Dives in misericordia

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L'antico testamento

4 Il concetto di « misericordia » nell'Antico Testamento

Il concetto di « misericordia » nell'Antico Testamento ha una sua lunga e ricca storia.

Dobbiamo risalire ad essa, affinché risplenda più pienamente la misericordia che Cristo ha rivelato.

Rivelandola sia con i fatti sia con l'insegnamento, egli si rivolgeva a uomini, che non solo conoscevano il concetto di misericordia, ma anche, come popolo di Dio dell'Antica Alleanza, avevano tratto dalla loro plurisecolare storia una peculiare esperienza della misericordia di Dio.

Questa esperienza fu sociale e comunitaria, come pure individuale e interiore.

Israele, infatti, fu il popolo dell'alleanza con Dio, alleanza che molte volte infranse.

Quando prendeva coscienza della propria infedeltà - e lungo la storia d'Israele non mancarono profeti e uomini che risvegliavano tale coscienza -, faceva richiamo alla misericordia.

In merito, i libri dell'Antico Testamento ci riportano moltissime testimonianze.

Tra i fatti ed i testi di maggior rilievo si possono ricordare:

L'inizio della storia dei Giudici, ( Gdc 3,7-9 )

la preghiera di Salomone all'inaugurazione del Tempio, ( 1 Re 8,22-53 )

una parte dell'intervento profetico di Michea, ( Mi 7,18-20 )

le consolanti assicurazioni offerte da Isaia, ( Is 1,18; Is 51,4-16 )

la supplica degli Ebrei esiliati, ( Bar 2,11-3,8 )

il rinnovamento dell'alleanza dopo il ritorno dall'esilio. ( Ne 9 )

È significativo che i profeti nella loro predicazione colleghino la misericordia, alla quale fanno spesso riferimento a causa dei peccati del popolo, con l'incisiva immagine dell'amore da parte di Dio.

Il Signore ama Israele con l'amore di una particolare elezione, simile all'amore di uno sposo ( Os 2,21-25; Is 54,6-8 ) e perciò perdona le sue colpe e perfino le infedeltà e i tradimenti.

Se si trova di fronte alla penitenza, all'autentica conversione, egli riporta di nuovo il suo popolo alla grazia. ( Ger 31,20; Ez 39,25-29 )

Nella predicazione dei profeti la misericordia significa una speciale potenza dell'amore, che prevale sul peccato e sull'infedeltà del popolo eletto.

In questo ampio contesto « sociale », la misericordia appare come elemento correlativo dell'esperienza interiore delle singole persone, che versano in stato di colpa, o subiscono ogni genere di sofferenza e sventura.

Sia il male fisico che il male morale, o peccato, fanno si che i figli e le figlie di Israele si rivolgano al Signore con un appello alla sua misericordia.

In tal modo si rivolge a lui Davide nella coscienza della gravità della propria colpa ( 2 Sam 11; 2 Sam 12; 2 Sam 24,10 ) e si rivolge, dopo le sue ribellioni, pure Giobbe nella sua tremenda sventura ( Gb ) a lui si rivolge anche Ester, consapevole della minaccia mortale contro il proprio popolo. ( Est 4,17 )

E altri esempi troviamo ancora nei libri dell'Antico Testamento. ( Ne 9,30-32; Tb 3,2-3.11-12; Tb 8,16s; 1 Mac 4,24 )

All'origine di questo multiforme convincimento comunitario e personale, qual è comprovato da tutto l'Antico Testamento nel corso dei secoli, si colloca la fondamentale esperienza del popolo eletto vissuta all'epoca dell'esodo: il Signore osservò la miseria del suo popolo ridotto in schiavitù, udì il suo grido, conobbe le sue angosce e decise di liberarlo. ( Es 3,7s )

In questo atto di salvezza compiuto dal Signore il profeta seppe individuare il suo amore e la sua compassione. ( Is 63,9 )

È proprio qui che si radica la sicurezza di tutto il popolo e di ciascuno dei suoi membri nella misericordia divina, che si può invocare in ogni circostanza drammatica.

A ciò si aggiunge il fatto che la miseria dell'uomo è anche il suo peccato.

Il popolo dell'antica Alleanza conobbe questa miseria fin dai tempi dell'esodo, allorché innalzò il vitello d'oro.

Su tale gesto di rottura dell'Alleanza il Signore stesso trionfò, quando si dichiarò solennemente a Mosè come « Dio di tenerezza e di grazia, lento all'ira e ricco di misericordia e di fedeltà ». ( Es 34,6 )

È in questa rivelazione centrale che il popolo eletto e ciascuno dei suoi componenti troveranno, dopo ogni colpa, la forza e la ragione per rivolgersi al Signore, per ricordargli ciò che egli aveva esattamente rivelato di se stesso ( Nm 14,18; 2 Cr 30,9; Ne 9,17; Sal 86,15; Sap 15,1; Sir 2,11; Gl 2,13 ) e per implorarne il perdono.

Cosi, nei fatti come nelle parole, il Signore ha rivelato la sua misericordia fin dai primordi del popolo che si è scelto e, nel corso della sua storia, questo popolo si è continuamente affidato, nelle disgrazie come nella presa di coscienza del suo peccato, al Dio delle misericordie.

Tutte le sfumature dell'amore si manifestano nella misericordia del Signore verso i suoi: egli è il loro padre ( Is 63,16 ) poiché Israele è suo figlio primogenito ( Es 4,22 ) egli è anche lo sposo di colei a cui il profeta annuncia un nome nuovo: ruhamah, « beneamata », perché a lei sarà usata misericordia. ( Os 2,3 )

Anche quando, esasperato dall'infedeltà del suo popolo, il Signore decide di farla finita con esso, sono ancora la tenerezza ed il suo amore generoso per il medesimo a fargli superare la collera. ( Os 11,7-9; Ger 31,20; Is 54,7 )

È facile allora comprendere perché i salmisti, allorché desiderano cantare le più sublimi lodi del Signore, intonano inni al Dio dell'amore, della tenerezza, della misericordia e della fedeltà. ( Sal 103; Sal 145 )

Da tutto ciò si deduce che la misericordia non appartiene soltanto al concetto di Dio, ma è qualcosa che caratterizza la vita di tutto il popolo di Israele e dei suoi singoli figli e figlie: è il contenuto dell'intimità con il loro Signore, il contenuto del loro dialogo con lui.

Proprio sotto questo aspetto, la misericordia viene presentata nei singoli libri dell'Antico Testamento con una grande ricchezza di espressioni.

Sarebbe forse difficile cercare in questi libri una risposta puramente teorica alla domanda che cosa sia la misericordia in se stessa.

Nondimeno, già la terminologia, che in essi è usata, può dirci moltissimo a tale proposito.52

L'Antico Testamento proclama la misericordia del Signore mediante molti termini di significato affine; essi sono differenziati nel loro contenuto particolare, ma tendono, si potrebbe dire, da vari lati ad un unico contenuto fondamentale, per esprimere la sua ricchezza trascendentale e, al tempo stesso, per avvicinarla all'uomo sotto aspetti diversi.

L'Antico Testamento incoraggia gli uomini sventurati, soprattutto quelli gravati dal peccato - come anche tutto Israele, che aveva aderito all'alleanza con Dio - a far appello alla misericordia, e concede loro di contare su di essa: la ricorda nei tempi di caduta e di sfiducia.

In seguito, esso rende grazie e gloria per la misericordia, ogni volta che si sia manifestata e compiuta sia nella vita del popolo, sia in quella del singolo individuo.

In tal modo, la misericordia viene, in certo senso, contrapposta alla giustizia divina e si rivela, in molti casi, non solo più potente di essa, ma anche più profonda.

Già l'Antico Testamento insegna che, sebbene la giustizia sia autentica virtù nell'uomo, e in Dio significhi la perfezione trascendente, tuttavia l'amore è « più grande » di essa: è più grande nel senso che è primario e fondamentale.

L'amore, per cosi dire, condiziona la giustizia e, in definitiva, la giustizia serve la carità.

Il primato e la superiorità dell'amore nei riguardi della giustizia ( ciò è caratteristico di tutta la rivelazione ) si manifestano proprio attraverso la misericordia.

Ciò sembrò tanto chiaro ai salmisti ed ai profeti che il termine stesso di giustizia fini per significare la salvezza realizzata dal Signore e la sua misericordia. ( Sal 40,11; Sal 98,2s; Is 45,21; Is 51,5.8; Is 56,1 )

La misericordia differisce dalla giustizia, però non contrasta con essa, se ammettiamo nella storia dell'uomo - come fa appunto l'Antico Testamento - la presenza di Dio, il quale già come creatore si è legato con un particolare amore alla sua creatura. L'amore, per natura, esclude l'odio e il desiderio del male nei riguardi di colui al quale una volta ha dato in dono se stesso: Nihil odisti eorum quae fecisti, « nulla tu disprezzi di quanto hai creato ». ( Sap 11,24 )

Queste parole indicano il fondamento profondo del rapporto tra la giustizia e la misericordia in Dio, nelle sue relazioni con l'uomo e con il mondo.

Esse dicono che dobbiamo cercare le radici vivificanti e le ragioni intime di questo rapporto risalendo al « principio », nel mistero stesso della creazione.

E già nel contesto dell'antica Alleanza esse preannunciano la piena rivelazione di Dio, che « è amore ». ( 1 Gv 4,8.16 )

Col mistero della creazione è connesso il mistero della elezione, che ha in modo speciale plasmato la storia del popolo il cui padre spirituale è Abramo in virtù della sua fede.

Tuttavia, per mezzo di questo popolo che cammina lungo la storia sia dell'antica che della nuova Alleanza, quel mistero di elezione si riferisce ad ogni uomo, a tutta la grande famiglia umana: « Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà ». ( Ger 31,3 )

« Anche se i monti vacillassero…, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace ». ( Is 54,10 )

Questa verità, proclamata un tempo ad Israele, porta in sé la prospettiva dell'intera storia dell'uomo: prospettiva che è insieme temporale ed escatologica. ( Gen 4,2; Sal 145,9; Sir 18,8-14; Sap 11,23-12,1 )

Cristo rivela il Padre nella stessa prospettiva e su un terreno già preparato, come dimostrano ampie pagine degli scritti dell'Antico Testamento.

Al termine di tale rivelazione, alla vigilia della sua morte, egli dice all'apostolo Filippo le memorabili parole: « Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto…? Chi ha visto me, ha visto il Padre ». ( Gv 14,9 )

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52 Nel definire la misericordia, i Libri dell'Antico Testamento adoperano soprattutto due espressioni, ciascuna delle quali ha una sfumatura semantica diversa.
Anzitutto, c'è il termine hesed, che indica un profondo atteggiamento di « bontà ».
Quando essi si instaura tra due uomini, questi sono non soltanto benevoli l'uno verso l'altro, ma al tempo stesso reciprocamente fedeli in forza di un impegno interiore, quindi anche in forza di una fedeltà verso se stessi.
Se, poi, hesed significa anche « grazia » o « amore », ciò è appunto in base a tale fedeltà.
Il fatto che l'impegno in questione abbia un carattere non soltanto morale, ma quasi giudidico, con cambia nulla.
Quando nell'antico Testamento hesed viene riferito al Signore, ciò accade sempre in rapporto all'alleanza, che Dio ha concluso con Israele.
Tale alleanza fu, da parte di Dio, un dono e una grazia per Israele.
Tuttavia, poiché in coerenza con l'alleanza conclusa Dio si era impegnato a rispettarla, hesed acquistava, in certo senso, un contenuto legale.
L'impegno giuridico da parte di Dio cessava di obbligare, quando Israele infrangeva l'alleanza e non ne rispettava le condizioni.
Ma proprio allora hesed, cessando di essere obbligo giuridico, svelava il suo aspetto più profondo: si manifestava ciò che era al principio, cioè come amore che dona, amore più potente del tradimento, grazia più forte del peccato.
Questa fedeltà nei confronti della « figlia del mio popolo » infedele ( Lam 4,3.6 ) è, in definitiva, da parte di Dio, fedeltà a se stesso.
Ciò risulta evidente soprattutto nella frequente ricorrenza del binomio hesed weemet (=grazia e fedeltà), che potrebbe ritenersi un'endiadi ( Es 34,6; 2 Sam 2,6; 2 Sam 15,20; Sal 25,10; Sal 40,11s; Sal 85,11; Sal 138,2; Mi 7,20 ).
« Io agisco non per riguardo a voi, gente di Israele, ma per amore del mio nome santo » ( Ez 36,22 ).
Quindi anche Israele, sebbene gravato di colpe per aver infranto l'alleanza, non può avanzare pretesa alla hesed di Dio in base ad una giustizia ( legale ); eppure, esso può e deve continuare a sperare e ad aver fiducia di ottenerla, essendo il Dio dell'alleanza realmente « responsabile del suo amore ».
Frutto di tale amore sono il perdono, la ricostruzione nella grazia e il ristabilimento dell'alleanza interiore.
Il secondo vocabolo, che nella terminologia dell'Antico Testamento serve a definire la misericordi, è rahmim.
Esso ha una sfumatura diversa dal termine hesed.
Mentre questo pone in evidenza i caratteri della fedeltà verso se stesso e della « responsabilità del proprio amore » ( Che sono caratteri in certo senso maschili), rahmim, già nella sua radice, denota l'amore della madre ( rehem = grembo materno ).
Dal più profondo e originario vincolo, anzi dall'unità che lega la madre al bambino, scaturisce un particolare rapporto con lui, un particolare amore.
Di questo amore si può dire che è totalmente gratuito, non frutto di merito, e che sotto questo aspetto costituisce una necessità interiore: è un'esigenza del cuore.
È una variante quasi « femminile » della fedeltà maschile a se stesso, espressa dalla hesed.
Su questo sfondo psicologico, rahmim genera una gamma di sentimenti, tra i quali la bontà e la tenerezza, la pazienza e la comprensione, cioè la prontezza a perdonare.
L'antico Testamento attribuisce al Signore appunto tali caratteri, quando parla di lui servendosi del termine rahmim.
Leggiamo in Isaia: « Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai » ( Is 49,15 ).
Questo amore, fedele e invincibile grazie alla misteriosa forza della maternità, viene espresso nei testi vetero-testamentari in vari modi: sia come salvezza dei peccati - nei riguardi degli individui e anche di tutto Israele - e, infine, nella prontezza ad adempiere la promessa e la speranza ( escatologiche ), nonostante l'infedeltà umana, come leggiamo in Osea: « Io lo guarirò dalla loro infedeltà, li amerò di vero cuore » ( Os 14,5 ).
Nella terminologia dell'Antico Testamento troviamo ancora altre espressioni, diversamente riferite allo stesso contenuto fondamentale.
Tuttavia, le due suddette meritano un'attenzione particolare.
In esse si manifesta chiaramente il loro originario aspetto antropomorfico: nel prospettare la misericordia divina, gli autori biblici si servono dei termini che corrispondono alla coscienza e all'esperienza dell'uomo loro contemporaneo.
La terminologia greca della versione dei Settanta mostra una ricchezza minore di quella ebraica: non offre, quindi, tutte le sfumature semantiche proprie del testo originale.
In ogni caso, il Nuovo Testamento costruisce sulla ricchezza e profondità, che già contrassegna l'Antico.
in tal modo, ereditiamo dall'Antico testamento - quasi in una sintesi speciale - non soltanto la ricchezza delle espressioni usate da quei Libri per definire la misericordia divina, ma anche una specifica, ovviamente antropomorfica « psicologia » di Dio: la trepidante immagine del suo amore, che a contatto con il male e, in particolare, con il peccato dell'uomo e del popolo, si manifesta come misericordia.
Tale immagine è composta, oltre che dal contenuto piuttosto generale del verbo hanan, anche dal contenuto di hesed e da quella di rahmim.
Il termine hanan esprime un concetto più ampio; esso significa, infatti, la manifestazione della grazia, che comporta, per così dire, una costante predisposizione magnanima, benevola e clemente.
Oltre a questi fondamentali elementi semantici, il concetto di misericordia nell'Antico Testamento è composto anche da ciò che racchiude il verbo hamal, che letteralmente significa « risparmiare ( il nemico sconfitto ) », ma anche « manifestare pietà e compassione » e, di conseguenza, perdono e remissione della colpa.
Anche il termine hus esprime pietà e compassione, ma soprattutto in senso affettivo.
Questi termini appaiono nei testi biblici più raramente per denotare la misericordia.
Inoltre, occorre rilevare il già ricordato vocabolo emet, che significa in primo luogo « solidità, sicurezza » ( nel greco dei Settanta « verità » ) e poi « fedeltà », ed in tal modo sembra collegarsi con il contenuto semantico proprio del termine hesed