Discorsi su argomenti vari

Indice

Valore della penitenza

1.1 - L'umiltà riduce la distanza tra noi e Dio
2.2 - Tre specie di penitenza. La penitenza prebattesimale
3.3 - La penitenza quotidiana, comune a tutti
3.4 - La necessità della penitenza per i ministri della Parola e dei Sacramenti
3.5 - Peccati quotidiani dei laici e necessità della penitenza
3.6 - Ogni giorno occorre pentirsi
4.7 - Terza penitenza: per i peccati mortali. Più severa delle altre
4.8 - Il regno dei cieli: a chi è destinato
4.9 - Le "chiavi" della Chiesa
4.10 - Modalità per giungere all'accusa di colpevolezza
4.11 - L'esempio di Cristo
5.12 - Il ritorno a Dio

1.1 - L'umiltà riduce la distanza tra noi e Dio

Gli uomini che tengono ben presente di non essere altro che uomini capiscono assai facilmente quanto sia utile e necessaria, a modo di cura, la penitenza.

É stato scritto infatti: Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia. ( Gc 4,6 )

E nel Vangelo il Signore dice: Chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato. ( Lc 18,14 )

Il pubblicano attento a confessare le sue colpe se ne esce dal tempio più giustificato del fariseo che per la enumerazione dei suoi meriti si sentiva tranquillo.

Egli ringraziava Dio dicendo: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri; non sono neppure come cotesto pubblicano.

Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.

Ebbene a lui fu preferito quello che si era fermato a distanza e non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. ( Lc 18,10-14 )

Il fariseo non tanto godeva della sua pretesa integrità, quanto del confronto coi difetti altrui.

Di certo gli sarebbe stato più utile mostrare apertamente al medico, dal quale era venuto, i mali di cui soffriva, anziché nascondere le sue piaghe e prendere vanto dal confronto con quelle altrui.

Non ci stupisce perciò se quel pubblicano, che non ebbe vergogna a mostrare la sua parte malata, se ne tornò più guarito dell'altro.

Nel mondo del visibile, per raggiungere zone elevate, bisogna senza dubbio portarsi in alto; Dio invece, che è la somma altezza, si raggiunge abbassandosi per mezzo dell'umiltà, non innalzandosi.

Per tale motivo dice il profeta: Il Signore è vicino a quelli che hanno il cuore contrito. ( Sal 34,19 )

E ancora: Eccelso è il Signore.

Egli volge lo sguardo verso le umili cose e guarda da lontano le cose eccelse. ( Sal 138,6 )

Le cose eccelse sta qui ad indicare " i superbi "; le une quindi le guarda per accoglierle, le altre per respingerle.

Dicendo che alle cose eccelse volge lo sguardo da lontano mostra a sufficienza che a quelle umili fa attenzione da vicino.

E tuttavia aveva definito poco prima " eccelso " il Signore stesso.

Ma Dio, lui solo, non è superbo per quanto grande sia la lode con la quale viene esaltato.

Non ritenga dunque la superbia di potersi celare agli occhi di Dio perché Dio, conosce le cose eccelse, e non creda che la sua sia un'altezza congiunta a Dio, perché le cose eccelse Dio le guarda da lontano.

Chi pertanto rifiuta l'umiltà della penitenza costui non ha in mente di avvicinarsi a Dio: altro è infatti innalzarsi a Dio, e altro è sollevarsi contro di lui.

Chi si china davanti a Dio, da lui viene sollevato; chi si erge contro di lui, da lui viene respinto lontano.

Una cosa è la solidità della vera grandezza, altra cosa la vanità di un vuoto orgoglio.

Chi si gonfia all'esterno si guasta al suo interno.

Chi invece sceglie di restare umile alla soglia della casa di Dio piuttosto che abitare nella casa dei peccatori, ( Sal 84,11 ) costui Dio lo sceglie perché abiti nei suoi atri e, mentre egli per sé non pretendeva nulla, lo fa entrare nella sede beata.

Per questo con tanta dolcezza e somma verità si canta nel Salmo: Beato l'uomo accolto da te, Signore. ( Sal 84,6 )

Non credere poi che chi si umilia stia sempre in basso, dal momento che è stato detto sarà esaltato.

Ma non credere che questo tipo di esaltazione si verifichi davanti agli occhi degli uomini, per qualche superiorità connessa col mondo terreno.

Nelle parole: Beato l'uomo accolto da te, Signore è incluso e svelato il livello di altezza spirituale di questa accoglienza.

Ha messo gradini di ascensione - prosegue il Salmo - nell'intimo del suo cuore, nella valle del pianto, nel luogo stabilito da lui. ( Sal 84,6-7 )

Dove dunque ha collocato l'inizio dell'ascesa?

Nel cuore, cioè nella valle del pianto.

Questo è il significato di: Chi si umilia sarà esaltato.

Come infatti l' " ascesa " è l'esaltazione dell'uomo, così la valle ne indica l'umiltà, i suoi gemiti nel profondo delle convalli.

Come infatti il dolore è compagno del pentimento, così il pianto lo è del dolore.

Si attaglia benissimo al tema il seguito del Salmo: Chi ha dato la legge darà la benedizione. ( Sal 84,8 )

La legge è stata data per mettere in luce le ferite provocate dal peccato, ferite che la benedizione della grazia può risanare.

La legge è stata data per manifestare al superbo la sua debolezza e per indurre il debole a penitenza.

La legge è stata data perché nella valle del pianto dicessimo [ con l'Apostolo ]: Vedo nelle mie membra una legge che muove guerra alla legge che è nella mia mente, e che mi rende schiavo della legge del peccato, che si trova nelle mie membra; e gridassimo piangendo con lui: Sono uno sventurato!

Chi mi libererà da questo corpo di morte?

Ci venga in soccorso, esaudendoci, colui che rialza chi è caduto, libera i prigionieri, ridona la vista ai ciechi, ( Sal 145,7-8 ) la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo il Signore nostro! ( Rm 7,23-25 )

2.2 - Tre specie di penitenza. La penitenza prebattesimale

Tre sono le opere della penitenza e di esse voi siete come me informati.

Esse sono infatti in uso nella Chiesa di Dio e ben note a chi diligentemente vi presta attenzione.

La prima è in relazione alla generazione dell'uomo nuovo finché col Battesimo, apportatore di salvezza, non avvenga il lavacro di tutte le colpe passate.

Tale generazione somiglia a quella del parto: alla nascita del bambino il dolore che, per la pressione sulle viscere tormenta la partoriente, passa, e alla tristezza segue la letizia.

Chi infatti è ormai arbitro della sua volontà e intende accostarsi ai sacramenti dei fedeli, non può incominciare una vita nuova se prima non si pente di quella passata.

Da tale penitenza sono esonerati solo i bambini, non potendo essi ancora avvalersi del libero arbitrio.

A loro tuttavia, per la loro consacrazione e remissione del peccato originale, è di aiuto la fede di coloro che li presentano, di modo che, come nascendo contrassero da altri macchie di peccato, così anche ne vengano purificati per mezzo delle domande e delle risposte di altri.

É proprio vero il lamento del salmista: Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre, ( Sal 51,7 ) analogamente a ciò che è scritto [ in un altro passo ] che al cospetto di Dio, non è puro neppure un bambino di un solo giorno di età. ( Gb 14,4 sec. LXX )

Prescindiamo dai bambini sul cui grado e sorte, relativamente alla vita futura promessa ai santi, non è opportuno indagare oltre, perché ciò supera la misura dell'umano.

Si crede tuttavia piamente che ad essi giovi per la salvezza spirituale quanto a tale riguardo custodisce, con salda fermezza, l'autorità ecclesiastica, in tutto l'orbe terrestre.

Per gli altri uomini nessuno passa a Cristo, in modo da cominciare ad essere ciò che non era, se prima non si pente del suo passato non cristiano.

Fu questa la prima forma di penitenza comandata ai Giudei per bocca dell'apostolo Pietro.

Fate penitenza e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome del Signore nostro Gesù Cristo: ( At 2,38 ) Veniva ingiunta dal Signore la medesima penitenza quando diceva: Fate penitenza perché il regno dei cieli è vicino. ( Mt 4,17 )

Di essa anche Giovanni Battista, il precursore che preparò la via del Signore, dice pieno di Spirito Santo: Razza di vipere, chi vi ha fatto credere che potrete sfuggire a quel castigo di Dio che sta per giungere?

Fate dunque frutti degni di penitenza. ( Mt 3,7-8 )

3.3 - La penitenza quotidiana, comune a tutti

Il secondo tipo di penitenza, cui dobbiamo sottoporci tutta la vita mentre viviamo in una carne mortale, è la continua umiltà della preghiera.

Ciò anzitutto perché, nessuno, se non si pente di questa vita temporale, corruttibile, mortale, può desiderare una vita eterna non soggetta a corruzione e a mortalità.

Chi infatti nasce a vita nuova per la consacrazione battesimale, pur deponendo ogni peccato della vita passata, non depone anche, in quell'istante, la mortalità e la corruzione della carne.

E se anche la cosa non stesse così, resta fermo quello che è stato scritto, e che ognuno del resto prova in se stesso durante la vita, e cioè che il corpo corruttibile appesantisce l'anima e la dimora terrena opprime una mente presa da molti pensieri. ( Sap 9,15 )

Il che non avverrà in quella beatitudine in cui la morte sarà assorbita dalla vittoria. ( 1 Cor 15,54 )

Ma intanto non vi è dubbio che, in qualunque condizione di benessere ci troviamo, bisogna avere spirito di penitenza in questa vita per poter correre con trasporto verso l'incorruttibile meta della vita eterna.

Per questo l'Apostolo dice: Fino a quando abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontani dal Signore; camminiamo infatti al lume della fede, non nella visione. ( 2 Cor 5,6-7 )

Chi dunque si affretta e desidera ritornare in patria per contemplare faccia a faccia quella visione se non chi è capace di pentirsi della sua vita di esilio?

Da questo dolore del penitente erompe la desolata voce del salmista che così risuona: Ohimè, come è lungo il mio esilio!

E perché tu non pensi che si tratti di uno non ancora battezzato che parla così, fa' attenzione a quel che segue: Ho dimorato tra le tende di Cedar; io che sono per la pace ho dimorato con chi detesta la pace; quando parlavo con loro mi contestavano oltre ogni misura. ( Sal 120,5-7 )

Questo parlare non è solo dell'uomo battezzato, ma anche di un evangelizzatore fermissimo e di un martire molto forte.

Dice infatti l'Apostolo: Sappiamo che se andrà in disfacimento questa nostra abitazione sulla terra, riceveremo tuttavia nei cieli da Dio un'abitazione non costruita da mani di uomo, che sarà eterna.

Perciò noi sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci della nostra abitazione celeste: a condizione però di essere trovati già vestiti, non nudi.

In realtà quanti siamo nella condizione terrestre sospiriamo come sotto un peso, ma non vorremmo essere spogliati bensì sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. ( 2 Cor 5,1-4 )

Desideriamo in sostanza non essere nella condizione in cui siamo.

Che cosa è infatti il nostro lamento se non il rammarico di sentirci in questa condizione?

E quando cesserà una tale situazione di vivere se non quando, disfatta questa casa terrena, ci toccherà in sorte una dimora celeste che nell'animo e nel corpo comporterà una nuova dimensione per tutto l'uomo?

Questa necessità di mutamento fa dire anche al santo Giobbe che non tanto ci sono tentazioni nella vita quanto che la stessa vita è una tentazione.

Egli si esprime così: Non è forse una tentazione la vita dell'uomo sulla terra?

Nello stesso brano egli tocca in modo mirabile anche il mistero dell'uomo caduto, dicendo: Come lo schiavo che fugge dal suo padrone e si rifugia nell'ombra. ( Gb 7,1-2 sec. LXX )

La vita presente infatti più che vita è da chiamarsi ombra di vita.

Non senza motivo Adamo, fuggitivo dopo l'offesa fatta a Dio col peccato, si nascose dal suo cospetto riparandosi tra le foglie degli alberi, che danno recessi ombrosi: Come uno che fugge dal suo Signore - è stato scritto - si rifugia nell'ombra.

3.4 - La necessità della penitenza per i ministri della Parola e dei Sacramenti

Chi, dopo il Battesimo che lo ha purificato dai peccati del passato, non ha commesso colpe tali da venire separato dalla comunione dell'altare, non ardisca insuperbire, quasi vantandosi di una piena sicurezza raggiunta.

Proprio per questo motivo abbiamo fatto il precedente discorso.

Mantenga piuttosto l'umiltà, che è quasi l'unica disciplina cristiana: Non insuperbiamoci quindi, noi che siamo terra e cenere, ( Sir 10,9 ) finché non sia trascorsa per intero questa notte in cui vagano tutte le bestie della foresta, ruggiscono i leoncelli in cerca di preda, e chiedono a Dio il loro cibo. ( Sal 104,21 )

Chiese questo cibo lo stesso Giobbe, quando disse: La vita umana sulla terra è una prova, e il Signore aggiunse in proposito: Satana ha ottenuto di vagliarvi come il grano. ( Lc 22,31 )

Quale uomo sano di mente non si affliggerebbe?

Chi non vorrebbe sottrarvisi con la penitenza?

Chi non cercherebbe, chiedendo con tutta umiltà l'aiuto divino, di poter essere esaudito, finché non cessino tutti questi motivi di tentazione e l'ombra del terrestre?

E quella luce che non viene mai meno, il giorno sempiterno, illumini anche noi.

Metterà in luce i segreti delle tenebre e renderà manifeste le intenzioni dei cuori.

Allora ciascuno avrà da Dio la dovuta lode. ( 1 Cor 4,5 )

Se qualcuno poi si gloria di aver signoreggiato il suo corpo così da renderlo crocifisso al mondo per ogni malvagio agire, e di castigarlo riducendo a servitù le sue membra perché il peccato, non obbedendo ai suoi desideri, non regni più nel suo corpo mortale; se venera l'unico vero Dio, senza lasciarsi andare ad alcun rito idolatrico né irretire da culti demoniaci e non accoglie invano il nome del Signore suo Dio; se aspetta con sicura fede la pace eterna e corrisponde ai genitori il dovuto onore; se non si è macchiato di sangue omicida, né imbrattato nella fornicazione, nella frode del furto, nella doppiezza dell'ipocrisia, nella bramosia dei beni o della moglie altrui; se anche nei suoi beni non eccede con il lusso, né inaridisce per l'avarizia, se non è litigioso, né offensivo o maldicente, e vende infine tutti i suoi averi dandone ai poveri il ricavato, se è uno che segue Cristo piantando la radice del suo cuore nel tesoro del cielo, che cosa è possibile aggiungere ad una giustizia così perfetta?

Diciamo tuttavia a costui che non se ne vanti.

Capisca che tutte queste cose gli sono state date, che non esistono per merito suo.

Di quel che ha, che cosa infatti non ha ricevuto?

E se l'ha ricevuto, perché se ne mostra orgoglioso come se non l'avesse ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

Costui elargisca con giudizio il denaro del Signore: provveda al prossimo come lui stesso sa di essere stato beneficato.

Né creda che basti conservare intero quanto ha ricevuto, perché rischia di sentirsi dire: Servo cattivo e infingardo … avresti dovuto dare in prestito il mio denaro così io, ritornando, l'avrei ritirato con gli interessi, ( Mt 25,26-30 ) e rischia quindi di vedersi privato anche di quello che aveva ricevuto e di venir gettato fuori, nelle tenebre.

Se quelli che riescono a conservare integro quello che hanno ricevuto devono temere una tale gravissima pena, quale mai speranza possono avere quelli che lo disperdono in modo empio e scellerato?

Se sei occupato nelle cose umane, sii fedele alle tue incombenze, ma per un acquisto spirituale, non materiale; non restare legato agli affari mondani e tuttavia, in quanto devi militare per Dio, non essere pigro e abominevole in un ozio inoperoso.

Diano dunque, se possono, tutte le loro elemosine con letizia; sia quando elargiscono qualcosa per il sostentamento materiale dei poveri sia quando, dispensando il pane celeste, costruiscono nel cuore dei credenti fortezze inespugnabili contro l'assalto del demonio.

Dio ama chi dona con gioia. ( 2 Cor 9,7 )

Nelle difficoltà non ci si lasci infiacchire dal fastidio di doverle sopportare: è necessario che esse ci siano perché l'uomo sappia di essere solo uomo.

Non ci si lasci prendere dalla collera con chi ci affronta con odiosità; con chi, spinto dal bisogno, ci chiede con insistenza fastidiosa; con chi ci chiede aiuto nel suo lavoro, indifferente al fatto che noi si è molto più occupati di lui; con chi infine, reso cieco dall'interesse o dalla sua miserevole ottusità mentale, oppone resistenza ad un discorso di evidente giustizia.

Anche nel dare non bisogna oltrepassare la misura del giusto, e nel parlare neppure si parli più di quanto sia necessario soprattutto quando ciò non è necessario.

É vero che sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di pace, che annunziano cose buone, ( Rm 10,15 ) tuttavia anch'essi, a contatto con la terra asciutta prendono quella polvere che poi, giustamente, viene scossa a condanna di coloro che con volontà cattiva disprezzano questa offerta.

Il fatto è che ogni giorno bisogna fare penitenza a causa della mutabilità e dell'ignoranza insita nella vita stessa; ed ancora per quella malizia quotidiana che magari fosse contenuta nella misura della quale è stato detto: A ciascun giorno basta la sua malizia. ( Mt 6,34 )

Ci viene peraltro comandato di sopportarla e di portarla sino alla fine e di mantenerci fedeli a Dio agendo con fermezza per dare nella sopportazione molto frutto.

Ma dobbiamo infine fare penitenza quotidiana anche per la polvere stessa insita nel mondo presente e che aderisce ai piedi dei missionari nei viaggi del loro ministero.

I danni possono verificarsi perfino nell'attività così assorbente del ministero.

Conceda il Signore che siano ricompensati da maggiori vantaggi.

3.5 - Peccati quotidiani dei laici e necessità della penitenza

Se [ questo spirito di penitenza quotidiana ] è necessario anche ai dispensatori della parola di Dio e ai ministri dei suoi Sacramenti, cioè ai soldati di Cristo, quanto più esso è necessario a tutti gli altri " stipendiari " che, in un certo senso, sono come dei " provinciali " di fronte al grande Re!

Quel fedelissimo e fortissimo soldato che fu l'apostolo Paolo, per non essere neanche sfiorato da un falso o supposto sospetto di brama di denaro, " militò " a sue spese e quando per caso gli venne a mancare il necessario, si espresse nel modo seguente: Ho spogliato le altre chiese accettando da esse una paga per essere al vostro servizio. ( 2 Cor 11,8 )

Quanto più dunque i " provinciali " della Chiesa, costretti a occuparsi di affari mondani, devono ogni giorno fare penitenza!

Essi anche se immuni da furti, da rapine, da frodi, da adultèri, da fornicazioni e da ogni lussuria, dalla crudeltà degli odi e da ostinate inimicizie, da ogni inquinamento idolatrico, dalla frivolezza degli spettacoli, dall'empia iattanza delle eresie e degli scismi, immuni quindi da ogni cattiveria e misfatti del genere, devono essere puri e integri.

Tuttavia sia nell'amministrare i beni familiari, sia negli strettissimi vincoli che legano i coniugi, peccano ancora molto e, a tal punto, da non apparire solo coperti della polvere del mondo, ma addirittura imbrattati di fango.

Ecco perché l'Apostolo dice loro: É già per voi delittuoso avere liti vicendevoli.

Perché piuttosto non subite l'ingiustizia e la frode?

Ma ancor più esecrabile è il fatto per cui, a causa di alcuni, era costretto ad aggiungere: Siete voi che operate iniquamente e rubate; e questo ai fratelli. ( 1 Cor 6,7-8 )

Ma, a parte iniquità e frodi, egli dice che è delittuoso anche il solo aver contese e fare cause per beni temporali.

E ammonisce di lasciare almeno che tali contese siano composte in tribunali ecclesiastici.

Per la stessa ragione è stato detto: Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie. ( 1 Cor 7,32-33 )

E riguardo alla donna dice le stesse cose.

Dice anche: Ritornate a stare insieme perché Satana non vi tenti facendo leva sui vostri istinti.

Per far capire che ciò era colpa, ma veniva permesso come una concessione alla debolezza umana, fa seguire subito: Questo però vi dico per concessione, non per comando. ( 1 Cor 7,5.6 )

L'unione dei sessi in realtà è incolpevole solo se ordinata alla procreazione.

Ci sono poi altri peccati: il parlare delle cose e degli affari altrui, che non ti riguardano; gli stolti schiamazzi dei quali è stato scritto: Lo stolto alza la voce mentre ride; l'uomo saggio invece sorride appena sommessamente. ( Sir 21,23 )

Anche col cibo che viene apprestato per sostentare questa nostra vita fisica, quando lo si prende con avidità od immoderatamente, l'eccesso stesso è attestato il giorno dopo dal peso dello stomaco.

Anche nel commercio: nel vendere e comprare possono essere peccaminosi i desideri dell'alto o del basso prezzo dato alla merce.

Non sto qui ad elencare tutte le mancanze che ciascuno, con maggiore precisione, può riscontrare in sé e rimproverarsene, se si guarda con attenzione nello specchio delle divine Scritture.

Anche se si avverte che tutte queste mancanze, prese singolarmente, non costituiscono una ferita mortale, come l'omicidio, l'adulterio e altre simili, esse tuttavia, prese insieme, quanto più sono numerose possono uccidere o, comunque, come la scabbia, rovinano talmente il decoro del nostro aspetto da tenerci separati dai castissimi abbracci di quello sposo la cui bellezza supera quella dei figli degli uomini. ( Sal 45,3 )

Ma per guarire si può ricorrere alla medicina della penitenza quotidiana.

3.6 - Ogni giorno occorre pentirsi

Se non fosse così perché ogni giorno ci battiamo il petto?

E lo facciamo anche noi vescovi stando davanti all'altare insieme con tutti i fedeli.

E diciamo nella preghiera quello che bisogna dire in tutto il corso della vita: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )

Noi, con questa preghiera non imploriamo che ci vengano rimessi quei peccati che già crediamo essere stati rimessi nel Battesimo ( e se non lo credessimo dubiteremmo della nostra fede ), ma chiaramente preghiamo per i peccati di ogni giorno.

Per questi ciascuno non cessa mai di fare, secondo le sue forze, offerte di elemosine, di digiuni e anche di preghiere e suppliche.

Ciascuno cerchi quindi di esaminarsi attentamente senza lasciarsi lusingare da qualsivoglia adulazione.

Si comprende a sufficienza con quanto pericolo di morte eterna e con quanta mancanza di perfetta giustizia si vada errando lontani dal Signore.

E questo anche se, già costituiti in Cristo, che è la nostra via, ci si sforzi di ritornare a lui.

Se non avessimo peccati, quando battendoci il petto diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, per ciò stesso peccheremmo certamente e gravemente, perché mentiremmo nel decorso stesso delle celebrazioni sacre.

Noi per un verso non siamo peccatori, anzi siamo figli di Dio in quanto, collegati al Dio nostro per la fede, la speranza e la carità, per quanto possiamo siamo suoi imitatori.

Ma per un altro verso siamo peccatori.

Si insinuano in noi infatti stimoli cattivi e riprovevoli, occasionati dalla debolezza della carne non ancora dissolta nella morte, non ancora trasfigurata nella risurrezione.

Ci conviene senz'altro ammettere tutto ciò per non meritare, a causa del nostro orgoglio, invece del risanamento della nostra debolezza, la condanna per la nostra superbia.

É perciò ugualmente vero il detto di Giovanni: Chiunque è nato da Dio non commette peccato; ( 1 Gv 3,9 ) e l'altro, della stessa lettera: Se diciamo che siamo senza peccato inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 )

Il primo detto riguarda le " primizie " dell'uomo nuovo, il secondo i resti del vecchio; l'uno e l'altro ce li portiamo appresso in questa vita.

Il " nuovo " a poco a poco si fa avanti e succede al " vecchio " che, gradatamente, si ritira.

Quando sono in lizza tutti e due noi siamo nello stadio.

E non solo diamo, noi, colpi all'avversario con le [ nostre ] buone opere, ma anche ne riceviamo, quando evitiamo i peccati in modo incauto.

Per ora non si vede chi vince, ma solo chi ferisce di più e combatte più strenuamente.

E ciò fino a quando gli uni saranno portati nella morte eterna da chi è riuscito, per invidia, a far cadere in fallo l'uomo che stava saldo; mentre gli altri potranno dire, nel trionfo finale: Dov'è, o morte, la tua forza? Dov'è la tua arma tagliente? ( 1 Cor 15,55 )

Comunque dal nemico mai saremo vinti tanto facilmente come quando competiamo con lui imitandolo nella superbia; né lo abbattiamo con maggior forza come quando lo combattiamo con l'umiltà imitando il Signore.

E mai infliggiamo a lui dolori più forti se non quando risaniamo le nostre ferite con la confessione e la penitenza.

4.7 - Terza penitenza: per i peccati mortali. Più severa delle altre

Il terzo tipo di penitenza è quella a cui ci si sottopone per quei peccati che sono indicati nel Decalogo della Legge, e dei quali dice l'Apostolo: Chi li compie non erediterà il regno di Dio. ( Gal 5,21 )

In questo tipo di penitenza bisogna esercitare su di sé una maggiore severità, perché, se siamo giudicati da noi stessi, si eviterà di venire giudicati dal Signore, come dice ancora l'Apostolo: Se ci giudichiamo da noi, non saremo giudicati dal Signore. ( 1 Cor 11,31 )

Salga dunque l'uomo al tribunale della sua coscienza, e consideri che: Noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la sua ricompensa secondo le opere compiute in vita sia in bene che in male. ( 2 Cor 5,10 )

Si ponga dunque ora a giudizio davanti a se stesso perché ciò non gli succeda dopo.

Dio infatti dà al peccatore questo minaccioso annunzio, dicendo: Ti riprenderò e ti porrò davanti a te stesso. ( Sal 50,21 )

Fissato dunque il giudizio all'interno del proprio cuore, sia presente come accusatore la riflessione, come testimone la coscienza, come carnefice il timore.

E nelle lacrime scorra il sangue dell'animo che si riconosce peccatore.

Infine dalla stessa coscienza personale sia proclamata la sentenza, cioè il ritenersi indegno di partecipare al Corpo e al Sangue del Signore.

Chi teme l'esclusione dal regno dei cieli nella sentenza definitiva del sommo Giudice, resti escluso nel frattempo, secondo la disciplina ecclesiastica, dal Sacramento del Pane celeste.

Volga e rivolga in sé, davanti agli occhi della mente, l'immagine del giudizio futuro e rifletta, mentre gli altri si accostano all'altare di Dio al quale egli non accede, quanto sia da temere quella estrema punizione che separa coloro che raggiungono la vita eterna da coloro che vengono precipitati nella morte eterna.

A questo altare per altro, che ora nella Chiesa, poggiato sulla terra, è esposto agli occhi umani per celebrare visibilmente i sacri misteri, anche molti scellerati possono avvicinarsi.

E ciò perché Dio pazienta nel tempo presente, riservando al futuro la manifestazione della sua severità.

Essi vi accedono infatti ignorando che la pazienza di Dio li deve indurre a penitenza.

E così, per la durezza del loro cuore, per il loro cuore impenitente, accumulano collera contro se stessi per il giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio che renderà a ciascuno secondo il proprio operato. ( Rm 2,4-6 )

A quell'altare al quale fece ingresso per noi Gesù nostro precursore, capo della Chiesa, perché lo seguissero tutte le sue membra, non potrà accedere nessuno di coloro dei quali ha detto l'Apostolo, come ho accennato sopra: Chi compie azioni siffatte non entrerà in possesso del regno di Dio.

Ci sarà solo il Sacerdote, ma nella sua completezza, cioè con tutto il corpo di cui lui è il capo, già asceso al cielo.

A questo completo Sacerdote si rivolgeva Pietro dicendo: Stirpe eletta, sacerdozio regale. ( 1 Pt 2,9 )

Come oserà o potrà entrare [ nel tempio ] al di là del Velo in quel segreto Sancta Sanctorum chi, disprezzando il rimedio di una disciplina che ci viene dal cielo, non volle per qualche tempo restare separato dai segni visibili dei misteri?

Chi pertanto non ha voluto umiliarsi per poi essere esaltato, sarà fatto cadere proprio quando vorrà essere esaltato.

Sarà separato per sempre dalle sante cose eterne chiunque nel corso della vita non si provvede un posto nel Corpo del [ sommo ] Sacerdote con i meriti dell'obbedienza e la soddisfazione della penitenza.

Con quale sfrontata impudenza vorrebbe che allora lo sguardo divino si distogliesse dai suoi peccati, quando egli, durante la vita, non ha voluto dire con tutto il cuore: Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre davanti? ( Sal 51,5 )

Come, di grazia, Dio dovrebbe degnarsi di accordare il perdono a dei falli che l'uomo invece non si degna di riconoscere in lui stesso?

4.8 - Il regno dei cieli: a chi è destinato

Che discorso fanno mai coloro che si lusingano, che si seducono da soli nella loro vanità?

Essi perseverano nelle loro malizie, nelle loro lussurie pur sapendo che l'Apostolo dice: Chi compie azioni siffatte non entrerà in possesso del regno di Dio. ( Gal 5,21 )

Eppure ardiscono, al di fuori del regno di Dio, prospettarsi la salvezza che desiderano.

Si rifiutano di far penitenza per i loro peccati, di ravvedersi una buona volta, cambiando in meglio i loro costumi che li portano a perdizione, e dicono fra sé: " Non ci tengo a possedere il regno. Mi basta essere salvo ".

Ragionando così a loro sfugge anzitutto che non c'è nessuna salvezza per chi persevera nel male.

Ha detto infatti il Signore: Per il dilagare dell'iniquità l'amore di molti si raffredderà, ma solo chi persevererà sino alla fine sarà salvato. ( Mt 24,12-13 )

Egli ha promesso certamente la salvezza, ma a chi persevera nella carità e non nell'iniquità.

Dove c'è la carità non vi possono essere quelle opere cattive che separano dal regno di Dio.

Tutta la legge - infatti - trova la sua pienezza in un solo precetto, nel quale è scritto: Amerai il prossimo tuo come te stesso. ( Gal 5,14 )

Se anche vi è, in un regno, differenza tra chi regna e chi non regna, bisogna tuttavia che siano tutti in un medesimo regno, per non essere annoverati nel numero dei nemici o degli stranieri.

Tutti i cittadini romani ad esempio posseggono il regno romano benché in esso non tutti comandino, anzi alcuni obbediscono ad altri che sono i capi.

L'Apostolo però non ha detto: " Chi compie azioni siffatte non regnerà con Dio ", ma [ ha detto ]: non possederà il regno di Dio.

Anche della carne e del sangue è stata detta la stessa cosa: La carne e il sangue non possederanno il regno di Dio; ( 1 Cor 15,50 ) perché questo corpo corruttibile si rivestirà d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità. ( 1 Cor 15,53 )

La carne e il sangue quindi, non in quanto tali, meriteranno di rivestire il loro corpo animale dell'abito e della natura del corpo spirituale.

Dovrebbe anche spaventarli la sentenza ultima del nostro giudice.

Egli volle che essa ci venisse prospettata nel tempo presente perché fosse evitata dai suoi fedeli, dando egli un segnale a coloro che lo temono perché fuggano lontano dagli archi. ( Sal 60,6 )

Bisogna fare un'eccezione per coloro che giudicheranno con lui.

Egli lo aveva promesso loro, dicendo: Sederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele. ( Mt 19,28 )

In questa categoria di " giudici " vanno intesi tutti coloro che hanno lasciato totalmente i loro beni e hanno seguito il Signore.

Il numero dodici infatti indica una certa universalità: non si può ad esempio dire che l'apostolo Paolo non sarà in quel numero perché non era tra quei dodici.

L'eccezione va estesa ancora a coloro che sono indicati come " Angeli ", nella frase: Quando il Figlio dell'uomo verrà a giudicare con i suoi angeli. ( Mt 16,27 )

Gli angeli sono particolarmente messaggeri di Dio.

Per " messaggeri " intendiamo tutti coloro che annunziano agli uomini la salvezza celeste.

Perciò anche gli evangelisti possono essere chiamati buoni messaggeri.

Di Giovanni Battista ancora è stato detto: Ecco, io manderò un mio angelo davanti a te. ( Ml 3,1 )

Eccettuati dunque, come andavo dicendo, questi casi, il resto della moltitudine umana sarà divisa in due grandi categorie, come si rileva dalle parole del Signore stesso.

Egli porrà infatti le pecore a destra, i capri a sinistra.

Alle pecore, cioè ai giusti, sarà detto: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.

Senza alcun dubbio è questo il regno di cui parlava l'Apostolo quando, facendo l'elenco delle cattive opere, diceva: Chi compie azioni siffatte non possederà il regno di Dio.

Ascolta ancora che cosa si sentiranno dire coloro che si troveranno a sinistra: Via, lontani da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per Satana e per i suoi angeli. ( Mt 25,31-41 )

Perciò nessuno oserebbe presumere che gli valga come garanzia il nome cristiano se poi non ascolta con tutta obbedienza e timore le parole dell'Apostolo che ribadisce: Sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro, che è quanto a dire idolatra, avrà parte al regno di Cristo e di Dio.

Nessuno v'inganni con vani ragionamenti.

Per queste cose infatti l'ira di Dio cade sopra i figli della diffidenza.

Non abbiate dunque niente in comune con loro. ( Ef 5,5-7 )

Ai Corinzi dice ancora più ampiamente le stesse cose: Non illudetevi; né lussuriosi, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né invertiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né denigratori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio.

Ma notate anche in che modo egli riesce a togliere timore e disperazione a coloro che pure avevano commesse tali colpe nella vita passata.

Tali eravate - egli dice - alcuni di voi, ma siete stati lavati e santificati nel nome del Signore nostro Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio. ( 1 Cor 6,9-11 )

4.9 - Le "chiavi" della Chiesa

Chiunque, dopo il battesimo, incappa nei legami di qualcuno degli antichi peccati, vorrà essere così nemico di se stesso da indugiare a mutar vita finché è in tempo, finché appunto pecca e vive?

Comunque, se persevera a peccare, egli accumula ira su di sé per il giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio divino.

Ma tuttavia, finché egli è in questa vita, la pazienza di Dio lo chiama a penitenza.

Avvolto dunque in trame di peccati tali che danno la morte, egli rifiuta, differisce, esita a ricorrere alle stesse chiavi della Chiesa, con le quali il suo peccato sarebbe sciolto sulla terra per essere sciolto lassù, in cielo.

E oserebbe ripromettersi una qualche salvezza dopo questa vita nella quale solo a parole egli è stato cristiano?

Non trema di fronte a quella voce del Signore che è un vero tuono: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli.

Ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, costui entrerà nel regno dei cieli? ( Mt 7,21 )

Anche l'Apostolo, enumerando ai Galati tali peccati, conclude alla stessa maniera: Le opere della carne - dice - sono ben conosciute: lussuria, impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizia, discordie, gelosie, ire, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere.

Riguardo ad azioni siffatte vi preavviso, come ho già detto, che chi le compie, non possederà il regno di Dio. ( Gal 5,19-21 )

Su tali cose dunque ognuno giudichi se stesso con la sua volontà e, finché può, cambi in meglio i suoi costumi, affinché non accada che quando ormai non lo potrà più fare, venga giudicato dal Signore anche se non lo vuole.

E dopoché lui stesso avrà pronunciato contro di sé la sentenza di un rimedio severissimo, ma pur sempre rimedio, vada dai vescovi per i quali nella Chiesa si compie il ministero delle " chiavi " anche per lui.

Cominciando allora finalmente a essere un buon figlio, in quanto accetta di rispettare l'ordine in vigore nelle materne membra della Chiesa, accolga, da chi è preposto ai Sacramenti, la misura della soddisfazione a lui richiesta.

Facendo così, devoto e supplice, l'offerta del suo cuore contrito, il suo comportamento gioverà a lui per riceverne la salvezza, e agli altri perché ne prendano esempio.

Se poi il suo peccato, oltre ad essere stato un grave danno per lui, abbia apportato grande scandalo anche agli altri, costui non si opponga, non ricusi di fare una penitenza che molti verranno a conoscere, forse anche tutto il popolo di Dio, per non aggiungere a una piaga mortale il peggioramento di un tumore, se si vergogna di espiare.

Se tuttavia sia conveniente fare ciò lo giudicherà il vescovo sulla base di una utilità per la Chiesa.

Si ricordi sempre che Dio resiste ai superbi ma dà la sua grazia agli umili. ( Gc 4,6 )

Che cosa c'è di più sterile, di più distorto che non arrossire di una ferita che non si può nascondere e invece arrossire della fasciatura?

4.10 - Modalità per giungere all'accusa di colpevolezza

Nessuno creda, fratelli, di dover sottovalutare il consiglio di tale salutare penitenza per il fatto che egli vede e sa, per caso, che si accostano ai Sacramenti dell'altare molte persone di cui non ignora che sono colpevoli di tale genere di crimini.

Ebbene, molti peccatori vengono corretti, come Pietro; molti tollerati, come Giuda; molti rimarranno sconosciuti fino alla venuta del Signore, quando egli illuminerà gli oscuri nascondigli delle tenebre e svelerà le intenzioni dei cuori. ( 1 Cor 4,5 )

Molti infatti rimangono nascosti perché i più non vogliono accusare gli altri, anzi scusandoli li strumentalizzano per il desiderio di scusare se stessi.

Altri poi, buoni cristiani, invece tacciono e sopportano le colpe altrui anche se le conoscono, perché spesso sono privi di documentazione e ai giudici ecclesiastici non possono dare le prove di ciò che sanno.

E benché talvolta si tratti di fatti veri, questi però non possono essere facilmente creduti dal giudice per mancanza d'indizi certi che li provino.

Per quel che ci compete, noi vescovi non possiamo escludere nessuno dalla comunione e comunque tale proibizione sarebbe solo per cura preventiva e non per esclusione definitiva, eccetto il caso di chi abbia spontaneamente confessato o di uno che, regolarmente citato in un tribunale civile o ecclesiastico, sia risultato colpevole.

Chi oserebbe assumersi la duplice funzione di accusatore e di giudice nei riguardi di una stessa persona?

Una tale regola risulta essere stata sommariamente suggerita dall'apostolo Paolo nella citata lettera ai Corinzi quando, dopo aver ricordato alcuni di siffatti crimini, dava forma ad un tribunale ecclesiastico per casi analoghi.

Scrive infatti: Vi scrissi in una lettera di non mescolarvi con persone lussuriose.

Ma con ciò non dicevo di evitare le persone in quanto tali, si tratti pure di lussuriosi, avari, ladri, idolatri, altrimenti dovreste uscire dal mondo. ( 1 Cor 5,9-10 )

Non si può infatti vivere nel mondo senza essere a contatto con siffatta gente.

Inoltre non si può mai guadagnarli a Cristo se si evitano colloqui e convivenza con loro.

Per tale motivo il Signore, mettendosi a tavola con pubblicani e peccatori, diceva: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati …

Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori. ( Mt 9,12-13 )

Proseguendo la sua lettera l'Apostolo aggiunge: Vi ho scritto di non aver rapporti con loro.

Chi si dice fratello ed è lussurioso o idolatra o avaro o maldicente o ubriacone o ladro, con questi tali non dovete neanche mangiare insieme.

Riguardo a quelli che stanno al di fuori della comunità spetta forse a me giudicarli?

Non sono quelli di dentro che voi giudicate?

Quelli di fuori li giudicherà Dio.

Voi badate a togliere il malvagio di mezzo a voi. ( 1 Cor 5,11-13 )

Con queste parole l'Apostolo mostra a sufficienza che i malvagi non vanno esclusi alla cieca dalla comunione ecclesiale, in qualunque modo, bensì solo in seguito a regolare giudizio.

Se non possono essere allontanati attraverso un giudizio, piuttosto si tollerino, perché non succeda che qualcuno, rifiutandoli con cattivo risentimento, non finisca per allontanarsi lui dalla Chiesa, superando nella corsa alla Geenna proprio coloro che voleva sfuggire.

Ci sono offerti esempi nelle Sacre Scritture a questo proposito, come quello della messe quando si è invitati a sopportare la pula fino all'ultimo vaglio, ( Mt 3,12 ) o delle reti dentro le quali vengono tollerati i pesci cattivi insieme ai buoni, fino alla loro selezione che avviene sulla spiaggia, vale a dire alla fine dei secoli. ( Mt 13,47-50 )

Non è contrario a questo passo ciò che l'Apostolo dice altrove, e cioè: Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo?

Stia egli in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone. ( Rm 14,4 )

Paolo non voleva che un uomo fosse giudicato da un altro uomo sull'arbitrarietà di un sospetto, oppure arrogandosi la facoltà di un giudizio straordinario.

Egli voleva una procedura regolare in base alla legge di Dio secondo le norme della Chiesa: cioè che uno fosse ritenuto colpevole solo se reo confesso o se, dopo essere stato accusato, fosse risultato colpevole.

Altrimenti perché avrebbe detto: Se qualche fratello è ritenuto lussurioso o idolatra, ecc. se non perché si riferiva a quella accusa contro qualcuno che è fatta conoscere da una sentenza in seguito a regolare giudizio e nella sua completezza?

Se fosse sufficiente la sola accusa finirebbero per essere condannati molti innocenti, dato che spesso si viene falsamente accusati di qualche delitto.

4.11 - L'esempio di Cristo

Quelli che esortiamo alla penitenza non cerchino chi è loro compagno nella punizione e non godano per il fatto che ne trovano parecchi.

Infatti non si brucerà di meno [ nel fuoco eterno ] perché si sarà più numerosi a bruciare.

E poi non è certo questo un pensiero di salvezza, ma solo vana soddisfazione di malevolenza.

Forse alcuni osservano che molti pastori e ministri sacri nelle stesse cariche ecclesiastiche non vivono coerentemente ai discorsi che fanno alla gente e ai sacramenti che amministrano.

Miseri uomini che fissandosi su costoro, dimenticano Cristo!

Egli già tanto tempo prima aveva avvisato che bisogna obbedire alla legge di Dio piuttosto che imitare coloro che non fanno quello che dicono; ( Mt 23,3 ) egli che, sopportando il suo traditore sino alla fine, lo inviò anche a evangelizzare insieme con gli altri.

E vi sono persone così assurde, così ottuse, così miserabili che scelgono di imitare i cattivi comportamenti dei loro pastori anziché osservare i precetti del Signore da loro predicati.

É come se un viandante decidesse di fermarsi nel suo cammino, di non andare più avanti pur vedendo le pietre miliari con le scritte a tutti caratteri che indicano la strada.

Chi desidera giungere alla meta perché non cerca piuttosto di trovare e poi di affiancarsi a compagni che indicano chiaramente la strada e che in essa camminano alacremente e con perseveranza?

Può sembrare che questi manchino.

Il fatto è che non ci si accorge di loro.

Essi infatti non possono non esserci.

Ma gli uomini non cercano, con attenta carità, quello che essi predicano per relizzarlo, così come invece individuano, con sospettosa malizia, quello che mormorano per ingannare e questo sia perché effettivamente non trovano i buoni essendo essi stessi cattivi, sia perché temono di trovarli volendo essi rimanere cattivi come sono.

Ebbene, concedendo pure che non vi siano in vista persone degne d'imitazione, tu, chiunque sia, che la pensi così, fissa la tua mente sul Signore, fatto uomo per insegnare all'uomo come si deve vivere.

Se Cristo abita nell'uomo interiore e, per la fede, nel tuo cuore, ti ricorderai ciò che disse Giovanni: Chi dice di dimorare in Cristo deve comportarsi come Egli si comportò. ( 1 Gv 2,6 )

Facendo così, a te non mancherà una guida da seguire, e quando ti osserveranno, non si lamenteranno più della mancanza dei buoni.

Se poi non ti è chiaro in che cosa consista il vivere rettamente, cerca di conoscere i precetti divini.

Molti forse vivono rettamente ma, dato che tu ignori in che cosa consista il vivere rettamente, ti sembra che nessuno viva bene; se invece lo sai realizza ciò che sai, affinché abbia tu ciò che vai cercando, e indichi agli altri cosa debbano imitare.

Rivolgi la tua attenzione a Cristo, agli Apostoli, l'ultimo dei quali ha detto: Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo. ( 1 Cor 4,16 )

Osserva con attenzione quante migliaia di martiri ci sono.

Perché ti piace celebrare le loro feste anniversarie con smodati banchetti, e non ti piace seguire l'esempio della loro vita con onesti costumi?

Hai davanti agli occhi non solo uomini, ma anche donne ed ancora bambini e bambine, che non si sono lasciati ingannare dalla loro inesperienza, né pervertire dall'iniquità, né abbattere dal timore del pericolo, né corrompere dall'amore dei beni del mondo.

Tu non puoi cercare scuse, tu hai davanti a te non solo la bontà inequivocabile dei precetti ma anche una schiera immensa di coloro che li hanno seguiti.

5.12 - Il ritorno a Dio

Ma portiamo una buona volta a termine l'argomento iniziato, sull'utilità e la salute che apporta la penitenza.

Se tu, peccatore, disperando ormai della salvezza, aggiungi peccato a peccato, così com'è stato scritto: Il peccatore, giunto nell'abisso del male, disprezza, ( Pr 18,3 ) tuttavia tu non disprezzare e non disperare; invece dal tuo profondo invoca il Signore e digli: Dal profondo ho gridato a te, Signore!

Signore, ascolta la mia voce.

Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera.

Se considererai le colpe, Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono. ( Sal 130,1-4 )

Da un tale profondo abisso invocarono il Signore i Niniviti, e trovarono questo perdono.

Fu cosa più semplice svuotare di efficacia le minacce del profeta che vanificare le umiliazioni della penitenza.1

A questo punto potresti dire: " Ma io sono stato già battezzato in Cristo e da lui tutti i miei peccati passati mi erano stati perdonati.

Ma troppo mi sono degradato ripercorrendo indietro le mie vecchie strade, come un cane, orribile agli occhi di Dio, che ritorna al suo vomito.

Dove me ne posso andare lontano dallo Spirito di Dio? Dove posso ripararmi dal suo sguardo? ".

Dove, fratello, se non, con la penitenza, presso la misericordia di Dio la cui potenza tu, col peccato, avevi disprezzato?

Nessuna fuga da lui è infatti giusta, se non quella di ritornare a lui; dalla sua severità alla sua tenerezza.

Qual luogo mai può accogliere te fuggitivo, che la sua presenza non ti scopra?

Se scali il cielo, è là; se scendi all'inferno, ti è presente.

Riprendi dunque il tuo cammino nella direzione giusta e rimani nella speranza anche quando tutte le cose di questo mondo vengono meno, perché anche allora ti condurrà la sua mano, ti guiderà la sua destra. ( Sal 139,7-10 )

Qualunque cosa quindi tu abbia fatto, in qualunque peccato sia incorso, sei pur sempre in questa vita, dalla quale Dio ti toglierebbe, se non volesse darti il tempo di salvarti.

Perché non vuoi riconoscere che la paziente bontà di Dio ti spinge a conversione? ( Rm 2,4 )

Colui che, chiamandoti a tutta voce, non ti ha persuaso a recedere dal male, offrendoti il perdono ti chiama ancora perché ritorni.

Guarda il re Davide: aveva ricevuto anche lui i sacramenti del suo tempo, cioè la circoncisione che, per i nostri padri, era come per noi il battesimo.

Dice infatti l'Apostolo che il santo Abramo aveva ricevuto il sigillo della giustizia alla sua fede. ( Rm 4,11 )

Davide era anche consacrato con quella venerabile " unzione " che prefigura il regale sacerdozio della Chiesa.

Ebbene, all'improvviso, si rese reo di adulterio e di omicidio ma, pentitosi, dalla profondità di un così immenso abisso di scelleratezza, non invano invocò il Signore, dicendo: Distogli lo sguardo dai miei peccati e cancella tutte le mie colpe. ( Sal 51,11 )

Infine, per qual merito viene perdonato se non perché dice: Riconosco la mia colpa; il mio peccato mi sta sempre dinanzi? ( Sal 51,5 )

E cosa offrì al Signore per propiziarselo?

Egli disse: Se tu avessi voluto un sacrificio io te lo avrei offerto; ma tu non ti diletti di sacrifici.

Il sacrificio gradito a Dio è lo spirito contrito; Dio infatti non disprezza un cuore affranto e umiliato. ( Sal 51,18-19 )

Davide dunque non solo fece la sua offerta con animo devoto ma, con tali parole, indicò anche che cosa bisogna offrire.

Non basta infatti cambiare in meglio il comportamento e non peccare più; occorre anche, per quello che si è commesso, una riparazione a Dio; il dolore della penitenza, il gemito dell'umiltà, l'offerta del cuore contrito e delle elemosine.

Sono infatti beati i misericordiosi perché di essi Dio avrà misericordia. ( Mt 5,7 )

Quanto alle colpe non è stato solo detto che basta astenersene, ma: Per ciò che è successo supplica il Signore perché ti sia perdonato. ( Sir 21,1 )

Considera anche l'apostolo Pietro.

Egli era già battezzato, era, cioè, già nel Cristo, ed aveva anche battezzato altri.

Ebbene, guardalo: quando presume di sé e viene redarguito, quando si lascia prendere dalla paura e resta ferito, quando piange e viene risanato.

Dopo la discesa dello Spirito Santo capitò che un certo Simone volle comprare con denaro lo stesso Spirito Santo, macchinando, lui già battezzato in Cristo, un commercio empio e scellerato.

Tuttavia, corretto dallo stesso Pietro, accettò il consiglio di fare penitenza. ( At 8,13-22 )

L'apostolo Paolo, che pure da parte sua inviava lettere ai fedeli, dice: Quando ritornerò da voi spero che Dio non mi umìli e non abbia a piangere su  molti che prima peccarono, e poi non hanno fatto penitenza delle impurità, fornicazioni e dissolutezze commesse. ( 2 Cor 12,21 )

Ci stanno quindi davanti sia i precetti per agire rettamente, sia gli esempi, non solo di coloro che hanno agito rettamente, ma anche di penitenti i quali hanno recuperato quella salvezza che, peccando, avevano perduto.

Ma supponi pure che non sia certo il perdono di Dio.

Che cosa ci si perde a supplicare Dio quando, offendendolo, non si è esitato a perdere invece la salvezza?

Dall'imperatore terreno forse uno è certo di avere la grazia?

Eppure si spende denaro, si attraversano mari, si affrontano i pericoli delle tempeste e si va quasi incontro alla morte, per evitare appunto la morte.

Si supplica infine un uomo tramite uomini e si fanno tutte queste cose senza esitazione benché l'esito sia dubbio.

Danno più garanzia dei cuori dei re le chiavi della Chiesa: per esse ci è promesso che tutto ciò che viene sciolto sulla terra resterà sciolto anche nel cielo. ( Mt 16,19 )

E la stessa umiltà con la quale ci si abbassa davanti alla Chiesa di Dio, è più dignitosa.

Infine ci s'impone una fatica minore e si evita la morte eterna senza correre alcun pericolo di morte temporale.

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