Orizzontalismo

Verticalismo

Sommario

I. Attualità del problema:
    1. La situazione storica di cristianità;
    2. La situazione storica di secolarizzazione;
    3. Le situazioni rivoluzionarie.
II. L'esperienza umana originaria.
III. Le interpretazioni dell'esperienza:
    1. L'interpretazione cosmico-sacrale;
    2. L'interpretazione metafisica;
    3. Le interpretazioni antropologiche;
    4. Le interpretazioni esistenziali;
    5. L'interpretazione spaziale;
    6. Le interpretazioni temporali.
IV. La parola di Dio:
    1. Il messaggio dell'AT;
    2. Il messaggio del NT.
V. Una riflessione teologica e spirituale:
    1. Il desiderio umano di felicità e l'esperienza di fede;
    2. Regno di Dio e conversione al mondo;
    3. Per una spiritualità ecclesiale e pubblica dell'esodo e dell'invenzione.

I - Attualità del problema

Il problema circa il carattere orizzontale e/o verticale della vita cristiana è esploso recentemente nell'ambito del cristianesimo occidentale in modo polemico in seguito allo sforzo di alcuni movimenti apostolici impegnati nell'opera di ridare spessore storicamente significativo alla presenza cristiana nella società.

Il carattere polemico della discussione ha caricato le parole di significati emotivi e sovente variabili, per cui è indispensabile mettere in rilievo il contesto storico in cui sono state usate e che ne determina il significato.

Si possono individuare tre linee di tendenza, che corrispondono in parte anche a momenti storici e ad aree culturali diverse: la situazione di cristianità, di secolarizzazione e di rivoluzione.

1. La situazione storica di cristianità

La discussione è stata originariamente sollevata dall'esigenza di certi cristiani, sia nell'ambito cattolico che protestante, di riscoprire il primato della fede in rapporto ad una progressiva ritualizzazione del cristianesimo e di riscoprire l'apertura al mondo in rapporto ad una troppo accentuata clericalizzazione.

Sul primo versante si ha in campo protestante la reazione della teologia dialettica di K. Barth ed in campo cattolico il fiorire di numerosi movimenti di spiritualità.

Sul secondo versante sono da ricordare gli sforzi diversamente motivati dell' "umanesimo integrale" ( Maritain ), della "teologia delle realtà terrene" ( Thils ), dell' "apertura al mondo" ( Auer ), del "cristianesimo non religioso" ( Bonhoefter ).

In questo contesto la parola orizzontalismo assume un colore negativo in quanto usata dagli oppositori di questa tendenza per respingerla polemicamente, mentre la parola verticalismo, non meglio precisata, assume il significato positivo di presunta fedeltà alla tradizione cristiana.

2. La situazione storica di secolarizzazione

Nella realtà secolare delle società industriali e post-industriali i termini del problema sono cambiati.

Accettando come punto di partenza la città secolare, opera delle mani dell'uomo e priva ormai delle "orme" di Dio, molti cristiani hanno cercato di ripensare e di riformulare la vita cristiana nei termini non religiosi di senso per la vita e per la convivenza umana.

Significativi a questo proposito sono stati gli sforzi della teologia esistenziale e della teologia della secolarizzazione.

Il carattere orizzontale del cristianesimo viene in questo contesto accettato come insopprimibile dato di fatto, ma spesso viene anche inteso positivamente come esito conforme alla rivelazione cristiana o
addirittura come un suo prodotto.

Il verticalismo, invece, per un verso viene apprezzato negativamente in quanto residuo di una concezione sacrale e religiosa del cristianesimo, mentre per un altro verso viene riformulato in termini esistenziali o comunitari.

3. Le situazioni rivoluzionarie

I cristiani impegnati in una pratica rivoluzionaria di cambiamento della società non si preoccupano più di trovare modi di vivere la fede che ne salvaguardino l'originalità; piuttosto intendono giocare la loro fede nella prassi rivoluzionaria, s'interrogano sul significato della fede in riferimento al cambiamento rivoluzionario della società e cercano di riappropriarsi la fede a partire dall'interno dell'esperienza rivoluzionaria.

La discussione sull'orizzontalismo e/o sul verticalismo del cristianesimo appare in questo contesto superata, legata ormai all'ideologia di un mondo da trasformare radicalmente e quindi respinta nella stessa formulazioe.

Il problema viene riformulato secondo uno schema temporale ed attivo, abbandonando lo schema spaziale e contemplativo; si preferisce parlare di prassi trasformatrice del presente, di avvento del futuro, di novità.

La vicenda polemica della discussione esige di risalire all'esperienza umana che sta alla radice del problema e di analizzare successivamente il fatto che tale esperienza può ricevere una pluralità di interpretazioni, spesso in conflitto tra loro, mai comunque adeguate all'esperienza stessa.

II - L'esperienza umana originaria

La vera vita è assente.

Ma noi viviamo.

Questa situazione paradossale pone in atto un movimento originale: da ciò che è quotidianamente familiare - anche nelle sue frange di non ancora esplorato - verso ciò che ancora non esiste, verso l'invisibile.

Il termine di questo movimento non è qualcosa che si renda progressivamente correlativo, non è una meta; è diverso rispetto a tutto ciò che possiamo vedere, di cui possiamo impadronirci, che ci può soddisfare.

E tuttavia questo movimento, il cui termine ci sfugge, è profondamente radicato in noi, a tal punto da
essere costitutivo della nostra vita.

Questa insopprimibile condizione pone la vita degli uomini sotto il segno di una polarità esistenziale tra ciò che di fatto c'è e ciò che è possibile, tra il già fatto e il non ancora realizzato, polarità che fa dell'uomo un essere di desiderio.

D'altra parte la tensione esistenziale, che in certi tornanti della storia particolarmente segnati dalla transizione culturale può assumere colori drammatici, è ambivalente nel senso che il possibile può essere ricondotto entro i limiti del già esistente e l'invisibile può essere oggettivato.

Il desiderio d'infinito viene in tal modo ridotto a bisogno o ad una serie di bisogni da soddisfare.

L'oggettivazione del desiderio umano di totalità, che conduce alla reificazione della vita e della storia, è possibile sia sul registro dell'esperienza religiosa che sul registro della vita secolare.

L'oggetto affascinante e tremendo dell'esperienza religiosa o la pratica rituale possono assolvere il ruolo di oggettivare la dimensione trascendente dell'esperienza umana, rendendo possibile l'armonica composizione dell'invisibile, ormai inteso come l'oggetto dell'esperienza religiosa, con la quotidianeità spesso conflittuale dell'esistenza, ponendo al riparo dalla sua drammaticità.

Uguale ruolo può essere ricoperto da quelle che possono essere chiamate le religioni laiche del profitto, del progresso, del successo, della totale razionalizzazione.

Ma la reificazione della vita e della storia non può mai essere totale e definitiva, come mostra il fenomeno dell' "uomo rivoltato", che nella nostra epoca ha superate l'espressione individuale e letteraria per diventare fenomeno collettivo e storico.

La rivolta nella sua immediatezza appare come negazione critica globale delle leggi, delle convenzioni sociali e della stessa soddisfazione dei bisogni.

Ma la stessa paradossalità della negazione suggerisce che la rivolta si fonda su un'esperienza di cui la negazione non è che un'espressione, nemmeno la più significativa: la coscienza dei limiti, da cui deriva la rivolta, affonda le radici nell'esperienza positiva di un desiderio più radicale di tutti i bisogni.

Lo scacco continuamente ripetuto del desiderio ripropone senza posa la questione del senso della vita e rende necessaria l'assunzione di un progetto di conversione permanente nella prospettiva della realizzazione di se stessi da attingere all'interno di una riconciliazione universale.

Anche la rivelazione cristiana è stata spesso interpretata in modo religioso e talvolta ha subito l'influsso delle religioni secolari.

Tuttavia essa non può mai essere ricondotta totalmente entro questi moduli interpretativi sia perché Dio si pone al di là del sacro come l'ineffabile creatore di tutto ciò che esiste, sia perché in Gesù Cristo Dio rivela la sua trascendenza incarnandosi e non estraniandosi dalla storia.

La fede cristiana, pertanto, anziché eliminare la polarità esistenziale, la riapre continuamente.

III - Le interpretazioni dell'esperienza

L'esperienza della fede cristiana in quanto coinvolge l'uomo nella radice del suo essere e lo pone in relazione con il Dio di Gesù Cristo, la cui autodonazione è radicalmente indisponibile, non è mai tematizzabile adeguatamente; da ciò deriva il fatto che essa può venire interpretata secondo una pluralità di moduli, desunti da diverse esperienze e da culture geograficamente e storicamente differenti.

Dal momento che la pluralità di interpretazioni tende a diventare conflitto, vale la pena ricordare che ogni modulo interpretativo non s'identifica mai con l'esperienza che interpreta, in quanto è uno strumento costruito dall'attività conoscitiva umana allo scopo di rendere conto dei fenomeni della vita e della storia.

I principali moduli ermeneutici per quanto riguarda il presente problema possono essere ricondotti alle seguenti figure tipiche:

1. L'interpretazione cosmico-sacrale

Presuppone l'esperienza emozionale del rapporto con il cosmo come luogo della totalità e l'esperienza del sacro come realtà diversa dal vissuto quotidiano ed insieme affascinante per il fatto di promettere la ricostruzione immediata di quel paradiso dell'armonia che la vita quotidiana spesso mostra perduto, offrendo così garanzie contro la drammaticità della vita.

Il sacro è contemporaneamente la realtà diversa dalla vita quotidiana e la forza misteriosa che in essa si svela ed opera.

Il rapporto si precisa in termini di epifania, in cui la realtà cosmica perde l'autonomia insieme alla drammaticità per diventare luogo del sacro, che è la vera realtà.

A questa figura interpretativa si avvicinano gli orientamenti di marca mistica o carismatica, che sostituiscono l'esperienza cosmica con altre esperienze di tipo psicologico o mistico, ma conservano l'immediatezza del rapporto con il trascendente.

2. L'interpretazione metafisica

Si fonda sulla riflessione e tende a distinguere i piani della realtà e dell'esperienza.

Il nucleo centrale è costituito dal binomio trascendenza-immanenza che, data la sua genericità, può subire le più disparate concretizzazioni e piegarsi ad usi anche opposti.

Con notevole approssimazione, anche se non senza fondamenti, si usa qualificare come "greco" o "ellenistico" questo schema interpretativo e si ascrive spesso al suo influsso la causa della distorsione ultramondana e dualistica del cristianesimo.

In un'epoca recente questo schema è stato trasformato in quello meno omogeneo, ed anche più confuso, di trascendenza-incarnazione, nel tentativo di rendere conto in modo meno inadeguato della particolare trascendenza di cui parla la rivelazione cristiana.

3. Le interpretazioni antropologiche

Rappresentano con numerose varianti ed accentuazioni lo sforzo di rendere intelligibile la polarità dell'esperienza umana, religiosa e cristiana mediante il ricorso a categorie antropologiche.

Il modulo più ricorrente parla di corpo-anima o di corpo-spirito, dove il primo termine indica prevalentemente la fatticità esistenziale, mentre il secondo ha il compito di esprimere la capacità di trascendenza.

Molto spesso nella spiritualità i termini del binomio vengono caricati di valenza negativa ( corpo ), oppure intesi in modo acriticamente positivo ( anima, spirito ), alimentando un mai sopito dualismo.

4. Le interpretazioni esistenziali

Sono una variante delle interpretazioni antropologiche classiche, arricchita da un'enorme mole di analisi fenomenologiche della vita soggettiva.

Dopo l'implacabile opera demistificatrice condotta specialmente da parte della fenomenologia esistenziale e della psicoanalisi nei confronti della soggettività e dell'interiorità, si continua a parlare dei binomi soggettività-oggettività, interiorità-esteriorità; tuttavia di questi binomi si pone in rilievo l'interna ed essenziale polarità, non essendo più pensabile una soggettività di tipo cartesiano o una interiorità totalmente libera.

Questa lezione demistificatrice non sembra ancora adeguatamente accolta dalla spiritualità cristiana, per la quale spesso la vita interiore ha ancora un significato ingenuamente positivo.

5. L'interpretazione spaziale

In termini di orizzontalismo-verticalismo è più recente e segna un ritorno a moduli cosmologici.

L'esistenza e la storia vengono distribuite secondo due coordinate spaziali delle quali la prima indica la storia, la seconda la trascendenza.

Il carattere formale dello schema spaziale permette il surrettizio infiltrarsi di altri schemi interpretativi che ne risultano impoveriti e travisati: è il destino toccato ai tentativi di riformulare tutta la questione in termini di amore del prossimo e amore di Dio, di mondo e chiesa, di politica e fede.

Infatti il carattere formale dello schema spaziale, qualora se ne perda di vista il valore simbolico, lo rende adatto ad essere usato come arma polemica, più che a comprendere la realtà della vita.

6. Le interpretazioni temporali

Si sono imposte nel tempo più vicino a noi in seguito alla rinascita degli studi biblici e liturgici e più ampiamente per il clima culturale della società industriale dominata dalla logica della previsione, della progettazione e della realizzazione degli obiettivi; rilevante è in questo senso anche il crescente peso storico del marxismo.

Tra la diversità dei modi, in cui l'interpretazione temporale viene espressa, il più diffuso e significativo parla di storia ed escatologia.

Tutte le figure interpretative elencate hanno una struttura duale, mediante la quale cercano di enucleare un'esperienza che è impossibile tematizzare adeguatamente.

Si può indicare anche il permanere della tendenza a passare dalla dualità al dualismo.

La difficoltà reale consiste nel pensare e nell'esprimere la relazione, la reciproca implicazione dei due
termini del binomio; ma è questo il vero compito da affrontare.

IV - La parola di Dio

La bibbia non illustra direttamente qualche tesi teologica riguardante il problema orizzontalismo-verticalismo.

La sua prospettiva non è teorica, bensì esistenziale e storica.

Essendo una serie di libri scritti e raccolti in epoche diverse e con diversi intenti e caratteristiche, nella Bibbia sono attestati anche elementi teofanici, cosmici ed antropologici.

Tuttavia il filone centrale e costitutivo della rivelazione è di tipo personalista e comunitario: ciò che la bibbia racconta è l'alleanza di Dio, con il popolo eletto, che si sviluppa storicamente nella fedele autodonazione di Dio e nella formazione del suo popolo nel mondo.

Solo all'interno di questa vicenda storica è dato di cogliere degli elementi significativi per illuminare indirettamente il nostro tema.

1. Il messaggio dell'AT

Pur non essendo possibile raccogliere in sintesi ordinata il messaggio veterotestamentario, si può indicare nell'efficace annuncio della venuta del regno di Dio uno, se non l'unico, degli aspetti più rilevanti dell'AT.

a. Il primato della relazione di Dio con il popolo

Diversamente dall'esperienza religiosa, nella quale il divino è cercato a partire dal desiderio umano di totalità, la bibbia mette in risalto l'impossibilità umana di vedere e di manipolare Dio: Jahve è ineffabile ( Es 3,5s; Es 19,12; Is 6,5 ).

Di Dio si sa solo quanto egli stesso rivela nell'attività salvifica a favore del popolo.

Conseguentemente l'iniziativa salvifica di Dio verso il popolo ha la priorità rispetto allo sforzo umano ascendente di conoscere ed amare Dio e ne traccia la possibilità ed i limiti.

Nella visione teologica dello jahvista la "benedizione" è in primo luogo azione di Dio a favore dei patriarchi ( Gen 12,1-3; Gen 26,12-14; Gen 27,27; Gen 30,27; Gen 39,5 ).

La liberazione dall'Egitto è presentata come concretizzazione fedele della benedizione di Dio ai patriarchi ( Es 20,2; Dt 5,6 ) ed è attribuita al potente intervento di Dio ( Es 15,1-18 ).

Quando la relazione di Jahve con il popolo viene presentata in termini di amore, l'amore è molto più celebrato come esistente in Dio verso il popolo che non come sentimento umano diretto verso la divinità.

I profeti insistono in modo particolare su questo aspetto non senza rilevare la diversità dell'amore di Dio rispetto a quello umano ( Os 11,7-9 ).

b. La centralità della risposta etica nell'amore fraterno

L'acuta coscienza biblica dell'ineffabilità di Dio non permette di concepire la risposta all'iniziativa di Dio in termini diretti ed immediati, ma esige di passare attraverso le mediazioni storiche dell'impegno
etico, la cui forma primaria è la realizzazione di una vita sociale liberante.

La benedizione, che i patriarchi ricevono da Dio, li vincola in primo luogo a collaborare per la realizzazione delle promesse divine e a diffondere la benedizione di Dio sui loro discendenti ( Gen 27,27-29; Gen 49,1-27 ), e attraverso essi sugli uomini ( Gen 30,27; Gen 39,5; Gen 48,16 ).

La liberazione dalla schiavitù impegna Mosè e il popolo a creare quelle condizioni concrete che consolidino, allarghino e promuovano il processo di liberazione che, solo, rende possibile un autentico culto del vero Dio ( Es 12-26 ).

I profeti collegano l'amore fraterno con l'amore di Dio per il suo popolo: come Dio osserva giustizia e diritto, benevolenza e misericordia ( Os 2,21 ), anche i fedeli praticheranno benevolenza ( Os 6,6 ), diritto e benevolenza ( Os 12,7 ), giustizia e bontà ( Os 10,12s ).

L'alleanza di Dio con Israele è un evento che accade nella storia e crea storia.

Ciò che differenzia Israele dagli altri popoli è la convinzione di essere un popolo scelto da Dio in seguito ad interventi storici determinati.

L'antico legame dell'uomo con la natura è sostituito da un rapporto personale e comunitario che si sviluppa in storia.

La vocazione storica del popolo spiega la priorità dell'impegno etico rispetto alle speculazioni gnostiche ed alle fughe mistiche.

E l'impegno etico si concretizza nella trasformazione dei rapporti sociali, perché è con il popolo, non solo con il singolo, che Dio conclude l'alleanza.

c. Il rapporto del popolo con Dio

La relazione degli uomini con Dio ha nell'AT un significato diverso da quello comunemente inteso quando si parla di dimensione verticale del cristianesimo.

La principale forma di questa relazione è costituita dalla fede vissuta come riconoscimento della fedele azione salvifica di Dio a favore del popolo.

E la concretizzazione primaria di questa fede consiste nell'impegno etico dell'obbedienza di fede, intesa come continuo sforzo di camminare con Dio nella realizzazione della salvezza.

Conseguentemente il culto non è, come mostra chiaramente la critica profetica, un momento autonomo e tanto meno onnicomprensivo della vita religiosa.

Il culto è in funzione della fede e della vita del popolo: è la gioiosa celebrazione del riconoscimento della gratuita azione salvifica di Dio, celebrazione che è autentica nella misura in cui s'accompagna allo sforzo etico del popolo.

2. Il messaggio del NT

Sull'orizzonte dell'AT l'evento storico di Gesù acquista tutta la sua densità.

L'autocomunicazione di Dio, iniziata con la creazione ed operante lungo tutto l'arco della storia salvifica, ha nel Cristo il suo pieno compimento.

a. Gesù di Nazaret

Facendosi uomo, Dio "trascende la trascendenza" nella quale la ragione umana e lo spirito religioso pretendono di isolarlo e rivela che la vera trascendenza consiste nel rendersi solidale con gli uomini ( Gv 1,14; Fil 2,6-11 ).

L'incarnazione di Dio in Cristo contesta il desiderio umano di raggiungere "verticalmente" Dio e rivela quanto questo desiderio sia connivente con la logica peccaminosa del "voler essere come Dio".

Nello stesso tempo l'incarnazione e la vita storica di Cristo rivelano la serietà e la profondità della condivisione del destino umano come unico e definitivo luogo in cui camminare insieme verso la salvezza, immergendosi nella storia fino alle sue radici anziché cercarne la soluzione in un titanico sforzo di evasiva trascendenza.

La rivelazione suprema dell'amore di Dio come condivisione del destino umano si ha nella ( v. ) croce, in cui Dio stesso prende le parti dell'uomo contro la deità nella quale l'uomo ha preteso di racchiuderlo.

Gesù non segue la Volontà di potenza dell'uomo, perché non partecipa alla costruzione dell'esistenza alienata, ne la distrugge meccanicamente ad insaputa degli uomini.

Cristo assume su di sé la condizione umana alienata del peccato e della morte.

Ma sulla croce la morte non è da Cristo solo eroicamente assunta, ne accettata come pura espiazione del peccato; la morte è vissuta come supremo sacrificio di dedizione filiale al Padre: un sacrificio totale della propria libertà secondo libertà; sacrificio che coincide, perciò, con l'essenza della persona, immagine di Dio.

Nella risurrezione si ha l'incontro dell'amore del Padre e del Figlio.

Nella dinamica paternità-filiazione consiste il nucleo centrale della fede cristiana e la meta della prassi dei cristiani.

Gesù non annienta in sé, ne in noi il desiderio di vivere, ma l'articola sul desiderio del Padre che può donare la vera vita, la vita più forte della morte, in quanto è la fonte assoluta della vita.

b. Da Gesù alla comunità dei credenti

Gesù Cristo non si pone dinanzi ai credenti come un modello da imitare, come un ricordo da custodire nostalgicamente o come un feticcio da adorare.

Il risorto trascende tutte le schematizzazioni del "prima" e del "poi", del "dentro" e del "fuori"; la sua presenza è diversa: è energia che si irradia, spirito che suscita vita ( 1 Cor 15,45 ).

Già durante la sua vicenda storica Gesù "manda" i discepoli ( Lc 10,1ss ).

Dopo la risurrezione egli sottrae la sua presenza fisica ( Lc 24,31 ): non vuole essere adorato ( Gv 20,17 ), ne vanamente contemplato ( At 1,11 ).

La relazione con Gesù Cristo non va inseguita lungo il miraggio dell'identificazione mistica, che non ci metterebbe in relazione che con i prodotti del nostro psichismo: la continuità con Gesù va costruita sulla base della fedeltà alla missione storica da lui avviata ( Mt 28,18s ), intesa come testimonianza del suo mistero ( At 1,21ss ) e come sforzo etico di creare nei luoghi e nei tempi della storia quelle condizioni concrete di amore fraterno ( At 4,32-35; Gv 13,33-38; Mt 25,31-46 ) che rendono possibile l'adesione alla sua causa.

c. L'attesa escatologica

La carità fraterna è presentata come l'attività caratteristica dei cristiani nel tempo dell'attesa della parusia dai sinottici ( Mt 25,1-13; Mt 25,14-30; Lc 19,12-27 ), dagli scritti paolini ( Gal 4,10; Rm 13,8-10; 1 Cor 13,1ss ), dal quarto vangelo ( Gv 13,33-38 ) e dagli scritti apostolici ( Didachè 16,1-4; Idem. 2, 4-8; 50,3; 2 Clem. 17,2-4 ).

La carità è, dunque, l'occupazione normale dei cristiani nell'attesa della parusia.

L'amore del prossimo in generale, e dei più piccoli in particolare, costituisce il legame tra il tempo presente e quello futuro.

Certamente si può dire che l'amore fraterno è l'attività caratteristica per il tempo dell'assenza del Cristo.

Ma ancora più precisamente si deve dire che nel loro amore fraterno i discepoli del Cristo partecipano del suo amore per gli uomini e ne continuano la causa nella storia.

L'amore è l'unica energia vitale per cui nel mondo presente, soggetto al male e alla morte, gli uomini possano anticipare la vita futura.

Ma ciò avviene sempre sotto forma di "tensione": la carità è un lavoro che passa nelle vicende storiche attraverso difficoltà, suscitato dalla fede e sostenuto dalla speranza ( 1 Ts 1,3; Rm 5,3-5 ).

V - Una riflessione teologica e spirituale

Questo tema è in stretta relazione con la concezione di Dio, con la missione della chiesa e con il rapporto della fede con la storia.

Solo in riferimento a questi argomenti può essere convenientemente esplicitato.

1. Il desiderio umano di felicità e l'esperienza di fede

L'adesione alla parola di Dio affonda le sue radici nel desiderio umano di felicità.

Cercare la felicità significa desiderare il proprio compimento trovando l'identità nell'incontro con colui che può rivelarla e donarla.

Ogni uomo produce ideali di felicità e d'altra parte ogni uomo sperimenta lo scacco cui i suoi progetti vanno incontro nell'impatto con la realtà.

Anche nella fede l'uomo può cercare la rassicurante garanzia della validità di ciò che ha già realizzato o degli ideali che si è costruito.

Ma la fede nella sua dinamica più semplice e vera, più che fornire gratificanti giustificazioni, riapre ed assume il conflitto tra il desiderio e la realtà.

Quando l'uomo pone il problema di Dio in modo cosciente, è già tanto vissuto; egli ha già una concezione di Dio, del mondo e di se stesso.

Per questo è tentato di incontrare Dio sul prolungamento degli esiti del suo pensare ed agire come giustificazione di ciò che ha già acquisito, lasciando cadere il compito di risalire alla radice del suo essere.

Anche lo schema orizzontalismo-verticalismo può prestarsi, come le sue metamorfosi polemiche suggeriscono, al gioco di fornire giustificazioni religiose a determinati modi di vivere.

Il desiderio umano tende sempre a fissarsi in mete concrete e manipolabili, sulle quali l'uomo può aver presa e verificare la sua forza dominatrice.

L'esperienza di fede mette il credente in rapporto con un Dio che resta sempre inaccessibile e che non diventa mai un oggetto manipolabile.

L'indisponibilità di Dio, solidamente fondata nella rivelazione biblica, conduce ad un rovesciamento di prospettiva.

Ciò di cui si può disporre diventa oggetto; solo ciò che ha dei lati nascosti, impenetrabili anche per il pensiero, è persona.

D'altra parte la manifestazione di Dio nella rivelazione fa emergere unicamente il suo atteggiamento personale: la libera volontà di autodonarsi.

Il credente scopre nella fede che c'è un Dio più grande del suo desiderio.

Ma questa rivelazione, proprio per il fatto che Dio non è un oggetto che si rende antagonista dell'uomo, ma rimane indisponibile, lungi dall'eliminare l'apertura del desiderare umano apre all'uomo un orizzonte inedito rendendo possibile la sua libertà.

Accogliendo Dio nella fede, l'uomo decifra un po' meglio il segreto della sua identità, vede aprirsi un orizzonte di avvenire ed è reso libero per una risposta di dono.

Allora comincia a vivere, acconsentendo con gioia alla condizione di figlio.

Essere figli significa accogliere da un altro il dono della propria vita e realizzare questa vita riconoscendo l'altro con il dono di sé in una comunione reciproca.

Si può parlare di "presenza assente" di Dio nella fede: è una presenza velata perché Dio nel suo rivelarsi non si fa mai correlativo; ma è vera presenza, come attesta la trasformazione che accade al credente che l'accoglie; è una presenza attiva che diviene storicamente percepibile nella trasformazione che opera nella vita dei credenti.

È una trasformazione che non si esaurisce nei suoi esiti fattuali, ma si pone come loro sorgente inesausta; non si esaurisce nella trascendenza di un determinato fatto, ne in una determinata incarnazione, ma diviene un fatto costante di trascendenza e di incarnazione.

La maturazione della fede implica l'esodo dalle rappresentazioni immaginarie di Dio e di se stessi per fondarsi sulla vigile attesa del rivelarsi di Dio nella realtà della storia e di se stessi.

Credere non è fondarsi su idee, su azioni o su sentimenti, per quanto purificato asceticamente, ma è fondarsi sulla presenza ineffabile ed attiva di Dio che interpella il nostro desiderio, povero e tuttavia capace d'infinito.

La fede, lungi dall'essere un possesso spirituale, provoca ad un reale svuotamento ( kenosi ) che decentra dalla difesa feticista di pensieri, sentimenti e comportamenti, per invitare a partecipare attivamente all'azione di Dio nella storia.

2. Regno di Dio e conversione al mondo

Se Dio, come appare definitivamente in Gesù Cristo, è colui che viene nel mondo, allora credere in Dio, convertirsi a Dio significa in realtà ed inscindibilmente convertirsi con Dio al mondo.

Non è esatto affermare che la tradizione cristiana abbia privilegiato la ricerca di Dio nella fuga dal mondo [ v. Mondo IV ] rispetto all'amore per gli uomini e per il mondo.

Ma il pericolo è costante e reale; e talvolta la distorsione ultramondana del cristianesimo è anche avvenuta, come dimostra il fatto di essersi preoccupati di distinguere amore del prossimo e amore di Dio più che cercare di mostrarne l'unità; e come dimostra l'acida polemica sorta intorno ai cosiddetti movimenti orizzontalisti.

In realtà anche la logica che sostiene la posizione verticalista pecca per difetto, e non già per eccesso, di fedeltà a Dio: essa, infatti, è pur sempre una logica antropocentrica, connivente con il desiderio umano di onnipotenza, che tende a rendere Dio stesso prigioniero della sua onnipotenza.

Il Dio di Gesù Cristo non è un dio impigliato nella sua stessa trascendenza e separato dal mondo.

Al contrario la trascendenza di Dio si rivela nel donarsi al mondo come suo creatore e salvatore.

Tutto questo si esprime nell'annuncio dell'imminente avvento del regno di Dio, che è il messaggio centrale di Gesù Cristo: la signoria di Dio nel mondo significa l'intenzione divina di trasformare il mondo.

Un siffatto rovesciamento della pia tendenza a dimenticare il mondo per amore di Dio costituisce una conversione al mondo.

La conseguenza più costruttiva di questa conversione al mondo è l'idea cristiana dell'amore che afferma il mondo proprio nell'atto di trasformarlo.

È un deciso rovesciamento che l'amore esige: da una tensione di fuga verso la perfezione trascendente di Dio a una condivisione del dinamismo dell'amore di Dio per il mondo.

Prendendo parte a questo dinamismo, il cristiano supera l'interesse ristretto per la propria felicità individuale; comprende che il compimento della propria vita individuale è compreso nell'amore più grande dell'affermazione del mondo da parte di Dio.

Comprende che condividere l'amore di Dio per il mondo è già essere in comunione con Dio stesso; anzi è l'unico modo possibile di essere in comunione con Dio.

L'amore cristiano non è una sensazione sentimentale, ma il dinamismo mediante il quale l'uomo viene rapportato al mondo, e più particolarmente ai suoi fratelli.

La concezione dinamica e personalistica dell'amore deriva da un'idea di trascendenza divina attivamente presente in modo germinale nella dinamica del mondo.

La visione cristiana dell'amore afferma che il mondo esistente non è necessariamente destinato alla distruzione, ma può sperare nella salvezza solo a condizione della sua trasformazione.

In questo processo dell'amore trasformante, evitando le tentazioni dell'idolatria del presente e del suo rifiuto distruttivo per rifugiarsi nel futuro, deve realizzarsi la critica e il superamento di ogni propensione dell'uomo alla resistenza ostinata, della sua indolenza e di tutte le strutture con le quali egli vorrebbe proteggersi dal cambiamento.

Se l'amore è la struttura della conversione divina al mondo, la comunione con Dio è partecipazione al suo amore creativo che sostiene tutte le creature e le porta a pienezza di vita mettendole in rapporto reciproco.

Il desiderio umano di felicità, anziché lasciarsi prendere dalla vertigine della ricerca "verticale" di Dio o perdersi nel marasma "orizzontale" delle cose, ha aperta dinanzi a sé la prospettiva stessa di Dio: la riconciliazione universale.

3. Per una spiritualità ecclesiale e pubblica dell'Esodo e dell'invenzione

Un equivoco, che spesso vizia la ricerca dei cristiani, consiste nell'identificare la dimensione verticale del cristianesimo con la chiesa o con la liturgia e quella orizzontale con il mondo o con l'attività profana.

Sul piano delle idee questa semplicistica identificazione è superata in quanto si è ormai ben coscienti che la chiesa è anche realtà storica e che il mondo è portatore di trascendenza; il Vat II ha sanzionato questo superamento.

Tuttavia esso diverrà reale nella misura in cui i cristiani rinnoveranno il modo di presenza storica della chiesa.

Il punto di avvio è l'appartenenza ad una chiesa che, come ogni gruppo sociale, tende ad assolutizzare se stessa come società perfetta oppure a far riemergere la stessa mentalità nell'appartenenza a gruppi elitari o ad ideologie critiche verso la chiesa stessa.

Questa strategia rinvia il problema senza risolverlo, perché la crisi culturale si estende a tutti i gruppi sociali.

Il mutamento culturale, che introduce un distacco sempre più marcato tra le rappresentazioni della fede ereditate dal passato e le nuove rappresentazioni collettive, invita alla riscoperta della originalità ecclesiale nello Spirito, che ha momenti di esodo e di creatività.

L'esodo non è solo una necessità derivante dalla situazione di cambiamento culturale.

È anche un'esigenza profondamente radicata nella fede.

Quest'esodo deve concretizzarsi in forme comunitarie.

La ricerca di Dio non può essere un'avventura individualistica, condotta nell'isolamento dagli altri.

È un'opera di solidarietà con tutta una generazione, una prova di verità per il credente chiamato a partecipare ai problemi della sua epoca e a cercare Dio in essi e attraverso di essi.

Partecipando agli sforzi attuali per riscoprire un senso per la vita, i credenti trovano la possibilità di scoprire la loro identità.

Per riconoscere Gesù, è necessario identificarsi con lui in una pratica che porti a raggiungerlo là dove egli è presente ed operante.

Gesù non è mai tanto presente come là dove la sua parola scoppia come dinamismo attuale di salvezza per gli uomini, a cominciare dai più poveri.

Identificandosi con Gesù attraverso una pratica sociale che abbia valore di testimonianza comunitaria a favore degli uomini che meno contano nella società, i credenti sono sulla via di una riscoperta di Gesù.

È dunque calandosi nella vita, nelle lotte, nelle sofferenze e nelle speranze dei più sfortunati tra i contemporanei che si cerca realmente Dio, al di là di ogni comoda schematizzazione.

In questo contesto il dibattito sull'orizzontalismo e/o verticalismo della vita cristiana è non solo anacronistico e teologicamente superato; di più, esso può essere un sintomo di scarsa fedeltà a Cristo e agli uomini.

Il compito attuale dei cristiani non va ravvisato nell'atteggiarsi a dottori delle ideologie, restando prigionieri di un'insuperabile orizzontalismo nonostante eventuali etichette in contrario.

La vera missione attuale dei cristiani e delle chiese consiste nel calarsi da autentici monaci delle cose nella realtà della vita personale, sociale e politica, spesso carica di drammaticità, per cercare senza illusioni ne evasioni, alla luce del vangelo, insieme con gli uomini compagni di viaggio, significato per l'impegno attuale, in atteggiamento di libera attenzione nell'ascoltare i movimenti del reale, di paziente tenacia nel realizzare il preliminare, di attiva vigilanza nel presagire il possibile, di costante ricerca di ciò che unisce gli uomini, animati dalla speranza del gratuito avvento del regno di Dio.

… e verticalismo Mondo VI
… e liberazione spirituale Libertà IV
Antropocentrismo spinto Ateo I
… nei giovani Giovani II,3