Paolo

... di Tarso

Apostolo, santo ( Tarso ca 5 d.C. - Roma ca 64 d.C. ); festa: 29 giugno.

Dell'apostolo Paolo di Tarso, autore di circa un terzo del Nuovo Testamento ( 2003 versetti su 5621 ), sono state date diverse e talvolta contrastanti definizioni: missionario, teologo, mistico, maestro di sapienza, polemista, secondo fondatore del cristianesimo, antagonista di Pietro e, in ambiente giudeocristiano, apostata dalla Legge ( ebioniti ), avversario e impostore ( Pseudo-Clementine ).

Apprendiamo dalla Seconda lettera di Pietro ( 2 Pt 3,15-16 ) che vi è un corpus di lettere "del nostro carissimo fratello Paolo" in via di formazione e che questi scritti - difficili da comprendere e travisati dagli ignoranti e dagli instabili - sono considerati "al pari delle altre Scritture".

Certo le lettere di Paolo, caratterizzate da un pensiero denso, profondo e spesso contorto e da uno stile molto originale ma nervoso, vennero subito contestate, combattute e fatte oggetto di interpretazioni differenti: Tertulliano addirittura apostrofa Paolo come haereticorum apostolus ( "apostolo degli eretici" ) ( Adv. Marc. 3,5 ).

A rendere complessa la sua figura contribuisce anche il fatto che egli nasce e si forma a Tarso, crocevia fra i mondi giudaico, greco e romano, patria di non pochi filosofi stoici, città "grande e felice" ( Senofonte ) nella quale regnava "un grande zelo per la filosofia e per ogni ramo della formazione universale" ( Strabone ).

La vita

La sua vita è la meglio conosciuta tra quelle dei personaggi del Nuovo Testamento, compreso lo stesso Gesù, e teoricamente ne sono possibili tre tipi di ricostruzione ( prescindendo dagli apocrifi e fantasiosi Atti di Paolo e Teda della fine del II sec. ).

Il primo ricorre esclusivamente ai documenti paolini, che ci consegnano però un quadro cronologico scarso e frammentario: essi si concentrano sul periodo della maturità, limitandosi a retrospettive stringate e non registrano, ovviamente, i drammatici eventi che hanno posto fine all'esistenza dell'apostolo.

Il secondo è delineato a partire da quanto detto negli Atti degli apostoli, che e però costruito con fonti di seconda o terza mano ( eccettuate forse le brevi "sezioni-noi" di At 16,10-17; At 20,5-21,18; At 27,1-28,16 ), utilizzate con libertà e finalizzando il tutto all'intenzione teologica propria di Luca.

Il terzo o ricostruito utilizzando in modo critico le fonti, senza cadere in uno scetticismo sistematico, ma anche senza indulgere a una ricerca di concordanza semplicistica e antistorica.

Il periodo più conosciuto della vita di Paolo e quello che va dalla chiamata-conversione fino all'arrivo a Roma come prigioniero: la sicurezza è reale più a livello di cronologia relativa che assoluta.

Restano aperti due interrogativi: come fu la vita dell'apostolo prima della svolta di Damasco?

Che cosa succede dopo i due anni trascorsi a Roma?

Il tentativo di porre dei punti fermi si scontra con il carattere lacunoso delle fonti disponibili e con la resistenza che esse oppongono a lasciarsi armonizzare.

La Seconda lettera ai Corinzi ( 2 Cor 11,32-33 ) - per la menzione del re Areta IV - ci consente di datare agli anni 37-39 la fuga di Paolo da Damasco; la Lettera ai Galati ( Gal 1,13-2,14 ) ci permette di collocare la prima visita a Gerusalemme nel 37 e la seconda negli anni 48-49; Atti degli apostoli ( At 18,11-17 ), con il riferimento al proconsolato di Gallione, ci porta a dire che Paolo fu a Corinto per diciotto mesi, con ogni probabilità dalla fine del 50 alla primavera-estate del 52.

Si può pertanto avanzare la seguente ipotesi di cronologia della sua vita:

intorno al 5 d.C. nasce a Tarso;

nel 34-35 l'evento di Damasco, l'incontro con il Signore risorto, sconvolge e segna la sua vita, facendolo entrare nel movimento dei seguaci di Gesù;

Paolo o a Damasco e in Arabia fino al 37, poi visita Gerusalemme, dove incontra Pietro, e ritorna a Tarso, forse fino al 42;

dopo un biennio trascorso ad Antiochia di Siria, negli anni 45-48 compie il suo primo viaggio missionario ( Cipro, Antiochia di Pisidia, Listra, Derbe );

una seconda visita a Gerusalemme risale al 48 o 49 e precede il secondo viaggio missionario ( Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto ) conclusosi nel 52;

un terzo viaggio missionario ( Efeso, Troade, Filippi, Corinto, Mileto) si colloca negli anni 53-57, prima della terza visita a Gerusalemme, dell'arresto e della prigionia a Cesarea e del viaggio verso Roma ( inverno del 61 ) conclusosi con un domicilio coatto nella capitale dell'impero e il martirio intorno alla metà degli anni 60.

L'opinione tradizionale collocherebbe negli anni 63-67 un ulteriore viaggio di Paolo in Spagna e quindi un ritorno in Oriente ( Creta, Efeso, Macedonia, Nicopoli, Efeso, Troade ), nel tentativo di spiegare quanto riportato nelle lettere pastorali.

Le Lettere

Tra gli scritti che la tradizione attribuisce all'apostolo di Tarso, oggi la maggior parte degli esegeti - sulla base dello stile, del vocabolario e della coerenza teologica - ritiene autentiche sette lettere soltanto.

Nella probabile successione cronologica si tratterebbe di 1 Tessalonicesi ( scritta da Corinto nel 50-51 ), di 1 Corinzi ( da Efeso nel 53-54 ), di Filippesi ( da Efeso nel 54-55 ), del biglietto a Filemone ( da Efeso nel 54-55 ), di 2 Corinzi ( da Filippi nel 55-56 ), di Galati ( sempre da Filippi nel 56-57 ) e di Romani ( da Corinto nel 57-58 ).

Più incerta e l'attribuzione a Paolo di 2 Tessalonicesi, Colossesi ed Efesini.

Sono dai più considerate non autentiche, invece, 1-2 Timoteo e Tito.

Le sei lettere sulla cui autenticità vi sono dubbi vengono considerate scritti redatti nel contesto della tradizione paolina con lo scopo di garantire la continuità del ruolo fondante e normativo dell'apostolo Paolo anche dopo la sua morte, secondo una prassi diffusa nella cultura greco-romana e giudaica: era una finzione cosciente attraverso la quale l'autore, ricorrendo all'autorità di un personaggio conosciuto, assicurava l'efficacia al proprio scritto.

Tale procedimento era legittimato dal rispetto verso il passato, dal valore riconosciuto alla Tradizione.

Negare ostinatamente questo carattere di alcuni scritti del corpus paolino deriva dal pregiudizio ideologico residuo della mentalità controversistica, che stabiliva una graduatoria degli scritti ispirati in nome di un esame teologico, in seguito al quale si consideravano di primo grado quelli che riproducevano la teologia di Paolo incentrata sulla giustificazione per la fede e di secondo grado quelli che indulgevano alle tendenze istituzionali e moraleggianti del protocattolicesimo.

Questi schemi antistorici e riduttivi vanno deposti.

Gli scritti della tradizione paolina vanno invece letti senza pregiudizi, perché sono contemporaneamente una testimonianza della fecondità del patrimonio teologico e spirituale dell'apostolo e nello stesso tempo un documento della capacità creativa dei suoi discepoli che adattano il suo pensiero in un nuovo contesto storico, religioso e culturale.

Lo stile espositivo

Gli scritti paolini appartengono a un genere misto che unisce la vivacità e l'immediatezza della lettera ( scritto privato, occasionale, vivace e immediato, comprensibile solamente al mittente e al destinatario ) all'importanza tematica dell'epistola ( trattatello in forma di lettera destinato a una grande cerchia di lettori ).

Pur variando da una lettera all'altra i punti sui quali l'apostolo concentra la propria attenzione, esiste senza dubbio un comune metodo teologico, non fosse altro che per il fatto che Paolo non scrive mai solamente per comunicare delle idee, ma perché viene sollecitato da richieste e da problemi che in un modo o nell'altro gli vengono sottoposti dalle comunità da lui fondate e vuole continuare il dialogo avviato nel corso della sua azione pastorale, in maniera da evitare un ritorno alla prassi pagana o un risucchio nell'esperienza giudaica.

Gli elementi costitutivi delle lettere paoline sono l'indirizzo ( mittente e destinatario, oltre al saluto "grazia e pace" ), il rendimento di grazie ( a cui fanno seguito gli accenni alla situazione della comunità e al motivo dello scritto ), il corpo della lettera ( dottrina e parenesi ) e la conclusione ( informazioni, disposizioni, progetti, saluti e benedizione di origine liturgica ).

Il greco utilizzato è quello della koinè: pur collocandosi su di un buon livello letterario stilistico, si avvicina più alla lingua popolare parlata che non a quella letteraria degli scritti ellenistici e non è privo di influssi semitici.

Lo stile riflette la personalità di chi scrive: è concitato, denso di anacoluti, parentesi, ellissi, frasi irregolari e pesanti.

Ama l'immediatezza espressiva e per ottenerla ricorre alla tecnica della diatriba, all'uso dell'apostrofe, dell'ironia e del sarcasmo.

Non manca l'abbondante ricorso alle figure retoriche più comuni e anche alle meno usuali come il sorite ( Rm 5,2-5 ).

Paolo non possiede certo l'eleganza e la solennità dei classici, ma sa utilizzare i procedimenti stilistici e retorici di allora.

Sua caratteristica è il frequente ricorso alle antitesi: sono così numerose da rivelare una struttura fondamentale del suo pensiero.

Le principali ( Adamo-Gristo, carne-Spirito, fede-opere, sapienza-stoltezza, lettera-Spirito, debolezza-potenza, schiavitù-libertà, scienza-amore, giorno-notte, uomo vecchio-uomo nuovo ) rimandano, per la loro origine, all'antitesi cristologica e pasquale morte-vita o croeifissione-risurrezione che fonda tutta la teologia paolina il partire da quell'evento di Damasco dopo il quale al giudeo per nascita e per scelta ( Fil 3,5 ), cittadino romano grazie all'eredità paterna ( At 16,37; At 22,25.29; At 23,27 ) e persecutore della Chiesa ( Gal 1,13; 1 Cor 15,9 e Fil 3,6 ), si opporrà il missionario del Vangelo, che dopo quello "strappo" rompe con il passato e ha come prospettiva futura la piena assimilazione al Cristo risorto.

Dell'evento di Damasco abbiamo due serie di testimonianze: quelle di Atti ( At 9,1-30; At 22,3-21; At 26,9-20 ) costruite sul modello biblico della chiamata-incarico di patriarchi e profeti ( Gen 46,2-3 ) e quelle dell'apostolo stesso, che esprimono in termini sobri e personalistici l'incontro decisivo con Gesù risorto che fece del fariseo pieno di zelo un cristiano e un apostolo.

Di quanto accaduto a Damasco Paolo non parla mai in termini narrativi, ma sempre con l'intento di mettere in evidenza gli aspetti di grazia, di rivelazione e di chiamata insiti in quell'esperienza ( Gal 1,11-17; 1 Cor 9,1; 1 Cor 15,8-9; Fil 3,7-11 ).

Come interpretare quanto avvenuto a Damasco?

Parlare di "conversione" significherebbe esprimersi in modo inadeguato.

Paolo non usa mai un vocabolario legato a quest'idea ( metanoéò o epistréphò ), ma parla di rivelazione ( apokalypto ) o di vocazione ( kaleo ): si tratta di una rivelazione del Signore risorto che fonda la vocazione apostolica e spinge alla missione in mezzo ai pagani.

Alcuni esegeti spiegano tale evento in senso cristologico: è il riconoscimento del vero messia proprio in Gesù crocifisso.

Per altri l'esperienza di Damasco si carica di un significato soteriologico: Paolo si convince che la salvezza non viene dalla fedeltà alla Legge, ma dalla fede in Gesù Cristo.

La teologia di Paolo

È convinzione oggi largamente diffusa che la teologia di Paolo trovi il suo punto genetico e catalizzante nel mistero pasquale di Cristo morto e risorto.

In modo particolare, la Pasqua di Cristo è alla base della visione che Paolo ha della salvezza e dell'uomo.

Proprio nel morire e nel risorgere del Figlio, il Padre porta a compimento il proprio intervento salvifico, manifestando quella "giustizia" ( Rm 1,17; Rm 3,21 ) che ristabilisce l'uomo peccatore nel giusto rapporto con lui.

All' "uomo vecchio" ( Rm 6,6; Col 3,9 ) - la cui esistenza è resa inautentica da un'osservanza solo legalistica dei comandamenti della Torà ( v. Legge/Torà ), dalla fragilità della "carne", dalla schiavitù sotto il "peccato" e dell'ineluttabilità della "morte" - si sostituisce la "nuova creatura" ( 2 Cor 5,17; Gal 6,15 ), l' "uomo nuovo" ( Col 3,10; Ef 2,15 ), il quale, abbandonandosi totalmente alla grazia di Dio, vive di una fede che diventa operosa nell'amore ( Gal 5,6 ).

La stessa comunità cristiana, la Chiesa, è "corpo di Cristo" ( 1 Cor 12,12 ).

Identificata in qualche modo con Cristo stesso acquista anch'essa rilievo pieno alla luce della Pasqua.

Tale visione della Chiesa e feconda di conseguenze: i credenti ( popolo di Dio, secondo 1 Cor 10,18 e Gal 6,16 ) sono strettamente congiunti a Cristo dal punto di vista sacramentale ( eucaristia ), strutturale ( Chiesa articolata in una estrema diversità di funzioni ) e missionario ( la Chiesa-corpo e la visibilizzazione della signoria di Cristo sugli uomini e sul cosmo ).

Infatti per Paolo la "fine dei tempi o già venuta" ( 1 Cor 10,11 ) e il nostro è il tempo favorevole, il tempo della salvezza ( 2 Cor 6,2 ), inaugurato da Cristo "primizia" ( 1 Cor 15,20.23 ) della risurrezione e "primogenito dai morti" ( Col 1,18 ).

Ma qualcosa manca ancora: il compimento definitivo, che sarà segnato pure dalla redenzione del nostro corpo ( Rm 8,23 ).

Il cristiano è dunque proteso verso tale pienezza, condividendo la tensione di tutta la creazione verso la liberazione "dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" ( Rm 8,21 ).

Paolo VI

Papa, al secolo Giovanni Battista Montini ( Concesio, Brescia, 1897 - Castelgandolfo, Roma, 1978 ).

Figlio di Giorgio, deputato del Partito Popolare, G. B. Montini fu ordinato sacerdote nel 1920.

L'esperienza pastorale e quella diplomatica

Avviato agli studi giuridici e alla carriera diplomatica pontificia, dal 1925 al 1934 fu assistente centrale della FUCI ( v. ), assicurandone l'autonomia rispetto all'imperante clima fascista e avviando una riflessione sui rapporti tra cattolicesimo e cultura moderna che doveva segnare profondamente la formazione di una generazione di intellettuali cattolici.

Cresceva intanto il suo impegno nella Segreteria di Stato, di cui divenne sostituto agli affari ordinari nel 1937.

Fu con D. Tardini il massimo collaboratore di Pio XII nella delicatissima fase della guerra e del dopoguerra e in particolare si occupò della vita della Chiesa in Italia.

Nominato nel 1954 arcivescovo di Milano, ebbe la porpora cardinalizia solo nel 1958, quando fu eletto papa Giovanni XXIII, con il quale stabilì una forte collaborazione, soprattutto in vista della preparazione del concilio Vaticano II convocato da Giovanni XXIII nel 1959.

L'attuazione del concilio Vaticano II

In concilio assunse un ruolo di grande rilievo e, dopo la morte di Giovanni XXIII, fu eletto papa proprio da quella maggioranza riformatrice che si era costruita nei primi dibattiti conciliari.

Portò quindi a compimento il concilio Vaticano II ( v. ) con fermezza, intervenendo anche in qualche occasione a ribadire punti dottrinali ( per esempio, sul primato papale nella collegialità ).

Nell'applicazione del concilio guidò la Chiesa con forte senso dell'autorità papale, cercando un equilibrio tra le impazienti sollecitazioni degli innovatori ( talvolta sfociate in aperta contestazione ) e gli opposti tentativi di revisione conservatrice.

Riformò la Curia Romana, aprendola a prelati di tutto il mondo ( 1967 );

appoggiò in modo convinto la riforma liturgica;

istituì ( 1965 ) il Sinodo dei vescovi per esercitare la collegialità episcopale;

espresse la sua apertura universalistica ed ecumenica negli incontri con il patriarca ortodosso Atenagora ( 1964 ), che sancì la ripresa ufficiale dei rapporti tra la Chiesa latina e quella orientale, con l'arcivescovo di Canterbury M. Ramsey e con i membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese;

intraprese ( rompendo una lunga tradizione ) alcuni viaggi fortemente simbolici ( in Israele, all'ONU, in Africa, in India, in Australia );

trasformò il Sant'Uffizio, abolendo anche la commissione dell'indice dei libri proibiti;

con l'enciclica Populorum progressio ( 1967 ) aggiornò il metodo della dottrina sociale della Chiesa ( v. );

ribadì il celibato ecclesiastico ( Sacerdotalis coelihatus, 1967 );

sulla regolamentazione delle nascite, la sua scelta di riaffermare il rifiuto di qualsiasi mezzo contraccettivo  Humanae vitae, ( 1968 ) fu accolta con un teso dibattito.

Dovette far fronte, con amarezza, alla ventata antistituzionale e contestativa che attraversò anche la Chiesa negli anni '60-'70, ma non rinunciò a sollecitare la ricerca di nuovi metodi pastorali che non si contrapponessero alla modernità.

In Italia rinnovò l'apostolato dei laici ( riforma dell'Azione Cattolica ) e diede alla Chiesa un maggior respiro pastorale, pur seguendo con preoccupazione le vicende politiche del paese ( fino al dramma dell'assassinio del suo amico A. Moro ).

La sua fine sensibilità diplomatica lo condusse a seguire tutte le crisi mondiali, ma si esercitò in particolare nel cercare nuovi rapporti della Chiesa cattolica con i paesi comunisti.

Detto anche Paolo: i giudei e gli orientali in genere prendevano anche un nome secondo l'uso del mondo greco- romano: Giovanni portava il nome Marco ( At 12,12 ); Giuseppe-Barsabba il nome Giusto ( At 1,23 ); Simone il nome Niger ( At 13,1 ); Tabità il nome Dorca ( At 9,36 ).

Qui per la prima volta Luca dà a Paolo il nome romano, il solo con il quale sarà chiamato in seguito.

Inoltre Paolo è messo al primo posto: non è più un secondo di Barnaba, ma il vero capo della missione ( v 13 ).

At 13,9
... persecutore

Nuova dottrina: alla lettera « via », la chiesa ( At 9,2+ ).

Su Paolo precursore, vedere At 7,58; At 8,13; At 9,1-2.21; At 22,19-20; At 26,10-11; 1 Cor 15,9; Gal 1,13.23; Fil 3,6; 1 Tm 1,13

At 22,4
... apostolo

Ti manderò lontano: « apostolo » significa « inviato ».

Queste parole del Cristo equivalgono quindi alla costituzione di Paolo come apostolo ( Gal 1,1; 1 Cor 9,1; 2 Cor 12,11-12) e specialmente come apostolo dei pagani ( Gal 1,16; Gal 2,7-8; Rm 1,5; Rm 11,13; Rm 15,16.18; Ef 3,6-8; Col 1,25-29; 1 Tm 2,7 ), sebbene gli Atti ( se si eccettua At 14,4.14 ) riservino abitualmente questo titolo ai dodici.

At 22,21
... lavora con le sue mani

E lavorava: sebbene riconoscesse il diritto dei missionari al loro sostentamento ( 1 Cor 9,6-14; Gal 6,6; 2 Ts 3,9; Lc 10,7 ), Paolo volle sempre lavorare con le sue mani ( 1 Cor 4,12 ), per non essere di peso ad alcuno ( 1 Ts 2,9; 2 Ts 3,8; 2 Cor 12,13s ), per dar prova del suo disinteresse ( At 20,33s; 1 Cor 9,15-18; 2 Cor 11,7-12 ).

Non accettò mai aiuti, eccetto che dai filippesi ( Fil 4,10-19; 2 Cor 11,8s; At 16,15+ ).

E ugualmente raccomanda ai suoi fedeli di lavorare per provvedere alle loro necessità ( 1 Ts 4,11s; 2 Ts 3,10-12 ) e a quelle dei bisognosi ( At 20,35; Ef 4,28 ).

At 18,3
La sua vocazione

Della vocazione di Saulo, fatto capitale per la storia della chiesa, Luca riporta tre relazioni, le cui divergenze nei particolari si spiegano secondo il diverso genere letterario usato.

La altre due relazioni fanno parte dei discorsi di Paolo.

Vedere anche Gal 1,12-17.

Il fatto è accaduto verosimilmente nel 36, dodici anni circa ( o quattordici, secondo la maniera di computare degli antichi ) prima del « concilio di Gerusalemme » ( Gal 2,1s; At 15 ), tenuto nel 49.

At 9,1
I suoi compagni

Due anni: At 20,31 dice: tre anni.

Durante questo soggiorno, Paolo ha scritto la prima lettera ai Corinzi, la lettera ai Galati e, con qualche probabilità, la lettera ai Filippesi.

Tutti gli abitanti della provincia d'Asia: non tutta l'Asia proconsolare ( la parte occidentale dell'Asia Minore ), ma la regione di cui Efeso era il centro, con le sette città di Ap 1,11.

Paolo aveva affidato al colossese Epafra il compito di evangelizzare Colossi; ed Epafra aveva esteso il suo apostolato a Laodicea e a Gerapoli ( Col 1,7; Col 4,12-13 ).

Paolo era aiutato anche da Timoteo ed Erasto ( At 19,22 ), Gaio e Aristarco ( At 19,29 ), Tito, del quale mai fanno parola gli Atti, eda altri ancora ( 2 Cor 12,18 ).

Luca attribuisce a Paolo il lavoro di tutto il gruppo da lui diretto ( Col 4,10+ ).

At 19,10

Su Aristarco At 19,29+

Su Marco vedere At 12,12+

Col 4,10

Schedario biblico

Paolo

C 86

Vocazione dei gentili

C 19

Conversione

E 26

Magistero

La devozione agli Apostoli Pietro e Paolo ha avuto un'immensa importanza nella formazione della mentalità cattolica e nello sviluppo della spiritualità della Chiesa, e, com'è ovvio, in quella romana specialmente; l'ha avuta nella determinazione di grandi fatti storici, come pure nella disciplina canonica ed economica della cristianità medioevale.

L'amore agli Apostoli Pietro e Paolo ci aiuterà a meglio comprendere come la fedeltà ferma e filiale a questa benedetta loro sede romana non restringe le dimensioni universali della Chiesa di Cristo, non mortifica la vitalità e l'originalità delle comunità diffuse nel mondo, non impone superflui e pesanti vincoli giuridici; sì bene pone la base ferma e sicura dell'edificio ecclesiastico, offre il punto onorevole e indiscutibile dell'unità cattolica, e alimenta la carità della famiglia cristiana.

Catechesi Paolo VI
28-6-1966

Petrum et Paulus Apostolos

Una professione di fede vogliamo a Dio offrire, al cospetto dei beati Apostoli, individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca.

Esortaz. Ap. Paolo VI
22-2-1967

L'apostolo Paolo costituisce, in proposito, un modello splendido da imitare non tanto nella concretezza della vita – la sua infatti fu davvero straordinaria – ma nell'amore per Cristo, nello zelo per l'annuncio del Vangelo, nella dedizione alle comunità, nella elaborazione di efficaci sintesi di teologia pastorale.

Angelus Benedetto XVI
28-6-2009
I tre atteggiamenti di Paolo che presenta questo passo, ha riassunto il Papa, sono quindi « lo zelo apostolico per annunciare Gesù Cristo, la resistenza - resistere alle persecuzioni - e la preghiera: incontrarsi con il Signore e lasciarsi incontrare dal Signore ». Meditazione Francesco
1-6-2017

Concilio Ecumenico Vaticano II

... apostolo

Suoi insegnamenti per i sacerdoti Presbyterorum ordinis 3
  Presbyterorum ordinis 10
  Presbyterorum ordinis 13
Sugli Ebrei Nostra aetate 4
sulla condotta cristiana nel mondo Nostra aetate 5

Summa Teologica

Rapimento di San ... II-II, q. 175, a. 3 ss.