Ascetica

Indice Spiritualità

Dizionario

1) Modo di vivere solitario, privo di piaceri mondani;

dedizione alla meditazione religiosa

2) sforzo metodico per raggiungere qualcosa


È chiamata così quella disciplina che studia, con basi teologiche e scientifiche, la condizione e i compiti concreti dell'esistenza cristiana, per cercare la via migliore di un controllo di sé e di una organizzazione in senso cristiano delle scelte di vita.

Ascesi

Ascesi ( dal greco ἄσκησις, áskēsis ), "esercizio, rinuncia" o "allenamento" per acquisire una determinata tecnica, inizialmente nel campo dell'atletica, a partire da Platone venne estesa all'intera vita dell'uomo.

In seguito il termine giunse a indicare lo studio della filosofia o la pratica della virtù e, in questa accezione, venne usato dai filosofi greci.

Riferita alla vita spirituale, la parola indica l'esercizio metodico di dominio delle passioni e di presa di distanza dalla mondanità.

Tutte le discipline spirituali richiedono un'ascesi; anche al credente nel Signore Gesù è chiesta un'ascesi in vista della sequela ( v. ).

È delicato affrontare il tema dell'ascesi nella tradizione cristiana: questa parola giunge a noi carica di un passato di ambiguità e deviazioni che la rendono sospetta ai cristiani odierni.

Influssi ellenistici, tutti più o meno inficiati di dualismo ( concezione che contrapponeva corpo e spirito e vedeva nel corpo il principio del male ), introdussero nell'ascesi cristiana metodi e motivazioni non cristiane.

Queste tendenze, ricorrenti nel corso dei secoli, orientarono l'ascesi al disprezzo del corpo e della materia.

Non mancarono mai, tuttavia, cristiani sapienti che definivano "diabolica" e non evangelica un'ascesi diventata fine e non più mezzo, considerata di per se atto meritorio e divenuta oggetto di vanto.

Tutto questo ha portato nell'epoca attuale a un rifiuto a priori delle forme ascetiche tradizionali, talora accompagnato dall'assunzione di tecniche ascetiche di provenienza orientale, spesso assunte anche nelle visioni del mondo che le giustificano, in una forma di vero e proprio sincretismo.

L'Ascesi sia israelitica che cristiana diventa l'esercizio volontario della persona che mira a subordinare i valori inferiori ai valori superiori, e in particolare alla preghiera, alla penitenza purificatrice e alla carità, che con il Vangelo assurge a centro di tutta la vita cristiana.

L'ascesi cristiana è rinuncia a se stessi e alle cose del mondo, nell'umiltà e nella meditazione, per aderire a Cristo

Gli asceti cristiani sono persone che vengono dal mondo, non perché siano buone, ma perché Dio vuol renderle migliori con una condotta più perfetta, evangelica.

A volte in un determinato momento essi prendono l'audace decisione e si allontanano dalle mondanità che li circondano per condurre vita contemplativa.

Nella filosofia stoica, l'ascesi era una forma di liberazione e purificazione da qualsiasi legame con il mondo, fatta allo scopo di raggiungere la imperturbabilità.

Una simile concezione, che concepisce l'ascesi come una eliminazione del desiderio umano per raggiungere una liberazione integrale, è presente anche nel Buddhismo.

L'ascesi cristiana non è però prima di tutto una rinuncia contro le forze peccaminose e passionali della natura, per raggiungere una imperturbabile armonia inferiore.

L'ascesi cristiana è una « rinuncia per Dio », ossia per meglio aderire a Lui; essa è praticata non per dimenticare il proprio destino mortale, ma per accettare di morire con Cristo, vivendo la rinuncia a se stessi e alle proprie passioni per vivere con Lui la vera « passione », e per aprirsi così più largamente al dono di Dio.

Vie e modi adottati dai cristiani sotto l'azione dello Spirito Santo per purificarsi dal peccato e rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla libera sequela di Cristo.

L'ascesi genuina porta una crescita nella contemplazione e nell'amore di Dio e non è per nulla dannosa alla maturità personale e alla responsabilità sociale.

Cf Contemplazione; Imitazione di Cristo; Mortificazione; Penitenza.

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Proviene dal greco askéo, che in Omero designò il lavoro tecnico per "costruire ingegnosamente" qualche oggetto, poi passò a "sistemarlo", "abbellirlo", quindi all' "allenamento militare ed atletico", dal quale fu agevole salire all'esercizio nella virtù e nella vita spirituale.

Oggi indica lo sforzo metodico per superare gl'impulsi inferiori della natura e progredire verso la perfezione morale e religiosa.

Sua anima è l'allontanamento dal peccato, unito alla purificazione dall'attaccamento alle cose terrestri e dagli appetiti delle passioni, mediante rinunce coadiuvate dal soccorso della grazia divina.

Nella sua forma più vistosa l'ascesi è stata ordinariamente connessa con il monachismo, ma nel suo senso più profondo è obbligatoria per tutti, giacché interpreta la porta stretta imposta da Gesù ( Mt 7,13-14 ) quale condizione di salvezza.

Nell'evoluzione dei tempi e nell'approfondimento dell'analisi interiore è emersa la tendenza a spostare le penitenze dal campo fisico a quello psicologico-spirituale, dal cercare disagi all'accettare quelli che le circostanze comportano, illuminandoli di una visione soprannaturale.

È già tanto accogliere le croci che vengono, ma in adesione di cuore alle disposizioni della Provvidenza.

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Ascesi è una parola classica nel vocabolario della spiritualità.

Appunto perchè classica, ha un senso importante.

Però, può essere una delle parole e realtà più esposte ad estremismi e a sopravalutazioni.

Entrame le cose, lo sforzo ed il metodo, sono costitutivi dell'ascesi.

Altre parole affini sono: lotta, combattimento, disciplina, mortificazione.

Non sono identiche, ma appartengono alla stessa dimensione del cristiano.

Parlando di ascesi cristiana, come si intende fare qui, noi cí riferiamo allo sforzo metodico, comunque esso si manifesti necessario per vivere la sequela di Gesù.

Non parliamo di ascesi evangelica, ma di ascesi e vangelo, e intendiamo dire che l'ascesi cristiana può avere, ed ha veramente, un fondamento evangelico.

L'ascesi, anche quella cristiana, suggerisce subito un forte volontarismo, e certamente il volontarismo ( è un nome nuovo del pelagianesimo ) nega il primato di Dio ( alle volte, l'azione di Dio ), che è una verità essenziale nel cristianesimo.

In questo senso, l'ascesi non è evangelica.

Sembra che anche ai nostri giorni si corra il pericolo di valorizzare in questo modo lo sforzo e che si posponga e si dimentichi il primato della grazia.

Certe volte, non si tratta di un vero pericolo né di una vera caduta, ma soltanto di certi ambienti in cui si sottolineà spontaneamente lo sforzo, per esempio, nei giovani e nei cristiani impegnati.

Occorre tenere presente questa distinzione e questi differenti contesti, se non vogliamo confondere le cose.

Ciò nonostante, l'ascesi non solo è compatibile col vangelo, ma lo stesso vangelo esige e dà chiaramente origine ad una ascesi.

Le parole di Gesù sulla sequela ( Mc 8,34ss e par. ), le parole chiare di Paolo sullo sforzo di chi corre nello stadio ( 1 Cor 9,24-27 ), i consigli a Timoteo ( 2 Tm 2,3 ) sono fondamenti validi.

Il cristiano non li può dimenticare.

La prassi dell'ascesi ha una storia turbolenta e suscita giudizi opposti che vanno dall'ammirazione al disprezzo.

Le manifestazioni della ascesi, soprattutto nei Padri del deserto ( proposti spesso come eroi ), sono alle volte incredibili.

Molte di esse provocano, come minimo, un sorriso maligno o spontaneo.

Mentre ci sono di quelli che godono nel narrare e ricordare quelle storie di famiglia, altri se ne vergognano e preferiscono sottacerle.

Per parte nostra, basta dire che molte di quelle pratiche ascetiche erano fondate su princìpi sbagliati.

Vedremo subito che l'antropologia e l'ascetica vanno di pari passo.

Non si tratta, in questa critica, di una manifestazione, quanto piuttosto di un imborghesimeno poltrone che cerca di giustificare la mollezza.

È probabile che molti imborghesimenti accusino coloro che non volevano saperne di questa mollezza ( il fatto curioso è che in una specie di masochismo strano, ci sono molti borghesi che difendono e sono estasiati di simili manifestazioni! ).

Già san Giovanni della Croce parlava di penitenze bestiali ( epppure san Giovanni della Croce non era certo portato a concedere leggerezze ).

Santa Teresa d'Avila raccomandava la moderazione alle sue monache in fatto di penitenze esterne.

Ricordo questi due rappresentanti della spiritualità cristiana perché sono pacificamente riconosciuti come seri, e nello stesso tempo, soprattutto san Giovanni della Croce, come " duri ".

È innegabile che l'ascesi ha a che fare con l'antropologia che viene professata.

Affermare un dualismo a favore dell' "anima " implica abbandonare il corpo alla morte; affermare il dualismo a favore del corpo implica il disattendere l'anima o renderla schiava.

Ogni dualismo è dannoso all'ascesi.

Nel cristianesimo, ha dominato un'antropologia neoplatonica che ammetteva solo l'unità accidentale dell'anima e del corpo, considerando questo come la parte peggiore.

Il corpo era il " frate asino " di san Francesco, o il " carcere " di santa Teresa, in cui è rinchiusa l'anima.

Forse per questo, l'ascesi ha badato molto al corpo e a quanto appare come corporale: i cibi, il vestito, il clima, i sensi, il sesso …

Il peccato è uno dei punti che dà origine all'ascesi cristiana.

In questo senso, i forti cambiamenti nel concetto e nei campi del peccato toccano irrimediabilmente l'ascesi che chiede di adeguarsi ai tempi.

Soprattutto i peccati di omissione e il peccato sociale sono destinati a causare una ripercussione importante nell'incarnazione dell'ascesi contemporanea.

C'è qui un campo ampio e variegato a seconda delle varie circostanze di luoghi e di tempi.

L'ascesi deve proseguire sulla strada della disponibilità allo Spirito Santo, affermando chiaramente il primato di Dio e il Regno di Dio in un mondo che aspira con forza ad una fraternità effettiva.

Il camminare per questa strada non danneggerà l'ascesi, ma le darà un solido fondamento.

Non danneggerà nemmeno nessuna ascesi corporale.

Infatti, anche il corpo tenderà a dividere il pane, il tempo, il denaro, il sonno, l'alienazione, la lotta.

Cadrà invece molto dell'ossessione del passato intorno a certi punti che erano classici per l'ascesi tradizionale.

Con questa nuova visuale, l'ascesi contribuirà a fare dell'uomo una nuova creatura.

Ascesi e Bibbia

La rifondazione dell'ascesi su base biblica e la riscoperta delle sue espressioni fondamentali ricordano che l'ascesi cristiana non o data da uno sforzo prometeico o eroico, ma sta all'interno della risposta dell'uomo a Dio, che per primo gli parla, si rivolge a lui, lo ama.

Può dunque essere vissuta solo nell'accoglienza del dono dello Spirito che guida il credente a vivere non più nella schiavitù della "carne", cioè in una chiusura egocentrica sul proprio io, ma nella libertà dei figli di Dio che liberamente acconsentono e collaborano all'opera che Dio compie in loro.

C'è una battaglia, una lotta che il cristiano deve condurre contro la mondanità, il peccato, gli idoli del potere, del denaro, del successo, che tentano di distoglierlo dal suo cammino di fede.

Questa lotta è "bella" ( 1 Tm 1,18; 2 Tm 4,7 ) e va combattuta con le armi spirituali ( Ef 6,10-18; Rm 6,13-14; 1 Cor 9,25 ).

L'apostolo Paolo, che ama ricorrere al linguaggio sportivo e a quello bellico, parla del credente come uno che corre allo stadio ( 1 Cor 9,24; Gal 2,2; Fil 2,16 ) verso la meta, che è la comunione con il Signore; in vista di questa comunione occorre "mortificare", cioè mettere a morte ogni desiderio, ogni passione che non sia conforme alla logica dell'evangelo ( Col 3,5 ).

L'ascesi è continuo esercizio del "perdere la propria vita", cioè del morire dell'"uomo vecchio" per diventare una creatura nuova in Cristo ( Col 3,9-10 ), pronta ad accogliere il dono della carità e a riversarlo su tutti gli uomini.

Alla dilatazione della carità è sottomessa ogni forma di ascesi.

La tradizione cristiana ha visto nel digiuno e nella veglia i due principali strumenti d'ascesi; a essi va accostata la preghiera ( Mt 6,5-18; Mc 9,29 ) e tutto ciò che a questa predispone ( la custodia del cuore da pensieri e desideri non evangelici per dimorare nella preghiera continua, la lectio divina, la ricerca di un tempo e di uno spazio di solitudine per ritrovare la presenza del Signore nel proprio cuore ).

La persona intera, anima, corpo, psiche, è coinvolta nella ricerca di Dio.

L'ascesi è dunque dimensione fondamentale della vita cristiana; umile risposta all'amore preveniente, apre il discepolo all'azione trasfigurante dello Spirito.

v. Sequela

Nell'Antico Testamento

L'ascesi israelitica si fonda sulla Shemà Israel, cioè sul primo comandamento: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente" ( Dt 6,4-9, Mt 22,37 ).

L'anima viene orientata a questa totalità dell'adorazione verso Dio solo.

C'è la consapevolezza che può essere solo "il Dio di Abramo e di Giacobbe" lo scopo e il principio di ogni azione dell'uomo, e che l'uomo è nulla lontano dal vero Dio.

Il popolo di Dio è sempre stato invitato o spinto nel deserto perché esso sa distaccare da ogni idolo, cioè da ogni egoismo o vizio, riducendo la vita all'essenziale e preparando alle mistiche elevazioni.

In esso venne forgiato il popolo di Dio: i quaranta anni trascorsi nelle solitudini del Sinai rappresentano nella storia biblica un periodo unico.

I Signore custodì quei pellegrini verso la terra promessa agendo con interventi concreti e visibili.

Li difese dai nemici, li cibò con la manna e calmò la loro sete con acqua sgorgante da macigni.

La loro esistenza era un miracolo continuo.

Gli ebrei nel deserto impararono alcune pratiche ascetiche, specialmente l'espiazione e il voto.

L'espiazione era un giorno di penitenza per ogni israelita, che compariva davanti a Dio sentendosi peccatore, era il giorno più sacro dell'anno, era vietato ogni lavoro, si faceva un solenne sacrificio espiatorio, accompagnato da un digiuno di tutto il popolo.

Celebri i digiuni di Mosè e di Elia, durati quaranta giorni.

Il voto aveva per oggetto un'offerta delle proprie cose, o la privazione di un qualche godimento lecito ( atto coniugale, vino ) o addirittura l'offerta della propria persona, ovvero di quella dei propri dipendenti, come i figli.

I profeti e i loro figli che vennero nelle generazioni successive, se non abitarono continuamente nel deserto vero e proprio come asceti, tuttavia con la loro vita appartata e orante ne realizzarono lo scopo purificatore.

Per Geremia quel periodo appare come il fidanzamento tra Dio e il suo popolo prediletto.

La stessa idea ritroviamo in Amos, Osea, Ezechiele: riportarsi al tenore di vita del deserto significa il ritorno della sposa verso lo sposo; diversamente si scende al livello degli adùlteri.

Se si cade nell'idolatria, l'unica redenzione possibile richiede che Dio privi per un certo tempo il popolo dei suoi idoli ( Os 2,15-24 ).

Isaia fa un passo ulteriore: mostra come le ricchezze di un giusto usate male, lo mettono contro i suoi fratelli e quindi contro Dio ( Is 5,8-24 ).

Anzi, nei cosiddetti Canti del Servo, gemma del Deuteroisaìa, ricorre a un paradosso che è un'anticipazione evangelica: i poveri, gli emarginati dai potenti, possono essere benedetti da Dio nella loro desolazione.

Siamo alla cuspide della Rivelazione nell'Antico Testamento: sul capo del Servo si sono accumulate tutte le miserie possibili, è ritenuto castigato da Dio stesso; e tuttavia è il più fedele al Signore, anzi è l'unico nel quale Dio si compiace ( Is 53,1-12 ).

Dunque non solo il peccatore può essere colpito da Dio in vista della sua guarigione spirituale, ma la sofferenza di un giusto acquista un senso redentivo per gli altri peccatori.

Nella stessa scia dei profeti, numerosi Salmi presentano il povero come colui che non ha più nulla in cui riporre speranza, tranne Dio solo, e di lui Dio riconosce e accetta la fede.

Come tappa di intensità ascetica nell'Antico Testamento, si cita infine il complesso dei libri apocalittici.

Il loro tema comune è che il mondo creato da Dio è preda delle potenze delle tenebre.

Per conseguenza, chi pone la sua speranza nelle cose del mondo si rende schiavo delle potenze ribelli a Dio; però il Regno di Dio dovrà venire, allora sarà abbattuta la vana sicurezza dei regni terreni.

Per disporsi a questa alba futura, occorre l'ascesi, cioè rompere l'alleanza con tutte le potenze che pretendono di regnare al posto di Dio.

Ciò significa rinunciare a ogni compromesso con il secolo presente.

Per questo, nei secoli apocalittici, quelli alla vigilia della nascita di Gesù, fioriscono in Palestina comunità ascetiche di nuovo tipo, un abbozzo di quello che nel cristianesimo sarà la vita monastica, dove le rinunzie volontarie ai piaceri assumono un posto di rilievo.

Da una di quelle comunità, gli Esseni di Qumran, sorge Giovanni Battista, il Precursore, che vive da eremita nel deserto.

Egli invita gli uomini alla metànoia, cioè a una trasformazione completa della mentalità, per prepararsi alle vie di Dio che non sono le nostre vie ( Mt 3,1-12 ).

Nel Nuovo Testamento

L'ascesi cristiana viene orientata in modo definitivo da Cristo stesso: egli dà un mirabile esempio di combattimento spirituale durante la quarantena nel deserto, rispondendo alle tentazioni.

L'insegnamento è chiaro: ai discepoli che domandano perché non poterono scacciare il demonio da un ragazzo, risponde che quella specie di demòni si può scacciare solo con preghiera e digiuno, cioè la preghiera è più autentica se accompagnata dalla penitenza.

Qui sta tutta l'ascesi cristiana.

La mortificazione infatti è un modo per ribadire a se stessi la maggiore stima in cui teniamo i valori spirituali rispetto a quelli corporali.

Gesù invita a risorgere rinunciando alla superbia e agli altri vizi, portando la propria croce per conquistare il Regno dei cieli che è essenzialmente amore ( cfr. Mt 16,24; Lc 13,22-30 ).

Seguendo la sua via ci si inoltra nella purificazione del cuore ( circoncisione del cuore in linguaggio biblico ) di cui già aveva parlato il profeta Geremia, cioè il cambiamento del nostro cuore di pietra, inviluppato nel peccato, in un cuore vero di carne.

Sulla via del Cristo-Dio, l'eros, che è l'amore umano decaduto, capace solo di prendere, viene soggiogato dalla agapè, dall'amore dell'amicizia divina capace solo di donarsi.

Ormai il motto ascetico dopo Cristo è mettersi "alla sequela di Cristo"; e siccome Cristo è stato crocifisso, il primo modello dell'asceta cristiano è il martirio, parola greca che significa testimonianza.

I cristiani quindi non possono prendere dimora in questo mondo come se fosse una casa permanente.

Appena però l'ostilità del mondo verso i cristiani diminuisce, aumenta la tentazione della sistemazione comoda ed egoista.

Allora gli asceti si esercitano a fare a meno di tutto ciò che dovranno lasciare quando Cristo chiamerà l'anima a sé con la morte corporale: Origene e altri Padri della Chiesa considereranno martirio una vita condotta con questo scopo.

San Paolo insiste sul tema dell'allenamento e del combattimento spirituale: ( 1 Cor 9,24-27; Ef 6,10-18; cfr. anche Eb 12,11-13 ).

In San Paolo il termine ascesi compare nel paragone tra la pratica della vita cristiana e gli esercizi atletici ( Fil 3,13-14 e 2 Tm 4,7 ), e gymnazein compare in 1 Tm 4,7-8; Eb 5,14 e Eb 12,11, ( indicando la lotta spirituale ).

Oppone infatti tra loro la carne e lo Spirito: diverranno un argomento ascetico per definizione.

Per carne egli intende non il corpo umano come tale, dato che è opera di Dio, destinato a diventare membra di Cristo e tempio dello Spirito Santo, bensì intende ciò che tutto l'essere umano, corpo e anima, diventa quando si è separato da Dio: un istinto egoistico disordinato.

Confronta Rm 8,5-13 e Gal 5,13-25.

In modo simile San Giovanni Apostolo ed Evangelista oppone il mondo a Dio: per mondo intende non quello creato da Dio, ma quello ribelle a lui, quello che organizza tutto non in funzione dei piani divini, ma in sfruttamento della corruttibilità umana ( 1 Gv 2,15-17 ).

Un mondo simile vuol affermare se stesso come assoluto, quindi spinge al godimento immediato e nega ogni trascendenza: per quel mondo tutto è di Cesare!

Ecco perché San Paolo loda il celibato quale mezzo per una più libera fedeltà a Cristo ( 1 Cor 7,1-9; 1 Cor 7,25-38 ).

Anche la povertà rende l'uomo più libero nei riguardi del mondo, e l'obbedienza ad altri lo rende libero dalla sua volontà egoista.

Sono virtù ascetiche.

In questa prospettiva, nei secoli seguenti, cominciano a prendere tutto il loro significato i tre voti monastici che rendono integralmente disponibili per Cristo.

Non solo gli asceti del deserto, ma tutti i cristiani senza eccezioni devono tendere a sobrietà, castità e obbedienza: la differenza rispetto ai non-asceti non sta nel trascurare i consigli evangelici, ma sta nella loro pratica saltuaria anziché quotidiana.

Anche il "laico" farà occasionalmente un'elemosina, digiunerà alcune volte all'anno, si imporrà periodiche astinenze sessuali praticando la castità matrimoniale, farà ogni tanto la volontà di parenti o amici invece di fare la propria: in tali situazioni, senza aver emesso "voti", il laico realizza una perfezione a lui possibile, e in questo è molto più vicino a Dio rispetto a un asceta che ha promesso penitenze quotidiane, ma che poi non le praticasse.

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I. Con il termine ascesi,

che deriva dal greco askesis ( = esercizio ), comunemente s'intende l'insieme degli sforzi mediante i quali si vuole riuscire a progredire nella vita morale e religiosa.

Nel suo significato originario, il termine indicava qualsiasi esercizio, fisico, intellettuale e morale, svolto con una certa metodicità in vista di un progresso.

In ambito cristiano, l'a. assunse molteplici significati: mortificazione, penitenza, esercizio di virtù per il conseguimento della perfezione.

A questo termine sono collegate le parole ascetica, dottrina riguardante l'a., ossia l'impegno costante a realizzare una progressiva perfezione spirituale; ascetismo, che indica sia la dottrina che la pratica degli asceti, ossia lo stato di coloro che si dedicano ad esercizi rigorosi di pietà.

L'a. è, dunque, la ricerca della perfezione.

Nell'esperienza cristiana essa tende ad un adattamento sistematico di tutta la vita del credente a quell'immagine e somiglianza di Dio, inscritta nell'anima al momento della creazione; è lo sforzo di armonizzare la vita con la fede per mezzo di una continua morte di croce, secondo il linguaggio di Paolo.

Essa, pertanto, non è il fine ultimo della vita cristiana, bensì una mediazione strumentale per raggiungere l'unione con Dio Padre.

Se sono sorte deviazioni, esagerazioni o confusioni nella pratica dell'a. è perché si è instaurata, erroneamente, una sorta di identificazione tra l'opposizione, di matrice greca, dell'anima e del corpo e l'opposizione di cui parla Paolo tra " la carne " e lo " Spirito ".

Sulla base di questo dualismo tra corpo e anima, in un passato piuttosto recente, la teologia ha presentato il cammino spirituale in due tappe successive: esperienza ascetica ed esperienza mistica.

L'a., obbligatoria per tutti, si concretizzava nell'impegno di realizzarsi con l'aiuto della grazia in uno stato virtuoso, mentre la mistica designava un dono di eccezionale perfezione spirituale accordato dallo Spirito, con il quale l'anima collabora per lo più passivamente.

Nella teologia contemporanea si preferisce affermare che il cristiano è, in modi e forme diverse, asceta e mistico, virtuoso e spirituale allo stesso tempo, operante per virtù propria e sottomesso all'influsso dello Spirito del Risorto.

Ogni cristiano, infatti, in virtù del battesimo e in stato di grazia, è in germe pneumatizzato dalla Pasqua di risurrezione, quindi, in comunione con lo Spirito di Cristo.

Posti questi principi, rimane il fatto innegabile che il cristianesimo propone un'a. che si fonda sulla carità, in virtù della quale si rinuncia a tutto ciò che impedisce il tendere alla perfezione evangelica.

Per cogliere pienamente il significato dell'a. cristiana, è opportuno studiarne le motivazioni che si manifestano, gradatamente, nella storia del popolo di Dio, alla luce della Parola e delle provvidenziali esperienze degli uomini di Dio.

Soprattutto, occorre tener presente il fatto che ogni a., caratterizzata dalla carità che lo Spirito effonde nell'anima in stato di grazia, imprime un orientamento caritativo a tutto l'agire morale, anche se non se ne ha la coscienza esplicita.

II. Nella Sacra Scrittura.

Fin dalle prime pagine della Genesi, in tutto il racconto della creazione si ripete che tutto ciò che esiste è buono in sé ( cf Gen 1,31 ).

Ne segue immediatamente che il dono di Dio agli uomini delle cose buone della creazione costituisce un tutt'uno con la benedizione divina.

Il peccato dei primogenitori non cambierà sostanzialmente questo primo dato.

Le benedizioni dei patriarchi, difatti, ripeteranno quelle della creazione ( cf Gen 49 ): saranno sempre legate al dono.

Anche la pasqua, prima alleanza redentrice con il popolo d'Israele, comporterà un dono: la terra promessa.

Ma, appena Israele si sarà stabilito nel paese della promessa, dimenticherà il suo Dio.

Più precisamente, si vedrà drammaticamente diviso tra la scelta dell'unico Dio e i suoi doni.

Di qui il peccato fondamentale del popolo che si manifesterà come vera e propria idolatria.

In altri termini, Israele, sfruttando le ricchezze della terra, porrà se stesso come centro del creato.

In questa ricerca affannosa delle ricchezze e nell'assicurarsi un futuro tranquillo, Israele dimenticherà il Dio dei suoi padri.

Nel medesimo tempo, la soddisfazione dei propri appetiti insaziabili trascinerà il popolo d'Israele verso l'ingiustizia.

Per i profeti, il peccato d'Israele è innanzitutto questo complesso d'idolatria e di ingiustizia.

Tutto questo sarà espresso da Osea nell'immagine dell'adultera applicata al popolo infedele ( cf Os 2,7-10 ), quasi spiritualmente soffocato dal godimento dei beni elargiti da Dio.

In questa situazione, Dio stesso interverrà, per privare, per un certo tempo, l'uomo di questi beni, in modo che egli lo riconosca di nuovo come l'unico vero Dio e Signore della propria vita.

Isaia, a sua volta, inveisce contro gli accaparratori di ricchezze perché queste li allontanano da Dio e li mettono contro i propri fratelli.

Per Geremia i ricchi sono maledetti nelle loro ricchezze, mentre i poveri vengono benedetti da Dio nella loro desolazione: riprovati, considerati traditori della patria, imprigionati, essi trovano in Dio sicurezza e protezione.

La verità, ancora velata nell'insegnamento di Geremia, si fa molto più esplicita nei carmi del Servo sofferente del Deutero-Isaia.

Il profeta preconizza un uomo sul cui capo si sono accumulate tutte le miserie possibili, ma proprio lui è l'unico servo fedele di JHWH, l'unico del quale egli si compiace ( cf Is 53,4-5 ).

In questa prospettiva si verifica, allora, che Dio colpisce il peccatore in vista della sua guarigione, mentre la sofferenza del giusto acquista un senso redentore per gli altri uomini peccatori, come nel caso del Servo sofferente, di Giobbe e di altri personaggi dell'AT.

Tra i libri apocalittici, quello di Daniele, insiste sul fatto che il regno di Dio è vicino.

Per disporsi a questo avvento del Re dei secoli, occorrerà rompere l'alleanza con tutte le potenze umane che pretendono di regnare al posto di Dio, il che vuol dire rinunciare a ogni sistemazione nel mondo presente.

Non fa, dunque, meraviglia se nell'epoca in cui fioriscono gli scritti apocalittici sorgono in Israele alcune comunità di tipo completamente nuovo: ci si separa dalla massa per vivere una vita più fedele a Dio, in cui le rinunce volontarie e la preparazione alle prove dei tempi messianici assumono un posto di rilievo.

Ci si ritira nel deserto per andare incontro al regno futuro.

E da queste comunità che sorge il Battista.

Asceta e profeta, grida nel deserto alle folle che vanno da lui, invitando alla metánoia, vale a dire a una conversione totale dell'uomo per prepararsi a quelle vie di Dio di cui parlava Isaia e che non sono le sue vie ( cf Mt 3,1-3 ).

Giovanni Battista rappresenta una vita ascetica che prepara, attraverso digiuni, astinenze, privazioni, solitudine, preghiera, il regno del Messia.

Nel NT, Gesù si pone nel solco del Battista: " Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua " ( Mt 16,24 ).

Quando Paolo vorrà dare una spiegazione del profondo significato della croce del Maestro esclamerà: " Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù … ( il quale ), pur essendo di natura divina, … umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte … di croce " ( Fil 2,5-8, passim ).

È chiaro in questo testo il parallelo tra Adamo e Cristo così familiare a Paolo ( cf Rm 5 e 1 Cor 15 ).

Adamo aveva voluto ottenere con un atto di rapina l'uguaglianza con Dio, quindi, aveva rifiutato di essere un servo, di umiliarsi, di obbedire.

Pretendendo l'indipendenza da Dio aveva fatto rovesciare su tutta l'umanità proprio quelle miserie che l'umiltà, l'obbedienza e l'annientamento del Servo fedele cancelleranno.

L'accento si sposta, con Paolo, sulla lotta spirituale che il cristiano dovrà ingaggiare sia nella propria vita, sia in quella apostolica; la vita cristiana è lotta e combattimento ( cf 1 Cor 9,24-25.27 ).

Per giustificare tale pratica, Paolo esorterà alla vigilanza: " Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza.

Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo.

La nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti " ( Ef 6,10-12 ).

Del resto, lo stesso Signore aveva dato l'esempio della lotta contro satana quando, prima di iniziare la vita pubblica, era andato nel deserto per esservi tentato ( cf Lc 4,1-13 ); in seguito, insegnerà a scacciare i demoni e le tentazioni con il digiuno e la preghiera ( cf Mc 9,29 ), come per dire che la preghiera è più efficace se accompagnata dalla penitenza.

Per un discepolo di Cristo il termine a. evoca tutti questi aspetti sopra menzionati.

In realtà, è Cristo stesso che apre la via ai discepoli perché seguano le sue orme, come dice Pietro ( cf 1 Pt 2,21 ).

Seguendo questa via, si va verso la purificazione del cuore, o per dirla con Geremia, la circoncisione del cuore ( cf Ger 4,4 ), la trasformazione del cuore di pietra in un vero cuore di carne ( cf Ez 36,26 ).

Il motivo giustificante l'a. cristiana sta, dunque, nel seguire il Cristo della croce e della gloria.

E proprio per questo il primo ed eterno modello dell'asceta cristiano sarà il martire.

Andando incontro alla morte per essere fedele a Cristo, il martire-asceta attesterà il potere salvifico della croce gloriosa.

Su questa base biblica, nel corso dei secoli verranno a enuclearsi tre formulazioni di a.: quella di compartecipazione, di riparazione e di sostituzione.

La prima, cioè la condivisione della croce di Cristo, è la via inevitabile per condividere la sua stessa gloria, cioè la vita nuova in lui ( cf 2 Tm 2,11-12 ).

Molto di più, l'a. concepita come riparazione vede l'uomo impegnato a pagare di persona per ottenere la salvezza operata da Cristo per tutta l'umanità.

Difatti, secondo l'affermazione di Pietro, Cristo non ha sofferto per dispensare il cristiano dalla sofferenza, ma perché ne potesse seguire le orme ( cf 1 Pt 2,21 ).

Di conseguenza, lo sforzo ascetico assume il significato di adesione, o più precisamente di riparazione, all'amore del Cristo crocifisso, contristato per i peccati dell'umanità, pur restando egli l'unico che può riparare veramente il peccato-offesa all'amore divino.

Infine, l'a. di sostituzione vuole il cristiano partecipe, coscientemente e liberamente, di quella duplice solidarietà con Cristo e con i fratelli.

Tale solidarietà gli permette di cooperare alla salvezza del mondo e di se stesso tutte le volte che, per la fede, egli fa sue le sofferenze del Crocifisso ( cf Col 1,24 ).

III. Dimensione teologica dell'a.

L'a. cristiana è autentica solo se collocata entro l'orizzonte del mistero pasquale.

Per questo motivo, l'a. del cristiano può essere nel suo significato più profondo soltanto partecipazione all'a. di Cristo, quindi, a. di croce.

Tale partecipazione, libera e volontaria, alla morte salvifica del Cristo, posta quale fondamento nel battesimo, deve venire accettata sempre di nuovo ed esplicitarsi in un morire continuo con Cristo ( cf 1 Cor 15,31; 2 Cor 4,10-12 ).

In questa prospettiva ascetica si può parlare della vita cristiana come evento pasquale quando nei solchi della storia quotidiana gli atti di rinuncia e di superamento di sé costituiscono una " pasqua ", cioè un passaggio dalla morte alla vita, un'attuazione dell'iniziazione battesimale, che è essenzialmente il vissuto concreto della pasqua del Signore in ciascuno dei membri del suo corpo.

Solo in questa prospettiva, l'a. cristiana lungi dallo scadere in qualche sospetto dolorismo, rimane uno sforzo di liberazione, nella fede dalla morte del peccato.

Se dalla considerazione della lotta al peccato si passa a quella del progresso spirituale, si trovano altri motivi teologici per giustificare la pratica dell'a. nella vita cristiana.

Il primo è dato dalla carità.

Difatti, solo un grande amore può esigere il dominio del corpo per imporgli dure mortificazioni.

Forte di questo amore divino, il cristiano ingaggia, così, una lotta serrata contro l'amor proprio e l'egoismo, veri e propri ostacoli alla vita cristiana.

L'altra dimensione dell'a. è quella escatologica.

Infatti, il cristiano è homo viator, cioè un pellegrino in viaggio verso la Gerusalemme celeste.

Egli si trova alla penultima tappa di tale peregrinazione, nel tempo compreso tra il già della salvezza offerta da Dio nel suo Figlio Gesù Cristo e il non ancora del manifestarsi della gloria nei nuovi cieli e in una terra nuova ( cf 2 Pt 3,13 ).

Pur esule in questo mondo, ospite e viandante, tuttavia è già concittadino dei santi e familiare di Dio ( cf Ef 2,19 ) in Cristo Gesù, nella patria beata, dove non ci saranno morte né lutto né affanni, né tantomeno sofferenze ( cf Ap 21,4 ), perché la sofferenza è stata cambiata in gioia ( cf Gv 16,20 ).

Per questo motivo, Pietro esorta a partecipare alle sofferenze del Cristo con gioia, perché nella rivelazione della sua gloria futura si possa esultare e godere per sempre dell'unione con Dio Trinità d'amore ( cf 1 Pt 3,12-19 ).

In questa visione teleologica, si può affermare che la stessa ed unica realizzazione del mistero pasquale, mistero di morte e di vita, presenta due aspetti indissociabili tra loro: l'a. e la mistica.

Difatti, " l'a. è … parte essenziale della mistica, se per mistica intendiamo l'esperienza del mistero pasquale, vissuto nel suo duplice ma unico movimento di morte-vita … ".

IV. A. e mistica

Secondo K. Rahner l'a. cristiana, " essendo partecipazione alla morte di Cristo dev'essere considerata dal punto di vista della passibilità e della morte reale dell'uomo ".

Nel mistero pasquale al quale il cristiano è associato in virtù del battesimo, egli rivive il movimento dialettico di morte-vita nel compimento del pieno sviluppo della vita di grazia, allentato e infirmato dal peccato.

Di qui la consegna del cristiano a superare dentro di sé la tendenza al peccato che si configura in quel conflitto interiore tra il bene e il male ( cf Rm 7,18-23 ).

Tuttavia, pur con questa conflittualità, la tensione lacerante può placarsi nell'unica esperienza dell'amore.

La morte-peccato e la vita-bene fanno parte integrante dell'uomo.

Nell'esperienza dell'amore la sequenza di queste due dimensioni non si chiude su una sorte di reiterazione senza fine.

C'è una meta escatologica verso cui tende l'uomo pur lacerato dalla sua tensione interna ed è il luogo dell'eternità.

L'uomo viene dalle mani di Dio e ritorna a lui, nel suo grembo d'amore.

La vittoria sulla morte è una sorta di ri-creazione che permette all'uomo di ritornare a vita nuova come cantava Isaia ( Is 26,19 ), vita nuova dove non c'è più la morte né il lutto né lamento né affanno, " perché le cose di prima sono passate " ( Ap 21,4 ).

Per questo motivo, l'a. invita il cristiano a partecipare ai patimenti del Cristo ( cf Paenitemini 6 e 7 ).

In questo modo la sofferenza non è una pura disgrazia, ma un dono d'amore unito a quello del Cristo sofferente per divenire sorgente positiva di bene, capacità espiatrice e beatificante; insomma, la sofferenza è mezzo efficace per la propria e altrui redenzione.

L'uomo quindi è invitato ad alleggerirsi della sofferenza, frutto del peccato, inserendola in quella emblematicamente incarnata dal Cristo uomo dei dolori.

Solo così egli scopre che l'atto di sofferenza o di morte è altamente fecondo e liberatore, perché lo schiude a vita nuova e gli permette già qui e ora di godere anche se parzialmente e tra i veli della vita stessa di Dio.

In questa lotta che si svolge all'interno dell'uomo tra carne e spirito non sempre è facile riconoscere la fragilità del proprio essere creaturale impastato di polvere e di miseria.

E questo il peccato di satana che non riconosce la sua dipendenza da Dio, promuovendo l'incredulità che rifiuta di riconoscere il Signore Gesù ( cf 2 Cor 4,4 ), l'aberrazione dell'idolatria ( cf 1 Cor 10,19-20; Rm 1,21-22 ), il culto dell'uomo al posto del Dio di Gesù Cristo ( cf 2 Ts 2,3-4.9-11 ).

L'opzione per Cristo deve includere la volontà di lottare rivestendosi " dell'armatura di Dio " ( Ef 6,11 ) contro " il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli … " ( Ef 2,2 ).

Scopo ultimo dell'a. è, dunque, prendere coscienza della propria creaturalità, accettandola come tale, cioè come dono di Dio e, allo stesso tempo, praticare la giustizia nel senso di riconoscere in Dio l'unico Signore.

Si tratta di una sorta di nostalgia del divino, di recuperare la purezza dell'immagine e somiglianza di Dio impressa in ogni creatura umana, di un'implorazione a Dio per non precipitare nel gorgo del male.

Questa è un'esperienza da non accantonare troppo facilmente come vuole certa cultura contemporanea.

È un'esperienza che esorcizza ogni orgoglio, ogni prepotenza, ogni illusione di salvarsi da soli.

Da un lato è quindi necessario prendere coscienza del proprio limite creaturale; dall'altro lato, però, deve crescere il senso della liberazione e della salvezza che viene da Dio.

In questo senso è emblematico il canto del Miserere, canto della colpa e della liberazione salvifica: " … Crea in me, o Dio, un cuore puro …

Ridammi la gioia della tua salvezza " ( Sal 51,12.14 ).

E questo il canto del trionfo del Cristo pasquale che trasformando la morte in sonno apre all'alba dell'eterno Vivente, il che vuol dire che il destino dell'uomo va oltre i suoi stessi confini di creatura per approdare nella gioia della comunione divina ( cf Sal 16,10-11 ).

Questa verità dell'uomo dinanzi a Dio è stata incarnata in Gesù che ha indicato la strada del recupero di se stesso: " Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua " ( Mt 16,24 ).

Rinnegare se stessi vuol dire un continuo esercizio di a. che non riguarda episodici e piccoli atti quotidiani, bensì un atteggiamento di accettazione della propria creaturalità, quindi accoglienza della verità di se stessi come creature dipendenti da Dio.

In questo modo, si supera la ricorrente ed originaria tentazione di diventare come Dio ( cf Gen 3,5 ), annullando la volontà di potenza, di gestire da padroni la propria vita.

E un'esperienza che annulla ogni forma di orgoglio recuperando quella verginità e purezza interiore che in passato divenne la forma più alta di a.

Il problema se l'ascesi porti alla mistica e la mistica produca l'a. è presente in tutta la tradizione cristiana, quindi percorre tutta l'esperienza umana, a partire dallo sconcertante appello evangelico delle beatitudini che propongono all'uomo un ideale altissimo: " Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste " ( Mt 5,48 ), passando attraverso l'inquietum cor nostrum di Agostino.

In realtà, il destino dell'uomo è l'infinito, egli tende connaturalmente all'infinito di Dio ed è proprio in quest'apertura all'assoluto di Dio che risiedono l'attività del desiderio umano e la passività dell'accoglienza divina ( S. Bernardo ): è un passaggio dalla nostalgia della pienezza di Dio all'accoglienza della sua luce assoluta e pura, luce che illumina la propria cecità o i propri limiti e permette di riconoscere la vera relazione di sé di fronte a Dio.

Giovanni della Croce, quando parla di " conoscenza amorosa " di Dio introduce l'immagine della fiamma viva d'amore, fiamma che non solo consuma, ma trasforma l'uomo: " Prima che questo fuoco d'amore s'introduca nella sostanza dell'anima e si unisca ad essa come purificazione completa e perfetta, la fiamma divina, cioè lo Spirito Santo, ferisce l'anima, distruggendone e consumandone l'imperfezione degli abiti cattivi.

Con questo lavoro, egli la dispone all'unione e trasformazione d'amore in Dio … ". ( Fiamma viva d'amore I, 19-25 )

L'amore divino non è, dunque, solo fonte di a. ma anche conseguenza dell'a.

La forza dell'amore, secondo Giovanni della Croce è quella di rendere l'uomo uguale a Dio, di trasformarlo in lui e a lui ridonarlo ( igualidad, transformación, reentrega ), perché possa trovare la sua piena realizzazione in Dio dopo che questi ha bruciato con le fiamme del suo amore le forze negative dell'anima.

Il cristiano si trova, così, a collaborare attivamente, lasciandosi passivamente agire dalla grazia divina.

A questo punto si sviluppa una stretta relazione tra natura e soprannatura, tra l'azione di Dio e l'attività dell'uomo.

Si può solo affermare che l'attività del cristiano consiste nel disporsi con atti di carità all'azione di Dio, che introduce e fa crescere nella vita secondo lo Spirito.

Tali atti svolgono un ruolo eminentemente positivo, giacché Dio ha voluto che l'uomo cooperasse alla propria salvezza.

Tuttavia, si tratta soltanto di una disposizione che non assicura affatto il progresso spirituale, dovuto soprattutto all'azione divina.

Il fondamento di una vita ascetico-mistica va, quindi, ricercato nel fatto che Dio ha voluto la collaborazione dell'uomo alla propria salvezza, operata dallo Spirito di Cristo.

La cooperazione del cristiano, oltre ad accogliere l'azione trasformante dello Spirito, tende ad assecondarla sul piano esistenziale, per poi testimoniarla in dimensione ecclesiale.

In questo modo, il cristiano lascia trasparire da tutta la sua esistenza questa trasformazione ascetico-mistica avvenuta nel suo intimo, cioè il fatto di essersi veramente spogliato dell'uomo vecchio con le sue azioni e di essersi rivestito del nuovo con atti d'amore, uomo nuovo che si rinnova sempre, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore ( cf Col 3,10; 2 Cor 5,17 ).

Nei più alti vertici dell'unione mistica d'amore gioca un ruolo molto importante l'a. come vigilanza, cioè l'attesa con il capo eretto, spiando la venuta dello Spirito.

Tale vigilanza è, altresì, speranza nella radiosità di quell'alba che è vita divina, anche quando la notte della purificazione avvolge l'anima e la trasforma.

E lotta contro ogni forma di egoismo per potersi abbandonare in pura nudità all'azione divina, raggiungendo così la mistica comunione d'amore con le divine Persone.

In breve, la vigilanza è celebrazione del distacco da se stessi e dalle creature tutte, celebrazione della vittoria sulla tentazione, celebrazione dell'a. che si traduce così in ascensione verso Dio.

Chi è impegnato nelle vie dello Spirito in una profonda vita d'intimità divina non può mai cogliere il frutto ultimo del suo sforzo ascetico, perché esso è grazia divina.

Il Signore dei giorni, come lo Sposo del Cantico è solito nascondere di tanto in tanto sua divina presenza, in periodi di apparente assenza e aridità desertica dello spirito, affinché la sposa, per rimanere nell'immagine, si purifichi dalle scorie del suo egoismo.

L'infinita purezza o santità dello Sposo, proprio perché è amore, esige questi momenti di purificazione ( H.U. von Balthasar ).

Ma, proprio in quei momenti di sconcertante aridità, Dio rivela il suo amore.

Proprio allora egli sta purificando la sua amata creatura per condurla, attraverso la prova interiore, a una trasparenza sublime, dalle tenebre alla luce.

In questo tempo così lacerante, è opportuno lasciarsi guidare dalla costanza, virtù tipica del deserto spirituale.

Questa sola può condurre la creatura umana dalla terra alle vette altissime della grazia divina, per farla approdare, negli ultimi tempi, alla luce di quel giorno senza tramonto.

L'a., insomma, rappresenta per così dire la ricerca, mentre la mistica conclude tale ricerca: verità questa che si può evincere dal simbolo della croce.

Le due traiettorie di quest'ultima raffigurano le dimensioni dell'evento salvifico comunionale che su di essa si consuma.

Da una parte, c'è il palo conficcato nella terra, quindi nella storia degli uomini; l'altro lato del palo, però, rivolto verso l'alto, tocca idealmente il cielo, perché sostiene il Crocifisso per amore, che raccoglie in sé l'umana realtà e l'infinito di Dio.

L'asse trasversale della croce comprende e celebra così il mistero della morte e della vita, le due facce unite indissociabilmente dell'a. e della mistica.

V. Il rapporto tra a. e psiche.

Alla luce di quanto detto prima si può delineare la morfologia dell'asceta: un uomo spirituale che, da un lato, tiene sotto controllo gli elementi spirituali e corporali sregolati della sua persona; dall'altro, attraverso l'esercizio ascetico, volontario ed equilibrato, tende al progresso personale, cioè alla ricerca di una unificazione interiore e dell'assoluto di Dio.

In breve, lo sforzo ascetico-metodico, che mira, con la forza dell'amore, a ristabilire dentro l'uomo i legami tra il mondo della carne e quello dello spirito, tra l'uomo e gli altri uomini e tra se stesso e Dio, è sotteso da una certa concezione dell'uomo, variabile a seconda delle epoche.

Per questo motivo l'a. cristiana, in quanto metodo, è " al servizio della vita e cercherà di accordarsi alle nuove necessità … ".

Resta il problema di capire come realizzare l'equilibrio tra la vita spirituale in crescita e la psiche che non sempre sottostà ai comandi dello spirito, anzi, a volte, reagisce in forme patologiche più o meno lievi o gravi.

La sapienza della tradizione orientale ed occidentale consiglia in questi casi di conflitto, quando cioè la psiche non vuole obbedire al controllo della parte spirituale, di incanalare l'energia negativa - che si traduce in malattia se non governata - in azioni, impegni e gesti gratificanti, ove tale energia viene trasformata in positiva, quindi, benefica per l'uomo spirituale, impegnato in un cammino spirituale sano ed equilibrato.

E in questa luce che viene interpretata la psicologia dell'a. cristiana, intesa non come repressione delle tendenze perniciose dell'uomo, ma come sforzo metodico, cioè come esercizio riguardante tanto lo sviluppo delle attività virtuose quanto l'incanalamento delle tendenze disordinate.

Secondo J. Maréchal, l'a. è soprattutto un " ridurre positivamente le attività inferiori a mettersi con perfetta docilità agli ordini dello spirito ".

Ora sottomettere non vuol dire annientare.

Queste attività, infatti, rimangono sempre come condizione, sostegno e strumento di efficienza.

A questo punto si può accennare a due prospettive con le quali va considerata l'a.

In senso ristretto, cioè limitato all'aspetto puramente negativo, l'a. viene concepita essenzialmente come rinuncia, ossia come repressione delle tendenze perniciose dell'uomo, come mortificazione e penitenza.

In un senso più ampio, che assomma tanto l'aspetto negativo quanto quello positivo, l'a. assume il significato di sforzo metodico, o di esercizio riguardante sia lo sviluppo delle attività virtuose sia l'imbrigliamento delle tendenze disordinate.

La seconda nozione di a. nasce da una visione integrale e realistica dell'uomo.

Il concetto di integrazione sembra contrapporsi a quello di rinuncia o di repressione, sul quale insiste la maggior parte degli autori.

In realtà, non vi è opposizione fra i due concetti; vi è soltanto una differenza di prospettiva.

Sulla base di questa concezione più positiva del processo ascetico, l'a. sembra acquistare una maggiore efficacia educativa.

In tal caso, essa avrà il compito di ravvivare uno spirito essenzialmente soprannaturale, praticare la moderazione nell'uso dei mezzi, cercare sempre un sano adattamento alle condizioni umane del soggetto in questione.

Insomma, l'a. è chiamata a perfezionare, non a deformare l'uomo, cioè a ristabilire l'armonia tra contrastanti tendenze che si agitano entro l'essere umano ( cf Rm 7 ).

Nel suo aspetto umano, l'a. tende a ristabilire questo equilibrio psichico.

Nel suo aspetto soprannaturale, essa tende a raggiungere la perfezione cristiana.

Ora, siccome il vertice di tale perfezione consiste nella dedizione totale e amorosa alla volontà di Dio, s'impone necessariamente un previo lavoro di purificazione della propria volontà.

L'a., la purificazione, il silenzio hanno proprio lo scopo di creare questo vuoto necessario dell'io per collocarvi il tutto di Dio, per dirla con Giovanni della Croce.

Per tendere al compimento perfetto della volontà di Dio, l'a. si sforzerà di scoprire l'ideale assegnato da Dio al soggetto in questione, di puntare a questo ideale come scopo della vita e, infine, di realizzare questo ideale secondo le leggi della psicologia.

Sia nel suo tendere come nel suo progressivo adeguarsi ad un ideale, l'a. implica necessariamente lo sforzo di ciascun individuo, con una sua particolare psicologia.

Ma è anche vero, che l'a. cristiana, proprio perché tale, deve tener conto anche e soprattutto dell'orizzonte soprannaturale o di fede, entro cui è inserita.

In altri termini, il cristiano, per liberarsi dal peccato e per crescere nella vita soprannaturale, ha necessariamente bisogno dell'aiuto della grazia, delle grazie sacramentali e delle molteplici grazie che Dio può concedergli.

Ciò vuol dire che il progresso spirituale non dipende dallo sforzo ascetico né gli è direttamente proporzionale; è Dio che infonde e fa crescere le virtù teologali, che costituiscono la sostanza della vita spirituale.

Tuttavia, è necessaria un' a. di educazione che " educe " cioè trae fuori dall'intimo l'immagine e somiglianza di Dio, l'uomo armonizzato ed equilibrato che, nella pacificazione spirituale, ritrova dentro di sé la tensione all'infinito di Dio.


Schedario biblico

Seguire Gesù Cristo E 19
v. Penitenza

Magistero

Catechesi Paolo VI 25-2-1970
È una scuola austera e fervorosa la sua;
tende a formare uomini nei quali la vita religiosa e la vita morale sono strettamente collegate, e scambievolmente collaboranti, uomini molto vigilanti sia sopra di sé, sia sulla qualità delle impressioni esteriori, uomini capaci d'imporre a se stessi certe norme e certe rinunce ad esperienze, le quali sembrano, a prima vista, molto interessanti e facenti parte del programma di una esistenza piena e moderna, e disposti nello stesso tempo a qualificarsi con un tacito, ma forte impero della propria volontà nella pratica, libera e impegnativa, di date virtù che Cristo, con la parola e con l'esempio, ci insegnò.
Catechesi Paolo VI 4-4-1973
La vita cristiana è un'autodisciplina; esige una padronanza di sé, esige uno sforzo continuo, come lo esige un equilibrio, un ordine, una milizia, un progresso, un'ascensione …
Catechesi Paolo VI 14-8-1974
È l'esercizio faticoso e perseverante di quella padronanza di sé ( « encrateia » di Socrate ), che frena la spontanea e disordinata inclinazione a vivere d'istinto e di passione ( cioè pseudo-liberamente ), sia nel campo della vita animale, sia in quello delle facoltà superiori, del pensiero e del volere.
Catechesi Paolo VI 3-3-1976
Ricordiamo due dati di fatto: noi uomini siamo esseri complessi, polivalenti, polioperanti; ed è principio della sapienza naturale e cristiana il tentativo continuo di comporre in un ordine logico e morale questo nostro essere complicato e per sé capace di forme diverse di azione e di comportamento.

Concilio Ecumenico Vaticano II

Nelle religioni non cristiane NA 2
Adattamento nei paesi di missione AG 18
Impegno sacerdotale PO 13
per la fedeltà al celibato PO 16

Catechismo della Chiesa Cattolica

Dominio della volontà e ascesi 1734
Progresso spirituale e ascesi 2015
I precetti della Chiesa 2043
Fedeltà alle promesse battesimali e ascesi 2340
Di fronte alle tentazioni nella preghiera 2733