Fraternità

IndiceA

Sommario

I. Indicazioni della bibbia;
    1. Chi è fratello;
    2. Perché è fratello.
II. Indicazioni della tradizione:
    1. Letteratura;
    2. Liturgia;
    3. Monachesimo.
III. Ricerca della fraternità:
    1. Alcune esigenze;
    2. Alcune risposte:
        a. La persona,
        b. Dimensione verticale,
        c. Dimensione orizzontale,
        d. Le opere dello Spirito.

Il vocabolo fraternità e il punto di arrivo d'un processo culturale di astrazione, partito dalla concretezza del termine fratello.

Il concetto astratto di fraternità è posteriore al nome concreto di fratello.

Entrambe le voci contengono un'intenzione: quella di alludere ad una realtà.

"Fratello" è significante di un'entità personale, di colui che possiede determinate caratteristiche individuate dall'esperienza e dall'elaborazione culturale nella "fraternità".

Fratello è una persona, fraternità è una prerogativa.

I - Indicazioni della Bibbia

Nella bibbia la parola "fraternità" è rarissima e in contesti tardivi; invece predominante è l'uso del concreto "fratello" o "sorella".

1. Chi è fratello

I Vocaboli veterotestamentari 'ha e rea indicano sia il fratello carnale, sia il parente ( es. Gen 13,8 ), l'amico ( es. Gen 29,4 affettuoso complimento; 2 Sam 1,25-26; Pr 17,17 ), il collega (es. Esd 6,20; 2 Cr 31,15 ), il connazionale ( es. Lv 19,17-18; Dt 15,2.12 ), l'alleato ( es. 1 Re 9,13 ).

L'ebreo dell'AT affida volentieri il proprio sentimento di fraternità a numerose persone, anzi a qualunque persona che sia come lui.

Infatti, i contenuti del termine fratello sono limitati a coloro che appartengono al popolo, fatta eccezione per gli alleati (cf il tardivo 1 Mac 12,10.17 ove appare il vocabolo « fraternità »; cf però 1 Mac 12,6-7.21 ) per l'ovvio motivo del soccorso che possono dare.

La fraternità nell'AT tocca una sola categoria di persone mentre esclude tutte le altre.

All'interno del popolo di Israele significa superamento delle barriere individuali, ma alza contemporaneamente steccati verso gli altri, gli estranei, nei riguardi dei quali la legge detta precisi ordini di comportamento, di sentimento, di discriminazione.

Gli ebrei dell'AT si sentono fratelli perché figli dello stesso padre, Abramo.

La polemica di Gesù con i connazionali, riferita in Gv 8,33-42 ( cf 53.56 ), illumina quella mentalità anche se la supera.

Questa pagina giovannea costituisce il punto di passaggio tra la concezione di fraternità nell'AT e quella del NT.

Fratelli significa solidali, raccolti in un unico popolo nutrito dai medesimi ideali ( la fede di Abramo ), cementato dall'unica alleanza ( il patto tra Jahve e il suo popolo itinerante verso la terra promessa ), illuminato dalla medesima speranza ( la salvezza ).

La fraternità del messaggio neotestamentario si concretizza sì nella ripresa di concezioni veterotestamentarie; ma si caratterizza soprattutto per il superamento e l'allargamento di esse nel calore dell'agape.

Nelle pagine del NT sono molto numerosi i vocaboli e i concetti legati alla fraternità.

In questa abbondanza si può cogliere una breve sintesi concettuale.

Fratelli sono i discepoli del Signore ( Mt 23,8; At 1,15; 1 Cor 15,6; Fil 4,1; Eb 2,12; ecc ).

Fratello è colui che è unito a Cristo tramite l'ascolto della sua parola ( Mt 12,46-50; Lc 8,19-21 ).

Fratello, l'altro come termine di amore ( Mt 5,22-24; 1 Gv 2,9-10; 1 Gv 3,10-17; 1 Gv 4,20 ).

Fratello, l'offensore perdonato ( Mt 18,15-22 ).

Fratello, il prossimo non giudicato ma aiutato ( Mt 7,1-5; Rm 14,10-13 ).

Fratello, chi ha il medesimo padre di Cristo primogenito ( Rm 8,29 ).

2. Perché è fratello

Primo caposaldo della fraternità è la rivelazione di Gesù che Dio è padre.

Questa definizione costituisce il fattore determinante la fraternità secondo il messaggio cristiano.

La psicologia attuale è sospettosa nei confronti di presupposti come questo; ma ciò non consente di evitare il confronto con la parola dell'evangelo ne di minimizzarla.

Coloro che hanno Dio come padre sono fratelli tra loro.

L'affermazione si convalida analizzando i numerosi passi neotestamentari che contengono la rivelazione che Dio è padre e che gli uomini sono suoi figli.

Gesù ha dosato questo annuncio in un lento scandire di dichiarazioni centrate sul ritornello « il Padre vostro che è nei cieli ».

I discepoli non si sentono traumatizzati da questa enunciazione, già presente nella coscienza di Israele, seppure in maniera esclusiva e fondamentalmente discriminatoria, come appare dalla citata polemica tra il Signore con i giudei riferita in Gv 8,12-58.

I discepoli acquisiscono come propria la preghiera che il maestro insegna loro, rivolta al « Padre nostro che sei nei cieli… » ( Mt 6,9-13; Lc 11,2-4 ).

La catechesi postpentecostale va ulteriormente precisando ed allargando i confini di questa realtà ( Rm 8,14-16; Gal 4,4-7; 1 Gv 3,1-2 ) [ v. Figli di Dio ].

Le conclusioni sul piano della fraternità non sono insistite nei testi, ma coinvolgono i discepoli sul terreno dell'esistenza vigile e operosa.

La fraternità si fonda ugualmente sulla presenza di Cristo.

Cristo è colui che riporta al Padre ( Ef 1,3-14; Ef 2,11-22 ).

Egli è l'alfa e l'omega ( Ap 22,13 ): alfa e omega sono la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco, e l'immagine sta a indicare che Cristo è il nuovo alfabeto, la mediazione per mettere in comunione operativa le persone, per consentire un dialogo tra entità che escono dal loro isolamento.

Cristo, con questa immagine, viene riconosciuto anche come colui che permette di capire Dio e di poter parlare a lui.

Cristo è la parola ( Gv 1,1-18 ).

Attraverso lui si può conoscere Dio ( Gv 1,18 ); attraverso lui gli uomini si conoscono e si comprendono ( Gv 1,14 ); attraverso lui si conosce la creazione ( Gv 1,3.10 ).

Cristo quindi è il ponte di collegamento tra le persone isolate e queste altre entità; egli è il mediatore di una comunione; egli è come il modulo di interpretazione di tutta quanta la realtà, come canta l'inno tramandato in Col 1,12-20.

Cristo è fratello.

Gesù, scrive Paolo, è il primogenito tra molti fratelli ( Rm 8,29; Eb 2,11 ).

Egli è il primo, colui che cammina avanti aprendo la strada, soprattutto la strada della vita con la sua risurrezione.

Anche nell'ambito della fraternità il suo ruolo è quello di maestro ( At 1,1 ): molti sono i suoi detti sull'amore, sull'amicizia, sullo stile dei rapporti con gli altri imperniati sulla legge dell'amore ( Mt 5,21-24.38-48; Lc 10,25-37 ).

Egli ha un ruolo di modello: come lui ha speso la sua vita per gli altri, così i suoi discepoli devono dare la vita gli uni per gli altri ( Gv 15,12-13; Mt 20,28b ); come egli, il maestro, li ha serviti, così loro devono servirsi reciprocamente perché sono tra loro fratelli ( Mt 20,26-28 ).

Gesù è una presenza dinamica, la forza che rende possibile la realizzazione di quanto annuncia e che i discepoli ascoltano; che rende possibile, quindi, anche la realizzazione della fraternità.

I salvati costituiscono una comunità mediante il loro inserimento battesimale-pasquale in Cristo ( Gal 3,26-27 ).

La fraternità si fonda ugualmente sull'azione dello Spirito santo.

L'azione di Cristo e dello Spirito santo nella realizzazione della salvezza sono complementari.

Come Cristo, il vivente, rimane con i discepoli fino alla consumazione del tempo ( Mt 28,20 ), lo Spirito, il consolatore, resta con loro sempre ( Gv 14,16 ).

Lo Spirito santo dà la possibilità di capire la parola di Dio, soprattutto l'evangelo di Gesù ( Gv 14,26; Gv 16,13 ).

Egli è l'elemento unificatore della comprensione del messaggio, quasi l'interprete che mette in comunione gli uditori e i ricercatori della verità.

La presenza dell'unico Spirito che abita nella molteplicità delle persone diventa garanzia di superamento della babele.

Questa azione è testimoniata dagli avvenimenti accaduti a Gerusalemme il giorno della pentecoste, quando ciascuno udiva nella propria lingua l'annuncio di Pietro: il "miracolo delle lingue" non consiste tanto nella audizione fisica delle parole di Pietro, intese dai pellegrini oriundi ebrei e quindi conoscitori della lingua madre, quanto piuttosto nella comprensione profonda dei contenuti di esse; infatti, dal generico appellativo di "uomini" con il quale Pietro li interpella, si passa allo specifico "fratelli", denominazione che identifica da allora in poi i discepoli di Gesù, tra i quali entrano molti di quegli ascoltatori ( At 2,1-41 ).

La comprensione dell'identica verità cristologica donata dallo Spirito santo sbocca inevitabilmente nella fraternità.

Lo Spirito sta alla base della fraternità perché egli rende figli di Dio ( Rm 8,15-16 ); perché collabora alla salvezza ( Tt 3,4-7 ); perché unisce al corpo della chiesa ( 1 Cor 12,12-13 ).

La chiesa è una comunità di fratelli.

Lo Spirito forma il nuovo popolo, fa ritrovare i discepoli del Signore che si scoprono fratelli.

La comunità ecclesiale gerosolimitana, matrice di ogni altra, è partorita e si irrobustisce nel giorno della pentecoste.

Dopo di allora, i primi discepoli sono cambiati, l'organizzazione del gruppo da embrionale e labile diventa stabile su basi tradizionali ( come la preghiera al tempio ) e su basi nuove ( come la catechesi degli apostoli, la frazione del pane ).

Ma la comunità è rinnovata anzitutto dallo Spirito ed essa cammina in novità di vita nello stile della fraternità ( At 2,42-47 ).

II - Indicazioni della tradizione

Le fonti principali della tradizione sono la liturgia, lex orandi che diventa lex credendi; il magistero, principalmente i concili ecumenici; gli scrittori cristiani, segnatamente quelli dei primi secoli, cioè i padri.

Anche l'argomento della fraternità trova in questo patrimonio una ingente documentazione.

Doviziosa è soprattutto la letteratura recente ed attuale, manifestazione indubbia d'una convinzione ma anche di una nostalgia e di una trepidazione.

Risalendo verso i primi secoli del cristianesimo sembra di riscontrare un interesse per la fraternità più silenzioso, quasi implicito, meno sorretto da parole e concetti, come se tale valore permeasse l'esistenza dall'interno, dalla parte dello spirito piuttosto che tramite la mediazione delle parole scritte e proclamate.

Il cristianesimo dispiega una storia di fraternità ( sistematizzazione concettuale ) e di fratellanza ( realizzazioni quotidiane ), che le prevaricazioni esistenziali e le eresie concettuali non possono annullare.

1. Letteratura

Ereditando la terminologia dalle costumanze apostoliche, i santi - i cristiani - continuano a nominarsi con l'appellativo di "fratelli".

Il filosofo s. Giustino ( martire a Roma nel 165 ), descrivendo nella prima apologia in difesa dei cristiani il rito dell'iniziazione, riferisce che i battezzati si chiamano "fratelli".

Nella lettera ai cristiani di Corinto s. Clemente romano ( + 101 ) aveva usato una quindicina di volte e in contesti appassionati e spiritualmente impegnativi il medesimo appellativo di "fratelli": a Corinto era esplosa una contestazione nei confronti della gerarchia locale, e il vescovo di Roma interviene per invitare alla riconciliazione con un linguaggio che lascia intravedere la sua convinzione sulla permanenza della fraternità nonostante la congiuntura critica.

Il vocabolo fratelli e sorelle qualifica i componenti delle comunità ecclesiali anche nel linguaggio di s. Ignazio di Antiochia ( martire a Roma nel 107 ) esplicitamente nelle lettere ai cristiani di Smirne e di Filadelfia e a Policarpo.

Le ragioni di questa corrente di fraternità tra i cristiani è teologale.

Scrive s. Massimo confessore ( 580-662 ) nel trattato Mistagogia: « La beata invocazione del grande Iddio e Padre, il pronunciare le parole "uno solo è santo" con ciò che segue, la partecipazione ai santi e vivificanti misteri stanno a significare come per la bontà del Dio nostro noi diventiamo suoi figli, unificati tra noi e consanguinei ».

Il cristocentrismo della fraternità suscita interessi molteplici.

Il Cristo chiama i suoi discepoli "fratelli" perché figli del Padre, scrive Origene ( 187-253 ) nel De oratione.

E il monaco ortodosso Simeone ( 949-1022 ) in una invocazione a Cristo Gesù dichiara: « Quando ci riuniamo diventiamo una sola famiglia, tutti fratelli tuoi ».

Analoga verità esprime il prete Gottshalk di Limbur ( + 1098 ): «Tu figlio unigenito generato nel cuore del Padre ci hai resi fratelli nell'amore ».

Il Vat II interpreta il progetto dell'incarnazione come via per realizzare tra gli uomini una unione fraterna ( AG 3 ) e ribadisce: « Comunicando il suo Spirito [ Cristo ] costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli chiamati da tutte le genti » ( LG 7 ).

La solidarietà di Cristo con i suoi fratelli, soprattutto i più piccoli, viene riaffermata dal sinodo dei vescovi del 1971 nel documento sulla giustizia nel mondo.

Questa convocazione porta a costituire la chiesa, cioè la fraternità visibile.

La chiesa locale come fraternità è già affermata nella citata lettera di s. Clemente romano.

E il Vat II rincalza riconoscendo la chiesa nella sua globalità quale segno di fraternità ( GS 9 ), come comunione fraterna ( GS 32 ).

Il termine "fraternità" indica, inoltre, uno stile di vita, come scrive Erma ( seconda metà sec. II ) nell'opera profetica Pastore invitando a « conservare la fraternità ».

Fraternità è lo stile di vita della comunità cristiana che per questo si diversifica dagli eretici, attesta s. Ireneo ( c. 130 - c. 202 ) nell'Adversus haereses.

La circolazione della fraternità non è imprigionata negli argini della chiesa: fin dalle origini della letteratura cristiana si rintracciano intuizioni dell'esistenza di una fraternità universale.

S. Ignazio di Antiochia raccomandava agli Efesini di diventare fratelli, per mezzo dell'amabile benignità, anche di coloro che non seguono Cristo.

Il Vat II, riferendosi ai seguaci di altre religioni, ammonisce i cristiani: « Non possiamo invocare Dio padre di tutti se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati a immagine di Dio » ( NA 5 ).

Il magistero ha spinto la chiesa intera a collaborare per la realizzazione della fraternità universale ( GS 3; Populorum progressio 44; Sinodo 1971; nuovi catechismi…).

Il vocabolo fratello contiene sfumature che precisano i livelli concreti sui quali si stabilisce il contenuto di esso.

Fratello è collega nella gerarchia e nel ministero: così s. Ignazio vescovo di Antiochia sente i diaconi delle chiese di Magnesia, Smirne e Filadelfia e così li rammenta nelle lettere a quelle comunità; così il vescovo s. Ilario ( c. 315-367 ) sente gli altri vescovi delle Gallie, ai quali riserva, concludendo il De synodis, i superlativi « amatissimi » e «dilettissimi»; s. Agostino ( 354-430 ) dedica il De cura gerendo, prò mortuis al vescovo di Noia s. Paolino, « fratello di apostolato »; il papa s. Gregorio Magno ( c. 540-604 ) dedica il ponderoso trattato Moralia « al reverendissimo e santissimo fratello Leandro vescovo » di Siviglia, e chiama « fratello carissimo » anche l'ambizioso vescovo Giovanni di Costantinopoli e « fratello » lo sprezzante vescovo di Salona con il quale resta in contatto epistolare critico e robusto.

I papi usano tutt'ora questo linguaggio tradizionale quando si rivolgono ai vescovi.

I loro documenti di solito risentono di una certa parsimonia in termini e in tematiche di fraternità.

Nella liturgia per la consacrazione di un vescovo il presidente - sempre vescovo - interroga il candidato chiamandolo fratello.

Anche i sacerdoti sono chiamati « fratelli carissimi » dal vescovo nella messa crismale del giovedì santo, mentre i laici sono detti « figli carissimi ».

In questa cornice si colloca la fraternità anche tra i presbiteri: essi sono « tra loro uniti da intima fraternità sacramentale » ( PO 8; LG 28 ), cioè da una comunione efficace, teologale, conseguente al comune carisma del sacerdozio ministeriale.

Questa situazione non esaurisce il dinamismo della fraternità bloccandolo all'interno delle categorie.

Vescovi e preti devono proporsi come fratelli anche per gli altri discepoli del Signore.

Il vescovo s. Ignazio scrive ai cristiani di Roma, di Efeso e di Filadelfia appellandoli - pur senza abuso di frequenza, indice di spontanea sincerità - « fratelli».

Il vescovo s. Cipriano ( c. 200-258 ) nelle pagine del De imitate ecclesiae esorta significativamente i vescovi: « Nessuno di voi si deve permettere di ingannare i fratelli con menzogne ».

In una lettera egli ricorda che durante la persecuzione ha continuato a dirigere i suoi « fratelli », cioè i cristiani di Cartagine da dove si era allontanato.

Oggi Paolo VI rammenta ai vescovi che « nel momento in cui si presentano come pastori, padri e maestri devono farsi fratelli degli uomini » ( Ecclesiam suam 89 ).

Il Vat II ugualmente afferma l'esistenza di una fraternità tra pastori e laici ( LG 32; LG 37 ).

Ai pastori, inoltre, raccomanda di intrattenere rapporti di amicizia e di fraternità anche con altri uomini
( PO 17 ), cioè di superare ogni discriminazione; ai vescovi affida l'arduo compito di insegnare la « fraterna convivenza tra i popoli » ( CD 12 ).

Il sinodo dei vescovi del 1971 rivendica alla chiesa la missione, ricevuta da Cristo, di predicare la fraternità universale ( doc. sulla giustizia ).

Un criterio - forse curioso ma utile per la vita dello spirito - che personalizza il fratello è l'età.

L'apologeta greco Atenagora ( sec. II ) nella Supplica per i cristiani riferisce: « Secondo l'età alcuni li consideriamo come figli e figlie, altri come fratelli e sorelle e a quelli più anziani tributiamo l'onore di padri e madri ».

Questa sensibilità nell'attribuzione di appellativi non resta nominalismo, cioè vuota parola sprovvista di spessore reale.

Nominarsi "fratello" si ripaga con una testimonianza esistenziale visibile; dire "fraternità" impegna a spendersi per obiettivi e contenuti tangibili.

S. Agostino, commentando 1 Gv 2,10, diceva: « Chi ama il fratello sopporta ogni cosa per salvaguardare l'unità; nell'unità della carità c'è l'amore fraterno ».

Una di queste visibilizzazioni dell'amore fraterno ( ricorda il sinodo dei vescovi del 1971, nel documento sulla giustizia ), è la comunione dei beni.

Un altro sbocco concreto tra i più visibili e insistiti è la ( v. ) carità, cioè l'espressione dell'amore fraterno tradotto in gesti efficaci e di salvezza.

Una carità rivolta soprattutto al povero, al bisognoso, al sofferente, al malato…

La documentazione letteraria di questa sensibilità è sovrabbondante, e ancor più è generosa la dedizione concreta.

Dionigi, vescovo di Corinto, scrive ai cristiani di Roma intorno al 170: « Voi avete la bella usanza di far del bene in vario modo a tutti i fratelli, mandando soccorsi a numerose chiese in ogni città: così alleviate la povertà degli indigenti e sostenete i fratelli che sono nelle miniere con gli aiuti che mandate loro… »

E s. Cipriano nel De eleemosynis da della carità una motivazione spirituale: « Non ai nostri fratelli di miseria ma a Dio diamo precedenza ».

Il prossimo, dunque, è il fratello da aiutare.

Proclama il monaco e vescovo s. Basilio ( 329-379 ) nell'omelia sul Retto uso delle ricchezze: « Partecipa del tuo frumento ai fratelli, dallo oggi all'indigente prima che domani marcisca ».

E s. Giovanni Crisostomo ( c. 350-407 ), commentando la prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi, sentenzia drasticamente: « Chi ha la possibilità di fare elemosine e non le fa, è un assassino dei suoi fratelli, come Caino ».

Non esistono attenuanti per l'impegno di carità.

Scrive s. Agostino commentando la prima lettera di s. Giovanni ( 1 Gv 3,16-17 ): « Se non sei ancora capace di dare la vita per il fratello, incomincia ad essere capace di aiutarlo con i tuoi beni ».

Sullo stesso tono aveva modulato un suo intervento Clemente Alessandrino ( c. 150-215 ) in una pagina del C'è salvezza per il ricco?: « Ma se noi dobbiamo la vita ai nostri fratelli e se abbiamo stretto un patto simile con il Salvatore, rifiuteremo ancora di dare, vorremo ancora serbare per noi le ricchezze terrestri? ».

Il cristiano è fratello perché si rende attivo.

Il Crisostomo scrive nel trattato sulla Incomprensibilità di Dio: « Un innamorato di Cristo ha questa caratteristica: si da premura per la salvezza dei fratelli ».

La fraternità non scompare di fronte a chi è bisognoso di salvezza.

Soprattutto il peccatore, nella convinzione della spiritualità cristiana, ha bisogno di salvezza.

Il peccatore resta un fratello.

Tertulliano ( c. 155 - dopo 220 ) nel De paenitentia segnala l'usanza che il peccatore pentito supplica i fratelli di intercedere per ottenergli il perdono: la convinzione della sussistenza della fraternità è reciproca.

S. Cipriano, nel De lapsis, invita i peccatori, che continua a chiamare « fratelli », a confessare le loro colpe.

S. Cesarlo di Arles ( 470-542/43 ) nel sermone n. 65 esorta i peccatori, chiamandoli « fratelli carissimi », a non disperare della misericordia di Dio.

La fraternità come è sentita nella tradizione si spinge ancora oltre, nella metastoria, fino all'escatologia.

Il Vat II parla di fraternità escatologica ( GS 39 ).

Non si tratta di una novità.

S. Paolino di Nola ( 355-431 ) nell'inno natalizio n. 13 rievoca gli apostoli Pietro e Paolo e tutti i gloriosi martiri come « nostri fratelli maggiori ».

La liturgia attuale percepisce tutti i santi già pervenuti nel regno eterno e i defunti come « nostri fratelli » e cosi li ricorda nelle celebrazioni dell'1 e 2 novembre.

La prima preghiera della messa comune dei santi evidenzia la loro presenza confortatrice di fratelli.

La realtà esistenziale presenta anche la fraternità prevaricante.

Nella chiesa questa sventura è stata subita e contrastata.

S. Clemente romano metteva in guardia i Corinzi sul rischio della fraternità camitica; come fece s. Agostino commentando 1 Gv 3,10-12.

2. Liturgia

La liturgia è un'azione della fraternità ecclesiale.

I testi liturgici, attuali e del passato, offrono spunti per completare l'antologia sulla fraternità raccolta dalla tradizione.

Una preghiera del sec. II o III impegna l'orante: « Farò risplendere questa luce [della verità] in carità sui miei fratelli che sono tuoi figli ».

Soprattutto la preghiera di intercessione, quando usa il vocabolo "fratelli", richiama l'attenzione alla speciale sensibilità che in quel momento spingeva a ricordare qualcuno sentito come fratello a motivo della situazione in atto.

Nella cosiddetta « messa clementina » ( sec. IV ) si intercede per molti, ma fratelli sono definiti solo i battezzati di recente e chi è afflitto da malattie.

Una anafora siriaca del sec. IV sente come fratelli coloro che si trovano in difficoltà.

La liturgia di s. Sisto ( sec. IV ) invita a ricordare « tutti i nostri fratelli».

Nella liturgia di s. Marco ( sec. IV ) si domanda a Dio: « Dirigi i nostri fratelli che sono in viaggio ».

In una liturgia etiopica del sec. V fratelli da raccomandare al Signore sono coloro « che stanno per essere giudicati dai tribunali ».

Una preghiera litanica latina del sec. IX esprime il senso di fraternità pregando « perché [Dio] ridoni la
salute della mente e del corpo ai nostri fratelli e a tutti i fedeli ammalati ».

I malati trovano frequente ricordo come fratelli, nella liturgia attuale ( messe per gli infermi in genere, per il viatico, per l'unzione, per i moribondi ): un modo di partecipare da vicino alla loro passione.

Nella messa per chiedere la carità si domanda di «amare Dio nei fratelli»; in quella per chi affligge, si invoca il « vincolo di fraternità » ; e per il battesimo si prega di saper « portare abbondanti frutti di fraterno amore » e di « crescere in santa fraternità ».

Nella solenne preghiera universale del venerdì santo l'unico gruppo di persone qualificate come "fratelli" sono tutti quelli che credono in Cristo: un omaggio all'ecumenismo.

Le varie liturgie dei defunti sono ricamate di frequenti richiami a loro col nome di "fratelli" o "sorelle".

E fratelli sono tutti gli oranti, come manifestano i numerosissimi inviti alla preghiera e le ammonizioni che iniziano appunto con l'appellativo "fratelli" nelle rinnovate liturgie eucaristiche, delle ore, dei sacramenti, ecc.

3. Monachesimo

Qui monachesimo equivale a "vita religiosa" o ( v. ) "vita consacrata".

Questa forma di esistenza cristiana si può suddividere in almeno cinque tipologie cronologico-contenutistiche: ascetismo domestico, monachesimo storico, movimento mendicante, gruppi diaconali, istituti secolari.

Il concetto di fraternità in tale pluralismo di forme ha sfumature differenti all'interno di ogni tipologia.

Però, nella globalità della vita religiosa si possono individuare alcuni denominatori comuni.

La terminologia costituisce un luogo d'incontro sul terreno della fraternità.

La documentazione più chiara sono le regole.

La prima regola del monachesimo cristiano, redatta da s. Pacomio ( c. 290-346 ), si riferisce a coloro che vivono nel cenobio solitamente con pronomi e in forme impersonali, ma non è raro l'appellativo di "fratelli".

Una parola che nel testo pacomiano però ricorre non molto impegnativa, se si bada ai contesti.

Sono interessanti le espressioni « riunione dei fratelli », « numero dei fratelli », « tutti i fratelli », che attirano l'attenzione verso una prospettiva comunitaria.

Anche nella regola di s. Basilio ( 330-379 ) i monaci sono denominati « fratelli ».

La struttura pedagogica del vasto documento basiliano, compilato in forma di interrogazione da parte dei discepoli e di risposta da parte dell'autore - che, come vescovo, si definisce, nel prologo, uno « cui è stato esplicitamente affidato il ministero della parola » - conferisce ad esso una particolare importanza: prima che uno strumento normativo, la regola basiliana è una mediazione culturale.

I monaci sono i « fratelli » ; sono uomini « che hanno lo stesso proposito e gli stessi ideali » e la fraternità è una comunanza di vita qualificata dalla comunione dei beni, dal servizio vicendevole, da rapporti fraterni, dall'amore durevole: nessuno è escluso da questo calore di sentimenti, nemmeno il monaco colpevole che resta nominato sempre «fratello».

Analogamente, le donne raccolte nel monastero sono chiamate « sorelle » : questa terminologia viene diffusa da s. Cesarie di Arles ( 470-542 ) tramite la regola per il monastero femminile da lui fondato.

L'africano s. Agostino inquadra l'esistenza del monastero richiamandosi esplicitamente allo stile di vita della fraternità apostolica primitiva di Gerusalemme ( At 4,35 ) e quindi i pur rari ricorsi al vocabolo "fratelli" ne sono la obbligata conseguenza sia terminologica che contenutistica.

Sono emblematici i contesti pur semplici, come semplice era lo scorrere dell'esistenza del monastero agostiniano: essere fratelli porta a superare nel convento la discriminazione mondana tra poveri e ricchi; induce alla custodia reciproca e alla correzione fraterna; esige la comunione dei beni…

La maggioranza dei vocaboli "fratello" o "fratelli" nella regola di s. Benedetto ( c. 480-547 ) designa i monaci, come sono chiamati al vocativo dallo stesso autore.

L'appellativo viene attribuito, quasi dono iniziale, fino dal principio della vita monastica, perché il novizio è anch'egli "fratello".

Tra i contesti significativi emergono quelli nei quali la fraternità appare nelle decisioni comunitarie; quando l'attributo di "fratello" permane anche se il monaco si rende infedele e colpevole; dove l'amore e l'obbedienza reciproca vengono richiesti in nome della fraternità.

Una deduzione che la fraternità esiste, almeno a livello orizzontale ( che del resto nel cenobio è lo spazio più largo ), è il vocabolo "abate", usuale nel monachesimo per individuare il superiore più alto.

La diffusione di questo termine, di origine orientale, è dovuta soprattutto ai monaci benedettini.

Nella loro regola si precisa che l'abate « deve sempre ricordare come viene chiamato, ed al nome di superiore rendere conformi le sue azioni; si sa infatti per fede che egli nel monastero fa le veci di Cristo, poiché viene chiamato col suo stesso nome, secondo ciò che dice l'apostolo: "avete ricevuto lo Spirito di adozione di figli, per il quale gridiamo: abba, padre" ( Rm 8,15 ) ».

L'autorità abbaziale ha un risvolto giuridico e disciplinare; ma la figura dell'abate, del padre del monastero, è altrettanto forte nel ruolo di guida spirituale, di maestro, di leader.

Dunque, poiché il superiore assume una figura paterna, i monaci sono fratelli perché nel cenobio fanno riferimento ad un padre comune.

La posizione dei mendicanti relativa sia all'autorità sia alla fraternità è differente.

Le due regole autonome principali di questa tipologia monastica non abbondano in termini significativi per una organica trattazione dell'argomento "fraternità".

S. Alberto di Gerusalemme ( + 1214 ) nella regola, richiestagli da un gruppo di eremiti radunati sul Monte Carmelo in Palestina, denomina il superiore come "priore", cioè il primo tra i fratelli; gli altri monaci sono chiamati "fratelli".

Priore e fratelli insieme prendono decisioni; essendo tutti fratelli, nessuno deve possedere alcunché di proprio.

Nella breve regola di s. Francesco d'Assisi ( 1181/82-1226 ) il termine frater ( di solito al plurale ) ricorre ben 52 volte: esso significa tecnicamente "frati" ( cioè chi fa parte dell'ordine fondato dall'assisiate ), ed evangelicamente "fratelli".

L'uso generalizzato del termine tecnico di frati sta ad indicare che l'idea di fraternità era già corrente al tempo e quindi l'adozione francescana e poi mendicante del vocabolo costituisce anche l'accoglimento di quel valore e il potenziamento di esso.

Il passaggio che dà l'intonazione più appassionata al vocabolo è nella pagina sulla povertà, pregevole anche dal punto di vista letterario, quando s. Francesco proclama i suoi compagni « fratelli carissimi » e « fratelli dilettissimi », e sono le uniche due espressioni vocative immesse nella regola da colui che chiamava fratello e sorella ogni cosa nel Cantico delle creature.

Altre tracce dell'idea di fraternità espressa nel linguaggio monastico sono i termini che definiscono i luoghi abitati dai religiosi: cenobio è lo spazio dove si conduce la vita insieme; abbazia è la casa dell'abate, cioè del padre con il quale sono riuniti i monaci fratelli; convento è il posto del convenire insieme…

Oltre che in questi testi originari, l'attenzione alla fraternità trova amplificazione nella letteratura spirituale successiva.

Commenti alla regola, testi costituzionali, conferenze ascetiche, agiografie, rielaborazioni storiche, saggi critici, miscellanea varia percorrono il medesimo itinerario segnato da incontri con la fraternità.

Soprattutto la documentazione contemporanea trabocca di parole, di concetti, di suggerimenti e proposte, di rilievi critici nell'orizzonte della fraternità.

Importanti sono alcuni interventi del magistero ( LG 43; PC 6; PC 15; Evangelica testificano 8, 21, 24, 25, 32, 37, 39, 40, 46 ), i cenni nelle liturgie monastiche e le costituzioni rinnovate.

III - Ricerca della fraternità

La parola come veicolo del pensiero attesta l'esistenza di un interesse inferiore verso la fraternità.

La panoramica del paragrafo precedente documenta alcune fasi della ricerca nell'orbita della spiritualità cristiana.

La cultura cristiana non è solitaria ne unica nella ricerca.

Ogni cultura e ogni religione percorrono la medesima via, pur giungendo talvolta a traguardi differenti.

La ricerca attuale di fraternità è sincera, anche se confusa, dispersiva, incompleta, non di rado imprigionata nelle maglie delle ideologie.

Le esigenze attuali di fraternità possono- trovare risposte liberanti.

1. Alcune esigenze

La fenomenologia dei rapporti umani è preoccupante.

La catalogazione statistica, anche la più approssimativa, descrive oggi una geografia del disumano.

Sembra l'avverarsi aggiornato delle parole di Gesù nel discorso escatologico ( Mt 24,4-29; Mc 13,5-25; Lc 21,8-28 ).

Per il dilagare dell'iniquità l'amore di molti si è raffreddato ( Mt 24,12 ).

Tuttavia, l'attualità non è peggiore del passato.

Ma la salvezza non sta nei confronti consolatori: chi persevererà fino alla fine sarà salvo ( Mc 13,13 ).

Alzare il capo e accorgersi che la liberazione è vicina ( Lc 21,28b ); credere nel Cristo sempre vivente ( Eb 13,8 ).

Questi ammonimenti evangelici devono accompagnare anche la ricerca della fraternità.

La fraternità non è assente e l'impegno si orienta nello sgomberare gli spazi dove essa possa dilatarsi e dimorare stabilmente.

Tali spazi esistono.

La civiltà attuale rischia di relegare l'uomo negli arcipelaghi della solitudine.

La solitudine è sempre paurosa.

Questa paura spinge all'incontro interpersonale, che sfocia talvolta nel neoimperialismo e talvolta nella liberazione reciproca.

L'incontro conduce alla comunità.

La comunità originariamente è un valore.

Comunità è convivenza di più persone, stare insieme temporaneo o definitivo per motivi, ideali e attività stimolati da identici interessi.

Comunità - ma soprattutto fraternità - è mettere in risalto non la differenza personale ma le coincidenze; è valorizzare ciò che unisce e minimizzare ciò che separa.

Gli apporti della civiltà moderna e gli orientamenti della vita contemporanea stanno sollecitando una nuova presa di coscienza nei riguardi dei contenuti comunitari [ v. Comunità di vita ].

Oggi i confini geografici e psicologici si allargano fino a portare alle soglie della coscienza di ognuno il mondo intero.

Una parte degli Stati si regge su un regime democratico: la democrazia ha come traguardo la responsabilizzazione globale per costruire e gestire insieme la società.

A livello internazionale agiscono organizzazioni unitarie; nonostante la crisi istituzionale, l'idea resta valida, quella di operare per unire le nazioni, per collegare gli Stati, per mettere insieme gli uni con gli altri ( come rilevava Paolo VI nel discorso all'assemblea dell'ONU il 4 ottobre 1965 ).

L'unione internazionale tende anche alla comunità economica: l'economia sembra essere il nucleo dinamico dell'agire umano.

Le alleanze indicano un'intenzione di collaborazione e di intesa, anche se i patti si intrecciano per ragioni difensive oppure offensive.

In vari settori si è raggiunta la partecipazione, cioè la gestione comune della realtà in cui si vive.

Il sindacalismo agisce su piani di federazione e di confederazione.

Le categorie professionali riuniscono gli operatori in ordini omogenei sostenuti da statuti e da norme deontologiche.

Lo spontaneismo, specialmente giovanile, pur guidato da ideologie, produce collettivi, comuni, associazioni, circoli, clubs…

La liberazione della persona umana è un'altra componente necessaria per la fraternità.

Da quasi due secoli la libertà viene inseguita con crescente accelerazione, fino a rivendicare la libertà
totale.

I movimenti di resistenza cercano l'autonomia politica.

Ideologie sociali ipotizzano il riscatto delle classi subalterne.

Correnti mistiche propongono il distacco dai miti del benessere e del consumismo.

La contestazione radicale rivendica l'emancipazione da ogni vera o presunta sottomissione, pretendendo anche l'autonomia verbale: la lotta per la liberazione della donna ha coniato il neologismo « sorellanza » in sostituzione della terminologia debitrice al genere maschile [ v. Corpo I,2; Femminismo ].

Terminologia e fenomeni simili possono prestarsi ad ambiguità, ma contengono un'idea centrale valida, la ricerca dell'incontro e della liberazione, indispensabili per scavalcare i limiti sociali e tendere alla fraternità.

Nella chiesa la ricerca della fraternità non è un fenomeno inconsueto.

Tra i mezzi attuali aggiunti a quelli tradizionali, efficaci per significare l'esistenza della fraternità e per concretizzare occasioni di espansione di essa, sono la collegialità, la promozione dei laici, la teologia della liberazione.

2. Alcune risposte

Nella vicenda terrestre la fraternità assoluta resta incompiuta, perché la contaminazione possibile esce dal cuore degli uomini ( Mt 15,19-20; Mc 7,21-23 ), i quali aspettano la redenzione e nella speranza sono stati salvati ( Rm 8,19-25 ).

La fraternità stabile resta irrealizzata, perché tutti sono stranieri e pellegrini sopra la terra ( Eb 11,13 ), dove il peccato colpisce anche il giusto sette volte al giorno ( Pr 24,16 ).

Tuttavia, la fraternità è indispensabile alla costruzione del regno di Dio.

Incompiutezza e irrealizzazioni non esentano dalla tensione operosa, la quale scopre nell'uomo, come in un tesoro, cose nuove e cose antiche ( Mt 13,52 ).

a. La persona

La fraternità è un dato fondamentale nella componente ontologica dell'essere umano: l'uomo è fratello.

Una risposta alle esigenze di fraternità è la stessa persona umana.

La fraternità è scoperta della persona nella prospettiva della filadelfia.

La fraternità suggerisce immediatamente il pensiero di una presenza che garantisce il transito dalla segregazione e dall'isolamento; essa evoca un rapporto di solidarietà, cioè una compagnia intelligente, una presenza attiva, un essere in comunione.

Base della fraternità è la persona.

Come essere esistente, la persona alberga in sé un principio vitale comune individualizzato nella identità irripetibile dei singoli.

Il rispetto di questa individualità e la solidarietà con tale comunanza sono presupposti della fraternità.

La visione cristiana delle essenze aggiunge una interpretazione teologale: come essere vivente, la persona umana partecipa di qualche attribuzione della realtà di Dio.

L'uomo e la donna sono ad immagine e somiglianza di Dio ( Gen 1,26-27; Gen 5,1-2 ), perciò condividono come dono alcune qualità di Dio: amore, bontà, libertà, verità, unità, spiritualità…

La condivisione personale dei medesimi valori ontologici accomuna tutte le persone umane.

E questa origine definisce la realtà positiva della persona; una realtà positiva non capovolta nemmeno con il peccato primordiale.

La bibbia sostiene questa verità rivelando la separazione originaria tra la sorte del maligno che viene maledetto da Dio ( Gen 3,14-15 ) e quella della coppia umana che Dio non solo non maledice, ma alla quale nemmeno revoca la benedizione iniziale ( Gen 1,28 ): viene soltanto annunciato l'appesantimento di alcune situazioni che già viveva e alle quali era orientata, come i rapporti personali, il parto, il lavoro, la morte ( Gen 3,16-19 ).

La redenzione ridà all'uomo la possibilità e la capacità di riscoprire l'immagine e la somiglianza con Dio in sé e nel proprio simile; gli consente di compiere un passo decisivo verso Dio di cui diviene figlio; gli permette di chiamare "fratello" il Salvatore.

Questa interpretazione cristiana spiana la strada alla fraternità perché riscatta la persona: non paura, non sospetto, non fuga, non manicheismo, non segregazione, non asservimento nei confronti di essa; ma soprattutto impegno nel rispetto, nella valorizzazione, nella promozione.

È una interpretazione che riscatta anche la fraternità, perché la affranca dalle potenze malefiche della fraternità cainitica.

b. Dimensione verticale

Una risposta alle esigenze di fraternità viene donata dall'alto.

La ( v. ) parola di Dio sta alla base della fraternità perché è unica e unitaria e si situa come elemento dinamico di convergenza, di unione, di ricerca comune.

Essa è termine di confronto individuale e collettivo.

Come forza efficace, la parola di Dio è sacramento di unità.

Soprattutto, parola di Dio è Cristo stesso ( Gv 1,1-18 ), la pietra angolare di tutta la costruzione della comunità ecclesiale ( Ef 2,20 ): egli è il fratello universale.

Infine la parola di Dio si storicizza: tutta la chiesa è responsabile della parola.

Nella fraternità essa viene comunicata dai ( v. ) ''profeti", coloro che parlano a nome di Dio oggi; dentro la fraternità ciascuno può albergare una voce che potrebbe manifestarsi come parola di Dio.

La ( v. ) preghiera rappresenta uno degli appuntamenti comunitari più vivi; la riunione degli oranti garantisce la presenza del Signore ( Mt 18,20 ).

Pregare insieme significa ripetere gli atteggiamenti di fraternità che hanno caratterizzato i primi discepoli assidui e concordi nell'orazione comune ( At 1,14; At 2,42 ).

Essa costituisce un coro di lode e di intercessione, nel quale confluiscono diverse voci e personalità; orienta verso un centro di interesse comune, Dio; propone tramite i riti, le memorie, le formule, ecc. identici sentimenti dei quali tutti i fratelli si rivestono.

L' ( v. ) eucaristia è uno dei vertici della preghiera comunitaria.

Essa è comunione, perché comporta lo stare insieme con il Cristo sacramentale e con i fratelli: spinge a uscire dall'individualismo, a riconoscere e accettare la comunità fraterna, pena l'indegnità e il peccato ( 1 Cor 11,17-34 ).

L'eucaristia è celebrazione del sacrificio di Gesù: urge alla solidarietà con il Cristo presente nel fratello e nella sorella sofferenti ( Mt 25,31-46 ), a lottare per la liberazione dal dolore e per la salvezza delle persone.

L'eucaristia è memoriale, ripetizione efficace di ciò che Cristo ha compiuto: invita a ricreare le situazioni di amore e di comunione che hanno qualificato la cena pasquale; domanda la ripetizione di quanto egli ha compiuto e di come l'ha compiuto, soprattutto il suo servizio e la donazione della sua vita ai fratelli.

c. Dimensione orizzontale

La comunione fraterna si aggancia all'esperienza di koinonia della comunità apostolica primitiva ( At 2,42 ).

Nonostante questa soluzione venga relegata ad una esaltante ma irripetibile esperienza ecclesiale o ne venga affidata una certa continuazione alla vita monastica, essa contribuisce tutt'ora alla crescita della fraternità nella concretezza delle situazioni.

Comunione è stare insieme, cioè porre la propria persona e la propria esistenza accanto ad altre, donarle ai fratelli; è mettere insieme, cioè comunicare, dare ai fratelli ciò che si possiede, i beni materiali e l'affettività, la cultura e la collaborazione, le notizie delle proprie vicende e il frutto della propria esperienza; è vivere insieme, cioè condivisione, solidarietà.

Il messaggio evangelico pone il discepolo del Signore di fronte al fratello che ha errato in due atteggiamenti positivi: il perdono e la correzione fraterna.

La possibilità di trasmettere il perdono ad un fratello è un dono dato da Cristo al sacerdozio ministeriale ( Mt 16,19 ) e al sacerdozio universale ( Mt 18,18 ).

Perdonare è riammettere nella pace della fraternità e garantire l'intervento di Dio parallelo all'azione assolutoria del fratello che lo esercita.

Il perdono tra i fratelli di fede conduce alla eliminazione di un motivo di tensione e di allontanamento dalla comunità, un ritorno nell'alveo dell'amore reciproco, segno della permanenza del Signore tra i discepoli ( Gv 13,35 ).

La correzione fraterna è l'opportunità di autocritica e di conversione mediata dall'amore vicendevole.

Essa va considerata come un dono perché è un aspetto della reciproca custodia e sollecitudine.

La fraternità non può fare a meno della correzione fraterna; essa non si confonde con la critica, con la condanna, con l'imposizione di una pena; essa è comprensibile e possibile solo a livello di filadelfia, l'amore disarmato e costruttivo che cerca di prevenire il rischio di una colpa, che aiuta il fratello e la sorella in difficoltà, che sfugge alla tentazione di emarginare, che evita il giudizio morale, che collabora alla fedeltà, che perdona.

Perdono e correzione fraterna mettono alla prova il realismo della fraternità: essa è vera e solida se ha insegnato a perdonare e a correggere il fratello.

Perdono e correzione fraterna sono una verifica della capacità di obbedire all'evangelo ( Mt 6,12.14; Mt 18,15-18.23-35; Mc 11,25; Lc 17,3-4; Gal 6,1-2; Ef 4,32; Col 3,12-13; Gc 5,19-20 ).

La chiesa del Vat II riconosce l'assillo del mondo attuale alla ricerca di una condivisione universale dei benefici della civiltà; ma esso sta ad un bivio: « Gli si apre davanti la via della libertà e della schiavitù, del progresso e del regresso, della fraternità e dell'odio » ( GS 9; GS  37-38 ).

Il Concilio ripropone l'evangelo che anche nella storia terrena è stato fermento di libertà, di progresso, di fraternità ( AG 8 ).

L'instaurazione della fraternità è una esigenza prioritaria: insieme alla maggiore giustizia e ad un ordine più umano, l'azione « per una più estesa fraternità » vale più del progresso tecnico ( GS 35 ).

In rapporto alla pace, agognata e precaria, la pratica della fratellanza umana si situa come uno degli strumenti assolutamente necessari ( AG 12 ).

I cristiani, presenti nel mondo, a chi cerca questa pace rispondono con il dialogo fraterno ( AG 12 ).

I laici vengono specificamente impegnati dal Concilio ad operare affinché si effettui un passaggio dal senso di solidarietà tra i popoli al sincero e autentico affetto fraterno ( AA 14 ).

Anche l'attività missionaria favorisce la concordia fraterna, perché essa è un mezzo per la realizzazione del progetto divino della « costituzione di tutto il genere umano nell'unico popolo di Dio, la sua riunione nell'unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell'unico tempio, dello Spirito» ( AG 7 ).

Nell'ambito dell'ecumenismo, lo sforzo e la ricerca dell'unità manifestano « il legame fraterno che esiste fra tutti i cristiani » ( UR 5Ecclesiam suam 48, 112-115; Populorum progressio 82 ).

Questa fraternità ecumenica sarà facilitata se la vita dei fedeli trascorre in conformità all'evangelo e in stretta comunione con la santa Trinità ( UR 7 ).

d. Le opere dello Spirito

S. Paolo enumera come opere dello Spirito santo: « amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé » ( Gal 5,22 ).

Esse conducono alla liberazione, come le opere della "carne" escludono dalla eredità del regno di Dio ( contesto: Gal 5,18-26 ).

Le opere della carne ledono la fraternità perché offendono la persona altrui, cioè un fratello e perché si sprigionano da una radice di egoismo, magari momentaneo, ma tenace.

Le opere dello Spirito costruiscono la fraternità perché sono situazioni personali che rivelano la carica
positiva in presenza di altri; sono date non per tesaurizzarle in privato, ma per espropriarsene con amore oblativo perché i doni dello Spirito sono affidati in vista della costruzione della comunità.

L'amore, diverso dal sentimentalismo e dalla ricerca riflessiva, costituisce il più grande comandamento nei rapporti con Dio e con il prossimo ( Mt 22,37-40 ), anzi per i discepoli di Gesù è il comandamento nuovo ( Gv 13,34 ).

La gioia è ascoltare insieme il messaggio di amore dell'evangelo ( Gv 15,10-11 ); è venire incontrati da Cristo ( Gv 16,22-23 ); è una componente del regno ( Rm 14,17 ).

La pace, eredità del Signore ( Gv 14,27; Gv 16,33 ), è un dono da offrire ( Mt 10,12; Lc 10,5 ), un impegno reciproco ( Mc 9,50b ) e con tutti ( Rm 12,18 ); è vocazione comune ( Col 3,15 ); è beatitudine dei figli di Dio ( Mt 5,9 ) e anch'essa è una componente del regno ( Rm 14,17 ).

La pazienza consiste nella perseveranza ( Rm 8,25 ) e nell'attesa della venuta del Signore ( Gc 5,7-11 ), ma è anche un sentimento comunitario di accettazione realistica della convivenza ( Col 3,12-13; Ef 4,1-3 ).

Il possesso della benevolenza avvicina la propria azione comunitaria ( Col 3,12-14 ) all'azione salvifica di Dio medesimo ( Rm 2,4; Tt 3,4 ), mentre l'assenza di essa denuncia l'appartenenza al numero dei disgregatori ( 2 Tim 3,1-5 ).

Solo Dio è buono ( Mt 19,17; Mc 10,18; Lc 18,19 ), ma la bontà dimora nel cuore dell'uomo potenziata da Dio stesso ( 2 Ts 1,11 ).

Fedeltà significa lealtà, correttezza, fiducia nel rapporto interpersonale perché Dio è fedele ( 1 Cor 1,9; 1 Ts 5,24 ).

La mitezza identifica i beati che erediteranno la terra ( Mt 5,5 ), testimonia di fronte a tutti una caratteristica della comunità ecclesiale ( Tt 3,2 ) e la vocazione all'unità ( Ef 4,2 e contesto ).

Il dominio di sé porta all'equilibrio e all'autopedagogia, cioè ad inserirsi nella fraternità da persona matura e realizzata.

La costruzione della fraternità è un'opera affascinante, ma realmente laboriosa e difficile; l'individualismo è più facile.

Insuccessi, delusioni, fatica tentano di relegare la fraternità nelle utopie; di indurre a costruire in piccoli spazi immunizzati; di lesinare l'impiego di forze.

In realtà l'obiettivo è importante.

Il cristiano, camminando sulle vie dello Spirito, è realista con tendenza all'ottimismo anche nei confronti della fraternità.

  Comunità
  Dialogo
  Vita
Caritativa familiare Famiglia II
Piccole … Comunità VI
  Vita II,a
… fra clero e laici Laico IV,2
Tra i mussulmani Islamismo IV
… e amicizia Amicizia IV
Poveri come fratelli Povero I,2
  Povero II,2
Verso i sofferenti Sofferente III,3
In s. Francesco e in C. Foucauld Comunità I
  Modelli II
  Obbedienza V