Il Popolo Ebraico e le sue Sacre Scritture

4. L'elezione d'Israele

a) Nell'Antico Testamento

33. Dio è liberatore e salvatore prima di tutto di un piccolo popolo - situato con altri tra due grandi imperi - perché ha scelto questo popolo per sé, separandolo dagli altri in vista di una speciale relazione con lui e di una missione nel mondo.

L'idea dell'elezione è fondamentale per la comprensione dell'Antico Testamento e di tutta la Bibbia.

L'affermazione secondo la quale il Signore ha « scelto » ( bahar ) Israele è un tema dominante dell'insegnamento del Deuteronomio.

La scelta che il Signore ha fatto d'Israele si è manifestata con l'intervento divino per liberarlo dall'Egitto e con il dono di una terra.

Il Deuteronomio nega espressamente che la scelta divina sia stata motivata dalla grandezza d'Israele o dalla sua perfezione morale: « Riconosci che non a causa della tua giustizia il Signore tuo Dio ti dà il possesso di questo fertile paese, perché tu sei un popolo di dura cervice » ( Dt 9,6 ).

L'unico fondamento della scelta di Dio è stato il suo amore e la sua lealtà: « perché vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri » ( Dt 7,8 ).

Scelto da Dio, Israele è chiamato a essere un « popolo santo » ( Dt 7,6; Dt 14,2 ).

Il termine « santo » ( qādôš ) esprime una situazione che consiste, negativamente, nell'essere separato da ciò che è profano e, positivamente, nell'essere consacrato al servizio di Dio.

Utilizzando l'espressione « popolo santo », il Deuteronomio mette in grande rilievo la situazione unica d'Israele, nazione introdotta nel campo del sacro, diventata proprietà particolare di Dio e oggetto di speciale protezione.

Contemporaneamente si sottolinea l'importanza della risposta d'Israele all'iniziativa divina e quindi la necessità di una condotta appropriata.

In questo modo, la teologia dell'elezione mette in luce al tempo stesso lo status di distinzione e la speciale responsabilità del popolo che, tra tutti gli altri, è stato scelto per essere proprietà particolare di Dio103 e per essere santo, perché Dio è santo.104

Nel Deuteronomio, il tema dell'elezione non riguarda unicamente il popolo.

Una delle esigenze fondamentali di questo libro è che il culto del Signore sia celebrato nel luogo che il Signore avrà scelto.

L'elezione del popolo appare nell'introduzione parenetica alle leggi, ma, nelle stesse leggi, l'elezione divina si concentra sul santuario unico.105

Altri libri precisano il luogo in cui si trova questo santuario e mettono questa scelta divina in relazione con l'elezione di una tribù e di una persona.

La tribù scelta è quella di Giuda, preferita a Efraim;106 la persona scelta è Davide.107

Costui conquista Gerusalemme e la fortezza di Sion, che diventa « Città di Davide » ( 2 Sam 5,6-7 ) e vi fa trasportare l'arca dell'alleanza ( 2 Sam 6,12 ).

È così che il Signore ha scelto Gerusalemme ( 2 Cr 6,5 ) e, più precisamente, Sion ( Sal 132,13 ) per sua dimora.

In epoche di confusione e di tormenti, quando non sembra esserci futuro per gli Israeliti, la certezza di essere il popolo di Dio sostiene la loro speranza nella misericordia di Dio e nella fedeltà alle sue promesse.

Durante l'esilio, il Secondo Isaia riprende il tema dell'elezione108 per consolare gli esiliati, che avevano l'impressione di essere stati abbandonati da Dio ( Is 49,14 ).

L'esecuzione del giudizio di Dio non aveva posto fine all'elezione d'Israele; questa manteneva la sua validità, perché poggiava sull'elezione dei patriarchi.109

All'idea di elezione, il Secondo Isaia collega quella di servizio, presentando Israele come « Servo del Signore »,110 destinato a essere « luce delle nazioni » ( Is 49,6 ).

Questi testi mostrano chiaramente che l'elezione, base della speranza, comportava una responsabilità: Israele doveva essere, davanti alle nazioni, il « testimone » del Dio unico.111

Portando questa testimonianza, il Servo arriverà a conoscere il Signore quale egli è ( Is 43,10 ).

L'elezione d'Israele non implica il rifiuto delle altre nazioni.

Al contrario, presuppone che anch'esse appartengono a Dio, perché « a lui appartiene la terra e quanto essa contiene » ( Dt 10,14 ), e Dio « ha stabilito per le nazioni i loro confini » ( Dt 32,8 ).

Quando Israele viene chiamato da Dio « mio figlio primogenito » ( Es 4,22; Ger 31,9 ) o « la primizia del suo raccolto » ( Ger 2,3 ), queste metafore implicano che le altre nazioni fanno ugualmente parte della famiglia e della casa di Dio.

Questa interpretazione dell'elezione è tipica della Bibbia nel suo insieme.

34. Nella sua dottrina dell'elezione d'Israele, il Deuteronomio, come abbiamo detto, mette l'accento sull'iniziativa divina, ma anche sull'aspetto esigente della relazione tra Dio e il suo popolo.

La fede nell'elezione poteva, tuttavia, irrigidirsi in orgoglioso sentimento di superiorità.

I profeti si sono preoccupati di lottare contro questa deviazione.

Un oracolo di Amos relativizza l'elezione e attribuisce ad altre nazioni il privilegio di un esodo paragonabile a quello di cui Israele è stato beneficiario ( Am 9,7 ).

Un altro oracolo dichiara che l'elezione ha come conseguenza, da parte di Dio, una maggiore severità: « Soltanto voi ho eletto tra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò scontare tutte le vostre iniquità » ( Am 3,2 ).

Amos conferma che il Signore ha scelto Israele in un modo speciale e unico.

In questo contesto, il verbo « conoscere » ha un significato più profondo e più intimo di quello di una presa di coscienza dell'esistenza, esprimendo un'azione personale intima piuttosto che una semplice operazione intellettuale.

Ma questa relazione comporta delle esigenze morali specifiche.

Essendo popolo di Dio, Israele deve vivere come tale.

Se viene meno a questo dovere, riceverà la « visita » di una giustizia divina più severa che nel caso delle altre nazioni.

Per Amos era chiaro che elezione significa responsabilità piuttosto che privilegio.

È evidente che in primo luogo viene la scelta e poi l'esigenza.

Nondimeno, l'elezione d'Israele da parte di Dio implica un livello più alto di responsabilità.

Ricordandolo, il profeta eliminava l'illusione che faceva credere che il popolo eletto avesse presa su Dio.

L'indocilità ostinata del popolo e dei suoi re provocò la catastrofe dell'esilio, annunciata dai profeti.

« Il Signore decise: Anche Giuda allontanerò dalla mia presenza, come ho allontanato Israele; respingerò questa città, Gerusalemme, che mi ero scelta, e il Tempio di cui avevo detto: "Ivi sarà il mio nome" » ( 2 Re 23,27 ).

Questa decisione di Dio produsse tutto il suo effetto ( 2 Re 25,1-21 ).

Ma nel momento in cui si diceva: « Il signore ha ripudiato le due famiglie che si era scelte » ( Ger 33,24 ), il Signore smentiva formalmente questa affermazione: « No! cambierò la loro sorte perché avrò compassione di essi » ( Ger 33,26 ).

Già il profeta Osea aveva annunciato che quando Israele sarebbe diventato per Dio « Non-mio-popolo » ( Os 1,8 ), Dio gli avrebbe detto: « Tu sei mio popolo » ( Os 2,25 ).

Gerusalemme doveva essere ricostruita; al Tempio riedificato il profeta Aggeo predice una gloria più grande di quella del Tempio di Salomone ( Ag 2,9 ).

L'elezione veniva così confermata solennemente.

b) Nel Nuovo Testamento

35. L'espressione « popolo eletto » non ricorre nei vangeli, ma la convinzione che Israele sia il popolo scelto da Dio è in essi un dato basilare espresso con altri termini.

Matteo applica a Gesù un oracolo di Michea in cui Dio parla d'Israele come del suo popolo; del bimbo nato a Betlemme Dio dice: « Pascerà il mio popolo, Israele » ( Mt 2,6; Mic 5,3 ).

La scelta di Dio e la sua fedeltà verso il popolo eletto si riflettono poi nella missione affidata da Dio a Gesù: mi ha inviato solo « alle pecore perdute della casa d'Israele » ( Mt 15,24 ); Gesù stesso limita con parole identiche la prima missione dei suoi « dodici apostoli » ( Mt 10,2.5-6 ).

Ma l'opposizione che Gesù incontra nei notabili provoca un mutamento di prospettiva.

Concludendo la parabola dei vignaioli omicidi, indirizzata ai « sommi sacerdoti » e agli « anziani del popolo » ( Mt 21,23 ), Gesù dichiara: « Il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a una nazione che lo farà fruttificare » ( Mt 21,43 ).

Quest'affermazione non significa comunque la sostituzione del popolo d'Israele con una nazione pagana.

La nuova « nazione » sarà, al contrario, in continuazione con il popolo eletto perché avrà come « testata d'angolo » la « pietra scartata dai costruttori » ( Mt 21,42 ), che è Gesù, un figlio d'Israele, e sarà composta da Israeliti, ai quali si uniranno « molti » ( Mt 8,11 ) provenienti da « tutte le nazioni » ( Mt 28,19 ).

La promessa della presenza di Dio nel suo popolo, che era una così importante garanzia dell'elezione d'Israele, trova il suo compimento nella presenza del Signore risorto nella sua comunità.112

Nel vangelo di Luca, il cantico di Zaccaria proclama che « il Dio d'Israele ha visitato il suo popolo » ( Lc 1,68 ) e che la missione del figlio di Zaccaria consisterà nel « camminare alla presenza del Signore » e nel « dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nel perdono dei suoi peccati » ( Lc 1,76-77 ).

Al momento della presentazione del bambino Gesù al tempio, Simeone qualifica la salvezza apportata da Dio come « gloria del tuo popolo Israele » ( Lc 2,32 ).

Più tardi, un grande miracolo compiuto da Gesù provoca la seguente acclamazione della folla: « Dio ha visitato il suo popolo » ( Lc 7,16 ).

Per Luca esiste tuttavia una tensione, a causa dell'opposizione incontrata da Gesù.

Ma questa opposizione viene dai dirigenti del popolo, non dal popolo stesso, che è molto favorevole a Gesù.113

Negli Atti degli apostoli, Luca sottolinea che un gran numero di coloro che ascoltano Pietro accoglie il suo appello al pentimento, il giorno di Pentecoste e dopo.114

Al contrario, il racconto degli Atti sottolinea che, per tre volte, in Asia Minore, in Grecia e a Roma, l'opposizione accanita dei Giudei costringe Paolo a orientare la sua missione verso i Gentili.115

A Roma, Paolo ricorda ai notabili ebrei l'oracolo di Isaia che aveva predetto l'indurimento di « questo popolo ».116

Si trovano così nel Nuovo Testamento, come nell'Antico, due prospettive differenti sul popolo scelto da Dio.

Si constata, al tempo stesso, che l'elezione d'Israele non è un privilegio chiuso in se stesso.

Già l'Antico Testamento annunciava l'adesione di « tutte le nazioni » al Dio d'Israele.117

Sulla stessa linea, Gesù annuncia che « molti verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe ».118

Gesù, risorto, estende al « mondo intero » la missione degli apostoli e l'offerta della salvezza.119

Di conseguenza, la prima lettera di Pietro, che si rivolge a dei credenti provenienti soprattutto dal paganesimo, definisce quest'ultimi « stirpe eletta »120 e « nazione santa »,121 come quelli proveniente dal giudaismo.

Essi, che non erano un popolo, sono ora « popolo di Dio ».122

La seconda lettera di Giovanni chiama « Signora eletta » ( v. 1 ) la comunità cristiana alla quale è indirizzata e « tua sorella l'eletta » ( v. 13 ) la comunità dalla quale viene inviata.

A dei pagani di recente conversione, l'apostolo Paolo non esita a dichiarare: « Conoscendo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione … » ( 1 Ts 1,4 ).

La convinzione di essere partecipi dell'elezione divina veniva così comunicata a tutti i cristiani.

36. Nella sua lettera ai Romani, Paolo precisa chiaramente che si tratta, per i cristiani provenienti dal paganesimo, di una partecipazione all'elezione d'Israele, unico popolo di Dio.

I Gentili sono l'« oleastro », « innestato sull'olivo buono » per « beneficiare della ricchezza della radice » ( Rm 11,17.24 ).

Non devono pertanto gloriarsi a spese dei rami.

« Non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te » ( Rm 11,18 ).

All'interrogativo se l'elezione d'Israele conservi sempre la sua validità, Paolo dà due risposte differenti; la prima consiste nel dire che alcuni rami sono stati recisi, a causa del loro rifiuto della fede ( Rm 11,17.20 ), ma « c'è un resto, conforme a un'elezione per grazia » ( Rm 11,5 ).

Non si può perciò dire che Dio abbia ripudiato il suo popolo ( Rm 11,12 ).

« Israele non ha ottenuto quello che cercava; l'ha ottenuto invece l'elezione - cioè il resto eletto -; gli altri si sono induriti » ( Rm 11,7 ).

Una seconda risposta consiste nel dire che quei Giudei che sono diventati « nemici quanto al vangelo » restano « amati, quanto all'elezione, a causa dei padri » ( Rm 11,28 ) e Paolo prevede che otterranno perciò misericordia ( Rm 11,27.31 ).

Gli ebrei non cessano di essere chiamati a vivere per la fede nell'intimità di Dio, « perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili » ( Rm 11,29 ).

Il Nuovo Testamento non afferma mai che Israele è stato ripudiato.

Fin dai primi tempi, la Chiesa ha ritenuto che gli ebrei restano testimoni importanti dell'economia divina della salvezza.

Essa comprende la propria esistenza come una partecipazione all'elezione d'Israele e alla vocazione che resta, in primo luogo, quella d'Israele, sebbene solo una piccola parte d'Israele l'abbia accettata.

Quando Paolo parla della provvidenza di Dio come del lavoro di un vasaio che prepara per la sua gloria « vasi di misericordia » ( Rm 9,23 ), non intende dire che questi vasi rappresentino in modo esclusivo o principale dei Gentili, ma che rappresentano dei Gentili e dei Giudei, con una certa priorità per quest'ultimi: « egli ci ha chiamati non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani » ( Rm 9,24 ).

Paolo ricorda che Cristo, « nato sotto la Legge » ( Gal 4,4 ), è stato « servitore dei circoncisi, in nome della fedeltà di Dio, per confermare le promesse fatte ai padri » ( Rm 15,8 ), il che vuol dire che Cristo, non solo è stato circonciso, ma si è messo a servizio dei circoncisi e ciò per il fatto che Dio si era impegnato verso i patriarchi facendo loro delle promesse, la cui validità veniva dimostrata.

« Quanto ai Gentili, aggiunge l'apostolo, essi glorificano Dio per la sua misericordia » ( Rm 15,9 ) e non per la sua fedeltà, perché il loro ingresso nel popolo di Dio non scaturisce da promesse divine; è una specie di supplemento non dovuto.

Saranno quindi prima gli ebrei a lodare Dio in mezzo alle nazioni; essi inviteranno poi le nazioni a rallegrarsi con il popolo di Dio ( Rm 15,9b-10 ).

Paolo stesso ricorda spesso con fierezza la propria origine ebraica.123

In Rm 11,1 ricorda la sua condizione di « israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino », come prova che Dio non ha ripudiato il suo popolo.

In 2 Cor 11,22 presenta questa stessa condizione come titolo di gloria che mette in parallelo con il suo titolo di ministro di Cristo ( 2 Cor 11,23 ).

È vero che, secondo Fil 3,7, questi vantaggi che erano per lui un guadagno, li ha « considerati una perdita a causa di Cristo ».

Ma il motivo stava nel fatto che questi vantaggi, invece di condurlo a Cristo, l'avevano allontanato da lui.

In Rm 3,1-2 Paolo afferma senza esitare « la superiorità del Giudeo e l'utilità della circoncisione », e ne dà una prima ragione, di capitale importanza: « a loro sono state affidate le rivelazioni di Dio ».

Altre ragioni vengono esposte più avanti, in Rm 9,4-5, e formano una serie impressionante di doni di Dio e non soltanto di promesse: agli Israeliti appartengono « l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne » ( Rm 9,4-5 ).

Paolo, tuttavia, afferma subito che non basta appartenere fisicamente a Israele per appartenere veramente a lui ed essere « figli di Dio ».

Bisogna anzitutto essere « figli della promessa » ( Rm 9,6-8 ), il che, nel pensiero dell'apostolo, implica l'adesione a Cristo Gesù, nel quale « tutte la promesse di Dio sono divenute 'sì' » ( 2 Cor 1,20 ).

Secondo la lettera ai Galati, la « discendenza di Abramo » non può essere che unica; essa si identifica con Cristo e quelli che appartengono a lui ( Gal 3,16.19 ).

Ma l'apostolo sottolinea che « Dio non ha ripudiato il suo popolo » ( Rm 11,2 ).

Poiché « la radice è santa » ( Rm 11,16 ), Paolo resta nella sua convinzione che alla fine Dio, nella sua sapienza insondabile, innesterà nuovamente tutti gli Israeliti sull'olivo buono ( Rm 11,24); « tutto Israele sarà salvato » ( Rm 11,26 ).

È per le nostre radici comuni e per questa prospettiva escatologica che la Chiesa riconosce al popolo ebraico uno status speciale di « fratello maggiore », il che gli conferisce una posizione unica tra tutte le altre religioni.124

Indice

103 In ebraico segullah: Es 19,5; Dt 7,6; Dt 14,2; Dt 26,18; Sal 135,4; Ml 3,17
104 Lv 11,44-45; Lv 19,2
105 Dt 12,5.11.14.18.21.26; Dt 14,23-25; ecc
106 Sal 78,67-68; 1 Cr 28,4
107 2 Sam 6,21; 1 Re 8,16; 1 Cr 28,4; 2 Cr 6,6; Sal 78,70
108 Is 41,8-9; Is 44,1-2
109 Is 41,8-9; Is 44,1-2
110 Is 41,8-9; Is 43,10; Is 44,1-2; Is 45,4; Is 49,3
111 Is 43,10.12; Is 44,8; Is 55,5
112 Mt 28,20; cf Mt 1,23
113 Lc 19,48; Lc 21,38
114 At 2,41.47; At 4,4; At 5,14
115 At 13,46; At 18,6; At 28,28.
Nel vangelo di Luca, l'episodio della predicazione a Nazaret presenta già una struttura dello stesso genere di At 13,42-45 e At 22,21-22: l'apertura universalistica di Gesù provoca l'ostilità dei suoi concittadini ( Lc 4,23-30 )
116 At 28,26-27; Is 6,9-10
117 Sal 47,10; Sal 86,9; Zc 14,16
118 Mt 8,11; Lc 13,29
119 Mc 16,15-16; cf Mt 28,18-20; Lc 24,47
120 1 Pt 2,9; Is 43,21
121 1 Pt 2,9; Es 19,6
122 1 Pt 2,10; Os 2,25
123 Rm 11,1; 2 Cor 11,22; Gal 1,14; Fil 3,5
124 Discorso di Giovanni Paolo II nella sinagoga di Roma, il 13-4-1986