Regola pastorale

Parte terza

20 - Come si devono ammonire coloro che distribuiscono i propri beni e coloro che rapiscono quelli altrui

Diverso è il modo di ammonire coloro che già elargiscono i propri beni con misericordia, e coloro che ancora si danno da fare per rapire i beni degli altri.

I primi infatti bisogna ammonirli a non innalzarsi con pensiero superbo su coloro a cui elargiscono i beni terreni, e non si stimino migliori perché vedono gli altri sostenuti coi loro mezzi.

Infatti il padrone di una casa terrena, nel distribuire i ruoli e i servizi dei servi, stabilisce questi a governare e quelli a essere governati dagli altri.

Ordina ai primi di provvedere il necessario ai secondi, e a questi di prendere ciò che hanno ricevuto da quelli.

E tuttavia spesso coloro che governano, dispiacciono al padrone di casa, e restano invece nella sua grazia coloro che sono governati.

Coloro che sono dispensatori si trovano a meritare la sua ira; gli altri, che sottostanno alla distribuzione fatta dai primi, restano senza ricevere danno.

Dunque, bisogna ammonire coloro che già dispensano con misericordia ciò che possiedono, a riconoscersi come posti dal Padrone celeste a dispensare aiuti temporali, e a offrirli tanto più umilmente quanto più capiscono che quel che dispensano è roba altrui.

E quando considerano di essere stati costituiti nel servizio di coloro cui elargiscono i beni ricevuti, la superbia non esalti il loro animo, ma lo trattenga invece il timore.

Perciò è necessario che badino con grande cura a non distribuire in modo indegno i beni che gli sono stati affidati, e a darne così a chi non devono darne, o a non darne affatto a chi devono qualcosa; a dare molto a chi devono dar poco, o a darne poco a chi devono dar molto; a disperdere inutilmente, per precipitazione, ciò che distribuiscono o a tardare a dare a chi chiede, affliggendolo così in modo colpevole.

Non si insinui qui l’intenzione di ricevere gratitudine; e il desiderio di una lode passeggera non estingua lo splendore del donare.

L’offerta del dono non sia accompagnata da una opprimente tristezza, ma neppure l’animo di chi offre si rallegri più del conveniente; e quando avranno compiuto tutto per bene, non attribuiscano nessun merito a se stessi così da perdere, tutto in una volta, quanto di bene hanno compiuto.

Infatti, per non attribuire a sé la virtù della propria liberalità, ascoltino ciò che è scritto: Se qualcuno esercita un ufficio, lo faccia secondo la capacità che Dio gli comunica ( 1 Pt 4,11 ).

Per non gioire smodatamente delle proprie beneficenze, ascoltino ciò che è scritto: Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare ( Lc 17,10 ).

E perché la tristezza non guasti la liberalità, ascoltino ciò che è scritto: Dio ama chi dà con gioia ( 2 Cor 9,7 ).

Affinché non cerchino una lode passeggera in cambio del dono, ascoltino ciò che è scritto: Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra ( Mt 6,3 ), cioè: a un dono fatto con intenzione pia, non si mescoli la gloria della vita presente, e il desiderio della lode non tocchi un’azione giusta.

Affinché non cerchino il contraccambio della grazia fatta, ascoltino ciò che è scritto: Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici o i tuoi fratelli o i parenti o i vicini ricchi, perché non avvenga che essi ti ricambino l’invito e tu ne abbia il compenso; invece, quando fai un pranzo, invita i poveri, i malati, gli zoppi, i ciechi; e sarai beato perché loro non hanno da restituirti ( Lc 14,12ss ).

E affinché non si tardi a dare ciò che va dato in fretta, ascoltino ciò che è scritto: Non dire al tuo amico: Va’ e ritorna e domani ti darò, quando puoi dare subito ( Pr 3,28 ).

Affinché, sotto il pretesto della liberalità, non dissipino inutilmente ciò che possiedono, ascoltino ciò che è scritto: Sudi, l’elemosina nella tua mano.1

E perché non diano poco là dove è necessario molto, ascoltino ciò che è scritto: Chi semina con parsimonia, mieterà pure con parsimonia ( 2 Cor 9,6 ).

Affinché, dove basta poco non offrano molto, e poi loro stessi, non potendo in alcun modo sopportare l’indigenza, erompano nell’impazienza, ascoltino ciò che è scritto: Non perché ci sia sollievo per gli altri e tribolazione per voi, ma perché nell’uguaglianza, la vostra abbondanza supplisca la loro indigenza, e la loro abbondanza venga a supplire la vostra indigenza ( 2 Cor 8,13-14 ).

Infatti, quando l’animo di chi dà non sa sopportare l’indigenza, se si priva di molto cerca un’occasione di impazienza contro se stesso.

Poiché prima bisogna predisporre l’animo alla pazienza e solo allora distribuire molto o anche tutto, perché non vada perduta la mercede della liberalità prestata; e la mormorazione che inoltre si aggiungerebbe non faccia perire più gravemente l’anima per il fatto che non si riesce a sopportare in pace l’improvviso bisogno.

Affinché non avvenga che non diano nulla affatto a coloro cui qualcosa, anche poco, bisogna dare, ascoltino ciò che è scritto: Da’ a chiunque ti chiede ( Lc 6,30 ).

Ma affinché non diano, anche poco, a chi non debbono assolutamente nulla, ascoltino ciò che è scritto: Da’ al buono e non accogliere il peccatore: fa’ il bene all’umile e non dare all’empio ( Sir 12,5-6 ).

E ancora: Poni il tuo pane e il tuo vino sul sepolcro del giusto, e non mangiarne né berne insieme con i peccatori ( Tb 4,18 ).

Infatti offre ai peccatori il suo pane e il suo vino colui che dà sussidi agli iniqui perché sono iniqui; perciò anche parecchi ricchi di questo mondo, mentre i poveri di Cristo sono afflitti dalla fame, mantengono con effusa liberalità gli istrioni.

Chi invece dà il suo pane a un povero, anche peccatore, non perché è peccatore ma perché è uomo, evidentemente non mantiene un peccatore ma un povero giusto, poiché in lui non ama la colpa ma la natura.

Bisogna ammonire coloro che già distribuiscono i propri beni con misericordia, ad attendere con gran cura, mentre le elemosine redimono i peccati commessi, a non commetterne degli altri; e non stimino venale la giustizia di Dio così da pensare di poter peccare impunemente proprio mentre si preoccupano di distribuire denari per i peccati.

Infatti l’anima vale più del cibo e il corpo più del vestito ( Mt 6,25 ); chi allora dà cibo o vestito ai poveri, ma si macchia con l’iniquità dell’anima o del corpo, ha offerto ciò che vale di meno alla giustizia e ciò che vale di più al peccato; infatti, a Dio ha dato i suoi beni, e al diavolo se stesso.

Al contrario, bisogna ammonire coloro che ancora si danno da fare per rapire i beni degli altri, ad ascoltare con sollecitudine quanto dice il Signore venendo al giudizio.

Infatti dice: Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero pellegrino e non mi avete accolto, nudo e non mi avete coperto, infermo e in carcere e non mi avete visitato ( Mt 25,42-43 ).

E ad essi, subito prima dice: Allontanatevi da me, maledetti, nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli ( Mt 25,41 ).

Ecco, quelli non ascoltano affatto questa sentenza perché abbiano commesso rapine e ogni genere di violenze, ma tuttavia vengono abbandonati al fuoco dell’eterna geenna.

Da ciò bisogna dedurre quanto sarà grande la pena che colpirà coloro che rapiscono i beni altrui, se vengono colpiti con una punizione tanto grande coloro che semplicemente conservano troppo gelosamente i propri.

Valutino con quale peccato li avvince il bene rapito se quello che non è stato semplicemente partecipato sottopone a una tale pena.

Valutino che cosa meriti una ingiustizia inferta, se è degno di così grande castigo l’avere mancato di offrire pietà.

Quando si propongono di rubare i beni altrui, ascoltino ciò che è scritto: Guai a colui che moltiplica i beni non propri: fino a quando accumula contro di sé denso fango? ( Ab 2,6 ).

Per un avaro, cioè, accumulare il peso di denso fango significa accumulare guadagni terrestri col peso del peccato.

Quando bramano di dilatare sempre più l’ampiezza della loro abitazione, ascoltino ciò che è scritto: Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campi a campi fino ai confini del paese.

Forse abitate solo voi in mezzo alla terra? ( Is 5,8 ).

Come se dicesse apertamente: Fin dove volete estendervi, voi che, in questo mondo che è di tutti, non potete avere altri partecipi della vostra fortuna?

In effetti voi opprimete i vostri vicini, ma trovate sempre contro chi farvi valere per estendervi.

Quando anelano ad aumentare il loro denaro, ascoltino ciò che è scritto: L’avaro non si riempie col denaro e chi ama le ricchezze non trarrà frutto da esse ( Qo 5,9 ).

Certo ne trarrebbe frutto se volesse distribuirle bene senza amarle, ma chi le conserva con amore le abbandonerà assolutamente senza frutto.

Quando ardono di riempirsi di tutte le ricchezze insieme, ascoltino ciò che è scritto: Chi ha fretta di arricchirsi non sarà senza colpa ( Pr 28,20 ); infatti è certo, che chi aspira ad aumentare le sue ricchezze, trascura di evitare il peccato e, catturato come un uccello, mentre fissa avidamente l’esca di beni terreni, non si accorge da quale laccio di peccato resta strangolato.

Quando desiderano guadagni di qualsiasi genere, del mondo presente, e ignorano i danni che dovranno patire in quello futuro, ascoltino ciò che è scritto: L’eredità per la quale ci si affretta in principio, alla fine non avrà benedizione ( Pr 20,21 ).

Cioè, da questa vita noi traiamo inizio per giungere a ottenere benedizione alla fine; pertanto, chi ha fretta di ereditare in principio, taglia via da sé la sorte della benedizione alla fine.

Poiché, mentre per il peccato di avarizia bramano di moltiplicare qui i loro beni, là resteranno diseredati del patrimonio eterno.

Quando o ambiscono a molti beni o possono raggiungere tutto quanto hanno ambito, ascoltino ciò che è scritto: Che cosa giova all’uomo se guadagna tutto il mondo ma reca danno alla sua anima? ( Mt 16,26 ).

È come se la Verità dicesse apertamente: Che cosa giova all’uomo raccogliere tutto quello che esiste fuori di lui, se danna questa sola cosa che è lui stesso?

Tuttavia spesso si corregge più rapidamente l’avarizia degli uomini rapaci, se nelle parole di chi li ammonisce si dimostra quanto sia fugace la vita presente; se si richiama la memoria di coloro che a lungo hanno cercato di arricchire in questa vita e tuttavia non poterono restare a lungo a godere delle ricchezze ottenute, poiché la morte improvvisa, di colpo e tutto in una volta, ha portato via tutto ciò che, non di colpo né tutto in una volta, la loro iniquità aveva messo insieme; ed essi non solamente lasciarono qui le ricchezze rubate, ma condussero con sé, al giudizio, le accuse di rapina.

Ascoltino dunque gli esempi offerti da costoro, che senza dubbio loro stessi condannano a parole, affinché quando queste parole di condanna rientrano nel loro cuore, arrossiscano almeno di imitare coloro che giudicano.

21 - Come bisogna ammonire coloro che non bramano i beni altrui, ma si tengono i propri e coloro che pur distribuendo i propri, rapiscono tuttavia quelli degli altri

Diverso è il modo di ammonire coloro che né bramano i beni altrui né elargiscono i propri; e coloro che distribuiscono i beni che hanno e tuttavia non desistono di rapire quelli altrui.

Bisogna ammonire coloro che né bramano i beni altrui né elargiscono i propri, a sapere che quella terra dalla quale sono stati presi è comune a tutti gli uomini e perciò produce anche i mezzi di sopravvivenza a tutti allo stesso modo.

Pertanto vanamente si considerano innocenti coloro che rivendicano ad uso privato il dono comune di Dio; i quali, quando non distribuiscono ciò che hanno ricevuto, operano in qualche modo l’assassinio del prossimo; perché quasi ogni giorno ne uccidono tanti, quanti sono i poveri che muoiono mentre essi nascondono presso di sé quegli aiuti che erano loro.

Infatti, quando distribuiamo agli indigenti qualunque cosa, non elargiamo roba nostra ma restituiamo loro ciò che ad essi appartiene; e assolviamo piuttosto a un debito di giustizia più che compiere opere di misericordia.

Perciò la Verità stessa parlando di nome non bisogna ostentare la misericordia, dice: Badate di non fare la vostra giustizia davanti agli uomini ( Mt 6,1 ).

E a ciò si accorda pure il salmista che dice: Disperse, diede ai poveri, la sua giustizia rimane in eterno ( Sal 112,9 ).

Infatti, dopo avere nominato la liberalità esercitata verso i poveri, preferisce chiamarla giustizia e non misericordia, poiché è certamente giusto che quanto viene distribuito dal comune Signore, chiunque ne riceve lo usi a vantaggio comune.

Perciò anche Salomone dice: Chi è giusto darà e non cesserà ( Pr 21,26 ).

Bisogna anche ammonirli a stare molto attenti che l’agricoltore esigente si lamenta contro il fico che non dà frutto perché, oltre a ciò, tiene occupato il terreno.

Il fico, cioè, tiene il terreno occupato senza frutto quando l’animo degli avari conserva inutilmente ciò che avrebbe potuto giovare a molti.

Il fico occupa senza frutto il terreno quando lo stolto opprime con l’ombra della pigrizia un luogo che un altro sarebbe stato in grado di sfruttare col sole delle buone opere.

Costoro tuttavia spesso sogliono dire: Usiamo ciò che ci è stato dato e non cerchiamo la roba d’altri, e se non agiamo in modo degno di una ricompensa di misericordia, tuttavia non commettiamo nulla di male.

E pensano così perché evidentemente chiudono l’orecchio del cuore alle parole celesti; infatti neppure il ricco dell’Evangelo, che vestiva di porpora e di bisso e banchettava splendidamente ogni giorno ( cf. Lc 16,19ss ), aveva rapito i beni altrui, ma è dimostrato che egli aveva usato dei propri senza frutto; e dopo questa vita lo accolse la geenna vendicatrice, non perché aveva compiuto qualcosa di illecito, ma perché si era dato tutto alle cose lecite con uso smodato.

Bisogna ammonire questi avari a rendersi conto che la prima offesa la fanno a Dio, poiché a colui che dà loro tutto, essi non rendono alcun sacrificio di misericordia.

Perciò il salmista dice: Non darà a Dio la sua espiazione né il prezzo del riscatto della sua anima ( Sal 49,8-9 ).

Infatti dare il prezzo del riscatto è rendere una buona opera alla grazia che ci previene.

Perciò Giovanni esclama: La scure è ormai alla radice dell’albero.

Ogni albero che non fa buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco ( Lc 3,9 ).

Dunque, coloro che si giudicano innocenti perché non rubano i beni altrui, faranno bene a prevedere il colpo della scure vicina e a rigettare il torpore di una improvvida sicurezza, affinché, mentre trascurano di portare il frutto di buone opere, non vengano tagliati via del tutto dalla presente vita, come da una rigogliosa radice.

Al contrario, bisogna ammonire coloro che distribuiscono ciò che hanno e poi non cessano di rapire i beni altrui, a non aspirare di apparire sommamente munifici e così divenire peggiori sotto l’apparenza del bene.

Costoro infatti, distribuendo senza discrezione i propri beni, non solo, come abbiamo già detto, cadono nella mormorazione dell’impazienza, ma poi, costretti dal bisogno, ripiegano fino all’avarizia.

Che cosa c’è dunque di più infelice dell’animo di coloro per i quali l’avarizia nasce dalla liberalità e la messe dei peccati è come avesse il suo seme nella virtù?

Così bisogna innanzi tutto ammonirli a sapere conservare con raziocinio i propri beni e quindi a non ambire a quelli degli altri; se infatti la colpa non viene bruciata alla radice proprio nel suo stesso espandersi, la spina dell’avarizia, diffondendosi per i rami, non si secca mai.

Pertanto si toglie l’occasione di rubare, se in precedenza si stabiliscono con chiarezza i limiti del diritto di possedere.

Allora solo, coloro che sono stati così ammoniti, ascoltino in che modo devono distribuire, secondo misericordia, ciò che possiedono; cioè, quando avranno imparato a non mescolare il bene della misericordia con la malizia del furto, giacché essi ricercano poi, con la violenza, ciò che hanno elargito con la misericordia.

Ma altra cosa è fare misericordia per i peccati e altra peccare per fare misericordia; che, fra l’altro, non si può nemmeno più chiamare misericordia, poiché non può dare dolce frutto l’albero che diviene amaro per il veleno di una radice pestifera.

È perciò, infatti, che per mezzo del profeta il Signore rimprovera gli stessi sacrifici dicendo: Io, il Signore, che ama la giustizia e odia la rapina nel sacrificio ( Is 61,8 ).

Perciò ancora disse: Abominevoli sono i sacrifici degli empi, che vengono offerti dal delitto ( Pr 21,27 ).

Poiché essi spesso sottraggono anche ai poveri ciò che offrono a Dio.

Ma con quanto biasimo li rifiuti, il Signore lo dimostra dicendo, per mezzo di un sapiente: Chi offre un sacrificio con le sostanze dei poveri è come uno che immola un figlio alla vista di suo padre ( Sir 34,24 ).

Infatti, che cosa può esserci di più insopportabile che la morte del figlio davanti agli occhi del padre?

Si manifesta così con quanta ira sia riguardato questo sacrificio che viene paragonato al dolore di un padre privato del figlio.

E tuttavia spesso pesano quel che danno, ma omettono di considerare quel che rubano.

Contano quel che danno come fosse una paga, ma rifiutano di pesare attentamente le colpe.

Ascoltino pertanto ciò che è scritto: Chi ha raccolto le paghe le ha messe in un sacchetto bucato ( Ag 1,6 ), poiché si vede, quando si mette il denaro in un sacchetto bucato, ma non si vede quando lo si perde.

Pertanto, coloro che guardano a quanto elargiscono, ma non considerano quanto rapiscono, mettono le paghe in un sacchetto bucato, perché certamente le accumulano guardando alla speranza di ricompensa cui si affidano; ma senza guardare le perdono.

22 - Come bisogna ammonire i litigiosi e i pacifici

Diverso è il modo di ammonire i litigiosi e i pacifici.

Infatti, i litigiosi bisogna ammonirli a sapere con assoluta certezza che, per quanto grandi siano le virtù di cui abbondano, non di meno non possono diventare spirituali, se trascurano di restare uniti al prossimo nella concordia.

Poiché è scritto: Frutto, poi, dello spirito è carità, gioia, pace ( Gal 5,22 ).

Dunque, chi non ha cura di conservare la pace, rifiuta di portare il frutto dello spirito.

Perciò Paolo dice: Dal momento che ci sono fra voi gelosie e contese, non siete carnali? ( 1 Cor 3,3 ).

Perciò di nuovo dice pure: Cercate la pace con tutti e una vita santa senza la quale nessuno vedrà Dio ( Eb 12,14 ).

Perciò ancora ammonisce dicendo: Solleciti a conservare l’unità dello spirito: nel vincolo della pace: un solo corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati ad una sola speranza della vostra chiamata ( Ef 4,3-4 ).

Dunque, non si giunge all’unica speranza della chiamata se non si corre verso di essa con l’animo unito al prossimo.

Ma spesso ci sono alcuni che, quanto più sono i doni particolari che ricevono, tanto più insuperbiscono perdendo il dono più grande che è quello della concordia; come sarebbe uno che soggioga la propria carne più degli altri, frenando la gola, e trascuri di andare d’accordo con coloro a cui è superiore nell’astinenza.

Ma chi separa l’astinenza dalla concordia, consideri ciò che dice il salmista: Lodatelo col timpano e il coro ( Sal 150,4 ).

Infatti il timpano suona per la percussione di una pelle secca, invece nel coro le voci concordano tutte insieme; e così chi affligge il corpo ma abbandona la concordia, loda certo Dio col timpano, ma non lo loda col coro.

Spesso, poi, una maggiore scienza, mentre innalza certuni, li divide dalla comunione con gli altri, e in un certo senso, quanto più sanno, tanto più diventano incapaci della virtù della concordia.

Dunque, costoro ascoltino che cosa dice la Verità in persona: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi ( Mc 9,49 ).

La sapienza, cioè, non è un dono di virtù, ma causa di condanna.

Infatti, quanto più uno è sapiente, tanto più gravemente pecca, e perciò meriterà il supplizio senza possibilità di scusa, perché, se avesse voluto, con la sua prudenza avrebbe potuto evitare il peccato.

A costoro è detto giustamente per mezzo di Giacomo: Che se avete zelo amaro e ci sono contese nel vostro cuore, non gloriatevi e non dite menzogne contro la verità.

Questa non è sapienza che scende dall’alto, ma è sapienza terrena, animale, diabolica.

Invece, la sapienza che è dall’alto, innanzitutto è pudica, quindi pacifica ( Gc 3,14-15.17 ).

Pudica, cioè, perché è casta nell’intendere, e pacifica perché non si separa affatto con l’esaltazione dalla comunione col prossimo.

Bisogna ammonire i litigiosi a conoscere che non immolano alcun sacrificio di opere buone a Dio, per tutto il tempo in cui non concordano nella carità col prossimo.

Infatti, è scritto: Se mentre offri il tuo dono all’altare ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia là il tuo dono e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello e poi vieni a offrire il tuo dono ( Mt 5,23-24 ).

Da questo precetto, bisogna considerare di chi sia la offerta che viene respinta e quanto sia intollerabile la colpa che viene così indicata.

Infatti, se tutti i peccati vengono cancellati per il bene compiuto in seguito, consideriamo quanto sia grande il peccato della discordia, che se non viene distrutto radicalmente non permette al bene di seguirlo.

Bisogna ammonire i litigiosi, se distolgono gli orecchi dai precetti celesti, ad aprire gli occhi del cuore a considerare come si comportano le creature degli ordini più bassi; come gli uccelli di una stessa specie, volando tutti insieme non si lasciano, gli uni con gli altri; e come gli animali, che pure sono senza intelligenza, pascolano a gruppi.

Poiché, se guardiamo con attenzione, la natura irrazionale nell’accordo con se stessa indica quanto sia grande il peccato che la natura razionale commette con la discordia; poiché questa, con l’applicazione della ragione, ha perduto ciò che quella custodisce per istinto naturale.

Bisogna, al contrario, ammonire i pacifici, a non amare più del necessario la pace che possiedono, così da non aspirare a raggiungere quella eterna.

Spesso infatti la tranquillità esteriore tenta più gravemente l’attenzione degli animi così che quanto meno moleste sono le condizioni in cui essi si trovano, tanto meno amabili divengono quelle cui sono chiamati; e quanto più dilettano le presenti, tanto meno si ricercano le eterne.

Per cui, la Verità stessa, distinguendo la pace terrena da quella celeste e volendo eccitare i discepoli, dalla pace presente a quella eterna, dice: Lascio a voi la pace, vi do la mia pace ( Gv 14,27 ).

Lascio, cioè, la pace transitoria e do quella durevole.

Se dunque il cuore si fissa in quella pace che è stata lasciata, non perviene mai a quella che deve essere data.

Pertanto bisogna conservare la pace presente in modo da amarla e insieme disprezzarla, affinché, se la si ama smodatamente, l’animo dell’amante non sia colto in peccato.

Perciò bisogna anche ammonire i pacifici, a non rinunciare a rimproverare i cattivi costumi degli uomini, per un eccessivo desiderio di assicurarsi una pace umana, così che, consentendo ai peccatori, non si distacchino dalla pace del loro Creatore; e mentre temono all’esterno gli improperi degli uomini, non siano colpiti dalla rottura dell’alleanza interiore.

Che cos’è infatti una pace passeggera se non un’impronta della pace eterna?

Che cosa ci può essere di più stolto che amare delle impronte sulla polvere e non amare la persona che ve le ha impresse?

Perciò David, stringendosi tutto alla alleanza della pace interiore, afferma di non conservare la concordia coi malvagi dicendo: Non odio forse, Dio, quelli che ti odiano, e non mi struggo sopra i tuoi nemici?

Li odio di un odio perfetto, sono divenuti miei nemici ( Sal 139,21-22 ).

Infatti, odiare i nemici di Dio con odio perfetto significa amare che essi esistano e rimproverare ciò che essi fanno; perseguire i costumi dei cattivi e giovare alla loro vita.

Bisogna dunque considerare con quanta colpa si conserva la pace coi malvagi, se ci si acquieta nella rinuncia a riprenderli, dal momento che un profeta così grande offre come un sacrificio a Dio il fatto di avere eccitato contro di sé, per Dio, l’inimicizia degli empi.

Perciò si dice che la tribù di Levi, impugnate le spade, percorrendo tutto l’accampamento, poiché non volle risparmiare i peccatori che meritavano di essere colpiti, consacrò la mano di Dio ( cf. Es 32,27ss ).

Perciò Finees, disprezzando il favore di uomini peccatori, colpi coloro che si univano con le madianite e con la sua ira placò l’ira del Signore ( cf. Nm 25,9 ).

Perciò la Verità stessa dice: Non pensate che sia venuto a portare la pace sulla terra.

Non sono venuto a portare la pace ma la spada ( Mt 10,34 ).

Infatti, quando incautamente stringiamo amicizia coi malvagi, ci leghiamo alle loro colpe.

Perciò Giosafat che è esaltato con tanti elogi riguardo alla sua vita passata, quasi in punto di morte viene rimproverato per la sua amicizia col re Achab; a lui infatti è detto dal Signore, per mezzo del profeta: Hai portato aiuto all’empio e ti sei unito, per l’amicizia, con coloro che odiano il Signore; perciò meriteresti l’ira del Signore, ma in te sono state trovate opere buone perché hai tolto i boschi sacri dalla terra di Giuda ( 2 Cr 19,2-3 ).

Quanto più la nostra vita concorda per l’amicizia coi perversi tanto più, solo per questo, essa si distingue ormai da colui che è sommamente giusto.

Bisogna ammonire i pacifici di non temere di turbare la propria pace temporale, se ricorrono a parole di correzione.

E ancora bisogna ammonirli a conservare interiormente con intatto amore la medesima pace che esteriormente si turba per la voce alzata nell’invettiva.

David mostra di avere saggiamente conservato ambedue quando dice: Con coloro che odiano la pace ero pacifico, quando parlavo con loro mi facevano guerra senza motivo ( Sal 120,7 ).

Ecco, quando parlava gli facevano guerra; e tuttavia anche così era pacifico, perché né cessava di rimproverare coloro che infuriavano né tralasciava di amare coloro che rimproverava.

Perciò anche Paolo dice: Se è possibile, per quanto sta in voi, abbiate pace con tutti gli uomini ( Rm 12,18 ).

Volendo esortare i discepoli ad avere pace con tutti, premise: Se è possibile, e aggiunse: per quanto sta in voi.

Poiché era difficile che potessero essere in pace con tutti se avessero dovuto rimproverare delle cattive azioni.

Ma quando, per il nostro rimprovero, la pace esteriore resta turbata nei cuori dei malvagi, è necessario che essa si conservi inviolata nel nostro cuore.

Perciò dice giustamente: per quanto sta in voi, come se dicesse: Poiché la pace consiste nel consenso di due parti, se essa viene cacciata da coloro che sono rimproverati, sia conservata tuttavia integra nel cuore di voi che rimproverate.

Perciò lo stesso, di nuovo, ammonisce i discepoli dicendo: Se qualcuno non ubbidisce a quanto diciamo con questa lettera, notatelo, e non mescolatevi con lui, affinché resti confuso ( 2 Ts 3,14 ).

E subito aggiunge: E non consideratelo come nemico ma correggetelo come un fratello ( 2 Ts 3,15 ); come se dicesse: Sciogliete la pace esterna con lui, ma quella interiore riguardo a lui custoditela nel fondo del cuore, affinché il vostro dissenso ferisca il cuore del peccatore in modo che, tuttavia, non si allontani dai vostri cuori la pace che non avrete rinnegato.

23 - Come si devono ammonire i seminatori di discordie e gli operatori di pace

Diverso è il modo di ammonire i seminatori di discordie e gli operatori di pace.

I primi bisogna ammonirli a riconoscere di chi sono seguaci, poiché è dell’angelo apostata che sta scritto, quando fu seminata la zizzania tra il buon seme: Un nemico ha fatto questo ( Mt 13,28 ).

E di un suo membro è anche detto, per mezzo di Salomone: L’apostata, uomo inutile, avanza con volto maligno, fa cenno con gli occhi, stropiccia col piede, parla col dito, con cuore malvagio concepisce il male, e in ogni tempo semina discordie ( Pr 6,12 ).

Ecco, chiama prima apostata colui che vuole chiamare seminatore di discordie, perché, se per la perversione del cuore non fosse caduto prima, interiormente, dal cospetto del Creatore - allo stesso modo dell’angelo insuperbito - non sarebbe poi uscito a seminare discordie all’esterno, lui che bene viene descritto come chi fa cenno con gli occhi, parla con le dita e stropiccia col piede.

Poiché è all’interno, la custodia che conserva l’ordinato comportamento esterno delle membra.

Ma chi ha perduto l’equilibrio dell’animo si abbandona, al di fuori, a movimenti scomposti, e con la mobilità esteriore indica come nessuna radice lo tenga saldo interiormente.

Ascoltino i seminatori di discordie ciò che è scritto: Beati gli operatori di pace poiché saranno chiamati figli di Dio ( Mt 5,9 ), e traggano da ciò, inversamente, la conclusione che, se saranno chiamati figli di Dio coloro che operano la pace, sono senza dubbio figli di Satana coloro che la turbano.

Ma tutti coloro che, a causa della discordia, si separano dalla pianta verde dell’amore, inaridiscono.

E quantunque essi producano frutti di buone opere nelle loro azioni, questi non valgono assolutamente nulla perché non nascono dall’unità della carità.

Perciò considerino, i seminatori di discordie, in quanti molteplici modi peccano, loro che, nel commettere una sola azione malvagia, di fatto sradicano dai cuori umani tutte insieme le virtù.

Ma poiché nulla è più prezioso per Dio della virtù dell’amore, niente è più desiderabile dal diavolo che la distruzione della carità.

Dunque, chiunque seminando discordie uccide l’amore del prossimo, serve come familiare al nemico di Dio perché, sottraendo ai cuori feriti la virtù, per la cui perdita egli cadde, taglia ad essi la via dell’ascesi spirituale.

Al contrario, bisogna ammonire gli operatori di pace a non trarre con leggerezza il peso di un’azione così importante, quando non conoscano le persone tra cui debbono stabilire la pace.

Infatti, come è molto dannoso che non ci sia pace tra i buoni, cos’è dannosissimo che ci sia pace tra i cattivi.

Pertanto, se la malizia dei malvagi li unisce nella pace, certo la loro forza si accresce di cattive azioni, perché quanto più concordano nel male tanto più vigorosamente si buttano ad affliggere i buoni.

Perciò infatti la voce divina parlando contro gli strumenti di quel dannato, cioè contro i predicatori dell’Anticristo, dice al beato Giobbe: Le membra della sua carne congiunte fra loro ( Gb 41,14 ).

Perciò dei suoi satelliti si dice, sotto l’immagine delle squame: Una si congiunge all’altra e neppure un soffio passa fra di esse ( Gb 41,7 ).

Poiché i seguaci di quello, quanto meno sono divisi tra di loro dall’ostilità, frutto della discordia, tanto più gravemente si uniscono per la strage dei buoni.

Dunque, colui che unisce gli iniqui, facendo pace fra loro, dispensa forze all’iniquità, poiché perseguitando i buoni unanimemente, li affliggono ancor peggio.

Perciò l’egregio predicatore, prigioniero per la grave persecuzione di Farisei e Sadducei, vedendoli pericolosamente uniti contro di sé, curò di dividerli fra di loro, quando gridò dicendo: Fratelli, io sono Fariseo figlio di Farisei e vengo giudicato riguardo alla speranza nella risurrezione dei morti ( At 23,6 ).

E poiché i Sadducei negavano la risurrezione dei morti e la speranza in essa, mentre i Farisei ci credevano, secondo i precetti della parola divina, si creò una divisione nell’unanimità dei persecutori, e per questa Paolo usci illeso da quella turba che prima, unita, lo aveva ferocemente stretto.

Pertanto bisogna ammonire coloro che si applicano a ristabilire la pace, ad infondere innanzitutto nei cuori dei malvagi l’amore della pace interiore, perché poi la pace esteriore possa giovare a loro, così che il riceverla, mentre il loro cuore è intento alla esperienza della pace intima, valga a non trascinarli al male; e mentre guardano avanti, verso la pace celeste non si servano in alcun modo di quella terrena per divenire peggiori.

Ma quando i malvagi sono tali che non sono capaci di nuocere ai buoni, anche se lo desiderano, è certo che tra costoro occorre stabilire la pace terrena anche prima che essi siano in grado di conoscere quella celeste, affinché coloro che la malizia della propria empietà esaspera contro l’amore di Dio, divengano mansueti almeno per l’amore del prossimo; e passino, come partendo da ciò che è vicino, a qualcosa di migliore, cioè ascendano a quella pace del Creatore che è loro lontana.

24 - Come si devono ammonire gli ignoranti nella dottrina sacra e i dotti che però non sono umili

Diverso è il modo di ammonire coloro che non intendono rettamente le parole della legge sacra e coloro che certo le intendono rettamente ma non ne parlano umilmente.

I primi vanno ammoniti a considerare che essi mutano, per sé, un sanissimo bicchiere di vino in un bicchiere di veleno, e con un ferro da chirurgo, si feriscono con una ferita mortale, quando con esso uccidono ciò che in loro è sano, mentre avrebbero dovuto tagliare ciò che è malato.

Bisogna ammonirli a considerare come la Sacra Scrittura sia per noi quale lampada posta nella notte della vita presente ( cf. Sal 119,105 ), ma se essi non intendono rettamente le sue parole è come se quelle si oscurassero perdendo la loro luce.

Certo non sarebbe un errore intenzionale a trascinarli a una comprensione distorta, se prima non li avesse gonfiati la superbia.

Infatti, considerandosi più sapienti degli altri, rifiutano con disprezzo di seguirli sulla via di una migliore comprensione, e per estorcere, all’autorità dell’opinione del volgo, il nome di scienza per il proprio insegnamento, si danno un gran daffare a demolire le rette interpretazioni di altri e a rafforzare i propri errori.

Perciò giustamente si dice per mezzo del profeta: Sventrarono le donne incinte in Galaad per allargare i loro territori ( Am 1,13 ).

Infatti con Galaad si intende il « cumulo della testimonianza », e poiché tutta insieme, la congregazione della Chiesa, attraverso la confessione [ dei suoi membri ], serve alla testimonianza della verità, non è senza senso che per Galaad si intenda la Chiesa che, per bocca di tutti i fedeli, attesta ciò che è vero riguardo a Dio.

Per donne incinte si intendono le anime che in virtù dell’amore divino, concepiscono la comprensione della Parola e giungono al compimento del tempo sono pronte a partorire, con la manifestazione delle opere, quella comprensione che avevano concepita.

E dilatare il proprio territorio significa estendere la fama della propria opinione.

Dunque, sventrarono le donne incinte in Galaad per allargare il proprio territorio, poiché evidentemente gli eretici uccidono, con una predicazione perversa, i cuori dei fedeli che già avevano concepito una qualche comprensione della verità, e diffondono la fama di una loro scienza.

Con la spada dell’errore squarciano i cuori dei piccoli, già gravidi della concezione della Parola, e creano, per il proprio errore, la opinione di dottrina.

Dunque, quando ci sforziamo di istruire costoro perché non errino col pensiero, è necessario che prima li ammoniamo a non cercare una gloria vana.

Infatti, se si strappa la radice dell’esaltazione, di conseguenza i rami della dottrina depravata inaridiscono.

Bisogna ammonirli anche che, col generare errori e discordie, non mutino in sacrificio a Satana proprio quella legge di Dio data precisamente per impedire sacrifici a Satana.

Perciò attraverso il profeta il Signore si lamenta dicendo: Ho dato loro frumento, vino e olio, e per loro ho moltiplicato argento e oro che hanno usato per Baal ( Os 2,8 ).

Dunque, riceviamo frumento dal Signore quando in espressioni oscure, tolta la copertura della lettera, attraverso il midollo dello spirito, cogliamo l’intimo della legge.

Il Signore poi ci offre il suo vino quando ci inebria con l’alta predicazione della sua Scrittura.

E ci dà pure il suo olio quando, con precetti più aperti, dispone con dolce leggerezza la nostra vita.

Moltiplica l’argento, quando ci amministra parole piene della luce della verità.

E ci arricchisce pure d’oro quando irraggia il nostro cuore con la percezione del sommo fulgore.

Tutte queste cose gli eretici le offrono a Baal, poiché, con la comprensione corrotta, pervertono ogni cosa nei cuori dei loro ascoltatori.

E col frumento di Dio, col vino e l’olio e ugualmente l’argento e l’oro, immolano un sacrificio a Satana, poiché piegano parole di pace all’errore che genera discordia.

Perciò bisogna ammonirli a considerare che quando, con animo perverso, creano discordia, per giusto giudizio di Dio, sono loro stessi a morire uccisi da parole di vita.

Al contrario, bisogna ammonire coloro che intendono, certo rettamente, le parole della legge, ma non ne parlano umilmente, ad esaminare se stessi alla luce dei discorsi sacri, prima di proporli agli altri, perché non accada che nel perseguire le azioni altrui, trascurino se stessi; e mentre intendono rettamente ogni cosa della Sacra Scrittura non tralascino di fare attenzione solamente a ciò che in essa si dice contro coloro che si esaltano.

Poiché è disonesto e ignorante, il medico che desidera curare la ferita altrui e ignora quella di cui egli stesso soffre.

Pertanto, coloro che non predicano umilmente le parole di Dio, bisogna certamente ammonirli - quando si applicano a medicare i malati - a esaminare anzitutto il veleno della peste che portano addosso, affinché mentre curano gli altri non muoiano loro.

Bisogna ammonirli a considerare che lo spirito con cui parlano non contrasti con la santità della Parola, e non accada che nella loro predicazione dicano una cosa e ne mostrino un’altra.

Ascoltino dunque ciò che è scritto: Se uno parla, siano come discorsi di Dio ( 1 Pt 4,11 ).

Pertanto perché coloro che pronunciano parole che non sono loro proprie, se ne vantano come se fossero loro?

Ascoltino ciò che sta scritto: Parliamo come da Dio, di fronte a Dio, in Cristo ( 2 Cor 2,17 ).

Infatti parla da Dio, di fronte a Dio, colui che capisce di avere ricevuto da Dio la parola della predicazione e cerca, con essa, di piacere a Dio e non agli uomini.

Ascoltino ciò che è scritto: È abominazione del Signore ogni arrogante ( Pr 16,5 ).

Poiché, evidentemente, mentre cerca la propria gloria nella parola di Dio, usurpa il diritto di colui che la dà, e non teme di posporre alla lode di sé colui dal quale ha ricevuto proprio ciò che viene lodato.

Ascoltino ciò che viene detto al predicatore per mezzo di Salomone: Bevi l’acqua della tua cisterna e quella che sgorga dal tuo pozzo; le tue sorgenti scorrano al di fuori e dividi le acque nelle piazze.

Abbile tu solo e non vi siano stranieri partecipi con te ( Pr 5,15-17 ).

Dunque, il predicatore beve acqua dalla sua cisterna, quando rientrando nel suo cuore ascolta, lui per primo, ciò che dice.

Beve l’acqua che scorre dal suo pozzo, se viene irrigato dalla sua parola.

Ed è ben detto ciò che si aggiunge: Le tue sorgenti scorrano al di fuori e dividi le acque nelle piazze ( Pr 5,16 ); poiché è giusto che beva lui, prima, e poi predicando faccia rifluire sugli altri.

Infatti, fare scorrere le fonti al di fuori significa infondere esteriormente agli altri la forza della predicazione.

Dividere poi le acque nelle piazze corrisponde a dispensare il divino discorso ad un grande numero di ascoltatori a seconda della qualità di ciascuno.

E poiché per lo più, mentre la parola di Dio si diffonde e giunge a conoscenza di molti, si insinua il desiderio di una gloria vana, dopo che è stato detto: Dividi le acque sulle piazze, giustamente si soggiunge: abbila tu solo e non vi siano stranieri partecipi con te.

Chiama cioè stranieri gli spiriti maligni dei quali, per mezzo del profeta si dice, con la voce di un uomo nella tentazione: Stranieri sono insorti contro di me e dei forti hanno cercato la mia vita ( Sal 54,5 ).

Dice dunque: Dividi le acque nelle piazze e tuttavia abbile tu solo; come se dicesse apertamente: È necessario che tu serva esteriormente la predicazione in modo da non unirti, attraverso l’esaltazione, agli spiriti iniqui e da non ammettere, nel ministero della parola divina, i tuoi nemici come tuoi partecipi.

Pertanto, dividiamo l’acqua nelle piazze e tuttavia la possediamo da soli, quando esteriormente diffondiamo ampiamente la predicazione e tuttavia non aspiriamo affatto ad ottenere la lode degli uomini attraverso di essa.

Indice

1 Uno dei detti del Signore di cui si ignora la fonte.
Si ritrova in sant’Agostino ( Enarr. in Ps. 103,12; e in Ps. 146,17 ) e in altri autori medievali.