con il corpo spiritualizzato: così almeno mi pare.

Agostino, Le Lettere, I, 95,8 ( a Paolino e Terasia )

8. - La santità degli angeli

Sappiamo che, oltre ai serafini, anche i troni, i principati, le potestà, le virtù, le dominazioni - i quali, secondo l'apostolo Paolo ( Col 1,16 ), servono Dio - e che anche gli arcangeli tutti - i quali hanno conservato il loro originario stato di grazia - sono santi.

In ciò, noi lasciamo solo alla scienza divina misurare il grado di santità dei singoli.

Non sappiamo infatti quali arcangeli siano più santi degli altri arcangeli, e neppure quali angeli siano da considerare migliori degli altri angeli.

La stella si distingue dalla stella per chiarore ( 1 Cor 15,41 ); e dato che noi possiamo vedere le stelle con i nostri occhi, possiamo giudicare quale stella superi le altre in grandezza.

Ma sugli angeli e gli arcangeli, sui principati, i troni e le dominazioni, sulle potestà e gli altri spiriti al servizio di Dio, poiché non li vediamo, non possiamo giudicare.

Chi infatti per sua natura è molto al di sotto non può sputar sentenze su chi è al di sopra di lui e dire: « Quest'angelo è migliore di quello, questa potestà, questa virtù o questa dominazione è più ragguardevole di quella ».

Sarebbe temerario parlare di tali cose, anzi anche solo pensarle, tanto più che noi non sappiamo neppure come noi stessi siamo stati creati.

Non dice forse Davide, parlando di Dio: Lui sa di che cosa siamo stati plasmati ( Sal 103,14 )?

Le due classi di angeli sono sante: quale lo sia in grado più eccelso, Dio solo lo può stabilire.

A noi non è dato di misurare neppure l'estensione del mare e delle sabbie, il numero delle stelle, il numero delle nubi e delle piogge; se per noi sono un mistero il cuore della terra, la profondità di un abisso, il numero delle piante che crescono sui monti, nei campi e nelle valli, e anche il modo e il perché della nostra stessa formazione, come potremmo abbracciare con la nostra mente ciò che supera la misura della conoscenza umana?

Girolamo, Commento a Isaia, 6,1-7

9. - La superbia degli angeli cattivi

La causa più vera della beatitudine degli angeli buoni la riscontriamo nella loro unione a colui che sommamente è.

Se invece si ricerca la causa della miseria degli angeli cattivi, ci si presenta, ovviamente, il fatto che essi, allontanatisi da colui che sommamente è, si ripiegarono su se stessi, che pur non hanno l'essere in grado sommo.

Questo vizio, come lo chiameremo se non superbia?

Infatti l'inizio di ogni peccato è la superbia ( Sir 10,15 ).

Non vollero dunque custodire presso di lui la loro fortezza e, pur potendo essere qualcosa di più se avessero aderito a colui che sommamente è, scelsero di essere qualcosa di meno, preferendo a lui se stessi.

Questo è il difetto principale, la prima mancanza, il primo vizio di quella natura che è stata creata tale da non avere l'essere sommo, ma da poter ottenere la beatitudine, poter cioè godere di colui che ha l'essere sommo; se da lui invece si allontana, non cade nel nulla, ma il suo essere viene diminuito, e perciò essa diventa ben misera.

Agostino, La città di Dio, 12,6

10. - Gli angeli come spiriti servizievoli

Di comune accordo noi diciamo che gli angeli sono spiriti incaricati d'un ministero, inviati in servizio per il bene di coloro che devono usufruire della salvezza ( Eb 1,14 ).

Essi salgono a recare le suppliche degli uomini nelle più pure regioni celesti.

Successivamente ne discendono per portare a ciascuno, secondo i suoi meriti, una delle grazie che Dio incarica loro di dispensare a quanti ricevono i suoi favori.

Essi dunque, che noi abbiamo imparato a chiamare angeli a causa della loro funzione, noi li troviamo talvolta, anche nelle sante Scritture, con la denominazione di dèi ( Sal 50,1; Sal 82,1; Sal 86,8; Sal 96,4; Sal 136,2 ): essi sono infatti divini.

Tuttavia, non lo sono al punto da esserci ordinato di venerare e adorare al posto di Dio coloro che ci dispensano e ci portano le sue grazie.

Ogni preghiera, infatti, ogni domanda, ogni supplica, ogni azione di grazie ( 1 Tm 2,1 ) va fatta risalire verso il Dio supremo, attraverso il sommo sacerdote che è al di sopra di tutti gli angeli, Logos vivente e Dio.

E noi potremo offrire al Logos stesso domande, preghiere, azioni di grazie e anche suppliche, se saremo stati capaci di discernere fra il senso assoluto e quello relativo della parola supplica.

Infatti, invocare gli angeli senza aver ricevuto una scienza superiore a quella umana, non è ragionevole.

Ma supponiamo, per ipotesi, di aver ricevuto questa scienza meravigliosa e misteriosa: essa ci fa conoscere la natura degli angeli e gli uffici ai quali ognuno di essi è preposto; essa non permetterà che si osi pregare nessuno se non il Dio supremo che è perfettamente sufficiente a tutto, attraverso il nostro Salvatore, il Figlio di Dio, lui che è Logos, Saggezza, Verità e tutto ciò che dicono ancora di lui le Scritture dei profeti di Dio e degli apostoli di Gesù.

Per propiziarci i santi angeli di Dio e indurli a compiere ogni cosa per noi, è sufficiente, per quanto è possibile alla natura umana, imitare, nella nostra attitudine verso Dio, la loro disposizione personale grazie alla quale essi sono imitatori di Dio: così facendo, la concezione che noi abbiamo di suo Figlio, il Logos, in luogo di contraddire quella più chiara che ne hanno i santi angeli, si avvicinerà a questa di giorno in giorno, per quanto è possibile, in chiarità e nettezza.

Origene, Contro Celso, 5,4-5

11. - L'uomo fra due angeli

« Ascolta adesso - dice - per ciò che riguarda la fede, vi sono due angeli nell'uomo: uno di giustizia, l'altro del male ».

« Come dunque, o Signore, potrò distinguere la loro opera, se i due angeli abitano in me? »

« Ascolta e comprendi. L'angelo di giustizia è delicato, modesto, dolce, calmo.

Quando è lui che sale nel tuo cuore, subito egli ti parla di castità, di santità, di temperanza, d'ogni azione retta, d'ogni nobile virtù.

Quando tutto ciò sopravviene nel tuo cuore, sappi che l'angelo di giustizia è con te.

Abbi confidenza in lui e nelle sue opere.

Considera adesso le opere dell'angelo del male.

Anzitutto, egli è collerico, amaro, insensato; le sue azioni cattive corrompono i servitori di Dio.

Quando dunque egli sale nel tuo cuore, da questo discerni le sue opere ».

« Come le distinguerò, o Signore, dal momento che le ignoro? »

« Ascolta. Quando la collera s'impadronisce di te, o l'asprezza, sappi che egli è dentro di te.

Ugualmente, quando vi sopravviene il desiderio di molti affari, le folli spese in tanti festini, in bibite inebrianti, in incessanti orge, in raffinatezze varie e superflue; la passione delle donne, della grande ricchezza, l'orgoglio esagerato, la iattanza e tutto ciò che le rassomiglia: se tutto questo ti sale nel cuore, sappi che l'angelo del male è in te.

Poiché dunque tu conosci le sue opere, guardati da lui, non gli credere: le sue opere, infatti, sono cattive e funeste per servitori di Dio.

Ecco qual è l'opera dei due angeli.

Comprendila e riponi fiducia nell'angelo della giustizia.

Guardati dall'angelo del male poiché il suo insegnamento è cattivo in tutto.

Infatti, se qualcuno ha fede e l'ispirazione di quest'angelo sale nel suo cuore, è inevitabile che costui, uomo o donna che sia, commetta qualche peccato.

Se un uomo o una donna, invece, sono assolutamente depravati e l'azione dell'angelo della giustizia sopraggiunge nel loro cuore, è inevitabile ch'essi compiano il bene.

Vedi perciò come sia bene seguire l'angelo della giustizia e rinunciare a quello del male.

Questo comandamento insegna l'attitudine che la fede comporta, affinché tu confidi nelle opere dell'angelo della giustizia e, compiendole, tu viva per Dio.

Credi altresì che le opere dell'angelo del male sono funeste; evitandole, ugualmente vivrai per Dio ».

Erma, Il Pastore, VI Precetto, 2,1-10

12. - L'amore misericordioso dei santi angeli

Gli spiriti immortali e beati, che abitano le sedi dei cieli e godono della partecipazione al loro Creatore - per la cui eternità sono saldi, nella cui verità sono certi, per il cui dono sono salvi - amano con grande misericordia noi, mortali e miseri, desiderando che diventiamo beati e immortali; però non vogliono, e a buon diritto, che noi a loro sacrifichiamo, ma solo a colui per il quale sanno che noi e loro siamo un sacrificio.

Con loro, infatti, noi formiamo l'unica città di Dio, della quale si dice nel salmo: Cose gloriose si sono dette di te, città di Dio ( Sal 87,3 ).

Di essa, noi siamo la parte che è pellegrina, e loro la parte che ci soccorre.

Da quella superna città, ove è legge la volontà di Dio, immutabile e a tutti nota, da quella superna, per così dire, curia ( anche ivi infatti ci si prende cura di noi ) discese a noi, per il ministero degli angeli, la sacra Scrittura, dove si legge: Chi sacrifica agli idoli, e non al Signore solo, sarà distrutto ( Es 22,20 ).

Agostino, La città di Dio, 10,7

13. - La buona volontà ci rende simili agli angeli

In nessun modo si deve aspirare alla benevolenza e alla beneficenza degli dèi, o per dir meglio, degli angeli buoni, per una specie di mediazione dei demoni.

La si ottiene, invece, imitando la loro buona volontà; è con questa, infatti, che noi siamo con loro, che con loro viviamo, e con loro rendiamo a Dio il culto che essi gli rendono; e tutto ciò, anche se non li possiamo vedere con i nostri occhi di carne.

Quanto più invece siamo miseri per la dissomiglianza della nostra volontà dalla loro e per la debolezza della nostra fragilità, tanto più distiamo da loro per il merito della vita, non per il luogo fisico.

Se non siamo uniti a loro, non è perché abitiamo, per la nostra condizione corporea, sulla terra, ma perché, per l'impurità del nostro cuore, amiamo le realtà terrene.

Quando poi guariamo da questo male, tanto da essere quali essi sono, subito ci avviciniamo a loro nella fede, se crediamo che un giorno saremo resi beati da colui che ha reso beati loro, e per loro intercessione.

Agostino, La città di Dio, 8,25

14. - Angeli come mediatori della rivelazione divina

Se si obietta che Dio è apparso egli stesso e senza intermediari a certi santi, si impari allora, allo stesso modo, ciò che insegnano assai chiaramente i Detti sacri: ciò che è in se stesso il segreto di Dio, nessuno lo ha visto né lo vedrà ( 1 Gv 4,12 ).

Dio, tuttavia, si è mostrato ai santi secondo i modi di rivelazione che convengono a lui, attraverso sante visioni e proporzionate alle capacità di chi guarda ( Gen 3,8; Gen 18,1 ).

Or dunque la sapientissima parola di Dio, considerando che questa visione ha elevato coloro che vedono verso il divino, la chiama giustamente « apparizione di Dio ».

É grazie ad essa, infatti, che gli spettatori ricevono un'illuminazione divina ed è loro accordata una certa santa iniziazione alle stesse realtà divine.

Queste visioni divine, d'altra parte, i nostri illustri padri non le ricevettero se non attraverso la mediazione delle virtù celesti.

Anche la santa istituzione della Legge, se è vero che la tradizione degli agiografi la presenta come concessa direttamente da Mosè ( Nm 9 ), affinché quest'ultimo ci insegnasse in tutta verità ch'essa è l'abbozzo di una legge divina e sacra, la parola di Dio, da parte sua non c'insegna forse chiaramente che è per la mediazione degli angeli ch'essa discese fino a noi, in virtù della regola istituita secondo l'ordine della Legge divina e che esige che, attraverso la mediazione di esseri di primo rango, gli esseri di secondo rango siano elevati verso il divino?

E non soltanto, infatti, per gli spiriti superiori e i loro subordinati, ma anche per gli spiriti di rango eguale, questa regola, definita dal Principio ordinatore sovrasostanziale di tutte le cose, esige che ciascuna gerarchia comporti degli ordini e dei poteri primari, mediani e ultimi, i più divini essendo iniziatori e conduttori degli inferiori onde consentire loro l'avvicinamento, l'illuminazione e la comunione divina.

Ma io constato che persino al divino mistero dell'amore di Gesù per gli uomini, anzitutto gli angeli vennero iniziati e che, successivamente, attraverso di loro ci venne comunicata la grazia di questa conoscenza.

Così dunque il divinissimo Gabriele rivelò a Zaccaria, il sommo sacerdote, che il bambino che sarebbe nato da lui, contro ogni speranza, per grazia divina, sarebbe stato profeta dell'opera umano-divina di Gesù che stava per manifestarsi al mondo in modo benefico e salutare ( Lc 1,5-21 ); a Maria, invece, rivelò come in essa si sarebbe compiuto il mistero tearchico dell'ineffabile procreazione di Dio ( Lc 1,26-38 ).

Un altro degli angeli, poi, rivelò a Giuseppe come fossero piene di verità le divine promesse formulate al suo antenato Davide ( Mt 1,20-21 ).

Un altro angelo ancora recò la buona notizia ai pastori perché essi si purificassero ritirandosi in raccoglimento lontano dalla folla; dopo di lui, poi, la moltitudine delle coorti celesti trasmise agli abitanti della terra quel celeberrimo canto di gloria che si canta lassù.

Ma io leverò gli occhi verso le più alte illuminazioni delle Scritture.

Constato, infatti, che Gesù stesso, causa sovrasostanziale delle essenze celesti, disceso fino al nostro livello senza perdere la sua immutabilità, non si discosta neppure lui dal retto ordinamento, istituito e scelto da lui stesso secondo le convenienze umane, ma si sottomette docilmente ai disegni di Dio, suo Padre, che gli angeli, appunto, gli trasmettono.

Per loro tramite, infatti, vengono egualmente annunciati a Giuseppe, dapprima la fuga in Egitto, predisposta dal Padre per il Figlio, e, successivamente, il suo ritorno dall'Egitto in Giudea ( Mt 2,13-15.19-21 ).

Per la mediazione di un angelo, dunque, vediamo Gesù sottomettersi alle sante decisioni paterne.

Giacché io passo sotto silenzio, poiché tu sai ciò che ci è stato esposto dalle nostre tradizioni sacerdotali, ciò che concerne quell'angelo che confortò Gesù ( Lc 22,43 ) o il fatto che Gesù stesso, in ragione dell'opera benefattrice che egli compì per la nostra salvezza, avendo preso posto egli stesso nell'ordine rivelatore, fu chiamato angelo del gran consiglio ( Is 9,6: LXX ).

In effetti, come disse egli stesso, usando dei termini che designano un messaggero, tutto ciò ch'egli intese del Padre, ce lo annunciò.

Pseudo-Dionigi Areopagita, La gerarchia celeste, 4,3-4

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