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Lettera 194

Scritta poco dopo la precedente.

Agostino a Sisto, prete romano, poi papa, offre armi contro le versipelli argomentazioni dei Pelagiani, spiegandogli come trattare i seguaci dell'errore ( n. 1-2 ) e quali sono le relazioni tra il libero arbitrio e la divina giustizia - misericordia ( n. 3-5 ); come per la giustificazione e per lo stesso inizio della fede è assolutamente necessaria la grazia, per quanto imperscrutabile sia il modo d'agire di Dio con gli uomini ( n. 6-15 ); che lo stesso pregar bene è un dono di Dio ( n. 16-18 ); sulle tracce di S. Paolo dimostra che la vita eterna è il coronamento di tutte le grazie, la morte invece la pena del peccato ( n. 19-21 ); che il male deriva dalla cattiva volontà, la facoltà d'osservare la Legge è una grazia del Salvatore ( n. 22-30 ); dalla diversa sorte dei bambini e dall'esempio d'Esaù e Giacobbe mostra l'ircomprensibile misericordia e giustizia di Dio ( n. 31-42 ); confuta infine l'astuto argomento degli eretici con cui tentano vanificare la remissione dei peccati conferita dal battesimo ( n. 43-47 ).

Agostino invia cristiani saluti a Sisto, signore amatissimo nel Signore dei signori, santo fratello e collega nel sacerdozio

1.1 - Agostino gode per la difesa della grazia fatta da Sisto

Nella lettera che ti ho fatto recapitare per mano dell'accolito Albino, nostro carissimo fratello, t'avevo promesso d'inviartene una più lunga per mezzo del santo fratello Firmo, nostro collega nel sacerdozio, lo stesso che ci recapitò la lettera della tua Sincerità, piena della schiettezza della tua fede, la quale mi arrecò tanta gioia ch'è più facile avere che esprimere.

In realtà - debbo confessarlo alla tua Carità - eravamo assai addolorati nel sentire che nutrivi simpatie per gli avversari della grazia di Cristo.

Affinché però la tristezza fosse cancellata dai nostri cuori, dapprima la medesima fama non passò sotto silenzio che per primo avevi pronunciato l'anatema contro di essi davanti ad un'immensa assemblea di fedeli; in un secondo tempo poi, insieme con la lettera della Sede Apostolica contenente la condanna degli eretici ed inviata in Africa, arrivò anche la tua lettera indirizzata al venerando primate Aurelio.

Sebbene essa fosse breve, mostrava tuttavia assai bene il tuo vigore nel combattere il loro errore.

Ora però ti sei espresso su questa dottrina o meglio contro di essa più chiaramente e più diffusamente: nella tua lettera si sente parlare la fede della Chiesa Romana, la Chiesa alla quale soprattutto il beato apostolo Paolo rivolse in molti modi molti insegnamenti sulla grazia di Dio meritataci da Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 )

Per conseguenza non solo è scomparsa dai nostri cuori tutta quella tristezza che li avvolgeva come una nebbia, ma dentro di essi è brillata una sì gran luce di gioia che a noi è sembrato che quel dolore e quella tristezza non abbiano fatto altro in noi che rendere più alta la fiamma della gioia subentrata.

1.2 - Come trattare i seguaci dell'errore

Per questi motivi, fratello carissimo, pur non vedendoti con gli occhi del corpo, ti abbiamo tuttavia con noi, ti abbracciamo, ti baciamo con l'anima nella fede di Cristo, nella grazia di Cristo, tra i membri di Cristo.

Rispondo pertanto alla tua lettera approfittando del ritorno presso di te dell'eminentemente buono e fedele latore della nostra vicendevole corrispondenza epistolare, che tu hai voluto non solo portasse presso di noi i tuoi scritti, ma che altresì narrasse e testimoniasse le tue azioni.

C'intratteniamo inoltre un po' più a lungo con te per raccomandarti d'insistere nell'istruire coloro che, da quanto ci risulta, hai troppo insistito ad atterrire.

Ci sono infatti alcuni individui che ancora reputano lecito sostenere piuttosto arditamente eresie condannate con piena ragione.

Vi sono poi altri i quali s'introducono nelle case ( 2 Tm 3,6 ) quasi di soppiatto e non si stancano di propagare in segreto gli errori che hanno ormai paura di spacciare all'aperto; vi sono infine altri i quali non s'arrischiano di parlare perché sono trattenuti da gran paura, ma ancora covano nel loro cuore quanto non osano più esprimere con la bocca; questi però possono essere conosciuti benissimo dai fratelli per aver precedentemente sostenuto la medesima dottrina ( condannata ).

Alcuni quindi si devono castigare piuttosto severamente, altri invece devono essere tenuti d'occhio piuttosto attentamente, altri occorre trattarli bensì con una certa indulgenza, ma nello stesso tempo devono essere istruiti con non minor diligenza di modo che, seppure non si teme che mandino altri in perdizione, tuttavia non siano trascurati per evitare che vadano in perdizione essi stessi.

2.3 - Il libero arbitrio è aiutato dalla grazia

Quanto al fatto ch'essi credono che si toglie loro il libero arbitrio qualora ammettano che non si può avere nemmeno la stessa buona volontà senza l'aiuto di Dio, non capiscono che in tal modo non rafforzano il libero arbitrio ma lo gonfiano facendolo vagare nel vuoto invece di fondarlo in Dio come su di una solida roccia.

La volontà, infatti, viene preparata dal Signore. ( Pr 8,35 sec. LXX )

2.4 - La condanna è giusto castigo, la salvezza è gratuita grazia

Quando poi costoro pensano d'aver ragione di credere che Dio sia parziale qualora ritenessero vero ch'egli, senza tener conto di meriti precedenti, usa misericordia con chi gli piace ( Rm 9,18; 2 Ts 1,11 ) e chiama alla fede chi vuole e rende religioso chi gli pare, non considerano attentamente che il dannato riceve la pena meritata, mentre chi si salva riceve una grazia non meritata, per cui il primo non può lamentarsi di non meritare la pena ed il secondo non può vantarsi di meritare la grazia.

Non può inoltre affatto parlarsi di parzialità, dal momento che tutti fanno parte d'un'unica massa condannata di peccatori, ( At 10,34; Rm 2,11; Ef 6,9; Col 3,25; 1 Pt 1,17 ) di modo che, se uno viene liberato comprenda, da colui che non ne viene liberato, che anche su di lui dovrebbe ricadere il castigo qualora non fosse salvato dalla grazia.

Se poi questa è una grazia, vuol dire ch'è largita senza alcun merito, ma per gratuita bontà.

2.5 - Perché solo alcuni della massa dannata sono salvati

" Ma è ingiusto, obiettano costoro, che in un processo per una medesima colpa, uno venga assolto e l'altro punito ".

Sì, senza dubbio sarebbe giusto che fossero puniti entrambi; chi oserebbe negarlo?

Ringraziamo dunque il Salvatore per il fatto che vediamo bene che non subiamo il castigo meritato, che sappiamo sarebbe dovuto essere inflitto anche a noi nella condanna d'individui simili a noi.

Se infatti fossero salvati tutti indiscriminatamente, non sarebbe messo in risalto che cosa merita il peccato in base alla giustizia e, se non venisse salvato alcuno, non verrebbe messo in risalto che cosa largisca la grazia.

Ma in una questione tanto difficile è meglio servirci delle parole di S. Paolo: Dio pertanto, volendo mostrare la sua collera e manifestare la sua potenza, ha sopportato con gran longanimità recipienti di collera preparati per la perdizione, per far conoscere in tal modo la ricchezza della sua gloria verso i recipienti di misericordia. ( Rm 9,22-23 )

Ecco perché l'argilla non gli può dire: Perché mi hai fatta così? poiché egli ha il potere di formare con la stessa massa un recipiente destinato a usi nobili e un altro destinato a usi spregevoli. ( Rm 9,20-21 )

E poiché tutta questa massa è giustamente dannata, Dio rende il disonore meritato in virtù della giustizia e concede l'onore immeritato in virtù della grazia, non già di un privilegio dovuto al merito o per l'ineluttabilità del fato né per un cieco capriccio della fortuna, ma solo a causa dell'abissale ricchezza della sapienza e scienza di Dio, ( Rm 11,33 ) che l'Apostolo non riesce a scandagliare, ma ne rimane stupito ed esclama: O abisso di ricchezza della sapienza e scienza di Dio!

Quanto imperscrutabili sono i suoi disegni e incomprensibile la sua condotta!

Chi infatti conobbe i disegni di Dio o chi gli fu mai consigliere?

Oppure chi mai gli diede prima qualcosa perché debba essergli contraccambiato?

Poiché tutto è da lui e per mezzo di lui e tutto tende a lui.

A lui gloria per i secoli! Amen. ( Rm 11,33-36 )

3.6 - La grazia e la giustificazione non sono dovute ai meriti

Che Dio abbia la gloria di rendere giusti i peccatori col dar loro gratuitamente la sua grazia, non vogliono ammetterlo coloro i quali, non conoscendo la giustizia di lui, cercano di stabilirne una loro personale, ( Rm 10,3 ) oppure, costretti ormai dalle alte proteste delle persone pie e timorate di Dio, ammettono bensì che per avere, ossia per mettere in pratica la giustizia, vengono aiutati da Dio, ma in modo che preceda qualche loro merito personale, come se volessero dare essi per primi al fine di ricevere in seguito il contraccambio da Dio, di cui invece sta scritto: Chi per primo ha dato qualcosa a lui perché debba essergli contraccambiato? ( Rm 11,35 )

Essi credono che i propri meriti prevengano colui del quale sanno, o meglio, non vogliono ascoltare che tutto è da lui, tutto è per mezzo di lui, tutto tende a lui. ( Rm 11,36 )

Dall'inesauribile ricchezza della sapienza e scienza di Dio ( Rm 11,33 ) scaturisce la ricchezza della sua gloria partecipata ai recipienti di misericordia ( Rm 9,22-23 ) che sono da lui chiamati all'adozione di figli suoi, ricchezza che egli vuol far conoscere anche per mezzo dei recipienti pieni di collera formati per la dannazione.

E quali sono le imperscrutabili vie di Dio, se non quelle di cui parla il Salmo: Tutte le vie del Signore sono bontà e verità? ( Sal 25,10 )

La sua bontà e verità sono quindi imperscrutabili, poiché egli ha pietà di chi vuole, mosso non da giustizia ma solo dalla misericordia, e fa ostinare chi gli piace, ( Rm 9,18 ) mosso non già da sentimento d'iniquità, ma per castigarlo secondo verità.

La bontà e verità di Dio sono tuttavia in pieno accordo tra loro, poiché sta scritto: La bontà e la verità si sono abbracciate, ( Sal 85,11 ) in modo che la bontà non rechi pregiudizio alla verità con cui è punito chi lo merita, né la verità alla misericordia con cui è salvato chi non lo merita.

Per conseguenza quali meriti può accampare chi si salva, dal momento che, se dovesse ricevere il contraccambio che merita, non dovrebbe essere se non tra i dannati?

I giusti, allora, non hanno merito alcuno?

Sicuro che ne hanno, poiché sono giusti, ma non ne hanno avuto alcuno per diventare tali, essendolo diventati quando sono stati giustificati, ma, come dice l'Apostolo: Sono stati giustificati senza alcun merito precedente e solo per la grazia di lui. ( Rm 3,24 )

3.7 - I Pelagiani condannati a Diospoli

Pur essendo costoro accaniti avversari della grazia, tuttavia Pelagio, nel processo ecclesiastico tenutosi in Palestina, pronunciò l'anatema contro coloro che sostengono che la grazia di Dio ci viene data in considerazione dei nostri meriti, senza la quale dichiarazione non sarebbe potuto uscire assolto da quel Concilio.

Ciò nonostante negli scritti successivi dei Pelagiani non si trova affermato se non ch'è dovuta a meriti precedenti la grazia che S. Paolo afferma soprattutto nella Lettera ai Romani, affinché la sua parola, partendo di lì come dalla capitale del mondo, si spandesse per tutta la terra; poiché è proprio in virtù di tale grazia che viene giustificato il peccatore, ossia diventa giusto chi prima era peccatore.

Per ricevere quindi tale grazia, non c'è bisogno che preceda alcun merito, poiché il peccatore non merita la grazia ma il castigo, e d'altra parte essa non sarebbe grazia se, invece di essere un dono gratuito della bontà, fosse una ricompensa dovuta ai meriti.

3.8 - La grazia predicata dall'apostolo Paolo

Quando però si chiede a costoro quale era la grazia che Pelagio pensava venisse data senza meriti precedenti, allorché colpì di anatema coloro i quali sostengono che la grazia di Dio viene data in corrispondenza dei meriti, rispondono che grazia senza meriti precedenti è la stessa natura umana in cui siamo stati creati, poiché prima di esistere non avremmo potuto meritare nulla per avere il diritto di esistere.

Scaccino i Cristiani dalle loro menti un simile errore, poiché la grazia ricordata dall'Apostolo non è questa per cui siamo creati affinché fossimo uomini, ma quella per cui siamo stati giustificati essendo cattivi uomini.

Questa sì è la grazia derivataci per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore.

Cristo infatti non è morto per individui non esistenti, perché gli uomini fossero creati, ma per i peccatori, affinché fossero giustificati.

Poiché uomo era senza dubbio colui che esclamava: Me infelice!

Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. ( Rm 7,24-25 )

3.9 - Il credere deriva da Dio

I Pelagiani possono, sì, affermare che la grazia data senza meriti precedenti è il perdono dei peccati, poiché qual merito di bene possono avere i peccatori?

Ma neppure il perdono dei peccati si ottiene senza qualche merito se è la fede ad ottenerlo.

Infatti non può non avere qualche merito la fede con cui il pubblicano esclamava: Abbi pietà di me peccatore, mio Dio; e quell'uomo ispirato dalla fede, dopo essersi umiliato, tornò a casa giustificato, poiché chi si umilia, sarà esaltato. ( Lc 18,13-14; Lc 14,11; Mt 23,12 )

Non ci resta quindi che attribuire la stessa fede, dalla quale ha inizio ogni specie di giustizia, per cui nel Cantico dei Cantici il Signore dice alla Chiesa: Arriverai se proseguirai nel cammino partendo dalla fede; ( Ct 4,8 sec. LXX ) non ci resta - ripeto - che attribuire la stessa fede esaltata da costoro non già alla volontà dell'uomo né ad alcun merito precedente, poiché da essa hanno origine i meriti di ogni specie, ma confessare ch'è un dono gratuito di Dio se considereremo la grazia autentica, quella cioè non dovuta ai meriti.

Come infatti si legge nella medesima Lettera dell'Apostolo: Dio distribuisce a ciascuno la fede nella misura che vuole. ( Rm 12,3 )

Ora, dall'uomo sono compiute bensì delle opere buone, ma la fede è prodotta ( da Dio ) nell'uomo e senza di essa nessun'opera buona è compiuta dall'uomo, poiché tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato. ( Rm 14,23 )

3.10 - La fede è un dono di Dio

Per questo motivo anche se a chi prega è dato l'aiuto per vincere le bramosie dei beni temporali e per amare quelli eterni e lo stesso Dio, sorgente di tutti i beni, tuttavia perché non si insuperbisca e non si esalti il merito della preghiera, è la stessa fede a pregare, la fede che viene concessa ad uno anche prima che preghi e che, se non gli fosse concessa, non potrebbe pregare.

Come infatti invocheranno Colui nel quale non hanno creduto?

E come crederanno in Colui del quale non hanno sentito parlare?

E come potranno ascoltarlo se non c'è chi predica?

La fede dunque dipende dalla predicazione e la predicazione avviene mediante l'annuncio della parola di Cristo. ( Rm 10,14.17 )

Pertanto il ministro di Cristo che predica la fede non è altro che uno il quale pianta e innaffia in proporzione della grazia ricevuta, ( Rm 15,16; 1 Cor 3,5-6; Rm 12,3 ) eppure non è un bel nulla né chi pianta, né chi irriga, ma tutto è Dio che fa crescere, ( 1 Cor 3,7 ) e dà a ciascuno la fede in misura diversa. ( Rm 12,3 )

Ecco perché l'Apostolo, in un altro passo, dopo aver detto: Pace ai fratelli e amore con fede, perché non attribuissero quest'ultima ai propri meriti, si affrettò a soggiungere: da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. ( Ef 6,23 )

Infatti non tutti quelli che ascoltano la parola di Dio hanno la fede, ma solo quelli ai quali Dio l'ha concessa nella misura da lui voluta.

Allo stesso modo non tutto ciò che si pianta o s'innaffia germoglia, ma solo ciò che Dio fa crescere.

Perché mai poi di due che ascoltano entrambi la medesima verità e assistono entrambi al medesimo miracolo compiuto sotto i loro occhi, uno crede e l'altro no?

La causa di ciò sta nella profondità della ricchezza della sapienza e scienza di Dio, ( Rm 11,33 ) i cui disegni sono imperscrutabili ( Rm 9,14 ) e non commette ingiustizia di sorta se ha pietà di chi vuole e fa ostinare chi gli piace. ( Rm 9,18 )

Eppure ciò non è ingiusto solo perché ci è nascosto il motivo.

3.11 - Fede cristiana è quella operante mediante la carità

Anche dopo che uno ha ricevuto il perdono dei peccati, se lo Spirito Santo non abita nell'anima così mondata, non vi torna forse lo spirito immondo con altri sette spiriti e l'ultima condizione dell'anima non è forse peggiore della prima? ( Mt 12,43-45; Lc11,24-26 )

Ammesso poi che lo Spirito Santo abiti in un'anima, ciò non è forse la prova ch'esso spira dove vuole, ( Gv 3,8 ) e che l'amore di Dio, senza il quale nessuno può vivere bene, è diffuso nei nostri cuori non già da noi ma dallo Spirito Santo che ci è stato largito? ( Rm 5,5 )

Questa è la fede annunciata esattamente dall'Apostolo quando dice: A nulla vale essere o non essere circonciso, ma unicamente la fede, che agisce mediante l'amore di Dio. ( Gal 5,6 )

Questa è la fede dei Cristiani, ben diversa da quella dei demoni: anch'essi infatti credono e tremano, ( Gc 2,19 ) ma non amano.

Poiché, se non credessero, non direbbero neppure: Tu sei il Santo di Dio, oppure: Tu sei il Figlio di Dio; ( Lc 4,41; Mc 3,11-12 ) se invece amassero non direbbero: Che abbiamo noi a vedere con te? ( Mt 8,29; Mc 5,7; Lc 8,28 )

3.12 - Prescienza di Dio e volontà umana

La fede dunque ci attira verso Cristo, e se non ci fosse data gratuitamente dall'alto, Cristo non direbbe: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre, che m'ha inviato. ( Gv 6,44 )

Per questo poco dopo dice: Le parole che io vi dico sono spirito e vita, ma tra voi ci sono alcuni che non credono.

L'Evangelista quindi soggiunge: Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano coloro che avrebbero creduto e chi era colui che lo avrebbe tradito.

E perché non si pensasse che i credenti rientrino nella prescienza divina allo stesso modo degli increduli, che cioè senza essere data loro dall'alto la stessa fede, solo la loro futura buona volontà verrebbe conosciuta in antecedenza, l'Evangelista subito aggiunge: E diceva: Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me se non gli è concesso dal Padre mio. ( Gv 6,64-66 )

Per lo stesso motivo alcuni, i quali lo avevano sentito parlare del suo Corpo e del suo Sangue, se ne andarono via scandalizzati, mentre altri credettero e restarono con lui, per la ragione che nessuno può andare a lui se non gli è concesso dal Padre e perciò dallo stesso Figlio e dallo Spirito Santo, ( Gv 6,64-66 ) poiché non sono separate le grazie e le opere dell'inseparabile Trinità, ma il Figlio, onorando in tal modo il Padre, non vuol offrire alcun argomento che tra loro ci sia differenza, ma ci offre solo un grande esempio di umiltà.

3.13 - La risposta di S. Paolo ai novatori

A questo punto i sostenitori, o meglio gli ingannatori, perché esaltatori sperticati del libero arbitrio e tali perché gli accordano troppa importanza, che cosa possono dire per parlare non contro di noi ma contro il Vangelo, se non ripetere l'obiezione già postasi dall'Apostolo come se già fosse stata fatta da costoro: Tu allora mi obietterai: E perché Dio ci biasima? Chi mai infatti può resistere alla sua volontà?. ( Rm 9,19 )

L'Apostolo si pone tale obiezione come se glie l'avessero posta coloro che rifiutano di ammettere quanto aveva detto poco prima, e cioè: Dio ha pietà di chi vuole e fa ostinare chi gli piace. ( Rm 9,18 )

Diamo quindi a costoro la medesima risposta dell'Apostolo, perché non sapremmo trovarne una migliore: Ma chi sei tu, o uomo, che osi replicare a Dio? ( Rm 9,20 )

3.14 - Come si spiega l'ostinazione di alcuni

Orbene, se andiamo a cercare la causa dell'ostinazione, la troviamo nella giusta condanna dell'intera massa del peccato; Iddio poi fa ostinare non già col dispensare la malizia ma col non dispensare la misericordia.

Coloro infatti a cui non la concede, non ne sono degni né la meritano, o meglio sono degni e meritano proprio che non venga loro concessa.

Se invece andiamo a cercare il merito della misericordia, non lo troviamo perché non ve n'è alcuno, affinché non sia distrutta la grazia qualora non fosse un dono gratuito, ma una ricompensa dovuta ai meriti. ( Rm 11,6 )

3.15 - Nessuno ha meriti per acquistare la fede

Se infatti diremo che in precedenza c'è stata la fede in cui era il merito della grazia, qual merito aveva l'uomo prima di ricevere la fede?

Che cosa infatti ha uno senza che lo abbia ricevuto?

Ora, se lo ha ricevuto, perché mai se ne vanta come se non lo avesse ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

Come nessuno avrebbe la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà, il timor di Dio se non avesse ricevuto, secondo il detto del Profeta, lo Spirito di sapienza e d'intelletto, di consiglio e di fortezza, di scienza, di pietà e di timor di Dio, ( Is 11,2-3 ) e come nessuno avrebbe nemmeno il coraggio, la carità, la continenza se non avesse ricevuto lo Spirito di cui l'Apostolo dice: Non avete infatti ricevuto lo Spirito di timore, ma di coraggio, di carità e di continenza; ( 2 Tm 1,7 ) così non avrebbe nemmeno la fede, se non avesse ricevuto lo Spirito di fede, di cui il medesimo Apostolo dice: Ora, avendo il medesimo Spirito di fede, secondo quanto sta scritto: Ho creduto e perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo. ( 2 Cor 4,13; Sal 116,10 )

Che poi la fede sia ricevuta non per qualche merito, ma per misericordia di Colui che ha pietà di chi vuole, ( Rm 9,18 ) lo dimostra assai chiaramente l'Apostolo nel passo in cui di se stesso dice: Ho ottenuto la misericordia d'essere fedele. ( 1 Cor 7,25 )

4.16 - La preghiera stessa è un dono di Dio

Se poi diremo che ai fini di ottenere la grazia precede il merito della preghiera, il fatto che è la preghiera ad ottenere tutto quello che ottiene, dimostra evidentemente ch'è un dono di Dio, affinché l'uomo non pensi d'avere da se stesso ciò che, se fosse in suo potere, di certo non lo chiederebbe con la preghiera.

Perché non si pensi - dico - che precedono almeno i meriti della preghiera, in ricompensa dei quali sarebbe concessa una grazia non gratuita - che perciò non sarebbe più nemmeno grazia poiché sarebbe una ricompensa dovuta - anche la stessa preghiera si trova tra i doni della grazia.

Noi - dice il Maestro dei Gentili - non sappiamo cosa chiedere nella preghiera come si conviene; ma lo stesso Spirito prega per noi con gemiti inesprimibili. ( Rm 8,26; 1 Tm 2,7 )

Che significa il termine: prega, se non: "ci fa pregare"?

Pregare con gemiti è la prova più evidente del bisogno.

Orbene, non può pensarsi che lo Spirito Santo abbia bisogno di alcunché; il termine "prega" sta quindi per " ci fa pregare ", poiché è lui ad ispirarci il devoto desiderio di pregare e di gemere.

Allo stesso modo il Vangelo dice: Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. ( Mt 10,20 )

Ma non è neppure vero che un tal fatto avvenga a nostro riguardo senza che noi non facciamo nulla.

L'aiuto dello Spirito Santo è dunque espresso col dire che è lui ad operare, in quanto è lui che fa sì che noi operiamo.

4.17 - Gli affetti nella preghiera eccitati dallo Spirito Santo

Ora, che per lo Spirito che prega con gemiti inesprimibili, si debba intendere lo Spirito Santo dal quale è aiutata la nostra debolezza e non già lo spirito nostro, lo dimostra chiaramente l'Apostolo cominciando a dire che lo Spirito aiuta la nostra debolezza, soggiungendo poi subito che noi non sappiamo cosa chiedere nella preghiera come si conviene, eccetera. ( Rm 8,26 )

Altrove poi, di questo Spirito parla più chiaramente dicendo: Voi infatti non avete ricevuto uno spirito di schiavitù per ricadere di nuovo nel timore, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione filiale per il quale gridiamo: Abba! Padre! ( Rm 8,15 )

Ecco, qui non dice che lo Spirito in persona preghi con grida, ma: in virtù del quale gridiamo: Abba! Padre!

Ma in un altro passo dice: Che poi siate figli di Dio, n'è prova il fatto che Dio inviò lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori, il quale grida: Abba! Padre! ( Gal 4,6 )

Non dice: " in virtù del quale gridiamo ", ma preferisce dire che a gridare è lo stesso Spirito il quale fa sì che gridiamo, servendosi di un'espressione simile a queste altre due: Lo Spirito stesso prega con gemiti inesprimibili, ( Rm 8,26 ) e ancora: È lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. ( Mt 10,20 )

4.18 - La preghiera efficace per la salvezza

Allo stesso modo, insomma, che nessuno è davvero sapiente e davvero intelligente, davvero dotato di prudenza e di forza d'animo, nessuno ha spirito di pietà illuminato dalla scienza, né spirito di scienza illuminato dalla pietà, nessuno teme Dio con religioso timore, se non ha ricevuto lo Spirito di sapienza e d'intelletto, di consiglio e di fortezza, di scienza, di pietà, di timor di Dio, ( Is 11,2-3 ) né alcuno ha vero coraggio e carità sincera né continenza scrupolosa se non in grazia dello Spirito di coraggio, di carità e di continenza, ( 2 Tm 1,7 ) così senza lo Spirito di fede nessuno potrà credere in modo ortodosso e senza lo Spirito di preghiera nessuno potrà pregare in modo utile alla salvezza.

Non perché vi siano altrettanti spiriti, ma tutte queste virtù le produce l'unico ed identico Spirito che le largisce come propri doni a ciascuno come vuole, ( 1 Cor 12,11 ) poiché lo Spirito spira dove vuole; ( Gv 3,8 ) ma deve ammettersi il fatto ch'egli aiuta in modi diversi le anime: senza inabitarvi ancora e inabitandovi già, poiché senza inabitarvi ancora aiuta le anime a diventare fedeli, mentre quando sono già fedeli le aiuta inabitandovi.

5.19 - Coronando i nostri meriti Dio corona i suoi doni

Qual è dunque il merito dell'uomo precedente alla grazia, in virtù del quale possa riceverla, dal momento che ogni nostro merito è in noi solo effetto della stessa grazia?

Quando inoltre Dio premia i nostri meriti non fa altro che premiare i suoi benefici.

Come infatti con l'aderire alla fede abbiamo ottenuto la grazia di Dio non perché fossimo credenti, ma affinché lo diventassimo, così alla fine, cioè nella vita eterna, Dio ci darà il premio per somma sua misericordia, ( Sal 103,4 ) come dice la Scrittura.

Non senza motivo quindi rendiamo lode a Dio dicendo non solo: La sua misericordia mi preverrà, ( Sal 59,11 ) ma anche: La sua misericordia mi seguirà. ( Sal 23,6 )

Per conseguenza la stessa vita eterna, che godremo alla fine senza fine, ci viene data come ricompensa di meriti precedenti, ma poiché i medesimi meriti, in compenso dei quali ci viene data, non sono prodotti da noi con la nostra capacità, sebbene prodotti in noi dalla grazia, ( la vita eterna ) è chiamata grazia non per altro se non perché ci viene accordata gratuitamente, non perché non sia data in compenso dei meriti, ma perché sono dono di Dio gli stessi meriti ai quali è data in ricompensa.

Troviamo inoltre che anche la vita eterna è chiamata grazia dal medesimo impareggiabile difensore della grazia, l'apostolo Paolo, che dice: Mercede dovuta al peccato è la morte, grazia di Dio è invece la vita eterna in Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 6,23 )

5.20 - Pena del peccato, la morte; grazia di Dio, la vita eterna

Considera adesso - ti prego - con quanta concisione ed accortezza ha espresso il suo pensiero: la nostra questione perderebbe un po' della sua oscurità, se considerassimo attentamente i termini di quella espressione.

Chi infatti non avrebbe giudicato una conseguenza del tutto logica se, avendo detto: Mercede dovuta al peccato è la morte, avesse aggiunto: " Mercede invece della giustizia è la vita eterna"?

Ciò sarebbe esatto poiché, allo stesso modo che il peccato merita come paga la morte, così la giustizia merita come paga la vita eterna.

Se invece non avesse voluto usare il termine " giustizia ", avrebbe potuto usare quello di " fede ", poiché il giusto vive di fede. ( Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38; Eb 2,4 )

Per tale motivo in molti passi della Sacra Scrittura la vita eterna è detta anche ricompensa; ma in nessun passo viene dato il nome di ricompensa alla giustizia o alla fede, poiché la vita eterna è data come ricompensa alla giustizia e alla fede.

Inoltre ciò ch'è il salario per l'operaio è la paga per il soldato.

5.21 - La vita eterna: grazia e giusta ricompensa

Ma il santo Apostolo, sempre all'erta contro la superbia ( la quale cerca d'insinuarsi perfino nei grandi ) al punto da affermare d'essergli stato dato, a causa di essa, un angelo di Satana da cui fosse schiaffeggiato perché non alzasse la cresta dell'arroganza; ( 2 Cor 12,7 ) combattendo dunque l'Apostolo con la più vigile attenzione contro questa peste dell'orgoglio, disse: Paga del peccato è la morte. ( Rm 6,23 )

E davvero è paga perché è dovuta, perché viene resa come giusta ricompensa, perché è data meritamente.

In seguito però, perché la giustizia non s'inorgoglisse delle opere buone dell'uomo, come non c'è dubbio che sono peccato le cattive opere dell'uomo, non continuò il paragone per antitesi dicendo: " Paga della giustizia è la vita eterna ", ma disse: Grazia di Dio invece è la vita eterna.

E perché questa non si cercasse per altra via che non sia quella del Mediatore, aggiunse: in Gesù Cristo nostro Signore, ( Rm 6,23 ) come per dire: " Perché mai, tu che non sei la giustizia dell'uomo, ma sotto l'apparenza di giustizia non sei altro che superbia, perché mai, all'udire che la paga del peccato è la morte, ti prepari ad insuperbirti?

Perché mai ti prepari ad insuperbirti e a reclamare, come se la vita eterna contraria alla morte fosse una paga dovuta?

Quella cui è dovuta la vita eterna è la giustizia autentica.

Se quindi è giustizia autentica, non proviene certo da te, ma proviene dall'alto, discende cioè dal Padre dei lumi. ( Gc 1,17 )

Per averla, seppure l'hai, certamente l'hai ricevuta.

Che cosa infatti hai di buono, che non l'hai ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

Perciò se tu, o uomo, riceverai la vita eterna, anche se è la paga della giustizia, per te è tuttavia un dono gratuito, dato che per te è un dono gratuito la stessa giustizia.

La vita eterna ti sarebbe infatti data come una ricompensa dovuta, se tua fosse la giustizia a cui è dovuta.

Ora invece, dalla pienezza di Dio abbiamo ricevuto non solo la grazia mediante la quale viviamo nella giustizia tra le sofferenze attuali sino alla fine, ma, per questa grazia, anche la grazia ( Gv 1,16 ) di vivere poi nel riposo senza fine ".

Niente di più utile alla salvezza crede la fede poiché nulla di più vero l'intelligenza vede.

Dobbiamo inoltre ascoltare il Profeta che dice: Se non crederete, non comprenderete. ( Is 7,9 sec. LXX )

6.22 - Il male deriva dalla volontà, il bene è dono di Dio

" Ma coloro che non vogliono vivere bene e secondo la fede - soggiunge il nostro avversario - si scuseranno dicendo: Che cosa abbiamo fatto noi che viviamo male, dal momento che non abbiamo ricevuto la grazia per vivere bene? ".

Orbene, non possono dire con verità di non far nulla di male per il fatto che vivono male, poiché, se non fanno nulla di male, vivono bene; se invece vivono male, ciò dipende dalla loro stessa cattiveria, quella cioè che o ereditarono all'origine o hanno aggiunto in più loro stessi.

Se dunque sono recipienti di collera formati per la perdizione ( Rm 9,22 ) resa loro come ricompensa dovuta, lo addebitino a se stessi poiché sono stati fatti della stessa massa ( Rm 9,21 ) giustamente condannata da Dio a causa del peccato di un solo individuo a causa del quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 )

Se invece sono recipienti di misericordia ( Rm 9,23 ) ai quali, sebbene fatti della stessa massa, Dio non ha voluto applicare il castigo dovuto, non montino in superbia, ma diano gloria a Dio che ha loro concessa una grazia non dovuta e, se hanno qualche opinione diversa in proposito, Dio stesso farà loro vedere chiaro anche questo. ( Fil 3,15 )

6.23 - Dio giusto nel salvare e nel condannare

Infine in qual modo costoro si scuseranno?

Senz'altro nel modo con cui l'Apostolo fece a se stesso la stringata obiezione come se l'avesse raccolta dalla loro voce e diranno: Perché mai Dio ci rimprovera ancora, dal momento che nessuno può opporsi alla sua volontà? ( Rm 9,19 )

Ciò vale a dire: " Perché mai ci viene mosso rimprovero di offendere Dio con la nostra vita cattiva, dal momento che nessuno può opporsi alla volontà di lui che ci fece ostinare col rifiutarci la sua grazia? "

Se dunque costoro non si peritano di contraddire non tanto a noi quanto piuttosto all'Apostolo con una simile scusa, perché mai dovrebbe rincrescere a noi di ripetere più volte loro la medesima risposta già data dall'Apostolo e cioè: Chi mai sei tu, o uomo, che osi replicare contro Dio?

Forse che il recipiente può dire a chi lo ha plasmato: Perché mi hai fatto in questo modo?

Forse che il vasaio non è padrone di plasmare con la medesima massa di argilla - meritamente e giustamente condannata - un recipiente destinato ad un uso nobile - non dovuto perché voluto nella sua gratuita bontà - e un recipiente destinato a un uso spregevole, dovuto perché voluto dalla giustizia provocata dalla collera per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso i recipienti di misericordia, ( Rm 9,20-21.23 ) dimostrando in tal modo quale è il beneficio elargito loro, dal momento che i recipienti di collera riceveranno il castigo che sarebbe ugualmente dovuto a tutti?

Al Cristiano che vive ancora nella fede senza vedere ancora ciò che è perfetto, e conosce ancora parzialmente, basti per ora sapere o credere che Dio non salva nessuno se non in virtù della sua gratuita bontà per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, e non condanna nessuno se non in forza della sua giustissima verità per mezzo del medesimo Gesù Cristo nostro Signore ( Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38; Eb 2,4 )

Per quale motivo poi Dio salvi o non salvi uno anziché un altro, provi pure ad indagarlo chi può scrutare l'abisso insondabile dei disegni divini, badando però di non precipitare nella rovina. ( 1 Cor 13,9.10.12; Rm 9,14 )

Infatti potrebbe forse esserci ingiustizia in Dio?

Ciò è inammissibile; ( Rm 9,12 ) poiché imperscrutabili sono i suoi disegni e incomprensibile è il suo modo d'agire. ( Rm 11,33 )

6.24 - L'impenitenza finale, frutto della cattiva volontà

D'altra parte solo delle persone maggiorenni può dirsi con ragione: " Costoro non hanno voluto intendere per fare il bene ". ( Sal 36,4 )

Questi altri, cosa ancora più grave, hanno inteso ma non hanno dato ascolto, poiché come sta scritto: Un servo cocciuto non si corregge a forza di parole; anche se capirà, non ubbidirà. ( Pr 29,19 sec. LXX )

Perché mai non ubbidirà, se non a causa della sua pessima volontà?

A lui è dovuta una condanna più grave dalla giustizia divina, poiché da chi più ha ricevuto più è richiesto. ( Lc 12,47-48 )

La Scrittura infatti dichiara che non sono scusabili coloro ai quali non è nascosta la verità, eppure in essi persiste l'iniquità.

La collera di Dio - dice l'Apostolo - si rivela dal cielo contro ogni empietà e contro ogni ingiustizia degli uomini che tengono imprigionata la verità con l'iniquità.

Infatti quanto può conoscersi di Dio è loro manifesto, poiché lo ha manifestato loro Dio stesso, dato che fino dalla creazione del mondo le sue perfezioni invisibili, come la sua eterna potenza e la sua divinità, si lasciano vedere dall'intelligenza attraverso il mondo creato, per cui sono inescusabili. ( Rm 1,18-20 )

6.25 - Inescusabile chi predica bene e agisce male

Se dunque l'Apostolo chiama non scusabili coloro i quali, pur avendo potuto vedere con l'intelligenza le invisibili perfezioni di Dio attraverso le opere della creazione, non hanno tuttavia dato ascolto alla verità, ma sono rimasti iniqui ed empi - né si può dire che non conoscessero Dio, perché, al dire della Scrittura: Pur conoscendo Iddio, non lo hanno glorificato e ringraziato come Dio ( Rm 1,21 ) - quanto meno saranno scusabili coloro i quali, istruiti nella sua Legge, hanno la presunzione d'essere guida di ciechi ed essendo maestri degli altri non sanno esserlo di se stessi?

Predicano di non rubare e rubano e fanno tutte le altre azioni cui accenna l'Apostolo parlando di loro.

Dice infatti loro: Tu quindi sei senza scusa, o uomo che giudichi, chiunque tu sia, poiché giudicando gli altri tu condanni te stesso; tu stesso infatti commetti le medesime azioni che condanni. ( Rm 2,1 )

6.26 - Conoscenza della rivelazione e responsabilità morale

Anche il Signore stesso dice nel Vangelo: Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero colpa; ora invece non hanno scusa della loro colpa. ( Gv 15,22 )

Ciò non vuol dire ch'essi non avrebbero avuto alcuna colpa, dal momento ch'erano pieni di altre numerose ed enormi colpe, ma vuol farci intendere che, se egli non fosse venuto, non avrebbero avuta la colpa per cui, dopo averlo ascoltato, non gli credettero.

L'Apostolo afferma ch'essi non possono avere la scusa in base alla quale potergli dire: " Noi non ti abbiamo sentito parlare e perciò non ti abbiamo creduto ".

Naturalmente l'orgoglio umano, presumendo nelle forze del libero arbitrio, si crede scusato poiché gli sembra che il peccare sia colpa dell'ignoranza e non della volontà.

6.27 - Peccato solo l'ignoranza volontaria della rivelazione

Tale è la scusa in base alla quale la Sacra Scrittura dice che non sono scusabili tutti coloro che dimostra colpevoli di peccare consapevolmente.

Il giusto giudizio di Dio però non risparmia neppure chi non gli ha prestato l'ascolto, poiché quanti non hanno peccato senza la Legge, periranno ugualmente senza la Legge. ( Rm 2,12 )

La scusa che ad essi pare di poter addurre non è accolta da Dio, il quale sa d'aver creato l'uomo retto ( Qo 7,29 ) e d'avergli dato il precetto dell'ubbidienza e sa che il peccato, anche quello che si trasmette nei posteri non è derivato se non dal cattivo uso del libero arbitrio.

Infatti coloro che non hanno peccato, non vengono nemmeno condannati, dal momento che il peccato viene trasmesso in tutti gli uomini dall'unico progenitore, per essere uniti al quale tutti, senza eccezione, hanno peccato prima che si verificassero i peccati personali di ogni singola persona. ( Rm 5,12 )

Per conseguenza qualunque peccatore è senza scusa, sia a causa della colpa originale, sia a causa di quelle aggiunte per volontà propria, sia che conosca, sia che non conosca ( la Legge ), sia che giudichi, sia che non giudichi. ( Rm 2,1 )

Poiché la stessa ignoranza è senza dubbio peccato in coloro che non vollero intendere, mentre è castigo del peccato in coloro che non ne furono capaci.

Riguardo agli uni e agli altri non è dunque giusta la giustificazione addotta, ma la riprovazione.

6.28 - Conoscere e osservare la Legge è una grazia

Questo è il motivo per cui la Sacra Scrittura dichiara inescusabili coloro che peccano non per ignoranza ma consapevolmente, affinché si rendano conto da se stessi d'essere inescusabili per aver seguito il criterio del proprio orgoglio, con cui ripongono troppa fiducia nelle forze della propria volontà.

Poiché non hanno più scusa dell'ignoranza e non hanno ancora la giustizia, per la quale presumevano fosse bastante la volontà.

Ma intanto l'Apostolo, al quale il Signore aveva concesso la grazia di conoscere e d'essere obbediente alla Legge, afferma: È per mezzo della Legge che si ha la conoscenza del peccato, ( Rm 3,20 ) e ancora: Io, dice, non conobbi il peccato se non per mezzo della Legge; difatti avrei ignorato i cattivi desideri, se la Legge non avesse detto: Non desiderare. ( Rm 7,7; Es 20,17; Dt 5,21; Dt 7,25 )

Quando poi afferma: Prendo gusto nell'adempiere la legge di Dio, come si conviene all'uomo interiore, ( Rm 7,22 ) non intende l'uomo che ignora la legge ordinatrice, ma l'uomo che ha bisogno della grazia salvatrice.

Eppure, nonostante la conoscenza della Legge e il gusto di adempierla, poco dopo esclama: Me infelice!

Chi mi salverà da questo corpo di morte?

La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. ( Rm 7,24-25 )

Nessuno quindi può salvare dalle ferite del massacratore, se non per la grazia dell'unico Salvatore.

Nessuno può liberare noi, i venduti a causa del peccato, dalle catene dell'oppressore, se non la grazia del Redentore.

6.29 - La grazia non è dovuta per giustizia

Per conseguenza tutti coloro che vorrebbero essere scusati delle loro azioni perverse e malvagie, ricevono il ben meritato castigo poiché quelli che si salvano lo devono esclusivamente alla grazia.

Se infatti la scusa addotta da loro fosse valida, ne seguirebbe che a salvarli non sarebbe più la grazia ma la giustizia.

Ma poiché è solo la grazia quella che salva, in colui ch'essa salva non trova nulla di giusto, né la volontà né le opere né la stessa scusa, poiché se questa fosse valida, chiunque se ne potrebbe servire e così sarebbe vero che non è salvato dalla grazia.

Ora invece sappiamo che mediante la grazia di Cristo vengono salvati anche alcuni di coloro che dicono: Perché dunque Dio biasima ancora?

Chi mai infatti può resistere alla sua volontà? ( Rm 9,19 )

Se tale scusa fosse valida, essi si salverebbero non già in virtù della grazia gratuita, ma della fondatezza di tale scusa.

Se invece sono salvati in virtù della grazia, tale scusa è certamente infondata.

Infatti la genuina grazia con cui l'uomo si salva la si ha solo se non è concessa in conformità di un debito di giustizia.

A proposito poi di coloro che dicono: Perché mai Dio biasima ancora?

Chi mai infatti può resistere alla sua volontà? ( Rm 9,19 ) non si avvera altro che quanto si legge nel libro di Salomone: La stoltezza dell'uomo perverte la sua condotta e il suo cuore si ribella contro Dio. ( Pr 18,22 )

6.30 - Effetti della cattiva volontà e della grazia

Orbene, è vero che Dio forma recipienti di collera destinati alla perdizione per mostrare il suo sdegno e manifestare la sua potenza, con la quale fa servire al bene anche i cattivi, e per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso i recipienti di misericordia ( Rm 9,21-23 ) formati per un onore non dovuto alla massa degna solo di condanna ma largito dalla sua immensa grazia; egli tuttavia nei medesimi recipienti di collera, a causa di ciò che merita la massa, formati per l'ignominia loro dovuta, ossia negli individui creati bensì per far risaltare i beni della natura, ma destinati al supplizio a causa dei vizi, ( Sal 45,8; Eb 1,9 ) egli sa condannare, non già creare, l'iniquità che con tutta ragione è biasimata dalla verità.

Allo stesso modo che alla volontà di Dio è attribuita la natura umana la quale è da lodare senza che nessuno ne possa dubitare, così alla volontà dell'uomo è attribuita la colpa ch'è da condannare senza che alcuno si possa ribellare.

Questa volontà dell'uomo o ha trasmesso nei posteri il peccato ereditario che conteneva in se stessa quando peccava oppure ha procurato anche tutti gli altri peccati che ciascuno ha commessi vivendo da dissoluto nella propria individualità.

Nessuno però ottiene il riscatto dal peccato originale o dai peccati ch'egli accumula aggiungendo a quello le trasgressioni compiute col non capire o col non voler capire o finanche basandosi sull'insegnamento della Legge; nessuno in verità viene giustificato se non in virtù della grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore ( Rm 7,25 ) non solo con la remissione dei peccati, ma prima ancora con l'ispirazione della stessa fede e del timore di Dio, col ricevere in modo salvifico l'affetto e l'effetto della preghiera, finché non guarisca tutte le nostre malattie e non riscatti dalla corruzione la nostra vita e ci coroni dei suoi favori e della sua misericordia. ( Sal 103,3-4 )

7.31 - Perché solo alcuni bambini muoiono col battesimo

Ma costoro, i quali credono che Dio sarebbe parziale qualora, trovandosi gli uomini in un'unica ed identica condizione, facesse arrivare su alcuni la sua misericordia, ( At 10,34 ) mentre su altri tenesse sospesa la sua giustizia punitrice, perdono naturalmente tutte le forze del ragionare umano quando si tratta dei bambini.

Per tacere per ora del castigo, parlando del quale l'Apostolo dice: Per colpa d'uno solo si è giunti alla sentenza di condanna per tutti gli uomini, la quale pesa anche sui bambini pur se appena usciti dal seno materno, condanna dalla quale Dio non salva se non il solo, di cui il medesimo Apostolo dice: Per l'opera di giustizia d'uno solo si è giunti alla giustificazione di vita per tutti gli uomini; ( Rm 5,18 ) per tacere dunque, per ora, di ciò, dirò dei bambini solo ciò che ammettono gli stessi avversari senza fare la minima opposizione, atterriti dall'autorità del Vangelo o meglio stritolati dall'accordo assolutamente unanime dei popoli cristiani nella fede, che cioè nessun bambino può entrare nel regno dei cieli se non è rigenerato mediante l'acqua e lo Spirito. ( Gv 3,5 )

Qual motivo, domando io, potranno addurre per spiegare come mai uno è trattato in modo che muoia battezzato mentre un altro, o perché consegnato nelle mani degli infedeli o anche dei fedeli, spira prima che lo presentino per farlo battezzare?

Attribuiranno forse ciò al destino o al caso?

Non credo che vorranno giungere fino a tal punto di pazzia, se desiderano conservare appena appena il nome di Cristiani.

7.32 - Il mistero della grazia nella diversa sorte dei bambini

Perché dunque nessun bambino può entrare nel regno dei cieli senza aver ricevuto il battesimo? ( Tt 3,5 )

Forse perché si scelse genitori infedeli o negligenti da cui nascere?

Cosa dire allora degli innumerevoli casi di morte improvvisa e repentina dai quali sono spesso sorpresi tanti bambini anche di genitori cristiani timorati di Dio che vengono privati del Battesimo, mentre, al contrario, dei bambini di pagani nemici di Cristo càpitano, chissà come, nelle mani di Cristiani e passano da questa vita non senza il Sacramento della rigenerazione?

Cosa possono rispondere a questo proposito coloro i quali sostengono che, affinché la grazia possa essere concessa, devono precedere le opere umane buone perché Dio non sia parziale? ( At 10,34 )

Quali opere buone, insomma, precedettero nel nostro caso?

Se si prenderanno in considerazione quelle dei bambini, questi non ne hanno alcuna personale appartenendo essi tutti alla medesima massa.

Se invece si prenderanno in considerazione le opere buone dei genitori, esse sono quelle dei genitori i cui figli morirono di morte improvvisa senza il Battesimo di Cristo, mentre cattive sono le opere di quei genitori i cui figli, per non si sa quale possibilità dei Cristiani, arrivarono a ricevere i sacramenti della Chiesa.

Eppure la provvidenza di Dio, dal quale sono contati i nostri capelli, senza il volere del quale non cade per terra nemmeno un passero, ( Mt 10,30 ) provvidenza che non è né dominata dal fato né ostacolata da alcun caso fortuito, né corrotta da vizio di sorta, non provvede a che tutti i bambini dei suoi figli rinascano all'eredità del cielo mentre provvede a ciò in favore di alcuni anche se bambini d'infedeli.

Un bambino nato da coniugi cristiani, allevato con gioia dai genitori, viene soffocato dalla madre o dalla balia nel sonno, diviene estraneo ed escluso dalla fede dei suoi cari, mentre un altro bambino, nato da genitori empi ed adulteri, viene esposto dalla madre snaturata spinta dalla paura, viene raccolto dalla pietà di estranei mossi a compassione, viene battezzato per merito della loro sollecitudine di Cristiani e diviene membro compartecipe del regno eterno.

Riflettano molto attentamente a ciò e poi osino chiamare Dio autore di parzialità nel concedere la sua grazia o remuneratore di meriti precedenti! ( At 10,34 )

7.33 - Inscrutabili i disegni della grazia di Dio

Anche se costoro si sforzeranno di supporre negli individui di età matura opere meritevoli di premio o di castigo, che cosa potranno dire a proposito di questi bambini, dei quali il primo per nessuna azione cattiva sua personale poteva meritare la violenza di chi lo soffocasse, né il secondo per alcuna azione buona poteva meritare la diligenza di chi lo battezzasse?

Devono essere ben sciocchi e ciechi se, dopo aver considerato ciò, non si degneranno ancora di esclamare con noi: O abisso della sapienza e della scienza di Dio!

Quanto sono imperscrutabili i suoi disegni e incomprensibile il suo modo di agire! ( Rm 11,33 )

Non continuino quindi a combattere il dono misericordioso della grazia di Dio con insensata ostinazione.

Lascino che il Figlio dell'Uomo continui in ogni età a cercare e a salvare ciò ch'era perduto; ( Lc 19,10; Mt 18,11 ) e non osino giudicare gli impenetrabili disegni di Dio domandandosi perché su uno scenda la sua misericordia e su un altro rimanga sospesa la sua giustizia punitrice, pur trovandosi l'uno e l'altro in un'unica ed identica condizione.

8.34 - Perché Dio amò Giacobbe e riprovò Esaù

Che cosa mai sono costoro per replicare contro Dio, dal momento che egli, quando Rebecca aveva nel seno i due gemelli concepiti da un solo rapporto con Isacco, nostro padre, ( Rm 9,20 ) non essendo essi ancora nati e non avendo compiuto nulla di bene o di male, perché il disegno di Dio rimanesse conforme all'elezione - cioè conforme alla scelta gratuita della sua benevolenza, e non già dovuta, la scelta cioè in virtù della quale egli rende gli individui meritevoli d'essere scelti senz'affatto trovarli già tali non in base alle opere ma in base alla pura bontà di Colui che chiama - dal momento ch'egli a Rebecca disse che il maggiore avrebbe servito al minore? ( Rm 9,10-12; Gen 25,21-23 )

A conferma di questa espressione S. Paolo si servì anche della testimonianza del profeta Malachia, vissuto molto tempo dopo i gemelli, e cioè: Ho amato Giacobbe e ho avuto in odio Esaù, ( Rm 9,13; Ml 1,2-3 ) per fare intendere che in seguito era stato spiegato dal Profeta ciò ch'era, nella predestinazione divina, dovuto alla grazia prima che i due gemelli nascessero.

Che cosa infatti avrebbe potuto Dio amare in Giacobbe prima che nascesse e facesse alcunché di bene, tranne il dono gratuito della sua misericordia?

E che cosa Dio avrebbe potuto odiare in Esaù prima che nascesse e facesse alcunché di male tranne il peccato originale?

Nel primo infatti non avrebbe potuto amare alcuna azione buona che quello non aveva mai fatto e nel secondo non avrebbe potuto odiare la natura creata buona da lui stesso.

8.35 - Aperta difesa della grazia in S. Paolo

Quando costoro si vedono stretti da tali argomenti, è sorprendente osservare in quali precipizi vadano a gettarsi per paura di cadere nelle reti della verità.

" Il motivo per cui Dio aveva in odio l'uno e amava l'altro dei due gemelli non ancora nati - dicono - sta nel fatto ch'egli prevedeva quali sarebbero state le loro azioni ".

Chi non si stupirebbe che all'Apostolo non venisse in mente un'idea così acuta?

Egli effettivamente non ebbe quell'idea allorché, postasi a se stesso l'obiezione mossa da un supposto avversario, non diede piuttosto una risposta così concisa, così lampante e - come pensano costoro - così assolutamente vera.

S'era proposto infatti il quesito ch'è oggetto di stupore: come mai riguardo a individui ancora non venuti alla luce e che non avevano compiuto alcunché di bene o di male si potesse affermare a ragione che Dio ama l'uno e ha in odio l'altro, dopo aver posto il quesito a se stesso, indicando l'imbarazzo dell'uditore: Che diremo dunque? dice: Forse che c'è ingiustizia in Dio? Niente affatto! ( Rm 9,14 )

Sarebbe stato allora il momento opportuno per dire quello che opinano costoro, che cioè Dio, affermando che il maggiore sarebbe stato soggetto al minore, prevedeva le loro azioni future.

L'Apostolo invece non dice questa cosa ma piuttosto, perché nessuno osi vantarsi dei meriti delle proprie azioni, ha voluto che le sue parole servissero a mettere in evidenza la grazia e la gloria di Dio.

Avendo infatti affermato: Non ci può essere la minima ingiustizia in Dio, come se gli obiettassimo: " Ma come fai a dimostrare l'asserzione che, non in virtù delle azioni ma della volontà di colui che chiama, è stato detto: Il maggiore sarà soggetto al minore? " ( Rm 9,11-12; Gen 25,23 )

S. Paolo continua e afferma: A Mosè infatti egli dice: avrò misericordia di colui al quale vorrò usarla e avrò compassione di colui al quale vorrò dimostrarla; cosicché non è merito di chi vuole o di chi corre, ma di Dio che usa misericordia. ( Rm 9,15-16; Es 33,19 )

Dove sono dunque i meriti, dove le opere passate e future, cioè - per così dire - compiute o che potrebbero essere compiute con le forze del libero arbitrio?

Non ha forse l'Apostolo manifestato chiaramente il suo pensiero sulla gratuità della grazia, qual è la genuina grazia di Dio?

Non ha forse Dio reso stolta la sapienza ( 1 Cor 1,20 ) degli eretici?

8.36 - Che volle mostrare Paolo con l'esempio dei due gemelli

Di che cosa si trattava perché l'Apostolo affermasse ciò ricordando l'esempio dei due gemelli?

Di che cosa voleva persuaderci? Che cosa voleva inculcare?

Precisamente l'opposto di ciò che farneticano costoro, ciò che i superbi non capiscono, ciò che non vogliono pensare coloro i quali, ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non si assoggettano a quella di Dio. ( Rm 10,3 )

S. Paolo si preoccupava proprio della grazia e per questo metteva tanto in risalto coloro che erano stati oggetto della promessa di Dio.

Poiché ciò che Dio promette, lo adempie solo lui.

Ora, potrebbe avere una certa parvenza di verità che l'uomo prometta e Dio lo faccia, ma che l'uomo affermi di fare quanto promette Dio, è un pensiero riprovevole d'individui empi e superbi.

8.37 - Perché Paolo sottolinea: da un solo amplesso

Mettendo dunque in risalto coloro ch'erano nati secondo la promessa, ne mostrò il primo rappresentante in Isacco, figlio di Abramo.

In lui infatti rifulge di luce più viva l'azione di Dio, poiché nacque in modo contrario alle leggi ordinarie della natura da una madre sterile e ormai sfinita dalla vecchiaia, affinché fosse una prova dell'azione di Dio e non dell'uomo riguardo a coloro che erano predestinati ad essere figli di Dio: Da Isacco - dice - prenderà nome la tua discendenza; ciò vuol dire che non ( tutti ) i discendenti carnali ( di Abramo ) saranno considerati figli di Dio, ma solo i figli della promessa.

Ecco infatti i termini della promessa: In questo medesimo tempo io tornerò e Sara avrà un figlio.

E non solo questo - aggiunge l'Apostolo - ma anche Rebecca, la quale concepì i due gemelli da Isacco, nostro patriarca, con un solo rapporto. ( Rm 9,7-10 )

A quale scopo l'aggiunta: con un solo rapporto, se non perché Giacobbe non si vantasse non solo dei propri meriti né dei meriti di genitori diversi, ma nemmeno della disposizione d'animo dell'unico e medesimo padre cambiata in meglio, dicendo d'essere stato prediletto da Dio per il fatto che suo padre, allorché lo generò, fosse stato più lodevole per la condotta migliore.

Ora la Sacra Scrittura dice: da un solo rapporto, perché unico fu il merito del padre rispetto alla procreazione dei due figli, unico quello della madre rispetto alla loro concezione.

Poiché anche se la madre li portò chiusi nel suo grembo fino al momento di darli alla luce e per caso cambiò aspirazioni e sentimenti, li cambiò non a prò d'uno solo ma a prò di tutt'e due i figli che portava insieme nel suo seno.

8.38 - La causa della grazia preveniente e della dannazione

Bisogna quindi considerare l'intenzione dell'Apostolo, come cioè, per dare risalto alla grazia, vuole che Giacobbe, del quale nella Sacra Scrittura è detto: Ho amato Giacobbe, ( Ml 1,2 ) non si vanti se non nel Signore, affinché, dal momento che Dio ama l'uno e odia l'altro dei due gemelli concepiti nello stesso atto coniugale, dai medesimi genitori e prima che avessero compiuto alcunché di bene o di male, Giacobbe comprenda di essersi potuto salvare per pura grazia fra quella massa infetta del peccato originale, massa in cui vede che per giustizia meritò d'essere condannato il fratello, col quale si trovava nella stessa condizione.

Infatti, pur non essendo ancora nati, né avendo compiuto alcunché di bene o di male, affinché il disegno di Dio rimanesse secondo l'elezione, non in base alle opere, ma per volere di colui che chiama, fu detto alla madre che: Il maggiore avrebbe servito al minore. ( Rm 9,11-12; Gen 25,23 )

8.39 - L'elezione non è dovuta a meriti precedenti

Lo stesso S. Paolo ci mostra assai chiaramente che nessun'opera buona è il presupposto per ottenere la grazia, in un altro passo ove dice: Allo stesso modo anche in quest'epoca si è formato un residuo ( d'Israeliti ) per scelta della grazia.

Ma se ciò è in virtù della grazia, non è già in virtù delle opere, altrimenti la grazia non sarebbe più dono gratuito. ( Rm 11,5-6 )

E in riferimento a questa grazia l'Apostolo, servendosi per conseguenza anche della testimonianza del Profeta, dice: Come sta scritto: Ho amato Giacobbe mentre ho odiato Esaù, e soggiunge: Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia in Dio? Ciò è inammissibile.

E perché è inammissibile? Forse perché Dio prevedeva le opere che sarebbero state compiute dai due gemelli?

Tutt'altro: anche ciò è inammissibile.

A Mosè infatti egli dice: Avrò misericordia di colui al quale vorrò usarla e userò pietà di colui al quale vorrò dimostrarla.

Cosicché non è merito né di chi vuole né di chi corre ma solo di Dio che usa misericordia. ( Rm 9,13-18; Ml 1,2-3; Es 33,19; Es 9,16 )

E affinché dai recipienti formati per la perdizione, dovuta a tutta la massa condannata ( Rm 9,21-22 ) i recipienti formati per l'onore della stessa massa riconoscano il dono largito dalla misericordia di Dio, l'Apostolo aggiunge: Dice infatti ( Dio ) al Faraone: Ti ho suscitato proprio allo scopo di mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia annunciato su tutta la terra.

Trae infine la conclusione relativa ai due fatti dicendo: Dio dunque usa misericordia con chi vuole e fa ostinare chi gli piace. ( Rm 9,13-18 )

Così agisce Colui nel quale non v'è ombra d'ingiustizia: egli pertanto usa misericordia per un suo dono gratuito e fa ostinare con piena ragione.

8.40 - Ognuno si ostina per sua colpa, è aiutato dalla grazia

Orbene l'empia presunzione del superbo e la biasimevole giustificazione del punito potrà continuare a ripetere: Perché dunque Dio ( ci ) biasima ancora?

Chi può infatti opporsi alla sua volontà? ( Rm 9,19-20 )

Dica invece ed ascolti ciò che conviene all'uomo: Chi sei tu, o uomo, che osi replicare a Dio? e tutte le altre espressioni da me a sufficienza e sovente spiegate nei limiti delle mie possibilità.

Le ascolti e non le misconosca.

Se poi le misconoscerà, pensi di non essere stato reso ostinato anche per misconoscerle; se invece non le misconoscerà creda d'essere stato aiutato anche per tenerle nel debito conto; ma d'essere stato indurito secondo giustizia, d'essere stato aiutato solo per grazia.

9.41 - Che cosa può prevedersi

Abbiamo già dimostrato con quanta irragionevolezza si affermi che Dio amò Giacobbe ed odiò Esaù ( Ml 1,2-3 ) perché sapeva in antecedenza quali azioni avrebbero compiuto i due figli del patriarca Isacco, per il fatto che vissero fino alla vecchiaia; ma anche se ciò fosse vero, nessuno può affermare che Dio preveda anche le azioni future di coloro che morranno da bambini in modo da provvedere ad uno e non ad un altro perché riceva il Battesimo.

In qual modo infatti possono chiamarsi future le azioni che non saranno realizzate?

9.42 - I futuribili riguardo alla grazia o alla dannazione

" Ma - ci si obietta - Dio prevede quale sarebbe stata la condotta di coloro che porta via da questo mondo, se fossero rimasti in vita.

Ecco perché fa morire senza Battesimo chi egli sa che sarebbe vissuto male, castigando così in lui le cattive azioni, non quelle compiute, ma quelle che avrebbe potuto compiere ".

Se Dio dunque punisce anche le azioni cattive che non sono state compiute, consideriamo anzitutto attentamente con quanta falsità promettono che sfuggiranno alla dannazione i bambini che muoiono senza Battesimo; se questi non vengono battezzati perché sarebbero vissuti male qualora fossero vissuti, saranno senza dubbio condannati proprio per la vita cattiva, qualora si ammettesse che vengono puniti anche i peccati che si sarebbero potuti commettere.

Inoltre, se Dio provvede perché ricevano il sacramento del Battesimo coloro che egli sa che sarebbero vissuti bene, se fossero rimasti in vita, perché mai non vengono conservati alla vita ch'essi potrebbero illustrare con azioni buone?

E perché mai alcuni di coloro che vengono battezzati, col vivere a lungo finiscono col menare una pessima vita e giungono talvolta all'apostasia? perché mai Dio non cacciò prima dal paradiso i primi due coniugi peccatori che certamente sapeva avrebbero peccato, affinché non commettessero proprio lì quel ch'era indegno di quel santo luogo, se a ragione vengono puniti anche i peccati non ancora commessi?

Qual beneficio infine viene assicurato a chi viene rapito via perché la malizia non alteri la sua mente e la seduzione non tragga al male l'anima sua, ( Sap 4,11 ) se poi giustamente vengono puniti anche i peccati che non commise ma che avrebbe potuto commettere se fosse vissuto?

Perché mai, infine, Dio non provvede, affinché possa ricevere il lavacro della rigenerazione, ( Tt 3,5 ) piuttosto a chi è sul punto di morire e sarebbe vissuto male se fosse rimasto in vita, in modo che gli vengano rimessi nel Battesimo i peccati che avrebbe potuto commettere?

Chi infatti è tanto stupido da dire che non si possono rimettere col Battesimo i peccati che secondo lui possono essere puniti senza il Battesimo?

10.43 - Ambiguità e falsità degli eretici

D'altra parte nel discutere contro coloro i quali, sebbene siano stati sempre confutati vittoriosamente, s'affannano tuttavia a convincere gli altri che Dio castiga i peccati anche non commessi, dobbiamo temere che si pensi che noi inventiamo contro di loro simili spropositi, e che invece non si creda affatto ch'essi siano tanto stupidi da pensare così o da sforzarsi di convincerne alcuno; se però io non li avessi uditi fare quelle affermazioni, non crederei necessario di confutarle.

Sono infatti messi alle strette da ogni parte sia dall'autorità della Sacra Scrittura sia dal rito tramandato fino dall'antichità e conservato sempre immutato dalla Chiesa nel Battesimo dei bambini, col quale si dimostra con tutta evidenza che i bambini vengono liberati dalla schiavitù del demonio sia quando vengono esorcizzati sia quando, per bocca dei padrini che li presentano, rispondono di rinunciare a Satana.

In tal modo, poiché non trovano via di scampo, vanno a precipitarsi nella stoltezza non volendo mutare la loro credenza.

10.44 - Perché occorre battezzare i figli dei battezzati

Costoro poi credono davvero di fare un'obiezione assai sottile dicendo: " Ma come può passare nei figli dei fedeli il peccato dei genitori che secondo la nostra ferma convinzione è stato rimesso nel Battesimo? ".

Come se per questo la generazione carnale non potesse avere ciò che cancella la rigenerazione spirituale.

O forse che, nel Battesimo sarebbe risanata in un istante l'infermità della concupiscenza carnale così come viene cancellata in un istante la colpa del peccato non per la condizione della nascita ma per la grazia della rinascita?

Ecco perché chiunque nasce per via di questa concupiscenza anche da uno rigenerato ( nel battesimo ), senza dubbio essa reca danno al generato salvo che questo sia ugualmente rigenerato.

Ma qualunque sia la difficoltà inerente alla presente questione, essa non impedisce, nel campo di Cristo, agli operai di lui, che da essi vengano battezzati per la remissione dei peccati i bambini nati sia dai fedeli, sia dagli infedeli, come non è difficile ai contadini fare in modo che mediante accurate operazioni d'innesto siano trasformati in olivi gli oleastri nati sia dagli oleastri che dagli ulivi.

Se infatti a un contadino si chiedesse di rispondere per qual motivo, pur essendo l'ulivo una cosa diversa dall'oleastro, tuttavia dai semi dell'uno e dell'altro non nasce se non un oleastro, ( Rm 11,24 ) non per questo tralascerebbe di fare l'operazione dell'innesto sebbene non sia capace di risolvere la questione.

In caso diverso, qualora reputasse che non siano altro che ulivi i virgulti dal seme dell'ulivo, la sua boriosa infingardaggine farebbe sì che tutto il suo campo divenisse una boscaglia nata da alberi funestamente improduttivi.

10.45 - La formula del battesimo produce quanto esprime

Schiacciati dal peso della verità sono ricorsi ad un'altra scappatoia, ma il Signore è veridico nelle sue parole ( Sal 145,13 ) e perciò la sua Chiesa non agisce affatto falsamente quando battezza i bambini per conferire loro la remissione dei peccati ma, purché si compia con fede il rito sacro, si produce senza dubbio l'effetto significato dalle parole.

Orbene, quale Cristiano non riderebbe della scappatoia, per quanto astuta egli la trovi, escogitata da essi allorché si trovarono schiacciati dal peso di questa verità così lampante?

Ecco quel che dicono: " È vero che i bambini per bocca dei loro padrini rispondono realmente di credere nella remissione dei peccati, tuttavia non perché siano loro rimessi, ma perché credono che nella Chiesa o nel Battesimo sono rimessi a coloro nei quali si trovano dei peccati, ma non a coloro nei quali non ce ne sono ".

In tal modo costoro non ammettono che " i bambini sono battezzati per avere il reale perdono dei peccati, come se in essi avvenisse proprio la remissione, poiché sostengono che i bambini non hanno alcun peccato, ma che, pur essendo immuni da peccato, vengono tuttavia battezzati col Battesimo, col quale sono rimessi i peccati di tutti quelli che sono peccatori ".

10.46 - L'esorcismo contro il demonio nel battesimo

Potrebbe darsi che questo scaltro sofisma sia confutato con maggior sottigliezza e acume se uno avesse tempo libero.

Tuttavia alla stregua di questo loro astuto sofisma non trovano che cosa rispondere contro il fatto che i bambini vengono esorcizzati e viene soffiato sul loro volto; tali riti sono senza dubbio una farsa, se il diavolo non ha il dominio su di essi.

Se invece tale dominio egli lo esercita e perciò non sono una farsa gli esorcismi e l'atto di soffiare su di essi, mediante quale potere esercita il dominio se non mediante il peccato, essendo egli stesso il capo dei peccatori?

Se quindi non hanno più il coraggio e l'ardire di affermare che tali riti compiuti nella Chiesa non sono una farsa, ammettano che anche per quanto riguarda i bambini Cristo va in cerca di quello ch'era perduto; e non era perduto se non a causa del peccato ciò che non può cercarsi né trovarsi se non in virtù della grazia.

Ma ringraziamo Dio che, pur arzigogolando contro la remissione dei peccati affinché non si creda ch'essa si effettui nei bambini, tuttavia riconoscono che i bambini già credono sia pure attraverso l'intenzione e la parola delle persone più grandi.

Come dunque ascoltano il Signore che dice: Chi non rinascerà con l'acqua e lo Spirito Santo non entrerà nel regno dei cieli, ( Gv 3,5 ) e perciò ammettono che i bambini devono essere battezzati, così ascoltino lo stesso Signore quando afferma: Chi non crederà, sarà condannato; ( Mc 16,16 ) poiché allo stesso modo che ammettono che i bambini rinascono per il ministero di quelli che li battezzano, così pure ammettano che credono mediante l'intenzione e la parola dei padrini che s'impegnano per loro.

Osino dunque di sostenere che un innocente verrà condannato dalla giustizia di Dio senza essere avvinto dal vincolo del peccato originale!

10.47 - Studiare attentamente la Scrittura per difendere la fede

Perdonami se questa mia lettera è prolissa e gravosa per le tue occupazioni poiché, per scriverti queste riflessioni e, provocato dalla tua lettera indicante la tua bontà verso di me, intrattenermi su questi argomenti con te, anch'io ho fatto violenza alle mie occupazioni interrompendole.

Altri argomenti escogitati da costoro contro la fede cattolica, dei quali, per caso, verrete a conoscenza e tutte le dissertazioni che farete voi pure, con amore pieno di fede e di zelo pastorale, perché non portino lo sterminio tra le pecorelle deboli del Signore, fateli conoscere anche a noi.

Dal turbamento che ci procurano gli eretici viene svegliato come dal sonno della pigrizia il nostro zelo affinché indaghiamo più attentamente le Scritture con le quali poter replicare ad essi perché non rechino danno all'ovile di Cristo; in tal modo, in virtù della molteplice grazia del Salvatore, Dio cambia in aiuto anche ciò che il demonio trama a nostra rovina; poiché tutto coopera per il bene a quelli che amano Dio. ( Rm 8,28 )

Possa tu vivere sempre in Dio ricordandoti di me, fratello carissimo.

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