Virtù

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Il concetto di virtù fu introdotto dalla filosofia greca per indicare gli atteggiamenti di fondo della persona valutati come positivi dal giudizio etico.

I Padri della Chiesa ripresero questo concetto dalla tradizione del pensiero aristotelico e stoico.

Con s. Ambrogio ( IV sec. ) l'attività morale viene articolata in quattro grandi virtù: giustizia, fortezza, temperanza, prudenza.

Le prime tre hanno come campo di applicazione le relazioni interpersonali e il controllo delle proprie spinte vitali-istintive; l'ultima è intesa come "ragionevolezza suprema", in quanto orientata alla produzione di un giudizio che fa appello ai fini più alti dell'umanità senza dimenticare le circostanze della vita individuale.

La "ragionevolezza" a cui le virtù tendono non si identifica con il calcolo utilitaristico o con un procedimento meramente razionale, ma coincide con la lenta conquista della consapevolezza dei valori, dei beni e delle finalità ultime dell'uomo.

La virtù morale presuppone l'idea del bene dell'uomo come fine della vita umana, il bene-vivere inteso come autorealizzazione personale.

La tradizione teologica cristiana ha per molto tempo considerato la teoria della virtù come il quadro etico-filosofico attraverso il quale presentare il messaggio di salvezza proposto dalla Rivelazione.

La prospettiva biblica esclude che la realizzazione etica di sé possa essere raggiunta con le sole forze umane della ragione e della volontà, e indica nella grazia ( v. ) il decisivo aiuto divino alla libera azione dell'uomo.

v. Astinenza; Castità; Discernimento; Fortezza; Giustizia; Legge morale; Morale cristiana; Perseveranza; Prudenza; Responsabilità; Temperanza

Per una riconsiderazione della virtù

Chi intenda oggi trattare della virtù non può evitare di confrontarsi con il persistente peso del sospetto nei confronti delle connotazioni moralistiche del tema, come quelle legate alla comprensione della virtù quale attributo dell'anima bella.

All'origine del sospetto moderno nei confronti della virtù sta questa impressione: che la persona virtuosa sia appunto quella che si occupa della propria anima.

A questa persona i critici della virtù dicono: "Non della vostra anima dovete occuparvi, ma dei vostri fratelli".

Alle persone credenti questi critici dicono: "Non sono i vostri visi che ci spaventano, ma le vostre virtù"; s'intende, le vostre pretese virtù, le vostre immaginarie virtù; quelle virtù che voi vi "fingete " senso necessità di aprire gli occhi su ciò che vi sta intorno, e soprattutto su quelli che vi stanno intorno.

Il compito fondamentale oggi proposto alla riflessione sul tema della virtù è appunto quello di pensare la virtù in termini non idealistici, o intimistici; in ogni caso in termini tali da evitare che si giunga alla determinazione della virtù a monte rispetto a ogni considerazione pratica.

La considerazione pratica si riferisce a due figure fondamentali: le emozioni e le azioni.

Detto altrimenti, ha l'aspetto dell'esperienza psicologica e rispettivamente dell'esperienza sociale.

Appunto di questi due aspetti empirici dell'umano si occupano le nuove scienze.

La ricerca psicologica contemporanea

Oggi la psicologia, soprattutto di indirizzo clinico, si occupa delle emozioni nell'ottica del benessere.

Essa giunge in molti modi a prospettare una sorta di "morale", la quale sostituisce il criterio del benessere soggettivo a quello del bene.

Il benessere d'altra parte non può essere l'oggetto del volere; al massimo, è il fine del volere.

Il benessere è nome di un'esperienza passiva, di una passione appunto, e non di un'azione.

Se il benessere viene assunto come parametro di valore supremo per ciò che riguarda l'agire, appare ineluttabile la regressione narcisistica della coscienza, e l'impossibilità di ogni responsabilità dell'uno nei confronti dell'altro.

Il modello teorico che sta alla base della considerazione psicologica dell'emozione ( vissuto emotivo ) e quello dell'affetto, dell'essere dunque affetti dalla realtà con conseguenze piacevoli o spiacevoli.

In ogni caso, l'affetto è apprezzato per riferimento al sentire del soggetto.

Viene invece trascurato il riferimento all'aspetto oggettivo del sentire: l'aspetto, più precisamente, per il quale il sentire riferisce il soggetto ad altro da sé.

Il momento del sentire ha infatti indubitabilmente questo significato: esso segnala l'essenziale riferimento del soggetto ad altro da sé.

Il sentire presiede per un primo aspetto alla conoscenza, alla visione significativa del mondo.

Soltanto "astratta" è la concezione intellettualistica della conoscenza, la quale suppone che essa possa realizzarsi senza riferimento al momento dell'affezione del soggetto a opera della realtà.

Il sentire presiede, sotto altro e più fondamentale profilo, all'agire del soggetto.

Esso è provocazione ad agire; e anzi addirittura provocazione a volere.

Agire non è subito equivalente a volere.

C'è un agire impulsivo che corrisponde immediatamente alle forme del sentire, senza alcuna deliberazione.

Per l'uomo non è sempre, non è subito, il tempo per volere.

Proprio l'agire effettivo dischiude progressivamente alla coscienza del soggetto la necessità ( morale ) di volere.

Serviamoci di un'illustrazione concreta.

Il bambino inizialmente non chiede quello di cui ha bisogno; piange, e altri si occupa di dare senso al suo piangere, di leggere in esso una domanda e di rispondere a quella domanda.

Progressivamente il bambino impara a dare parola alla sua richiesta; allora egli non solo può esprimere quella richiesta, ma deve esprimerla; ogni buona mamma insegna al figlio a chiedere e non a piangere per avere.

Soltanto se articoli in forma verbale la tua richiesta, e anzi soltanto quando chiederai per favore, io risponderò ad essa.

Viene dunque il tempo nel quale piangere amiche chiedere deve essere apprezzato come gesto di prepotenza, gesto dunque moralmente cattivo.

L'apprendimento del bambino a chiedere non può essere letto come semplice apprendimento verbale.

Esso risulta invece dal modello di comportamento che la testimonianza complessiva della madre offre al bambino.

Proprio in questa prospettiva occorre porsi per intendere la prima radice del possibile difetto di formazione morale del bambino.

Qualora la madre, poi anche il padre, e soprattutto le relazioni reciproche tra i due, siano tali da non dischiudere l'evidenza di un modello conseguente di comportamento, diventa proporzionalmente difficile per il figlio accedere all'evidenza del senso obiettivo di cui è gravido il suo sentire; e quindi passare dalle forme impulsive dell'agire alle forme volontarie e libere.

Sentimento e virtù

Il caso del bambino ci istruisce a proposito dei rapporti tra sentimento e virtù.

La virtù non può essere semplicemente definita come "altra cosa " rispetto al sentimento; essa e la verità di cui è oggettivamente gravido il sentimento.

Il sentimento, per "partorire" la verità, ha essenziale bisogno di modelli di identificazione.

Tali modelli almeno in un primo momento della vita - ma poi sempre - non possono essere "astratti", definiti cioè sui libri o mediante le parole del "maestro " ( di scuola o di parrocchia ); devono essere invece modelli proposti mediante il rapporto pratico dell'educatore nei confronti del minore.

L'attitudine dell'educatore a realizzare tali modelli e predisposta dalle forme del costume, dalle forme dunque della vita buona socialmente definite e apprezzate come tali.

Al di là della semplice conoscenza e della stessa approvazione dei modelli della vita buona da parte degli educatori sta poi il loro comportamento effettivo e la sua coerenza rispetto ai modelli dichiarati.

Il difetto di formazione della virtù del figlio nella famiglia contemporanea dipende, assai più che dal difetto di serietà morale dei genitori, dal significativo difetto di modelli proporzionalmente univoci che in linea di diritto dovrebbero essere offerti dal costume.

La considerazione morale in genere, e il chiarimento del concetto di virtù in specie, non può prescindere dalla considerazione delle forme del comportamento effettivo; più particolarmente, dalla considerazione di quelle forme tipiche del comportamento che trovano definizione e apprezzamento a livello di cultura ambiente, che costituiscono appunto la figura del costume.

Il fenomeno di destrutturazione del costume è un fatto di macroscopica evidenza.

E tuttavia è da rilevare, con sorpresa e anche con indignazione, l'altrettanto macroscopico difetto di riflessione sulle sue ragioni storiche e sulla qualità dei problemi che quel fenomeno obiettivamente propone per rapporto all'educazione in genere, per rapporto all'educazione cristiana in specie.

Circa le ragioni storielle, più precisamente di storia della civiltà, esse devono essere cercate in quella grande transizione storica che viene correntemente designata come "passaggio dalla società organica alla società complessa.

" Tale passaggio comporta che i singoli ambiti dello scambio sociale realizzino una sorta di dissociazione reciproca.

"Gli affari sono affari ", e la morale non c'entra, come pure non c'entrano gli affetti o la religione.

Ma anche "gli affetti sono affetti", e non c'entra il resto.

E così via. La dissociazione si produce a livello di forme obiettive - socialmente sancite - dei rapporti: poi anche a livello di forme pubbliche del sapere.

Non deve e neppure può prodursi a livello di coscienza del singolo.

Il singolo deve di necessità realizzare un'integrazione simbolica del proprio vissuto biografico, dunque un'integrazione di senso.

Al difetto di evidenze obiettive che propizino tale integrazione, egli cerca di rimediare mediante le risorse dell'immaginazione.

Gli schemi simbolici ai quali ricorre, attinti certo dalla tradizione culturale ( e magari in specie dalla tradizione simbolica della religione o delle religioni ), sono per altro il risultato di una selezione assai soggettiva, o addirittura francamente arbitraria, che comporta poi come suo risvolto la loro estrema precarietà.

L'identità del soggetto, immaginaria più che reale, risulta poi di conseguenza proporzionalmente fragile.

Valori e virtù

In questa luce occorre in particolare leggere il diffuso ricorso alla retorica dei valori.

L'univocità dei valori esigerebbe la loro concrezione in analoghe figure di virtù, di modelli idealtipici di condotta, mediante i quali soltanto può essere univocamente intenzionata la figura della vita buona.

Fino a che manchino tali modelli, l'appello immediato a pretesi valori idealisticamente rappresentati appare capace di legittimare tutto e il contrario di tutto.

Detto altrimenti, occorre realizzare l'istanza espressa mediante la critica aspra e pertinente di Hegel alle teorie morali dell'anima bella, che suppongono la possibilità di determinare la figura del bene morale prima di ogni cimento pratico effettivo, dunque al di fuori della storia.

Le morali dell'anima bella inducono come loro necessaria conseguenza una permanente riserva del soggetto nei confronti dell'agire effettivo, che appare sempre scadente e compromettente rispetto alla "purezza" delle intenzioni.

In tal senso occorre denunciare l'ingenuità di tanta parte della predicazione cattolica "aggiornata", che viceversa si affida alla proclamazione dei valori e approda a un idealismo morale storicamente irresponsabile.

Per elaborare i modelli storici di virtù, di cui si" dichiara la necessità, è necessario che l'iniziativa del cattolicesimo contemporaneo realizzi vari compiti.

Appare anzitutto indispensabile un'ermeneutica delle pratiche effettive, e quindi del costume corrente.

Non si conosce la qualità del bene morale a procedere dall'idea, ma unicamente a procedere da quelle evidenze di valori esistenziali che, pure in molti modi censurate dalla cultura pubblica corrente, sono obiettivamente iscritte nelle forme immediate della vita; per esempio, nella famiglia e nei rapporti tra coniugi e tra genitori e figli.

Al di là dell'interpretazione delle pratiche affettive, e quale conseguenza di essa, occorre poi elaborare e anche realizzare la figura di un costume cristiano, che solo può disporre le condizioni propizie alla realizzazione della stessa virtù personale del singolo.

Questo compito non si realizza ovviamente solo o soprattutto mediante le risorse della riflessione; suppone invece un processo di confronto responsabile tra credenti nel quadro della comunità cristiana.

Il processo in questione a sua volta suppone la disposizione di ciascuno a rendere ragione della propria condotta a fronte dei fratelli.

L'effettiva consistenza dell'aggregazione sociale realizzata nella comunità cristiana è condizione imprescindibile per la produzione di un costume cristiano.

Su questo fronte dobbiamo registrare, specie in Italia e in genere nei paesi di tradizione cattolica, resistenze macroscopiche.

Il difetto di un costume cristiano d'altra parte rende lo stesso esercizio di un magistero morale da parte della Chiesa, e più in generale di una parenesi ordinaria, estremamente problematico.

La cura per la promozione di un costume cristiano non è alternativa, ne solo precedente, rispetto alla cura rivolta all'educazione della coscienza del singolo attraverso le risorse offerte dalla relazione pastorale individuale.

Occorre però che questa cura sia prodotta in termini psicologicamente e sociologicamente competenti; a tal fine appare proporzionalmente rilevante l'elaborazione teorica e rispettivamente teologico-pratica previa.

Virtù umane e virtù teologali

Il rapporto tra i due generi di virtù costituisce una delle determinazioni della questione più generale del rapporto tra cristianesimo e umanesimo.

Tale rapporto è stato rappresentato nella tradizione moderna del cattolicesimo secondo lo schema fondamentale suggerito dalla famosa coppia naturale/soprannaturale.

Tale schema è stato in mille modi contestato dalla teologia del '900.

Da quella teologia, più precisamente, che s'è proposta di superare il modello scolastico convenzionale.

Possiamo distinguere due modelli teologici alternativi: quello kerygmatico ( del protestante Barth, che ha però epigoni anche in campo cattolico, von Balthasar in specie ) e quello antropologico-trascendentale ( Rahner e la sua numerosa discendenza, in specie tra i teologi morali ).

Ai due modelli è comune la negazione della tesi dell'ordine naturale inteso come ordine che sarebbe dal punto di vista logico autoconsistente: la verità dell'umano è solo e sempre quella rivelata dal Vangelo di Gesù.

E tuttavia la negazione del "naturale" assume fisionomia diversa nei due modelli.

Il modello kerygmatico ( v. kerygma ) propone una lettura decisamente "tragica" dell'uomo storico al di fuori del preciso riferimento al Vangelo di Gesù Cristo, nel senso che propone un'immagine del destino umano come destino segnato da inevitabile frattura, contraddizione e alla fine disperazione, a meno che non sia segnato da inevitabile finzione.

Il modello antropologico-trascendentale invece propone di quell'uomo una lettura più sfumata, o addirittura ottimistica: è vero che l'uomo non ha verità e salvezza se non in Gesù Cristo; è vero però che la verità e la salvezza di Gesù Cristo sono in qualche modo accessibili a ogni uomo.

Ogni forma dell'esperienza umana, letta nella sua consistenza radicale, ha l'obiettiva struttura di esperienza della grazia.

Più precisamente, ogni esperienza di libertà, ogni possibilità dunque per l'uomo di volere, ha alla sua radice l'esperienza radicale della vita come accadimento promettente, che provoca il soggetto a un impegno, a una decisione che ha la fisionomia dell'atto di fede.

Il momento morale della vita dev'essere inteso appunto come il riflesso di questa struttura radicale dell'esperienza umana.

Il dovere dell'uomo ha al suo fondamento la fedeltà al senso promettente e insieme impegnativo delle esperienze mediante le quali l'uomo stesso accede sorprendentemente alla consapevolezza di sé.

Questa affermazione di principio può essere verificata mediante una metodica rilettura delle fondamentali esperienze umane, la quale porti alla luce il profilo della vita quale accadimento gratuito.

Possiamo riferirci all'esperienza matrimoniale.

Quando Paolo dice ( Ef 5,21ss ): "Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa", non dev'essere inteso quasi che l'immagine di Cristo e della Chiesa si aggiungesse quasi esteriormente a un'immagine dei rapporti tra l'uomo e la donna che avrebbe in prima battuta una propria conclusa definizione a monte rispetto a quel riferimento.

Per se stessi quei rapporti alludono a un mistero, che l'evento Cristo "rivela": occorre in tal senso che le parole di Paolo siano dispiegate nella loro verità attraverso una fenomenologia dei rapporti tra uomo e donna che metta in luce l'obiettivo rimando a una verità trascendente.

Quest'ordine di considerazioni, espressamente riferito al preciso tema della virtù, comporta una tesi generale, che può essere così enunciata: ogni effettiva virtù è virtù teologale, e più precisamente è virtù cristiana.

Ogni effettiva virtù è determinazione parziale della virtù della fede operante mediante la carità.

Questa verità di principio non intende assegnare un senso cristiano alle singole virtù; dev'essere invece puntualmente verificata mediante una precisa comprensione fenomenologica delle singole virtù, la quale effettivamente mostri come in esse sempre si tratti di fede.

L'effetto di tale comprensione sarà quello di predisporre le condizioni propizie a un uso delle immagini bibliche per esprimere e insieme interpretare il tutto dell'esperienza umana.

Non dunque attraverso la ripetizione ossessiva dei supremi principi, ma attraverso l'ermeneutica cristiana di ogni lato dell'esperienza, sarà possibile alimentare la virtù umana e insieme cristiana.

  Fil 4,9

… cardinali

Forse l'autore riprende una interpretazione allegorica di Pr 31,10-31, applicata alla sapienza ( Pr 31,30+ ).

Enumera poi le quattro grandi virtù dei filosofi greci, che più tardi diventeranno le « virtù cardinali » della teologia cristiana.

Sap 8,7

… teologali

Fede speranza carità

Tre parti: superiorità della carità ( vv 1-3 ); le sue opere ( vv 4-7 ); la sua perennità ( vv 8-13 ).

Si tratta della carità fraterna.

L'amore per Dio non è direttamente inteso, ma è implicitamente presente, soprattutto nel v 13 in collegamento con la fede e la speranza.

1 Cor 13,13

Concilio Ecumenico Vaticano II

Lo Spirito Santo diffonde le … teologali in tutti i membri della Chiesa Apostolicam actuositatem 3
v. Spirito Santo
Maria modello di … Lumen gentium 65
la vera devozione a Maria è l'imitazione delle sue … Lumen gentium 67
Le … attuano l'indole sacra e organica della comunità sacerdotale dei fedeli Lumen gentium 11
e la partecipazione del Popolo di Dio all'ufficio profetico di Cristo Lumen gentium 12
Il martirio suprema testimonianza delle … teologali Lumen gentium 50
Il sacramento del matrimonio pervade i coniugi con le … teologali Gaudium et spes 48
la loro mutua fedeltà esige una … non comune Gaudium et spes 49
L'apostolato dei laici si esercita nelle … teologali Apostolicam actuositatem 3
  Apostolicam actuositatem 4
  Apostolicam actuositatem 16
Senza le … sociali non c'è vera vita cristiana Apostolicam actuositatem 4
Le … morali e sociali devono essere coltivate dai singoli e dai gruppi umani Gaudium et spes 30
Ai sacerdoti le … umane giovano molto Presbyterorum ordinis 3
I chierici devono imparare a radicarsi nelle … teologali Optatam totius 8
Le … del missionario Ad gentes 25
Nei religiosi il servizio di Dio deve favorire l'esercizio delle … Perfectae caritatis 5
v. Carità; Castità; Esempio; Fede; Perfezione; Povertà; Santità; Speranza; Testimonianza; Umiltà

Catechismo della Chiesa Cattolica

Comp. 159; 371; 377
… teologali Comp. 263; 384; 385; 558
… umane o cardinali Comp. 378; 379

Compendio della dottrina sociale

Umanesimo e coltivazione delle virtù

19
Solidarietà come virtù morale e sociale 193; 194
Solidarietà come virtù cristiana 196
Principi sociali ed esercizio delle virtù 197
Giustizia e corrispondente virtù cardinale 201
Pace, giustizia e pratica delle virtù 203
Legame tra virtù, valori sociali e carità 204
Figli in famiglia e virtù 210
Famiglia, prima scuola di virtù sociali 238
Educazione e coltivazione delle virtù 242
Ricchezze e virtù della solidarietà 332

Iniziativa economica come virtù

343
Ordine morale, autorità e virtù di obbligare 396
Autorità, virtù e potere come servizio 410
Laici ed esercizio delle virtù sociali 546
Laico e prudenza come virtù 547; 548
La carità, signora e regina di tutte le virtù 581
Virtù soprannaturale dell'amore e giustizia 583

Summa Teologica

… in genere

Essenza I-II, q. 55
Soggetto I-II, q. 56
Morali e intellettuali I-II, q. 57-58
… e passioni I-II, q. 59-60
Cardinali I-II, q. 61
Teologali I-II, q. 62
Causa I-II, q. 63
Giusto mezzo I-II, q. 64
Connessione I-II, q. 65
Grado I-II, q. 66
Permanenza I-II, q. 67
Ricupero delle … III, q. 89
v. Abito
… in specie II-II, q. 1-170