Discorso del Signore sulla montagna

Indice

Libro I

La beatitudine degli affamati e assetati della virtù egemone

13.37 - L'occhio che è scandalo

Quindi continua con le parole: Se poi il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; ti conviene infatti che vada perduto uno dei tuoi membri anziché tutto il tuo corpo vada nella geenna. ( Mt 5,29 )

Al caso si richiede un grande coraggio per recidere le membra.

Qualunque significato abbia l'occhio, senza dubbio è una tal cosa che si ama ardentemente.

Di solito da quelli che vogliono esprimere ardentemente il proprio affetto si dice: Lo amo come i miei occhi o anche più dei miei occhi.

L'aggiunta del destro forse serve ad indicare il vigore dell'affetto.

Sebbene infatti gli occhi siano volti insieme a guardare e se entrambi sono volti, hanno eguale influsso, tuttavia gli uomini temono maggiormente di perdere il destro.

Così questo è il significato: Qualunque cosa tu ami da considerarla l'occhio destro, se ti è occasione di scandalo, ossia se ti è d'impedimento alla vera felicità, cavalo e gettalo via da te.

Ti conviene infatti che vada perduto uno di questi oggetti che ami in modo che sono a te uniti come membra, anziché tutto il tuo corpo vada nella geenna.

13.38 - Interpretazione dell'occhio e della mano

Continua a parlare della mano destra e di essa dice egualmente: Se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te; ti conviene infatti che vada perduto uno dei tuoi membri, anziché tutto il corpo vada nella geenna. ( Mt 5,30 )

Ci costringe perciò a esaminare più attentamente che cosa ha inteso dire per occhio.

Sull'argomento non mi viene in mente qualche cosa di più appropriato se non che è un carissimo amico; infatti è esso di certo che possiamo rettamente considerare un membro che amiamo ardentemente; ed è anche consigliere perché è l'occhio che mostra il cammino; e perfino nelle cose di Dio perché è destro, affinché il sinistro sia pure un amato consigliere, ma nelle cose delle terra attinenti ai bisogni del corpo.

Era superfluo parlare di esso come occasione di scandalo, dal momento che non si deve risparmiare neanche il destro.

Nelle cose di Dio il consigliere è occasione di scandalo se col pretesto della religione e della dottrina tenta di indurre a qualche rovinosa eresia.

Quindi anche la mano destra sia interpretata come un caro aiutante e collaboratore nelle opere che riguardano Dio.

Infatti come nell'occhio s'intende la contemplazione, così nella mano giustamente l'azione in modo che la mano sinistra si ravvisi nelle opere che sono indispensabili a questa vita e al corpo.

14.39 - Matrimonio e divorzio

È stato detto: Chi ripudierà la propria moglie le dia l'atto di ripudio. ( Dt 24,1; Mt 5,31 )

Questa giustizia minore è propria dei farisei e ad essa non è contrario ciò che dice il Signore: Io invece vi dico: chiunque rimanderà la propria moglie, eccetto il caso di convivenza, la espone all'adulterio e chi sposa una ripudiata dal marito commette adulterio. ( Mt 5,32 )

Infatti chi ha comandato di darle l'atto di ripudio, non ha comandato che la moglie sia ripudiata, ma ingiunge: Chi la ripudierà le dia l'atto di ripudio affinché la preoccupazione dell'atto frenasse lo sdegno ingiustificato di chi ripudia.

Chi dunque ha imposto una dilazione ha indicato, per quanto gli è stato possibile, a uomini duri che non voleva la rottura.

E quindi il Signore stesso in un'altra circostanza, interrogato in proposito rispose così: Mosè l'ha disposto per la durezza del vostro cuore. ( Mt 19,8 )

Sebbene infatti fosse un duro colui che voleva ripudiare la moglie, si sarebbe facilmente messo in pace pensando che con la consegna dell'atto di divorzio ormai senza danno essa poteva sposarsi con un altro.

Quindi il Signore, per confermare che non ripudi la moglie con disinvoltura, ha accettato il solo caso della convivenza e ingiunge che tutte le altre difficoltà, se eventualmente vi fossero, siano tollerate con coraggio per la fedeltà coniugale e per la castità; afferma inoltre che è un adultero chi sposasse una donna divorziata dal marito.

Paolo ha mostrato il limite di questo obbligo, perché dice che si deve rispettare fino a quando vive il marito di lei e dopo la sua morte le consente di sposarsi. ( Rm 7,2 )

Anche egli ha tenuto presente questa norma, e in essa non un proprio criterio, come in alcuni avvertimenti, ma ha indicato l'ordinamento della prescrizione del Signore, quando dice: Agli sposati ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito e se si è separata, rimanga senza sposarsi o si riconcili con suo marito; e il marito non ripudi la moglie. ( 1 Cor 7,10-11 )

Penso che con tale norma il marito, se l'ha ripudiata, non deve sposarne un'altra, ma riconciliarsi con la moglie.

Può avvenire che rimandi la moglie nel caso di convivenza che il Signore ha inteso escludere.

Ora se a lei non è consentito di sposarsi, se è vivo il marito da cui si è separata, né a lui di sposarne un'altra, se è viva la moglie che ha rimandato, molto meno è consentito di commettere peccaminose violenze carnali con qualsiasi donna.

Più fortunati si devono considerare quei matrimoni i quali, sia dopo aver messo al mondo i figli, sia anche per il rifiuto della prole, abbiano potuto con reciproco consenso osservare la continenza.

Infatti questo non avviene contro il comandamento con cui il Signore vieta di ripudiare la moglie, perché non la ripudia chi convive con lei non secondo la carne, ma secondo lo spirito.

D'altra parte si osserva quel consiglio, di cui l'Apostolo dice: Per il resto coloro che hanno moglie vivano come se non l'avessero. ( 1 Cor 7,29 )

15.40 - Odio e amore nel tempo

Di solito turba di più la coscienza degli ingenui, che tuttavia già bramano di vivere secondo i comandamenti di Cristo, ciò che il Signore stesso dice in un altro passo: Chi viene a me e non odia il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria anima non può essere mio discepolo. ( Lc 14,26 )

Per i meno intelligenti può sembrare contraddittorio che in un passo proibisce di rimandare la moglie, eccetto il caso di fornicazione, in un altro nega che può essere suo discepolo chi non odierà la moglie.

Che se lo dicesse per l'accoppiamento non porrebbe sullo stesso piano padre e madre e fratelli.

Ma è molto vero che il regno dei cieli è oggetto di forza e coloro che usano la forza lo conseguono. ( Mt 11,12 )

Di questa forza si ha bisogno perché l'uomo ami i nemici e odi padre madre moglie figli e fratelli.

Infatti l'uno e l'altro adempimento ingiunge colui che ci invita al regno dei cieli.

Ed è facile comprendere col suo insegnamento che queste disposizioni non sono contraddittorie, ma una volta comprese, è difficile metterle in pratica, sebbene anche in questo caso col suo aiuto è facile.

Invero il regno eterno, al quale si è degnato di chiamare i suoi discepoli, che dichiara anche fratelli, ( Mt 12,49 ) non ha tali soggezioni al tempo.

Infatti non v'è Giudeo, né Greco, né maschio, né femmina, né schiavo, né libero, ma Cristo è tutto in tutti. ( Gal 3,28; Col 3,11 )

E il Signore stesso dice: Alla risurrezione non prenderanno né marito né moglie, ma saranno come gli angeli in cielo. ( Mt 22,30 )

È necessario dunque che chi vorrà già fin d'ora riflettere sulla vita di quel regno, odi non gli uomini ma queste soggezioni al tempo, con cui si sostenta questa vita fluente che trascorre col nascere e col morire.

Chi non odia questo stato non ama ancora quella vita, in cui non si avrà il condizionamento del nascere e morire che stringe i rapporti matrimoniali.

15.41 - Amore e odio nell'eternità

Faccio l'ipotesi d'interrogare un buon cristiano, che ha comunque la moglie e con essa mette ancora figli al mondo, se la vuole avere con sé come moglie nel regno di Dio.

Memore certamente delle promesse di Dio e di quella vita, in cui questo essere soggetto al divenire assumerà l'immunità dal divenire e questo essere soggetto alla morte assumerà l'immunità dalla morte, ( 1 Cor 15,53 ) già attratto da un grande o per lo meno da un certo amore per quella vita, con orrore risponderà che non lo vuole assolutamente.

Se di nuovo lo interrogassi se dopo la risurrezione vuole che la moglie viva con lui nella conseguita immunità dal divenire propria degli angeli, promessa ai santi, risponderà che lo vuole ardentemente come non voleva l'altro.

Così si riscontra che il buon cristiano ama nella donna la creatura di Dio e desidera che lei sia restituita all'essenza pura e a una nuova esistenza, ma odia il congiungimento e l'accoppiamento soggetti al divenire e al morire, ossia ama in lei che è una creatura umana, odia che è moglie.

Così ama anche il nemico, non in quanto è nemico, ma in quanto è uomo, sicché desidera che a lui pervenga la condizione che desidera per sé, ossia che restituito al bene e alla nuova esistenza giunga nel regno dei cieli.

Questo si deve intendere anche del padre, della madre e degli altri vincoli del sangue, ( Lc 14,26 ) sicché in essi odiamo quel che il genere umano ha ottenuto con la nascita e la morte e amiamo ciò che con noi può essere condotto in quel regno, perché in esso nessuno dice: Padre mio, ma tutti all'unico Dio: Padre nostro; ( Mt 23,9 ) non: Madre mia, ma tutti alla Gerusalemme del regno: Madre nostra; ( Gal 4,26 ) né: Fratello mio, ma tutti per tutti: Fratello nostro. ( Mt 23,8 )

L'unione poi per noi, raccolti assieme a lui nell'unità, sarà come di un solo coniuge, ( 2 Cor 11,2 ) perché ci ha liberato dalla prostituzione di questo mondo con l'effusione del proprio sangue.

È necessario dunque che il discepolo di Cristo odi i beni che passano in coloro che desidera vengano con lui ai beni che rimarranno per sempre e tanto più li odi in loro quanto più li ama.

15.42 - Vario rapporto con la moglie

Dunque il cristiano può vivere in concordia con la moglie, sia per ottenere la placazione del senso, e questo, come dice l'Apostolo, per condiscendenza non per obbligo; ( 1 Cor 7,3-6 ) sia per ottenere la procreazione dei figli, e questo in certo senso può esser lodevole; sia per avere un vincolo fraterno senza accoppiamento, avendo la moglie come se non l'avesse, ( 1 Cor 7,29 ) e questo nel matrimonio dei Cristiani è uso assai dignitoso e nobile, purché odi in lei il pretesto del bisogno nel tempo e ami la speranza della felicità nell'eternità.

Infatti odiamo senza dubbio ciò che desideriamo che alfine non sia più, come la vita stessa del mondo attuale che se non odiassimo perché nel tempo, non desidereremmo la futura che non è soggetta al tempo.

Per una tal vita è stata creata l'anima, di cui è stato detto: Chi inoltre non odierà la propria anima non può essere mio discepolo. ( Lc 14,26 )

A questa vita è indispensabile questo cibo, che si altera, di cui il Signore stesso dice: Forse che l'anima non vale più del cibo, ( Mt 6,25 ) cioè questa vita a cui è indispensabile il cibo.

E quando dice che dà la propria anima per le sue pecore, ( Gv 10,15 ) parla certamente di questa vita, perché dichiara che dovrà morire per noi.

16.43 - Parità di diritti fra coniugi

Sorge qui un altro problema. Poiché il Signore permette di ripudiare la moglie nel caso di fornicazione, ci si chiede in qual senso in questo brano si deve intendere la fornicazione: se nel senso in cui tutti la intendono, sicché ammettiamo che è indicata la fornicazione che si commette negli atti libidinosi, ovvero nel senso in cui la Scrittura, come è stato detto poco fa, di solito denomina fornicazione ogni dissoluzione immorale, come è l'idolatria o l'avarizia e da ciò ogni trasgressione della Legge a causa d'un illecito desiderio.

Ma consultiamo l'Apostolo per non dire qualcosa senza criterio.

Egli dice: A coloro che sono uniti in matrimonio comando, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito e se si è separata, che rimanga senza sposarsi o si riconcili col marito. ( 1 Cor 7,10-11 )

Può avvenire che si separi per un motivo che il Signore ha permesso.

Ovvero se alla donna è consentito rimandare il marito anche senza il motivo della fornicazione e non è consentito al marito, che cosa risponderemo su quel che ha detto di seguito: E il marito non rimandi la moglie? ( 1 Cor 7,11 )

Perché non ha aggiunto: Eccetto il caso di fornicazione, dato che il Signore l'ha permesso?

Evidentemente perché vuole che s'intenda la medesima formula, cioè che se l'ha rimandata, che è permesso nel caso di fornicazione, rimanga senza moglie o si riconcili con lei.

Infatti non contro l'onestà si sarebbe riconciliato il marito con quella donna alla quale, poiché nessuno osò lapidarla, il Signore disse: Va' e non peccar più. ( Gv 8,3-11 )

Infatti anche chi dice: Non è lecito rimandare la moglie, salvo il caso di fornicazione, obbliga a ritenerla, se non v'è il motivo della fornicazione; se vi fosse, non obbliga a rimandarla, ma lo permette.

Allo stesso modo si dice: Non è lecito alla donna sposare un altro se non dopo la morte del marito; se si sposasse prima della morte di lui, è colpevole; se invece dopo la morte del marito non si sposasse, non è colpevole perché non le è stato obbligato di sposare, ma permesso. ( 1 Cor 7,39 )

Se dunque è uguale la formula in questo aspetto giuridico del matrimonio tra il marito e la moglie al punto che non solo della donna il medesimo Apostolo ha detto: La donna non ha il potere del suo corpo, ma l'uomo; ma anche di lui non ha taciuto dicendo: Egualmente anche l'uomo non ha il potere del suo corpo, ma la donna; ( 1 Cor 7,4 ) se dunque identica è la formula, non si deve pensare che è lecito alla donna di rimandare il marito, salvo il caso di fornicazione, come non è lecito al marito.

16.44 - Concessione di Paolo sul coniuge pagano …

Si deve esaminare quindi in qual senso dobbiamo intendere la fornicazione e consultare, come avevamo incominciato, l'Apostolo.

Egli continua e dice: Agli altri dico io, non il Signore. ( 1 Cor 7,12 )

In questo passo prima si deve considerare chi sono gli altri; precedentemente dalla prospettiva del Signore parlava a coloro che sono nel vincolo coniugale; ora invece dalla propria prospettiva agli altri; dunque qui forse a coloro che non sono nel vincolo coniugale, ma non è questo il seguito.

Infatti soggiunge: Se un cristiano ha la moglie pagana ed essa consente di abitare con lui, non la rimandi.

Dunque anche qui parla di coloro che sono nel vincolo coniugale.

Che significa dunque la sua espressione Agli altri? Evidentemente perché prima parlava a coloro che sono così uniti da essere l'uno e l'altra nella fede di Cristo; ora invece parla agli altri, cioè a coloro che sono così uniti senza essere l'uno e l'altra cristiani.

Ma che dice ad essi? Se un cristiano ha la moglie pagana ed essa è d'accordo di stare con lui, non la rimandi; e se una donna ha il marito infedele ed egli è d'accordo di stare con lei, non rimandi il marito. ( 1 Cor 7,12-13 )

Se dunque non obbliga dalla prospettiva del Signore, ma consiglia dalla propria prospettiva, anche questo è bene, sicché chi si comportasse diversamente non è violatore di un obbligo.

Anche sulle vergini poco dopo dice che non ha un comando del Signore, ma che dà un consiglio e loda in tal modo la verginità da attrarre colei che volesse, ma non in modo che se non adempisse, si giudichi che ha trasgredito un comando. ( 1 Cor 7,25-28 )

Sono cose diverse ciò che si comanda, ciò che si consiglia e ciò che si scusa.

La donna è obbligata a non separarsi dal marito e se si è separata, a rimanere senza sposarsi o a riconciliarsi col marito, quindi non è consentito agire diversamente.

Invece il cristiano è consigliato, se ha la moglie pagana che è d'accordo di stare con lui, di non rimandarla, quindi è consentito di rimandarla perché non v'è il comando del Signore di non rimandarla, ma il consiglio dell'Apostolo.

Allo stesso modo si consiglia alla giovinetta di non sposarsi, ma se si sposerà, non osserverà il consiglio, ma non agirà contro un obbligo.

Infine si permette, quando si dice: Vi dico questo per comprensione e non per comando. ( 1 Cor 7,6 )

Perciò se è consentito rimandare il coniuge infedele, sebbene sia meglio non rimandarlo e tuttavia non è consentito secondo il comando del Signore di rimandare il coniuge, se non nel caso di fornicazione, anche la mancanza di fede è fornicazione.

16.45 - … perché si redimono a vicenda

Ma che dici tu, o Apostolo? Evidentemente che il cristiano non rimandi la moglie pagana che è d'accordo di stare con lui.

Sì, afferma. Poiché dunque anche il Signore comanda che il marito non rimandi la moglie, salvo il caso di fornicazione, perché in questo caso dici: Lo dico io, non il Signore? ( 1 Cor 7,12 )

Evidentemente perché l'idolatria praticata dai pagani e qualsiasi dannosa credenza è fornicazione.

Il Signore ha permesso, nel caso di fornicazione, che la moglie fosse ripudiata, ma poiché ha permesso non obbligato, ha dato modo all'Apostolo di consigliare che chi volesse non ripudi la moglie pagana, perché così eventualmente potrebbe divenire cristiana.

Dice: Infatti il marito pagano viene reso alla grazia nella moglie e la moglie pagana nel marito cristiano. ( 1 Cor 7,14 )

Come penso, era già avvenuto che alcune donne giungevano alla fede attraverso i mariti cristiani e i mariti attraverso le mogli cristiane; e quantunque senza far nomi, ha esortato con gli esempi a consolidare il proprio consiglio.

Poi continua: Diversamente i vostri figli sarebbero impuri, invece ora sono resi alla grazia. ( 1 Cor 7,14 )

Vi erano già infatti dei fanciulli cristiani che erano stati resi alla grazia o col sostegno di uno dei genitori o col consenso di entrambi.

E questo non sarebbe avvenuto se da colui che credeva fosse sciolto il matrimonio e non fosse sopportata la mancanza di fede nel coniuge fino al momento favorevole del credere.

Tale è il consiglio di colui al quale, come credo, fu detto: Se spenderai di più, al mio ritorno te lo restituirò. ( Lc 10,35 )

16.46 - Analogia del concetto di fornicazione

Quindi se la mancanza di fede è fornicazione e se l'idolatria è mancanza di fede e l'avarizia idolatria, non si deve dubitare che l'avarizia è fornicazione.

Chi dunque può ormai con criterio distinguere ogni illecito desiderio dal concetto generale di fornicazione se l'avarizia è fornicazione?

Se ne deduce che a causa degli illeciti desideri, non solo quelli che con atti libidinosi si commettono con i mariti e le mogli degli altri, ma assolutamente a causa dei desideri di qualunque specie i quali distolgono dalla legge di Dio l'anima che usa male del corpo e la danneggiano con rovina e disonore, senza colpa può il marito rimandare la moglie e la moglie il marito perché il Signore eccepisce il caso della fornicazione.

Siamo costretti appunto a intendere, come è stato discusso precedentemente, laornicazione con significato generico e universale.

16.47 - Parità di doveri fra uomo e donna

Quando ha detto: Eccetto il caso di fornicazione, non ha indicato di chi di loro, dell'uomo o della donna.

Infatti non si concede di ripudiare soltanto la moglie colpevole di fornicazione, ma anche chiunque rimanda la moglie, da cui egli stesso è costretto a fornicare, certamente la rimanda per motivo di fornicazione.

Poniamo l'esempio d'una moglie che costringe il marito a sacrificare agli idoli.

Chi ripudia una tal donna, la ripudia per motivo di fornicazione, non solo di lei, ma anche proprio, di lei perché colpevole di fornicazione, proprio per non fornicare.

Nulla v'è infatti di più ingiustificato che per motivo di fornicazione ripudiare la moglie, se si dimostra che anche egli ha commesso fornicazione.

Sovviene quel passo: Per il fatto che tu giudichi l'altro condanni te stesso, perché commetti le medesime colpe che giudichi. ( Rm 2,1 )

Perciò chiunque per motivo di fornicazione vuole ripudiare la moglie, deve prima essere immune dalla fornicazione; lo devo dire anche per la donna.

16.48 - Alcune ipotesi sul rapporto coniugale

Sull'inciso: Chi sposa una ripudiata dal marito commette adulterio ( Mt 5,32 ) si può discutere se commette allo stesso modo adulterio colui che la sposa e colei che egli sposa.

Infatti lei è obbligata a rimanere senza sposarsi o a riconciliarsi, ma se si fosse separata dal marito, dice l'Apostolo. ( 1 Cor 7,11 )

È molto diverso il caso se ripudia o se è ripudiata.

Se infatti lei ha ripudiato il marito e sposato un altro, è evidente che ha abbandonato il primo marito nel desiderio di cambiare matrimonio e questa è senza dubbio una risoluzione da adultera.

Se invece viene ripudiata dal marito, con cui desiderava rimanere, secondo l'insegnamento del Signore commette adulterio chi la sposerà, ma è incerto se anche lei è coinvolta in tale colpa.

Tuttavia molto meno si può determinare in quale modo, quando uomo e donna si uniscono con uniforme consenso, uno di essi sia adultero e l'altro no.

A questo si aggiunge che, se commette adulterio egli sposando una donna che è separata dal marito, sebbene non ha ripudiato lei ma è stata ripudiata, essa gli fa commettere adulterio, fatto che egualmente il Signore vieta.

Se ne deduce che, tanto se è rimandata come se ha rimandato, è necessario che rimanga senza sposarsi o che si riconcili col marito.

16.49 - Ipotesi sul permesso della moglie

Si pone anche il problema se il marito, nel caso che col permesso della moglie, o sterile o che non vuole subire l'accoppiamento, ricorresse a un'altra, non sposata né separata dal marito, possa essere senza la colpa del concubinaggio.

Se ne ha un esempio nella narrazione dell'Antico Testamento. ( Gen 16,1-3 )

Però attualmente gli obblighi sono più alti e ad essi l'umanità è giunta attraverso quel cammino.

Si devono quindi tener presenti per distinguere le tappe dell'economia della divina Provvidenza, che è venuta incontro al genere umano con ordine sovrano e non per arrogarsi delle norme di vita.

Tuttavia formuliamo l'ipotesi che la norma dell'Apostolo che, cioè, la donna non ha potere sul suo corpo, ma l'uomo ed egualmente che l'uomo non ha potere sul suo corpo, ma la donna, ( 1 Cor 7,4 ) si possa applicare al punto che, col permesso della moglie, che ha potere sul corpo del marito, l'uomo possa accoppiarsi con una donna, che non sia né moglie né separata dal marito.

Però non si deve supporre che anche la donna lo possa fare col permesso del marito, perché lo esclude il buon senso di tutti.

16.50 - Un caso singolare di adulterio

Tuttavia possono darsi alcuni motivi per cui sia plausibile che anche la moglie, col consenso del marito, lo possa fare, come si narra che sia avvenuto ad Antiochia una cinquantina di anni addietro ai tempi di Costanzo.

Acindino allora prefetto, che poi fu anche console, mentre sollecitava un tale debitore di una libbra d'oro al fisco, per non saprei qual motivo, si adirò.

E questo in tali alte magistrature è pericoloso perché ad essi ciò che va a genio è lecito, o meglio si presume che sia lecito.

Lo minacciò giurando e affermando energicamente che se a un determinato giorno, che aveva stabilito, non versava l'oro in parola, sarebbe stato ucciso.

Mentre dunque quegli era tenuto in un brutale stato di arresto e non poteva liberarsi da quel debito, cominciò a sovrastare e ad avvicinarsi il giorno tanto temuto.

Aveva per caso una moglie bellissima, ma non aveva denaro per venire in aiuto al marito.

Essendosi un ricco invaghito della bellezza di quella donna e avendo saputo che il marito di lei si trovava in quel frangente, mandò da lei promettendo di dare la libbra per una notte, se voleva unirsi coniugalmente a lui.

Essa allora sapendo che non aveva lei il potere sul proprio corpo, ma il marito, riferì a lui, dicendo di esser pronta a farlo per il marito, se egli, signore del corpo coniugale, a cui era dovuta l'intera castità di esso, voleva che ciò avvenisse come di una cosa propria per la propria vita.

Egli ringraziò e la autorizzò a farlo non giudicando affatto che quello fosse un accoppiamento da adultera, perché non v'era libidine e lo richiedeva una grande carità per il marito col suo consenso e volere.

La donna andò nella casa di campagna di quel ricco, fece quello che volle quello spudorato; ma lei diede il suo corpo soltanto per il marito che non voleva accoppiarsi, come di solito, ma sopravvivere.

Lei prese l'oro, ma colui che glielo aveva dato con l'inganno sottrasse quel che aveva dato e sostituì un involto simile con la terra.

Appena la donna, giunta in casa sua, se ne accorse, uscì con impeto sulla pubblica strada per gridare quel che aveva fatto per amore del marito e che per questo era stata costretta a farlo.

Si reca dal prefetto, confessa tutto ed espone la frode che ha dovuto subire.

Allora il prefetto, riconosciutosi colpevole, perché con le sue minacce si era giunti a quel punto, ingiunse, come se pronunziasse la sentenza contro un altro, che si versasse la libbra d'oro al fisco dai beni di Acindino e quella donna fosse accompagnata come padrona in quel terreno, da cui aveva avuto la terra invece dell'oro.

Del fatto non discuto in un qualche senso.

Sia consentito a ciascuno di giudicare come vuole, poiché il fatto non è stato derivato dai libri ispirati.

Tuttavia alla narrazione del fatto l'umano sentimento non riprova quel che, col consenso del marito, è stato compiuto in quella donna come l'abbiamo biasimato precedentemente quando si trattava l'argomento senza quell'esempio.

Ma in questo brano del Vangelo niente si deve considerare più attentamente del gran male che è nella fornicazione al punto che, sebbene i matrimoni siano resi indissolubili da un vincolo così forte, è stato eccepito soltanto questo motivo dello scioglimento.

L'argomento della fornicazione ha così fine.

17.51 - Riserve sul giuramento …

Gesù continua: Avete inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempirai col Signore il tuo giuramento.

Io invece vi dico di non giurare affatto, né per il cielo perché è il trono di Dio, né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme perché è la città del gran re.

Non giurare neanche per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.

Sia invece il vostro discorso: sì, sì, no, no; il di più è dal male. ( Mt 5,33-37 )

La virtù dei Farisei consiste nel non spergiurare.

La conferma chi proibisce di giurare perché questo appartiene alla virtù del regno dei cieli.

Come infatti non può dire il falso chi non parla, così non può spergiurare chi non giura.

Però poiché giura chi invoca Dio come testimonio, si deve attentamente esaminare questo brano affinché non sembri che l'Apostolo ha agito contro il comandamento del Signore, poiché ha frequentemente giurato in questo senso, quando dice: In ciò che vi scrivo io attesto davanti a Dio che non mentisco; ( Gal 1,20 ) e ancora: Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che è benedetto nei secoli sa che non mentisco. ( 1 Cor 11,31 )

È simile anche questo pensiero: Dio, al quale rendo culto nel mio spirito col Vangelo del suo Figlio, mi è testimone in qual modo nelle mie preghiere mi ricordo sempre di voi. ( Rm 1,9-10 )

Qualcuno potrebbe eccepire che si ha il giuramento quando si afferma che è vero l'essere per cui si giura, sicché Paolo non ha giurato perché non ha detto: Com'è vero Dio, ma ha detto: Dio mi è testimone.

È ridicolo pensarlo. Tuttavia a causa degli ostinati e degli ottusi, affinché qualcuno non pensi che vi sia differenza, sappia che anche in questo modo ha giurato l'Apostolo nel dire: Ogni giorno io affronto la morte come è vero che voi siete il mio vanto. ( 1 Cor 15,31 )

Non si pensi che la frase significhi: Il vostro vanto mi fa affrontare ogni giorno la morte, come in quest'altra frase: Mediante il suo insegnamento è stato istruito, cioè mediante il suo insegnamento si è ottenuto che fosse perfettamente istruito.

Il testo greco discrimina, perché in esso è scritto: Νή την υμετέραν καύχησιν, modo di dire che si proferisce soltanto da chi giura.

Per questo dunque si capisce che il Signore ha ingiunto di non giurare, affinché l'uomo non ricorra al giuramento come a un'azione buona e con l'abitudine di giurare non incorra nello spergiuro.

Perciò chi capisce che il giuramento si deve usare non nelle buone azioni ma in casi di necessità, si freni, per quanto gli è possibile, per usarlo soltanto per bisogno, quando avverte che gli individui sono renitenti a credere una verità, che è loro utile credere, se non viene confermata col giuramento.

Attiene a questo il pensiero: Sia il vostro discorso: sì sì, no no. Questo è un bene e da conseguire.

Il di più è dal male, ( Mt 5,37 ) cioè se sei costretto a giurare, sappi che proviene dalla debolezza di coloro ai quali inculchi qualche verità.

E questa debolezza è certamente un male, dal quale ogni giorno invochiamo di essere liberati, quando diciamo: Liberaci dal male. ( Mt 6,13 )

Perciò non ha detto: il di più è un male; tu infatti non commetti un'azione malvagia perché usi bene del giuramento il quale, sebbene non buono, è tuttavia indispensabile per convincere l'altro di ciò che inculchi utilmente, ma esso proviene dal male di colui, dalla cui debolezza sei costretto a giurare.

Ma soltanto chi lo ha sperimentato sa quanto sia difficile reprimere l'abitudine di giurare e di non compiere mai sconsideratamente un atto che talora la necessità costringe a compiere.

17.52 - … perché impegna sempre l'essere divino

Poi si può esaminare perché dopo la frase: Io vi dico di non giurare è stato aggiunto: Né per il cielo perché è il trono di Dio e il resto fino alle parole: Né per la tua testa. ( Mt 5,34-36 )

Credo per il fatto che i Giudei non ritenevano di doversi attenere al giuramento, se avevano giurato per quei motivi.

E poiché avevano udito dalla Scrittura: Manterrai al Signore il tuo giuramento, ( Mt 5,33; Es 20,7; Lv 19,12; Dt 5,11 ) pensavano di non dover mantenere al Signore il giuramento, se giuravano per il cielo o la terra, o per Gerusalemme o la propria testa.

Questo avveniva non per omissione di chi comandava, ma perché essi interpretavano male.

Quindi il Signore insegna che nelle creature di Dio non v'è essere così vile che qualcuno presuma di spergiurare per esso, poiché dai più grandi ai più piccoli sono retti dalla divina Provvidenza, iniziando dal trono di Dio fino al capello bianco o nero.

Dice: Né per il cielo perché è il trono di Dio, né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi, ( Mt 5,34-35 ) cioè quando giuri per il cielo o per la terra, non supporre di non dovere al Signore il tuo giuramento perché sei indotto a giurare com'è vero lui, in quanto il cielo è il suo trono ( Mt 23,22 ) e la terra il suo sgabello.

Né per Gerusalemme perché è la città del gran re; ( Mt 5,35 ) è meglio che se dicesse: mia, sebbene è evidente che l'ha detto.

E poiché egli ne è il Signore, deve il giuramento al Signore chi giura per Gerusalemme.

E non giurare neanche per la tua testa. ( Mt 5,36 )

Che cosa un uomo poteva considerare che appartenesse di più a sé che la propria testa?

Ma in che modo è nostra, se non abbiamo il potere di rendere in essa un capello bianco o nero?

Quindi deve il giuramento a Dio, che misteriosamente regge il tutto ed è dovunque presente, chiunque vorrà giurare anche com'è vera la propria testa.

Da qui si intendono anche gli altri modi che certamente non tutti si potevano allegare, ad esempio quello che abbiamo riferito come enunziato dall'Apostolo: Ogni giorno affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto.

E per dimostrare che doveva al Signore tale giuramento, aggiunse: Che ho in Cristo Gesù. ( 1 Cor 15,31 )

17.53 - Implicazione di cielo e terra

Tuttavia a motivo dei materialisti affermo: Non si deve interpretare la frase che il cielo è il trono di Dio e la terra lo sgabello dei suoi piedi nel senso che Dio ha disposte le membra in cielo e in terra nella posa con cui noi sediamo, ma quella disposizione significa il giudizio.

E poiché in tutto il complesso del mondo il cielo ha la più grande leggiadria e la più piccola la terra, come se la divina potenza sia più presente alla splendida bellezza e ordini quella inferiore nelle parti più lontane e più basse, si dice che siede nel cielo e che calca la terra.

In senso spirituale il concetto di cielo indica le anime elette e quello di terra le peccatrici.

E poiché l'uomo spirituale giudica tutte le cose e non è giudicato da nessuno, ( 1 Cor 2,15 ) giustamente è considerato trono di Dio.

Il peccatore invece, a cui fu detto: Sei terra e alla terra tornerai, ( Gen 3,19 ) poiché mediante la giustizia, che retribuisce secondo i meriti, è disposto in basso e, poiché egli che non è voluto rimanere nella legge, è punito dalla legge, convenientemente è considerato sgabello dei piedi di Dio.

18.54 - Superamento del male nella fame e sete della virtù

Ma ormai per concludere anche questo argomento importante, che cosa di più travagliato e impegnativo si può dire o pensare, quando una coscienza devota pone in atto tutte le energie della propria attività, che superare un'abitudine viziosa?

Tagli le membra che ostacolano il regno dei cieli e non sia fiaccata dal dolore.

Sopporti nella fedeltà coniugale tutte le difficoltà che, sebbene assai moleste, tuttavia non comportano il reato di un disonesto pervertimento, cioè della fornicazione.

Ad esempio se uno avesse una moglie sterile o deforme nel corpo o debole di membra, cieca o sorda o zoppa o con qualche altra imperfezione, o affranta da malattie, dolori, depressioni e qualsiasi cosa di veramente raccapricciante si possa pensare, eccettuata la fornicazione, lo sopporti per la fede e per l'umana convivenza.

E non solo non ripudi una tale moglie, ma anche se non l'avesse, non sposi una separata dal marito e bella sana ricca e prolifica.

E se non è lecito compiere queste azioni, molto meno si ritenga che gli sia consentito di attuare un altro qualsiasi illecito accoppiamento e fugga la fornicazione per trarsi da ogni indecoroso pervertimento.

Dica il vero e non lo confermi con i frequenti giuramenti, ma con la onestà del costume.

Accorrendo alla rocca del combattimento cristiano, come da un luogo più alto abbatta le innumerevoli schiere, a sé ribelli, di tutte le cattive abitudini, di cui poche sono state elencate affinché tutte fossero conosciute.

Ma chi osa intraprendere tante fatiche se non chi arde in tale modo dell'amore alla virtù che, fortemente infiammato come da fame e sete e ritenendo insignificante la vita finché di essa non si sazia, compie ogni sforzo verso il regno dei cieli?

Infatti, nel troncare nettamente le abitudini, non potrà essere forte in altro modo per affrontare tutti gli impegni che gli amatori di questo mondo considerano penosi, affannosi e del tutto difficili.

Beati dunque quelli che hanno sete e fame della virtù perché saranno saziati. ( Mt 5,6 )

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