Profeti

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Sommario

I. I profeti preparano la venuta del Profeta:
1. I profeti d'Israele e lo spirito profetico nelle religioni;
2. Scelti e mandati da Dio;
3. I profeti e lo Spirito di Dio;
4. I profeti e le autorità terrene;
5. I profeti e l'alleanza;
6. I profeti e i segni dei tempi;
7. Parola di minaccia e di conforto;
8. Il linguaggio dei profeti.
II. Cristo il profeta:
1. Giovanni il battezzatore di Cristo;
2. Cristo, unto dallo Spirito;
3. Il conflitto profetico;
4. Cristo, pietra angolare.
III. Lo Spirito profetico nella chiesa:
1. L'evento della pentecoste;
2. I dodici e l'apostolo delle genti;
3. Apostoli e profeti nella chiesa apostolica e post-apostolica;
4. La permanenza del ministero profetico nella chiesa.

Per conoscere Gesù Cristo, il profeta e il sacerdote profetico, e per farsi un'idea esatta della spiritualità specificamente cristiana sono centrali la realtà e il concetto del profetismo quale è delineato nella sacra scrittura.

Il rinnovamento biblico e pastorale voluto dal Vat II insiste sul fatto che tutti i cristiani sono chiamati a partecipare al ruolo ed alla missione profetica di Cristo.

« Cristo, il grande profeta, il quale con la testimonianza della vita e con la virtù della parola ha proclamato il regno del Padre, adempie il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della gloria, non solo per mezzo della gerarchia, la quale insegna in nome e con la potestà di lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni e forma nel senso della fede e della grazia della parola ( At 2,17-18 ; Ap 19,10 ), perché la forza del vangelo risplenda nella vita quotidiana familiare e sociale » ( LG 35 ). [ v. Esperienza spirituale nella bibbia I,3 ].

I - I profeti preparano la venuta del Profeta

1. I profeti d'Israele e lo spirito profetico nelle religioni

I profeti sono eletti e inviati in vista di Cristo che è il profeta e l'unico mediatore fra Dio e gli uomini.

Da una parte possiamo dire che è impossibile comprendere bene i testi biblici su Cristo senza conoscere la storia profetica di Israele.

Ma, dall'altra, è ugualmente ed ancor più vero che possiamo comprendere pienamente il ruolo dei profeti solo in vista di Cristo e nella sua luce.

L'intera storia precedente la venuta di Cristo è un catecumenato dell'umanità ed i profeti sono « i testimoni e gli operatori di questo catecumenato dell'umanità ».1

I profeti rivestono in mezzo al popolo eletto un ruolo difficile, talora tragico, ma altrettanto privilegiato: nella storia della salvezza prefigurano il profeta - Cristo - al quale preparano il cammino e di cui sono gli araldi, anche se non sono ancora in grado di intuirne la personalità.

Gli esegeti ci dimostrano che talune forme dell'espressione profetica hanno origine da un certo profetismo presente in altre nazioni, pur sottolineando nel contempo il carattere specifico dei profeti biblici.2

Iddio è il Creatore ed il Salvatore di tutte le nazioni, esse partecipano all'alleanza che Dio offrì ad Adamo e a Noè ne furono mai abbandonate da lui.

Possiamo inoltre dire che Dio ha suscitato fra le nazioni uomini e donne profetici per approfondire e purificare il senso religioso di tutti gli uomini.

Mentre i profeti d'Israele partecipano a quella rivelazione che prepara direttamente la venuta di Cristo in mezzo al suo popolo, le persone religiose, promotrici di fede e religiosità autentiche sorte in mezzo alle altre nazioni fanno parte della storia universale della rivelazione di Dio.3

Del resto, nell'ambito stesso del messaggio profetico di Israele è chiaro che Dio è « il Padre di tutti gli uomini e la sua fedeltà è pegno per tutti; Dio dimostra la sua misericordia per tutti e chiama tutti ad adorarlo ».4

2. Scelti e mandati da Dio

L'elemento costitutivo dell'esperienza profetica è l'esperienza d'essere scelti, eletti, presi e mandati da Dio stesso.

I profeti parlano in nome di Dio e, dall'esperienza di lui che li chiama a essere strumenti nella storia della salvezza, sono spinti ad adempiere il loro difficile compito.

Possiamo farci un'idea di quale doveva essere la potenza della loro comunicazione esistenziale esponendoci all'impressione che tutt'ora producono gli scritti dei profeti: non c'è dubbio che il segreto del loro influsso è l'esperienza profonda che hanno del mistero di un Dio santo e misericordioso.5

Ma non si tratta soltanto di una qualsiasi esperienza mistica dell'amore di Dio verso l'interessato, ma piuttosto dell'esatta esperienza che il Dio santo li ha scelti per coinvolgerli profondamente nella sua opera di purificazione e di santificazione.

Nel contesto di quest'esperienza il profeta percepisce in modo penetrante la propria indegnità personale: anche lui ha bisogno della misericordia divina e dell'opera purificatrice della grazia.

Caratteristica per quanto abbiamo detto è la visione del profeta Isaia riferita in Is 6.

Viene innanzitutto sottolineata la storicità del fatto: « L'anno della morte del re Ozia » ( Is 6,1 ).

Prima impressione nell'animo del profeta è il santo timore di Dio: « Ahimè, sono perduto perché sono un uomo di labbra impure, e vivo in mezzo a un popolo dalle labbra impure » ( Is 6,5 ).

Ma di egual misura è l'esperienza di nuova creatura prodotta dall'azione purificatrice di Dio.

Il profeta, all'elezione divina, risponde: « Ecco, mandami » ( Is 6,8 ).

La chiamata divina è inesorabile.

Lo vediamo in tutti i profeti, particolarmente nel profeta "ridicolo", Giona, che vuol fuggire davanti al volto del Signore e alla sua elezione.

La forza dell'elezione è classicamente espressa da Geremia: « Tu mi hai adescato, o Signore, e io mi sono lasciato adescare, mi hai afferrato e sei stato il più forte » ( Ger 20,7 ).

La medesima esperienza toccherà ad un grande profeta del NT, s. Paolo: « Se annunzio il vangelo, non è per me una gloria, perché è un obbligo che mi è imposto, e guai a me se non annunziassi il vangelo » ( 1 Cor 9,16 ).

Il profeta non riceve la sua legittimazione dai re o dai sacerdoti: egli sa di essere scelto e mandato da Dio.

E non vi è altra prova di legittimità che la testimonianza della sua vita e la forza della sua parola che comunica l'esperienza di Dio.

Le parole del profeta vengono dal cuore di Dio, si sono iscritte nel suo e così possono toccare e smuovere i cuori degli uomini di buona volontà.

Il profeta non solamente pensa, ma sa di essere una sentinella ( Os 9,8 ), un servitore di Dio e del popolo ( Am 3,7 ; Ger 25,4 ; Ger 26,5 ), un messaggero del Dio vivente ( Ag 1,13 ), qualificato dallo Spirito di Dio per discernere le vie del popolo ( Ger 6,27 ).

Coinvolto nel disegno di Dio per tutte le nazioni ( Ger 1,5 ), egli fa parte della dinamica della storia della salvezza ( Ger 1,10 ).

Il profeta non parla mai di Dio con concetti astratti ed impersonali: con tutta la sua esistenza egli comunica l'amore appassionato e l'ardente santità di Dio che non può tollerare falsi dèi accanto a sé.

3. I profeti e lo spirito di Dio

Opponendosi ai falsi profeti che parlano per piacere ai potenti, Michea dice: « Io invece sono ripieno di forza, di spirito del Signore, di giudizio e di coraggio per annunziare a Giacobbe il suo delitto, a Israele il suo peccato » ( Mi 3,8 ).

I profeti hanno, per così dire, una conoscenza sperimentale che tutto è dono di Dio.

Chi si lascia ispirare da loro non seguirà mai il pelagianesimo.

La salvezza e la liberazione nel senso profetico sono opera dello Spirito di Dio il quale dona un cuore nuovo e una forza e una speranza invincibili.6

I profeti annunziano colui che sarà totalmente docile allo Spirito di Dio, dal quale verrà unto ed inviato: « Sopra di lui si poserà lo spirito del Signore; spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di forza, spirito di conoscenza e di timore di Dio » ( Is 11,2 ).

Iddio promette solennemente: « Ho posto su di lui lo Spirito mio » ( Is 42,1 ).

La salvezza viene al popolo con il dono dello Spirito: « Il mio Spirito sarà in mezzo a voi » ( Ag 2,5 ; Zc 12,10 ).

Ezechiele è il grande profeta dell'opera rinnovatrice dello Spirito di Dio ( Ez 11,19 ; Ez 18,31 ; Ez 37,5-6 ).

4. I profeti e le autorità terrene

Non sussiste di per sé opposizione o contrasto fra re, sacerdoti e profeti, c'è però fra essi una differenza profonda.

Dio promette il suo Spirito e la sua grazia anche ai re ed ai sacerdoti, se ripongono totalmente in lui la loro fiducia.

Tuttavia, tanto i re che i sacerdoti spesso cercano la propria volontà e seguono le proprie passioni in un desiderio di potenza e di prestigio.

I falsi profeti fanno lo stesso.

I profeti non sono costituiti in autorità per regnare sugli altri.

Non sono una classe sociale o una casta, ne dei salariati.

Al contrario, spesso essi subiscono gravi sofferenze da parte di coloro che esercitano l'autorità terrena.

I sacerdoti, quando si costituiscono in casta o classe sociale privilegiata, cadono spesso nella routine e nel legalismo e sfruttano il popolo.

Il profeta, mosso dallo Spirito di Dio, ha il dono della parresia, della franchezza e del coraggio.

Suo primissimo compito però non è la contestazione [ v. Contestazione profetica ], ma l'annuncio della salvezza.

Nondimeno la missione di smascherare i peccati - soprattutto l'abuso di autorità e di potere, ma anche i peccati del popolo - costituisce parte integrante di quella missione più ampia che vuole i profeti annunciatori della necessità e della possibilità di convertirsi a Dio e di essere salvati.

I profeti non criticano dall'esterno, come se fossero estranei all'esperienza del popolo.

Al contrario, la missione profetica è sempre espressione della più profonda solidarietà: stanno totalmente dalla parte di Dio, dal quale sono mandati, ma nel contempo sono intercessori presso di lui per il popolo.

Castigati dalle autorità e disprezzati dal popolo, i profeti soffrono ed esercitano la propria missione per quelle e per questo.

Spesso i profeti riuniscono una comunità di discepoli, ma sanno bene che il loro carisma non può venire istituzionalizzato: deve essere ricevuto dalla libertà di Dio, come dono gratuito e come missione che include la sofferenza.

5. I profeti e l'alleanza

I profeti non sono dei tradizionalisti, però sono profondamente radicati nella tradizione del popolo di Dio, al cui centro si trova il dono dell'alleanza, nella quale è compresa la grazia e il vigoroso richiamo della fedeltà.

I profeti possono essere definiti rivoluzionari.

Ma dobbiamo essere molto cauti nell'uso di tale concetto, perché essi non invitano alla ribellione, bensì a una rinnovata fedeltà al Signore dell'alleanza e al popolo dell'alleanza.

Tuttavia per i profeti è impensabile una fedeltà intesa come mera ortodossia, cioè una fedeltà a idee e a concetti astratti.

Il Dio vivente, dal quale sono inviati, è il Dio che viene, che si impegna, che soffre con il popolo, il Dio santo e misericordioso; dunque, la risposta deve essere la fedeltà impegnata per l'amore misericordioso, per la giustizia, per la pace.

I profeti non peccano di verticalismo alienante, ma neppure di orizzontalismo [ v. Orizzontalismo/verticalismo ] : per essi la fede è fedeltà a Dio e nel contempo programma di vita.7

Per un profeta è inaccettabile tanto un individualismo religioso quanto una vuota ortodossia.

Egli annunzia il Salvatore come « alleanza del popolo » ( Is 42,6 ).

Chi pensasse che i profeti di Israele siano stati oppositori o dispregiatori del culto sarebbe completamente fuori strada: proprio perché volevano che Dio fosse adorato in tutta la nostra vita denunziavano un culto sterile e alienato dalla vita.

I profeti insegnano e promuovono un culto fecondo nell'amore per la giustizia, per la misericordia e per la pace.8

Nell'esperienza e nel messaggio profetici vi è reciprocità tra fedeltà a Dio e al popolo, tra esperienza del Dio santo e misericordioso e giustizia e misericordia verso il prossimo.

Emmanuel Levinas riassume la tradizione profetica dicendo che conosce veramente Dio solo colui che accoglie il povero che viene dal basso con la sua miseria, e che proprio in questa veste viene inviato dall'alto.

Non possiamo vedere il volto di Dio, possiamo però sperimentarlo nel suo volgersi verso di noi quando onoriamo il volto del prossimo, dell'altro che ci impegna con i suoi bisogni:9 nella fedeltà al povero, allo straniero ed all'oppresso dimostriamo la fedeltà all'alleanza di Dio.

6. I profeti e i ( v. ) segni dei tempi

Con la parola e con la loro intera vita i profeti annunziano Dio Emmanuele.

Jahve non è un Dio lontano, ma il Dio con noi, salvatore e liberatore del suo popolo.

Dio ci rimane vicino con la sua fedeltà all'alleanza ma anche con la chiamata inesorabile a rispondere con fedeltà e solidarietà.

Il Dio dei profeti è il Dio della storia: colui che era, che viene e che verrà.

Il profeta è intimamente coinvolto con il Signore della storia e con il popolo del pellegrinaggio.

Non è un esperto del calendario degli eventi futuri, ma comunica il senso del futuro perché ne sia illuminato il presente, con le sue opportunità e i suoi pericoli.10

Egli ci invita alla riconoscenza per il passato e alla speranza per il futuro, perché si possa così scoprire il significato e la vocazione del presente.

Compito del profeta è di interpretare gli eventi come parola, messaggio e chiamata di Dio.

Questo è il senso di quanto arditamente afferma Amos: « Certo il Signore Dio non fa alcuna cosa senza aver prima rivelato i propri arcani ai profeti suoi servi » ( Am 3,7 ).

Le virtù predicate e vissute dai profeti sono principalmente la gratitudine, la speranza e la vigilanza, assieme allo spirito di discernimento che è dono di Dio.

7. Parola di minaccia e di conforto

Lo Spirito di Dio forza i profeti a smascherare i falsi profeti che annunziano pace e prosperità senza il richiamo alla conversione.

Quando, in opposizione ai falsi profeti, essi devono annunziare il disastro e i giudizi divini sul popolo infedele, soffrono e ne sono angosciati.

Denunziano e smascherano energicamente i peccati dei re, dei sacerdoti e del popolo, ma nulla sarebbe più errato che il pensare ai profeti innanzitutto come a dei contestatori o nunzi di minacce e di punizioni.

Essi predicano la giustizia di Dio per aprire il cuore del popolo alla sua misericordia.

Predicano il peccato e la punizione solo nel contesto della lieta novella che la conversione è possibile.

Sono in primo luogo profeti del cuore nuovo e dello spirito nuovo, dell'opera redentrice di Dio e della pace del popolo che si converte a Dio.

Anche se paiono vivere nell'agonia e nell'angoscia, portano nel cuore la pace e la speranza.

« Mentre nell'alto c'è il cumulo di tuono e fulmine, nel profondo c'è luce e fascino ».11

I profeti sanno che è una benedizione per gli uomini il fatto che Dio li giudichi degni di essere rimproverati.

Questo stesso rimprovero divino dimostra che la misericordia di Dio è senza limiti e che lo scopo delle punizioni è la purificazione e la salvezza.

8. Il linguaggio dei profeti

I generi letterari e il linguaggio dei profeti sono determinati dallo scopo, dalla personalità e soprattutto dall'esperienza di Dio propri del profeta.

La parola profetica manifesta in qual modo il profeta vede negli eventi una parola, un messaggio e una vocazione divini.

La sua vita e i suoi gesti, talora drammatici, sottolineano e danno rilievo, alla parola.

Come il messaggio profetico scaturisce dall'esperienza religiosa e tocca tutta la persona, così i gesti e il linguaggio immaginoso dei profeti mirano a smuovere la persona: intelletto, volontà, affetto e passioni.

Soprattutto ad un moralista che pensa primariamente in categorie di norme che determinano il minimo, il linguaggio profetico può sembrare assai esagerato.

Ma bisogna sempre ricordare che il profeta non odia nulla più della mediocrità e del minimalismo.

La sua predicazione è ispirata dalla fede che il popolo di Dio è chiamato alla santità della vita, a una vita che corrisponda al dono dell'alleanza.

II - Cristo il profeta

Cristo non è uno dei profeti ( e non dovrebbe mai essere presentato neppure come uno dei grandi gèni religiosi sul piano di Buddha, Maometto e cosi via ).

Cristo è il profeta, è l'uomo religioso, perché è l'Uomo-Dio.

Cristo porta a compimento tutta la storia profetica e apre un'era nuova: l'era in cui lo Spirito di Dio è in tal misura diffuso che il popolo di Dio è caratterizzato dalla partecipazione al ruolo profetico del Figlio.

1. Giovanni il battezzatore di Cristo

Il fatto che Cristo è il profeta viene sottolineato dalla figura di Giovanni il battista, l'ultimo e il più grande dei profeti.

Il popolo semplice lo accoglie e lo segue, mentre la classe dirigente - sacerdoti, farisei e sadducei - lo respinge.

È il profeta Giovanni il battezzatore che annunzia la venuta di Cristo, l'adempimento della speranza di Israele.

L'entrata di Cristo nel mondo è contrassegnata da un'autentica esplosione di spirito profetico.

Elisabetta, la madre dell'ultimo profeta di Israele, « fu ripiena di Spinto santo » ( Lc 1,41 ).

Dopo la nascita di Giovanni anche Zaccaria « suo padre, fu ripieno di Spirito santo e profetizzò » ( Lc 1,67 ).

Quando il bambino Gesù viene presentato al tempio, non sono i sacerdoti, ma dei rappresentanti dell'umile popolo - Simeone e Anna - che lo salutano e profetizzano.

Nella predicazione di Giovanni il battista il richiamo alla conversione totale diventa particolarmente urgente, perché è vicino il Messia, il grande segno della speranza che spingerà ogni uomo a decidersi per lui o contro di lui.

« Viene uno che è più forte di me, al quale io non sono neppure degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali; egli vi battezzerà nello Spirito santo e nel fuoco » ( Lc 3,16 ).

2. Cristo, unto dallo Spirito

La teofania, nel momento del battesimo di Cristo al Giordano, lo rivela come il servo di Dio, il Figlio prediletto ed il grande profeta.

Lo spirito di Dio scende su di lui visibilmente.

Gesù viene battezzato « non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue.

Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è verità.

Così sono tre i testimoni: lo Spirito, l'acqua e il sangue » ( 1 Gv 5,6-8 ).

Cristo stesso sottolinea programmaticamente il suo carattere di profeta nella sinagoga di Nazaret: « Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha consacrato, mi ha inviato ad annunziare la buona novella ai poveri » ( Lc 4,18 ).

Cristo è costituito profeta per tutte le nazioni.

Alla donna di Samaria che lo riconosce come tale, egli si rivela come il Messia che è venuto perché tutti gli uomini diventino con lui ed in lui « veri adoratori, che adorano il Padre in Spirito e verità » ( Gv 4,23 ).

Tutta la vita di Gesù, fino all'effusione del suo sangue redentore sulla croce, è glorificazione del Padre e manifestazione del suo amore per tutti gli uomini.

Così egli ci introduce nel nuovo culto, sorgente e norma della conversione totale e della missione di essere sale della terra e luce del mondo.

Chi crede in Cristo sa che il vero monoteismo non può esaurirsi in una vuota idea, ma si verifica in quell'amore fraterno universale e in quell'impegno per la giustizia e per la pace che unisce tutti gli uomini ad onore dell'unico Padre e del suo Figlio unigenito nello Spirito santo.

Chi conosce Cristo il profeta sa quanto sia impossibile la privatizzazione della religione e l'individualismo religioso.

Dove il regno di Dio venuto a noi in Cristo viene accolto con gratitudine, comincia la terra nuova e si annuncia il cielo nuovo.

3. Il conflitto profetico

Come abbiamo già visto, la contestazione profetica ( seguita dal conflitto con la classe dirigente ) non costituisce il centro della missione profetica, ma ne deriva.

I profeti annunziano costantemente che Dio vuoi reggere tutta la nostra vita - privata e pubblica - e lo annunciano in una maniera storica, concreta.

Proprio questa concretezza, con la quale dobbiamo esprimere la nostra risposta a Dio, conduce al conflitto con i potenti, con chi non vuol convertirsi e non intende rinunciare all'egoismo individuale e collettivo.

Più di ogni altro profeta, Cristo il profeta è un segno di contraddizione e di divisione ( Lc 2,34 ).

Si pone in conflitto con sacerdoti e farisei, con la classe dominante preoccupata più di privilegi e di tradizioni che della voce del Dio vivente e dei bisogni e della dignità degli uomini.

In urto con la sua persona, il suo messaggio e il suo esempio, diventa paurosamente evidente l'irrigidimento dei tradizionalisti e dei ritualisti.

Certo, Cristo non esclude dal suo disegno di salvezza sacerdoti e farisei.

Fa anzi di tutto per guadagnare la toro adesione al suo piano.

Nondimeno, per amor loro e del popolo usa anche parole e compie azioni drastiche, al fine di metterne a nudo i peccati per dar inizio alla guarigione.

Non rifugge nemmeno da un'aspra ironia: « Come ben sapete annullare il comandamento di Dio, a favore della vostra tradizione! » ( Mc 7,9 ).

Di fronte al loro indurimento, Gesù pone in un certo senso sullo stesso piano quella volpe di Erode ed i "pii" farisei: « guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode » ( Mc 8,15 ).

Cristo usa il linguaggio profetico: « Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché chiudete agli uomini il regno dei cieli, e non entrate voi ne lasciate che entrino quelli che vorrebbero entrare!

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per farvi anche un solo proselito, e quando lo è diventato, ne fate un figlio della Geenna il doppio di voi » ( Mt 23,13-15 ).

Come i profeti dell'AT, anche Gesù compie drastici gesti profetici, per es. la maledizione del fico che non porta frutto e la cacciata dei mercanti dal tempio.

L'asprezza profetica non colpisce solamente i nemici dichiarati di Gesù, ma anche, sia pure eccezionalmente, i suoi stessi discepoli.

Ripetutamente ne rimprovera l'affanno per i primi posti, le lotte per problemi di carriera e l'attesa di un eroe nazionale trionfatore come Messia.

Pietro, che non vuole che Cristo sia il Messia sofferente e oltraggiato, subisce la stessa lezione ( quasi parola per parola ) di Satana nel racconto delle tentazioni: « lungi da me, Satana! » ( Mt 16,23 ; Mt 4,10 ).

Per i "figli del tuono" - Giovanni e Giacomo - che aspiravano ardentemente all'affermazione del regno di Dio con fuoco e zolfo, vi è l'ammonimento: « Voi non sapete di quale spirito siete » ( Lc 9,55 ).

Volevano un Messia che camminasse sulle orme di Elia, il quale aveva ammazzato i sacerdoti di Baal.

Nemmeno in presenza di Cristo umile e mite avevano intuito la disapprovazione di Dio per i metodi del profeta rabbioso: « Una grande e potente tempesta, che abbatteva montagne e distruggeva rocce, arrivò davanti al Signore; ma il Signore non era nella tempesta.

Dopo la tempesta un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.

Dopo il terremoto un incendio, ma il Signore non era nell'incendio.

Dopo l'incendio, il sussurro di una leggera brezza » ( 1 Re 19,11-13 ).

La contestazione profetica di Cristo è più forte di quella di Elia perché è il messaggio di chi con la sua intera vita e con la sua morte insegna: « Imparate da me, che sono dolce e mite di cuore» ( Mt 11,29 ).

La mitezza e la gentilezza di Cristo non hanno nulla a che vedere con la debolezza.

Egli non scansa il conflitto, ma lo sostiene con amore irriducibile per tutti, fino alla preghiera per coloro che lo crocifiggono: « Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno » ( Lc 23,34 ).

4. Cristo, pietra angolare

Cristo, compimento della storia profetica, smaschera tutti i falsi profeti.

Solo quelli che lo riconoscono come il profeta, il Figlio del Dio vivente, sia nella vita che con la parola, possono avere parte nella storia profetica.

Egli non è venuto per giudicare e per condannare, ma per salvare.

Ai suoi discepoli dà una norma ferma: « Non giudicate per non essere giudicati.

Perché secondo il giudizio col quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà rimisurato a voi » ( Mt 7,1-2 ).

Ma nel medesimo contesto del discorso della montagna il Signore ci insegna a distinguere i veri dai falsi profeti: « Guardatevi dai falsi profeti; essi vengono a voi travestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci.

Dai loro frutti li conoscerete » ( Mt 7,15-16 ).

Chiunque si offra come guida e profeta, deve sottomettersi a tale criterio di discernimento.

Esso va però usato non per condannare la persona, ma per discernere gli spiriti, per scegliere coloro che possiamo seguire.

Il criterio del nostro discernimento è Cristo stesso.

La questione da porsi sarà sempre se noi stessi e quelli che intendono guidarci hanno lo Spirito di Cristo.

III - Lo spirito profetico nella Chiesa

1. L'evento della pentecoste

La chiesa, fondata da Cristo, è nutrita dal suo Spirito.

Essa, che scaturisce dal cuore squarciato di Cristo, nasce e diventa testimonianza visibile al mondo nella pentecoste.

La vita della chiesa e i criteri di una vita autenticamente cristiana e della validità delle istituzioni cristiane vanno fissati alla luce dell'evento pentecostale, come del resto alla luce delle parole, dell'esempio e del mistero pasquale di Cristo.

Come fecero gli apostoli uniti a Maria Madre di Gesù per prepararsi all'effusione dello Spirito, così anche noi con tutta la chiesa dobbiamo sempre aprirci allo Spirito con umile preghiera e nella gratitudine.

Lo Spirito santo non è mai un nostro possesso, la sua grazia deve essere sempre onorata come dono gratuito.

Nell'esperienza pentecostale, il capo degli apostoli, Pietro, intuisce chiaramente che lo spirito profetico non può essere monopolio di un gruppo, anche se il suo aiuto è particolarmente promesso agli apostoli.

Pietro, dal profeta Gioele, cita: « Negli ultimi giorni, dice il Signore, io spanderò del mio spirito sopra ogni carne, e profeteranno i vostri figli e le vostre figlie, i giovani vostri avranno visioni e i vostri vegliardi sogneranno dei sogni.

Sì, anche sopra i miei servi e sulle mie ancelle in quei giorni spanderò il mio spirito e profeteranno » ( At 2,17-18 ).

Con la venuta di Cristo e con l'effusione dello Spirito sulla chiesa nascente viene portata a compimento, ma non chiusa, la storia del profetismo.

Ciò che caratterizza la vita e la testimonianza dei profeti d'Israele dovrà soprattutto distinguere la chiesa di Cristo.

Se vogliamo cogliere dalla sacra scrittura gli elementi di una teologia del profetismo non basta che prestiamo attenzione alla parola "profeta", ma occorre soprattutto che prestiamo attenzione all'azione dello Spirito santo, ai suoi carismi e alla libertà di Dio che da il suo Spirito a chi gli piace.

Tuttavia lo stesso vocabolario del NT indica l'importanza del ruolo profetico nella chiesa.

Il termine "profeta" viene usato 21 volte per designare cristiani carismatici; 21 volte compare anche profeteuo/profeteuein ( "profetizzare" ) e 16 volte profeteia ( "profezia" ).

Il fatto che spesso si tratti di un uso largo dei termini, non contraddice, ma al contrario sottolinea la dimensione profetica di tutta la vita della chiesa.

2. I dodici e l'apostolo delle genti

Gli undici e Mattia, eletto dalla comunità dei credenti, formano il nucleo dei capi carismatici ed ufficiali della chiesa.

La loro missione si situa più sulla linea del profetismo vetero-testamentario che non su quella della classe sacerdotale.

Sono inviati dallo Spirito con una tensione di fedeltà e di libertà creative.

Pietro, talvolta pur titubante come Giona, è uomo dalla visione e dalla realizzazione profetiche, come ad es. quando battezza Cornelio e i suoi senza imporre loro la circoncisione e i costumi ebraici.

Per quest'atto non mancarono resistenze da parte della comunità di Gerusalemme, e « quando Pietro salì a Gerusalemme i convertiti dal giudaismo cominciarono a rimproverarlo dicendo: "Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato con loro" » ( At 11,2 ).

Benché sicuro dell'ispirazione divina, Pietro espone pazientemente ai suoi oppositori i motivi e le esperienze che lo avevano indotto ad agire in quel modo: era la sua esperienza della libertà dello Spirito.

Giovanni, il discepolo prediletto, impersona, nel collegio apostolico, in modo del tutto speciale, il carisma profetico.

All'ufficio di Pietro è dato l'incarico di riflettere su che cosa significhi la testimonianza di quest'uomo completamente assorbito dall'attesa della venuta del Signore.

« Se voglio che rimanga come l'uomo dell'attesa del mio ritorno, che t'importa? » ( Gv 21,22 ).

Giovanni è il primo a riconoscere Gesù quando, inaspettato, appare agli apostoli.

A lui la chiesa attribuisce il libro della rivelazione, l'Apocalisse, che segue il genere letterario dei grandi profeti e aiuta la comunità dei credenti a decifrare i segni dei tempi.

Giovanni vede ogni avvenimento e ogni realtà, in primo luogo il bisogno che il fratello ha del nostro aiuto e del nostro amore, alla luce della venuta definitiva di Cristo, ma in maniera da essere veramente calato nel momento presente nel quale il Signore giunge a noi.

Paolo, l'apostolo delle genti, impersona in modo diverso l'elemento profetico.

Come i grandi profeti dell'AT, anch'egli ha fatto un'esperienza bruciante dell'elezione e della purificazione, e come quelli si presenta al popolo a titolo di tale elezione ( Gal 1,15 e Ger 1,5-7 ; 2 Cor 6,1-2 e Is 49,8 ).

Paolo è convinto di avere lo Spirito di Cristo ( 1 Cor 2,16 ; Gal 1,11-17 ).

Riconosce la propria vocazione a essere profeta delle genti.

A lui è concessa una particolare intuizione del mistero che Dio vuole unire in Cristo gentili e giudei: « Abolì la legge coi suoi comandamenti e precetti, per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo, ristabilire la pace e riconciliare ambedue con Dio in un solo corpo… perché gli uni e gli altri per mezzo di lui abbiano accesso al Padre in un medesimo Spirito » ( Ef 2,15-16.22 ).

E a questo riguardo ha la certezza di avere ricevuto una rivelazione speciale: « È per questo che io, Paolo, sono prigioniero di Cristo Gesù per amore di voi gentili.

Perché voi siete certamente venuti a conoscere l'incarico di amministratore della grazia di Dio che mi fu affidato a vostro favore, quando per mezzo di una rivelazione mi venne manifestato il mistero che sopra vi ho brevemente esposto » ( Ef 3,1-3 ).

Al pari dei profeti dell'AT, Paolo fu spesso contestato, ma il suo carisma ottenne riconoscimento dai dodici, e in particolare da Pietro.

Il che tuttavia non esclude l'evento scottante della contrapposizione di Paolo a Pietro stesso nel momento in cui questi non si mostrò coerente con la propria iniziativa e con quella, già approvata, di Paolo ( Gal 2,11-21 ).

Accanto a Paolo sta Barnaba, che nella chiesa è onorato sia come apostolo che come profeta.

Egli fu il primo a riconoscere il carisma particolare di Paolo.

Lo cercò e lo introdusse nella chiesa di Antiochia.

In questa comunità vediamo le realizzazioni profetiche di una chiesa composta da ebrei e da pagani.

Qui fu presa la decisione tanto importante di inviare missionari in altre parti del mondo.

« Ora, nella chiesa di Antiochia, v'erano dei profeti e dei dottori: Barnaba, Simone detto il Moro, Lucio di Cirene, Manaen, fratello di latte di Erode il Tetrarca, e Saulo.

E mentre celebravano il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito santo disse loro: Mettetemi a parte Barnaba e Saulo per l'opera alla quale io li ho destinati.

Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono » ( At 13,1-3 ).

Merita però di essere notato che anche fra questi due uomini, grandi apostoli e profeti, non mancò occasione per dissensi in questioni concrete.

Barnaba diede maggior credito e fiducia a Giovanni Marco di quanto non avesse fatto Paolo.

Ma questi, da uomo spirituale, più tardi riconobbe quanto Marco fosse degno di tale fiducia ( Col 4,10 ).

3. Apostoli e profeti nella Chiesa apostolica e post-apostolica

Dalle lettere di Paolo, dagli Atti degli Apostoli, dalla Didaché e da altre testimonianze vediamo che la chiesa del I sec. ha goduto di un particolare carisma di apostoli e di profeti.12

I profeti erano, come gli apostoli, missionari itineranti, punti di unità delle chiese locali.

Toccò loro specialmente la parola di attualità, l'invito ad usare bene il momento presente.

Sono mandati dallo Spirito a edificare, a esortare e a consolare ( 1 Cor 14,3 ).

Il Dialogo con Trifone ( 82,1; 88,1) di Giustino e gli scritti di Ireneo ( Adv. haer. V, 6, 1 ) trattano del dono profetico come di una realtà riconosciuta.

4. La permanenza del mistero profetico nella Chiesa

Come nella chiesa d'Israele, così anche in quella del NT non esiste un ufficio profetico al quale qualcuno viene designato dai capi.

L'invio di profeti è sempre dovuto alla libertà di Dio.

Di per sé il sacerdozio del NT è un sacerdozio profetico perché Cristo è il profeta e come tale ci ha insegnato il vero culto, l'adorazione di Dio in spirito e verità.

Perciò nell'elezione o scelta dei vescovi, come pure dei preti e dei diaconi, bisognerebbe adottare come criterio il giudizio se sono uomini di preghiera, aperti allo Spirito, vigilanti per la venuta del Signore e forniti del dono del discernimento.

Il solo fatto di trovarsi nell'ufficio episcopale e presbiterale non garantisce la presenza di qualità profetiche.

Lungo il corso dei secoli non mancarono mai uomini e donne distinti da uno spirito profetico, il quale fu presente anche nella gerarchia della chiesa.

La chiesa onora come grandi santi Policarpo, che nella questione della data della Pasqua venne a Roma per indurre papa Aniceto alla tolleranza; ed Ireneo, che nell'ambito della medesima controversia inviò un infiammato appello a papa Vittore perché non mettesse in gioco la comunione eucaristica della chiesa a causa di un mero uniformismo di calendario ( papa Vittore aveva minacciato di scomunicare gli orientali se non avessero accettato di regolarsi secondo le sue decisioni ).

La voce profetica di questi santi e la capacità dei vescovi di Roma di ascoltarli umilmente salvarono, per quella volta, l'unità.

Papa Paolo VI ha dichiarato "dottore della chiesa" due grandi donne che furono potenti fautrici di riforme: Teresa d'Avila e Caterina da Siena, che osarono contestare, con tenero e forte amore per la chiesa, abusi e infedeltà, anche se si trattava di vescovi.

Una delle figure più autentiche e riconosciute di profetismo nella chiesa è quella di s. Francesco d'Assisi.

Egli ebbe la certezza di aver ricevuto dal Signore il mandato di restaurare la chiesa decadente ritornando alla purezza, alla semplicità ed alla gioia del vangelo.

La visita fatta al Sultano come amico inerme fu un gesto genuinamente profetico che avrebbe potuto cambiare il corso della storia al pari di quello di Sadat verso Israele ( dicembre 1977 ).

Ma una grazia di questo genere, offerta per mezzo di un profeta, può essere accolta oppure rifiutata.

Prima dell'apertura del Vat II papa Giovanni XXIII volle onorare il profeta di Assisi.

Anche lui è una delle grandi figure profetiche: nei suoi gesti, nelle sue parole e nelle sue lungimiranti vedute.

Fu ad es. gesto profetico quello di sedersi su una semplice sedia in mezzo agli osservatori delle altre chiese invece di parlar loro da un trono.

Come lo fu quello di papa Paolo VI, che visitò per due volte il patriarca Atenagora di Costantinopoli prima di invitarlo a Roma.

I veri profeti sanno leggere i ( v. ) segni dei tempi.

Sono impegnati per la giustizia e per la pace, in un'evangelizzazione che promuove la crescita delle persone e l'unità fra i credenti e fra tutti gli uomini di buona volontà.

Possiamo sperare che le chiese cristiane giungeranno all'unione e che la loro testimonianza dinanzi al mondo diventi credibile solo se esse si aprono allo Spirito, ascoltano i profeti e ne accettano con gratitudine le realizzazioni.

Tutti dobbiamo pregare per diventare davvero capaci di ascoltare la voce dei profeti e di progredire nel discernimento e nella risposta coraggiosa e convinta ai segni dei tempi.

Contestazione
Segni
Nell'AT Celibato I,2
Comunità VIII
Chiamata dei … Apostolato II
Laico III,3
Spiritualità Contemplazione I,1
Deserto I,2
Esperienza sp. Bib. I,3
Senso II,4
Oggi Contestazione II
Preti Ministero IV,2
Preghiera V
… e fraternità Fraternità III
… e le novità Contestazione I
Eroismo II,2
Segni VI,1
… e crisi Contestazione I
Crisi II,1

S. G. B. de La Salle

I Giudei decidono di far morire Gesù MD 23,1-3
La santità non consiste nel vestito ma nelle opere MD 60,3
Decollazione del Battista MF 162,1-3

1 H. Cazelles (a cura di), Introduction a la Bible, Ed. Nouv., t, II, Introduction critique a l'AT, Parigi 1973, 357
2 DBS VIII (Parigi 1972), 811-909
3 K. Rahner, Visione teologica del profetismo in SM VIII, 650
4 A. Heschel, Thè Prophets, New York 1969, 154
5 R. Koch. Die Gotteserfahrung der Propheten in Studia Moralia 15 (1977) 323-344, spec. 339s. (vers. it. in Aa. Vv., Chiamati alla libertà, Roma, Edizioni Paoline 1979)
6 L. c., 327ss
7 A. Schmied, Wahrhaftigkeit una Glaube in Studia Moralia 15 (1977) 545s (vers. it. nell'o. c. alla nota 5)
8 H. Cazelles, o. c., 358ss
9 E. Levinas, Totalità et infini, L'Aja, 19613, 229 e passim
10 A. Heschel, o. c., 12
11 L. c., 154
12 DBS VIII, 1291ss