83 questioni diverse

Indice

40 - Unica è la natura delle anime, diverse le volontà degli uomini

Dalla diversità delle cose viste diverso è il desiderio delle anime; dalla diversità del desiderio diverso è il processo di apprendimento; dalla diversità del procedimento diversa è la consuetudine e dalla diversità della consuetudine diversa è la volontà.

Ora l'ordine delle cose - certamente occulto, ma regolato dalla divina provvidenza - rende diverse le cose che vediamo.

Non si deve però ritenere che vi siano diverse nature di anime, perché vi sono diverse volontà, poiché anche la volontà di una stessa anima varia secondo la diversità dei tempi.

In verità un momento desidera essere ricca, un altro, disprezzate le ricchezze, desidera essere sapiente.

Anche nello stesso desiderio di cose materiali allo stesso uomo una volta piace il commercio, un'altra volta il servizio militare.

41 - Perché Dio creatore non ha fatto tutte le cose uguali?

Se le cose fossero uguali, non esisterebbero tutte.

Non ci sarebbero infatti tanti generi di cose, di cui è costituito l'universo, che contiene le creature, dalle prime alle seconde fino alle ultime, in ordine gerarchico.

Quando si dice tutto, s'intende proprio questo.

42 - In che modo Cristo è stato nel seno materno e in cielo?

Come la parola dell'uomo che, pur udita da molti, ciascuno sente tutta intera.

43 - Perché il Figlio di Dio si è manifestato nell'uomo e lo Spirito Santo sotto forma di colomba?

Il primo è venuto per offrire agli uomini un modello di vita, il secondo è apparso per indicare lo stesso dono a cui si arriva, vivendo bene.

Le due manifestazioni sono avvenute visibilmente a motivo degli uomini carnali che, mediante i gradini dei sacramenti, devono essere portati dalle realtà che si vedono con gli occhi del corpo a quelle che si colgono con la mente.

Anche le parole infatti risuonano e passano, ma la realtà significata dalle parole, quando nel discorso si esprime qualcosa di divino ed eterno, non passa allo stesso modo.

44 - Perché il Signore Gesù Cristo è venuto tanto tardi e non subito dopo il peccato dell'uomo?

Tutto ciò che è bello proviene dalla somma bellezza, che è Dio; la bellezza temporale invece risulta dalle cose che vanno e vengono.

Ogni singola età, dall'infanzia alla vecchiaia, ha in ogni uomo la sua bellezza.

Come sarebbe assurdo volere che nell'uomo soggetto al tempo ci fosse solo l'età giovanile - resterebbe infatti privo delle altre bellezze che hanno il proprio posto ed ordine nelle varie età -, così è assurdo desiderare una sola età per tutto il genere umano.

Anche il genere umano, come il singolo uomo, ha infatti le sue età.

Era perciò opportuno che il Maestro, al cui esempio l'umanità era educata alla migliore condotta, venisse dal cielo nell'età della giovinezza.

A questo si riferisce l'Apostolo quando afferma che erano come bambini sotto la custodia della legge, come sotto un pedagogo, ( Gal 3,23-24 ) finché non fosse venuto colui al quale erano riservati e che era stato promesso dai Profeti.

Altro è il modo di agire della divina Provvidenza con i singoli, quasi a titolo privato, altro il modo di occuparsi, quasi pubblicamente, di tutto il genere umano.

Infatti tutti gli individui, che hanno raggiunto la piena sapienza, sono stati illuminati dalla medesima verità nella misura confacente alle rispettive età.

E perché il popolo divenisse sapiente di questa verità, l'umanità fu assunta [ dal Verbo ] nell'età più conveniente al genere umano.

45 - Contro gli Astrologi

1. Gli antichi non chiamavano matematici quelli che oggi si chiamano così, ma quelli che calcolavano la misura del tempo col movimento del cielo e delle stelle.

Di costoro si parla molto giustamente nelle Sacre Scritture: Neppure costoro sono scusabili, perché se tanto poterono sapere da scrutare l'universo, come mai non ne hanno trovato più facilmente il Signore? ( Sap 13,8-9 )

La mente umana infatti, che giudica le cose visibili, può costatare di essere migliore di tutte le cose visibili.

Riconoscendo tuttavia di essere mutevole a causa dei regressi e progressi nella sapienza, scopre al di sopra di sé una verità immutabile.

Aderendo alla verità, come sta scritto: A te si stringe l'anima mia, ( Sal 63,9 ) diventa beata, perché scopre nel proprio intimo anche il Creatore e Signore di tutte le cose visibili, senza bisogno di cercare al di fuori le cose visibili, fossero pure celesti.

Queste poi o non si trovano o si trovano con grande fatica e senza utilità, a meno che dalla bellezza delle cose esteriori non si trovi l'artefice che sta dentro.

Egli prima produce le bellezze superiori dell'anima e poi quelle inferiori del corpo.

2. Ma contro coloro che oggi si chiamano matematici, che pretendono di sottomettere le nostre azioni ai corpi celesti, di venderci alle stelle e di riscuotere da noi il prezzo stesso col quale siamo venduti, non si può dire nulla più esattamente e brevemente di questo: non rispondono se non dopo aver consultato le costellazioni.

Essi dicono che nelle costellazioni si distinguono delle parti: sono le trecentosessanta che conta lo zodiaco.

Il movimento del cielo ne percorre quindici in una sola ora, sicché lo spazio di tempo in cui si originano quindici gradi, equivale ad un'ora.

Ogni grado consta di sessanta minuti.

Non trovano però i secondi nelle costellazioni, da cui pretendono di predire il futuro.

Il concepimento dei gemelli, che si attua con una sola unione, come attestano i medici, la cui scienza è molto più sicura ed evidente, avviene in un tempo così rapido da non oltrepassare due secondi.

Donde deriva allora nei gemelli tanta diversità di atti, di eventi e di volontà, dato che sono stati concepiti sotto la stessa costellazione e all'astrologo è offerta per entrambi una sola costellazione, come se si trattasse di un sol uomo?

Se invece vogliono attenersi alle costellazioni della nascita, vengono confutati dagli stessi gemelli, che il più delle volte vengono alla luce l'uno dopo l'altro a intervalli di tempo riconducibili a secondi, di cui essi non vogliono e non possono discutere a proposito di costellazioni.

Si dice che hanno predetto molte cose vere, ma questo dipende dal fatto che gli uomini dimenticano le loro falsità ed errori.

Unicamente preoccupati di quanto si accordava alle loro aspettative, dimenticano ciò che non corrispondeva e ricordano solo gli avvenimenti che capitano accidentalmente, non per arte divinatoria, del tutto inesistente, ma per qualche fortuita coincidenza.

Se poi lo vogliono attribuire alla loro abilità, dicano pure che possiedono l'arte divinatoria anche le pergamene inanimate contenenti scritti, da cui il più delle volte si tira la sorte a piacimento.

Se dunque dai codici, senz'arte né parte, spesso esce un versetto che predice il futuro, che c'è di strano se anche dall'animo di chi parla esca, non per abilità ma per caso, una qualche predizione delle cose future?

46 - Le idee

1. Si dice che Platone sia stato il primo a nominare le idee; non già nel senso che, prima di averlo introdotto, non esistesse il nome o non esistessero le stesse realtà, che egli ha chiamato idee, o non fossero intuite da alcuno; ma probabilmente alcuni le chiamavano con un nome e altri con un altro.

È lecito infatti attribuire qualsiasi nome a una cosa conosciuta ma sprovvista di un nome di uso comune.

Non è infatti verosimile che prima di Platone non ci sia stato alcun filosofo, oppure che questi non abbiano compreso ciò che Platone, come si è detto, chiama idee, qualunque cosa esse siano; la loro portata è così grande che nessuno può essere filosofo se non le ha intuite.

È probabile che ci siano stati filosofi anche tra altri popoli, fuori della Grecia: lo conferma lo stesso Platone che non solo ha viaggiato per perfezionare la sapienza, ma lo ricorda anche nei suoi scritti.

Non bisogna pertanto ritenere che essi, se vi sono stati, abbiano ignorato le idee, anche se probabilmente le chiamavano con un altro nome.

Ma del nome abbiamo già detto abbastanza.

Consideriamo la cosa in sé: dobbiamo esaminarla e conoscerla con la massima attenzione, lasciando che ognuno, per quanto concerne i termini, chiami come vuole la cosa che ha conosciuto.

2. Noi latini possiamo chiamare le idee o forme o specie, per mostrare che traduciamo parola per parola.

Se invece le chiamiamo ragioni ci scostiamo sicuramente dall'interpretazione rigorosa, perché in greco le " ragioni " [ rationes ] si dicono λόγοι, non idee.

Ma se uno vuole usare questo termine, non si discosterà dalla realtà stessa.

Le idee sono infatti forme primarie o ragioni stabili e immutabili delle cose: non essendo state formate, sono perciò eterne e sempre uguali a se stesse e sono contenute nell'intelligenza divina.

Non hanno né origine né fine: anzi si dice che tutto ciò che può nascere e morire e tutto ciò che nasce e muore viene formato sul loro modello.

Nessun'anima, eccetto la razionale, può contemplarle, mediante la sua parte più eccellente, cioè con la mente stessa e la ragione, come se le vedesse con la faccia o con il suo sguardo interiore e intelligibile.

Non si deve tuttavia ritenere idonea a questa visione ogni e qualsiasi anima, ma solo quella che è santa e pura, quella cioè che ha l'occhio integro, sincero, sereno e assimilato alle realtà che desidera vedere, e con il quale le vede.

Ora chi è religioso e formato alla vera religione, ancorché non possa ancora capire tali cose, oserà negare, anzi non confesserà piuttosto che tutte le cose esistenti, vale a dire che per esistere sono racchiuse nel loro genere da una propria natura, non siano state create da Dio?

E che tutti i viventi vivano grazie a lui e che la conservazione universale delle cose e l'ordine stesso per cui le cose soggette a mutamento eseguono i loro cicli regolati dal tempo con precisa regolarità, non siano contenute e governate dalle leggi del sommo Dio?

Ammesso e concesso tale principio, chi oserà affermare che Dio abbia tutto creato senza una ragione?

Se questo non si può legittimamente affermare né credere, è certo allora che tutto è stato creato secondo ragione; non però allo stesso modo l'uomo e il cavallo: pensarlo è sicuramente un'assurdità.

Ogni cosa è stata dunque creata secondo proprie ragioni.

Ma dove crediamo che si trovino queste ragioni ideali se non nella mente stessa del Creatore?

Egli infatti non vedeva qualcosa esistente fuori di sé, da costituire il modello di ciò che creava: pensare questo infatti è sacrilego.

Se dunque queste ragioni di tutte le cose da creare o create esistono nella mente divina, e se nella mente divina non può esistere nulla che non sia eterno ed immutabile - Platone chiama idee proprio queste ragioni fondamentali delle cose -, le idee non solo esistono, ma sono anche vere, perché sono eterne e rimangono per sempre eterne e immutabili.

Partecipando di esse esiste tutto ciò che esiste, qualunque sia il modo di essere.

Ma l'anima razionale supera tutte le cose create da Dio.

Quando è pura, è vicina a Dio e nella misura in cui aderisce a lui per mezzo della carità, pervasa e illuminata da lui di quella luce intelligibile, contempla, non con gli occhi del corpo, ma con l'elemento specifico del suo essere per cui eccelle, cioè con la sua intelligenza, queste ragioni ideali, la cui visione la rende pienamente felice.

Queste ragioni si possono chiamare, come si è detto, " idee, forme, specie, ragioni "; a molti è concesso di chiamarle a piacimento, a pochissimi però di comprenderne la vera realtà.

47 - Sarà possibile un giorno vedere i nostri pensieri?

Si domanda abitualmente in che modo potremo vedere i nostri pensieri dopo la risurrezione e la trasformazione del corpo, promesse ai santi.

L'argomentazione deve ricavarsi da quella parte del nostro corpo che è più luminosa.

È infatti doveroso credere che i corpi angelici, che speriamo di avere un giorno, siano lucentissimi ed eterei.

Se dunque al presente molti movimenti del nostro animo si rivelano dagli occhi, è probabile che nessun moto dell'animo resterà nascosto, quando tutto il corpo sarà etereo: al suo confronto questi occhi sono carne.

48 - Le cose credibili

Tre sono i generi delle cose credibili.

Alcune si credono sempre senza comprenderle mai: tale è la storia intera che passa in rassegna gli avvenimenti temporali e umani.

Altre si comprendono subito appena si credono: tali sono tutti i ragionamenti umani sui numeri e le altre discipline.

Altre invece prima sono credute e poi capite: tali sono quelle riguardanti le cose divine che sono comprese solo dai puri di cuore.

Il che si verifica con l'osservanza dei comandamenti, che riguardano la vita virtuosa.

49 - Perché gli Israeliti sacrificavano visibilmente con vittime animali?

Poiché vi sono anche realtà sacre spirituali, era opportuno che il popolo carnale ne celebrasse le immagini e che il popolo nuovo fosse prefigurato dalla schiavitù del vecchio.

Si può riscontrare la differenza dei due popoli anche in ognuno di noi, poiché ciascuno deve portare dal seno materno il vecchio uomo, finché non giunga all'età giovanile, quando non è più costretto a giudicare secondo la carne, ma può volgersi volontariamente alle cose spirituali e rigenerarsi interiormente.

Quello dunque che in un individuo bene educato avviene secondo l'ordine naturale e la disciplina, è assai bello che proporzionatamente si compia in tutto il genere umano e giunga a buon fine per la divina Provvidenza.

50 - L'uguaglianza del Figlio

Poiché Dio non poteva generare il Figlio migliore di sé ( nulla infatti è migliore di Dio ) lo ha generato uguale.

Se infatti avesse voluto e non avesse potuto, sarebbe stato incapace; se avesse potuto e non avesse voluto, sarebbe stato invidioso.

Ne consegue che ha generato il Figlio uguale a sé.

51 - L'uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio

1. La divina Scrittura parla di uomo esteriore e di uomo interiore.

Li distingue così nettamente che l'Apostolo esclama: Se anche il nostro uomo esteriore si corrompe, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 )

Si può pertanto domandare se uno solo dei due è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio.

Ora è assurdo chiedere quale dei due, se uno solo è stato creato.

Chi esita infatti ad ammettere che è quello che si rinnova piuttosto di quello che si corrompe?

Se invece si tratta di entrambi, è un grosso problema.

Infatti se l'uomo esteriore è Adamo e l'interiore Cristo, la cosa sarebbe vera per l'uno e per l'altro.

Ma poiché Adamo non è rimasto buono com'era stato creato da Dio e, amando le cose carnali, è divenuto carnale, non è assurdo ritenere che la caduta è consistita nella perdita dell'immagine e somiglianza con Dio.

Proprio per questo egli si rinnova ed è anche uomo interiore: come dunque è anche esteriore?

Forse in rapporto al corpo, come l'interiore è tale in rapporto all'anima.

La risurrezione e il rinnovamento è dell'uomo interiore, che ora avviene con la morte della vita precedente, quella del peccato, e con la rinascita a nuova vita, quella della giustizia.

L'Apostolo richiama ancora i due uomini, parlando dell'uomo vecchio, di cui dobbiamo spogliarci, e del nuovo, di cui dobbiamo rivestirci. ( Col 3,9-10 )

Definisce inoltre il primo: immagine dell'uomo di terra, perché è sotto l'influsso del peccato del primo uomo, che è Adamo, e l'altro: immagine dell'uomo celeste, ( 1 Cor 15,49 ) perché è sotto l'influsso del secondo uomo, che è Gesù Cristo.

Ma l'uomo esteriore, che ora si corrompe, sarà rinnovato dalla futura risurrezione, quando avrà saldato il debito della morte, che deve alla natura, secondo la legge stabilita nel paradiso [ terrestre ].

2. Che poi non sia sconveniente affermare che anche il corpo è stato creato a somiglianza di Dio, lo capisce facilmente chi presta diligente attenzione al detto: E Dio ha creato tutto molto bene. ( Gen 1,31 )

Nessuno infatti dubita che Egli stesso sia innanzitutto buono.

In molti sensi si può dire che le cose sono simili a Dio: alcune perché sono state create con forza e sapienza - Egli infatti è potenza e sapienza increata -; altre perché hanno soltanto la vita - Egli infatti è il primo e sommo vivente -; altre perché esistono - Egli infatti è il primo e sommo essere -.

Pertanto le cose che esistono solamente, senza avere né vita né conoscenza, hanno con lui una somiglianza minima e imperfetta.

Nel loro ordine sono buone anch'esse, mentre Egli è buono al di sopra di tutto, e da lui procedono i beni.

Tutte le creature che vivono, ma non hanno conoscenza, hanno una somiglianza un po' più ampia.

Infatti ciò che vive, esiste, ma non tutto ciò che esiste, vive.

Quelle, infine, dotate di conoscenza sono tanto simili a lui, che nel creato nulla gli si avvicina di più.

Ciò che partecipa della sapienza, ha infatti la vita e l'esistenza; ciò che vive ha necessariamente l'esistenza, ma non ha necessariamente la conoscenza.

Poiché dunque l'uomo può essere partecipe della sapienza secondo l'uomo interiore, in questo è tanto somigliante a Dio da essere formato senza interposizione di alcuna natura.

Per questo motivo niente è più congiunto a Dio.

Infatti conosce, vive ed esiste: nulla è meglio di tale creatura.

3. Se per uomo esteriore s'intende quella vita in cui avvertiamo le sensazioni per mezzo dei notissimi cinque sensi, che abbiamo in comune con gli animali - anch'essa infatti è soggetta a corruzione a causa delle infermità sensibili procurate dalle avversità -, non senza ragione anche quest'uomo può dirsi partecipe della somiglianza divina, non soltanto perché vive, il che è anche degli animali, ma soprattutto perché può volgersi alla mente che lo dirige ed è illuminata dalla sapienza: cosa impossibile agli animali sprovvisti di ragione.

Il corpo umano poi, unico tra i corpi degli animali terrestri, non è ricurvo sul ventre ma, essendo a vista, è eretto per guardare il cielo, che è il principio delle cose visibili.

Sebbene sia chiaro che non vive per forza propria, ma per la presenza dell'anima, è buono non solo perché esiste e in quanto esiste, ma anche perché è strutturato in modo da essere più adatto a contemplare il cielo.

Proprio per questo si può ben dire che è stato creato a somiglianza di Dio più del corpo degli altri animali.

Tuttavia, poiché è improprio chiamare uomo un corpo senza vita, è più preciso intendere per uomo esteriore non il solo corpo né la sola vita sensitiva del corpo, ma l'uno e l'altra insieme.

4. Non è neppure sbagliato distinguere, da un lato, l'immagine e somiglianza di Dio, che è il Figlio, e dall'altro l'essere ad immagine e somiglianza di Dio, come diciamo dell'uomo creato.

Vi sono poi alcuni che nell'espressione "a immagine e somiglianza" intendono due cose diverse: affermano infatti che, se si trattasse di una cosa sola, poteva bastare una sola parola.

Essi ritengono che la mente è stata creata ad immagine, perché è formata dalla verità stessa senza l'intervento di qualche sostanza; si chiama anche spirito: non già lo Spirito Santo, consustanziale al Padre e al Figlio, ma lo spirito dell'uomo.

L'Apostolo invero lo distingue così: Nessuno conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui e nessuno conosce i segreti di Dio se non lo Spirito di Dio. ( 1 Cor 2,11 )

Dello spirito dell'uomo dice ancora: Egli salvi il vostro spirito, l'anima e il corpo. ( 1 Ts 5,23 )

Anch'esso è stato fatto da Dio come tutte le altre creature.

Infatti è scritto nei Proverbi: Sappi che il Signore conosce i cuori degli uomini, e chi ha formato lo spirito in tutti sa tutto. ( Pr 16,2 )

Questo spirito dunque, in cui è l'intelligenza della verità, è stato creato - nessuno ne dubita - ad immagine di Dio: aderisce infatti alla verità senza l'intervento di alcuna creatura.

Affermano che le altre parti dell'uomo sono fatte "a somiglianza", perché ogni immagine è simile, ma non tutto ciò che è simile può anche dirsi immagine in senso proprio, ma solo abusivamente.

In queste cose però bisogna essere cauti a non sostenere troppo ciò che si crede, nel rispetto assoluto di quella norma salutare di non attribuire alla sostanza di Dio nulla di ciò che si riferisce a qualsivoglia corpo esteso nello spazio.

Infatti quello che in una parte è minore rispetto al tutto, non conviene alla dignità dell'anima: molto meno alla maestà di Dio!

52 - Sulle parole: mi pento di aver creato l'uomo  ( Gen 6,6-7 )

Le divine Scritture, per elevarci dal senso terreno ed umano a quello divino e celeste, si sono abbassate alle parole che usano abitualmente tra loro anche le persone più incolte.

Perciò quegli uomini, mediante i quali ha parlato lo Spirito Santo, non hanno esitato ad impiegare molto opportunamente nei libri persino i nomi di quelle passioni alle quali è soggetta la nostra anima, e che i più sapienti ritengono assolutamente estranee a Dio.

Poiché, ad esempio, è assai difficile che un uomo si vendichi senza adirarsi, hanno tuttavia ritenuto di chiamare "ira" la vendetta di Dio, che avviene indubbiamente senza questa passione.

Allo stesso modo, poiché gli uomini erano soliti custodire gelosamente la castità della moglie, hanno chiamato "gelosia" di Dio la divina Provvidenza con la quale si comanda e si induce l'anima a non corrompersi e, in un certo senso, a non prostituirsi, seguendo i molti altri dèi.

Ugualmente hanno chiamato "mano" di Dio la potenza con cui opera; "piedi" di Dio la forza con cui provvede alla salvaguardia e al governo di tutte le cose; "orecchie" e "occhi" di Dio la potenza con cui vede e conosce tutto; "volto" di Dio il potere con cui si manifesta e si fa conoscere; e così di seguito, allo stesso modo anche noi, a cui è diretto il discorso, siamo soliti operare con le mani, camminare con i piedi e andare dove ci porta l'animo, avvertire gli oggetti materiali con le orecchie, con gli occhi e con gli altri sensi del corpo e farci riconoscere dal volto.

Ogni altra cosa si rapporta a questa specie di regola.

Per questa ragione dunque, perché di solito non siamo disposti a cambiare una cosa iniziata e mutarla con un'altra, se non pentendoci, sebbene a chi guarda con mente serena appare chiaro che la Provvidenza divina tutto governa secondo un ordine perfettamente stabilito, tuttavia, con opportuno adattamento alla modesta intelligenza umana, si dice che una cosa cominciata ad essere e che non dura quanto si sperava che durasse, è stata tralasciata per una specie di pentimento di Dio.

53 - L'oro e l'argento prelevato agli Egiziani dagli Israeliti

1. Chiunque considera l'economia dei due Testamenti mirabilmente applicata, secondo l'opportunità dei tempi, alle età del genere umano, comprende a sufficienza, a mio parere, che cosa sia più conveniente alla prima età del genere umano e che cosa alla successiva.

Dalla divina Provvidenza, che tutto regola armoniosamente, viene infatti così disposta l'intera serie delle generazioni, da Adamo sino alla fine dei tempi, come se si trattasse di un solo uomo che percorre il tratto della sua esistenza attraverso le età intermedie dalla fanciullezza alla vecchiaia.

È perciò necessario che chi si applica alle divine Scritture con animo devoto sappia distinguere anche le gradazioni morali delle virtù per giungere alla più alta e perfetta virtù dell'uomo.

Allora, nel riscontrare come talora ai meno maturi siano imposti piccoli precetti e ai più maturi precetti più grandi, pensando che più piccoli siano i peccati in confronto ai più grandi, si eviterà di ritenere sconveniente che Dio abbia imposto tali precetti agli uomini.

Ora però è troppo lungo trattare dei gradi delle virtù: basta pertanto discutere di questa questione.

Per quanto concerne l'inganno, la somma e perfetta virtù consiste nel non ingannare nessuno e mettere in pratica quello che è stato detto: Sia il vostro parlare: Sì, sì; no, no. ( Mt 5,37 )

Ma poiché questo comando è rivolto a coloro ai quali è già stato promesso il Regno dei cieli, ed è grande virtù adempiere questi precetti più grandi ai quali è riservato questo premio: Il Regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono, ( Mt 11,12 ) occorre domandarci per quali gradi si arriva a questa elevata perfezione.

Sui gradini inferiori stanno sicuramente coloro ai quali veniva promesso un regno ancora terreno: essi, come bambini, si preparavano con tale promessa e, dopo aver nel frattempo ottenuto dall'unico Dio, Signore di tutte le cose, le gioie terrene a cui ancora aspiravano, progredendo ed avanzando spiritualmente avrebbero poi imparato a sperare anche le celesti.

Com'è virtù somma e quasi divina non ingannare nessuno, così il vizio estremo è ingannare qualcuno.

Per chi da questo vizio estremo tende a quella sublime virtù, il gradino è questo: non ingannare nessuno, né l'amico né l'estraneo, eccetto qualche volta il nemico.

Per questo il detto del poeta è ormai diventato proverbiale: Inganno o valore?

Chi se ne preoccupa in un nemico?2

Ma poiché anche lo stesso nemico il più delle volte può venire ingannato ingiustamente, come quando si conclude un trattato di pace momentanea, che si chiama tregua, e la parola data non viene osservata, e altri simili casi; è molto più scusabile e più vicino a quella somma virtù colui che, sebbene voglia ingannare il nemico, tuttavia non lo inganna, se non per ordine divino.

Solo Dio infatti sa, e certamente molto più chiaramente e veramente dell'uomo, quale pena o ricompensa meriti ciascuno.

2. Dio pertanto non inganna nessuno direttamente: è infatti Padre della Verità, la Verità stessa e lo Spirito di Verità.

Distribuendo tuttavia a ciascuno ciò che si merita - poiché anche questo fa parte della giustizia e della verità -, si serve delle anime a seconda dei meriti e dei titoli corrispondenti ai loro gradi; e se uno merita di essere ingannato, non solo non lo inganna direttamente, ma neppure per mezzo di un uomo che ama nel modo giusto e persiste nell'osservare il detto: Sia il vostro parlare: Sì, sì; no, no; ( Mt 5,37 ) e neppure per mezzo di un angelo, cui non si addice il ruolo d'ingannatore.

Si serve invece o di un uomo che non si è ancora liberato da simili passioni o di un angelo che, per la perfidia della sua volontà, è stato collocato negli infimi gradi allo scopo o di punire i peccatori o di provare e purificare quelli che rinascono secondo Dio.

Leggiamo infatti di un re ingannato dal falso vaticinio di falsi profeti, e ciò che leggiamo conferma che il fatto non è accaduto senza disposizione divina, perché quegli meritava di essere ingannato in tal modo, non però mediante un angelo, cui non si addiceva di assumere l'ufficio di ingannare, ma mediante l'angelo della menzogna, il quale di buon grado e con gioia chiese che gli venisse affidato tale incarico. ( 1 Re 22,6-36 )

In alcuni passi delle Scritture è infatti esposto chiaramente ciò che il lettore diligente e devoto può intendere anche in altri passi dove è meno evidente.

Il nostro Dio infatti, per mezzo dello Spirito Santo, ha disposto, a salvezza delle anime, i libri divini con l'intenzione non solo di nutrirci con le cose chiare, ma anche di addestrarci con quelle oscure.

Per questa ineffabile e sublime disposizione delle cose, operata dalla Provvidenza, la legge naturale è stata in qualche modo trascritta nell'anima razionale sicché, nel corso stesso di questa vita e negli atteggiamenti terreni gli uomini conservano le immagini di questa disposizione.

Da qui deriva che il giudice ritenga indegno e disdicevole alla sua persona di percuotere il condannato.

Però per suo ordine il carnefice lo fa: questi, per suo interesse, si è assunto l'incarico di colpire il condannato in conformità alla legge, mentre per la sua crudeltà potrebbe colpire anche l'innocente.

Infatti il giudice non fa questo né personalmente né per mezzo di un principe o di un avvocato o di un ufficiale, a cui non è conveniente affidare tale compito.

Da qui deriva anche che ci serviamo di animali privi di ragione per fare quelle cose che è delittuoso far eseguire da uomini.

Il ladro è senza dubbio meritevole di essere lacerato dai morsi; ma un uomo non fa questo di persona, né per mezzo del figlio o di un domestico o di un altro suo dipendente, ma per mezzo del cane, animale a cui si addice compiere tali cose secondo l'ordine della natura.

Quando dunque si richiede che alcuni subiscano certe pene che ad altri non conviene infliggere, si ricorre a certi servizi intermedi a cui si impongono uffici corrispondenti, sicché la giustizia stessa, ricorrendo ad essi, non solo prescrive che ciascuno subisca la pena giustamente dovuta, ma determina anche le persone incaricate ad infliggerla.

Poiché gli Egiziani erano meritevoli di essere ingannati e il popolo d'Israele, in quel periodo del genere umano, si trovava ancora in quel grado di moralità in cui non era disonorevole ingannare il nemico, avvenne che Dio ordinasse, o piuttosto permettesse, a motivo della loro cupidigia, di chiedere, senza restituirli, e di ottenere dagli Egiziani, come un prestito da restituire, i vasi d'oro e d'argento che gli amatori del regno terreno ancora bramavano. ( Es 3,22 )

Dio ha voluto che questa fosse la giusta ricompensa di così lunghi stenti e fatiche, proporzionata al livello morale di quegli uomini, e la giusta punizione di coloro ai quali fece perdere meritatamente ciò che dovevano pagare.

Dio non è dunque ingannatore; chi non avverte che il crederlo sarebbe empio e delittuoso?

Al contrario egli regola con assoluta giustizia i meriti e le persone, operando direttamente le cose degne di lui e a lui solo convenienti, com'è l'illuminare le anime e renderle sapienti e felici, donando loro se stesso in godimento.

Fa altre cose per mezzo di una creatura al suo servizio, disposta secondo i meriti da sapientissime leggi, comandando alcune e permettendo altre, perché la divina Provvidenza, come dice il Signore nel Vangelo, si estende e si occupa perfino della cura dei passeri, della bellezza dell'erba e anche del numero dei nostri capelli. ( Mt 10,29-30; Lc 12,27-28 )

Di questa Provvidenza è stato detto anche: Si estende da un confine all'altro con forza e dispone ogni cosa con dolcezza. ( Sap 8,1 )

3. Che poi Dio punisca mediante il ministero delle anime sottomesse alle sue leggi e infligga a chi li merita giusti castighi, pur rimanendo imperturbabile, è stato espresso chiarissimamente: Condannare chi non merita il castigo lo consideri incompatibile con la tua potenza.

La tua forza infatti è principio di giustizia; il tuo dominio universale ti rende indulgente con tutti.

Mostri la forza a chi non crede nella tua onnipotenza e reprimi l'insolenza in coloro che la conoscono.

Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza. ( Sap 12,15-18 )

4. Il Signore mostra innanzitutto che nelle cose terrene esiste una gradualità verso la giustizia celeste, che viene comandata a coloro che sono già più rafforzati, quando dice: Se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? ( Lc 16,12 )

Ancora lo stesso Signore dimostra che le anime sono istruite secondo il loro grado, quando dichiara: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. ( Gv 16,12 )

Anche l'Apostolo dice: Anch'io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali.

Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci.

E neanche ora lo siete; perché siete ancora carnali. ( 1 Cor 3,1-2 )

Ciò che è stato fatto in costoro, in dipendenza del loro grado, sappiamo che è avvenuto per tutto il genere umano, quando precetti diversi, secondo l'opportunità dei tempi, furono imposti al popolo carnale e al popolo spirituale.

Non c'è quindi da meravigliarsi se ad essi, che erano ancora nella condizione d'ingannare il nemico, fu comandato d'ingannare un nemico meritevole di essere ingannato.

Infatti non erano ancora capaci di sentirsi dire: Amate i vostri nemici, ma erano simili a coloro cui conveniva dire soltanto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. ( Mt 5,43-44 )

Non era ancora giunto il momento di mostrare come si dovesse largamente intendere il concetto di prossimo.

Sotto il pedagogo c'è stata quindi una specie d'iniziazione, mentre il perfezionamento era riservato al maestro.

Dio stesso tuttavia ha dato un pedagogo ai piccoli, cioè la Legge per mezzo di un suo servo, e un Maestro ai più grandi, cioè il Vangelo mediante il suo unico Figlio.

54 - Sulle parole del salmo: Il mio bene è stare vicino a Dio  ( Sal 73,28 )

Tutto ciò che esiste o è immutabile oppure no.

Ogni anima è migliore di qualunque corpo.

Ogni principio di vita è infatti migliore di ciò che è vivificato.

Nessuno poi dubita che il corpo è vivificato dall'anima e non l'anima dal corpo.

Ciò che non è corpo e tuttavia è qualcosa o è anima o è qualcosa migliore di essa.

Infatti niente è peggiore del corpo, perché anche se qualcuno dicesse la materia, da cui il corpo è tratto, è giusto dire che essa non è nulla, poiché è priva di ogni specificazione.

Allo stesso modo tra il corpo e l'anima non si trova nulla di superiore al corpo e nulla d'inferiore all'anima.

Se esistesse infatti una sostanza intermedia o sarebbe vivificata dall'anima o vivificherebbe l'anima o non farebbe niente; o vivificherebbe il corpo o sarebbe vivificata dal corpo o non farebbe niente.

Ma tutto ciò che viene vivificato dall'anima è corpo; se invece qualcosa vivifica l'anima è migliore dell'anima.

Allo stesso modo ciò da cui il corpo viene vivificato è l'anima: non c'è nulla invece ad essere vivificato dal corpo.

Ciò che non è né l'uno né l'altra, cioè non è suscettibile di vita né è capace di dare vita, o è il nulla assoluto o è qualcosa migliore del corpo e dell'anima.

Ma se in natura esista qualcosa del genere è un'altra questione.

Ora la ragione è convinta che non esiste nulla tra il corpo e l'anima che sia superiore al corpo e inferiore all'anima.

Noi chiamiamo Dio ciò che è migliore di ogni anima: a lui è unito chiunque lo comprende.

Infatti ciò che si comprende è vero, ma non sempre è vero tutto ciò che si crede.

Ora tutto ciò che è vero ed è separato dai sensi e dalla mente, può essere solamente creduto, ma non può essere sentito o compreso.

Dunque l'essere che comprende Dio è a lui unito.

Ora l'anima razionale comprende Dio.

Capisce infatti che è immutabile e non subisce alcun mutamento.

Invece il corpo, rispetto al tempo e allo spazio, e la stessa anima razionale, a volte sapiente e a volte stolta, subiscono mutamenti.

Pertanto ciò che è immutabile è certamente migliore di ciò che non lo è.

Nulla poi è migliore dell'anima razionale, eccetto Dio.

Quando dunque l'anima comprende qualcosa d'immutabile, comprende senza dubbio Dio: è la stessa Verità.

Poiché l'anima razionale si unisce a lui con l'intelligenza, e questo è bene per l'anima, a ragione si comprende che questo è il senso di quanto è stato detto: Il mio bene è stare vicino a Dio. ( Sal 73,28 )

55 - Sul testo del Cantico dei cantici: Sessanta sono le regine, ottanta le concubine e le fanciulle senza numero  ( Ct 6,8 )

Il numero dieci può significare la scienza universale.

Se lo si applica alle cose interiori e intelligibili, indicate dal numero sei, e lo si moltiplica per sei, si ha sessanta; se invece lo si applica alle cose terrene e corruttibili, che si possono indicare col numero otto, e si moltiplica per otto, si ha ottanta.

Le regine raffigurano quindi le anime che regnano sulle cose intelligibili e spirituali.

Le concubine invece sono quelle che ricevono una ricompensa terrena; di loro si dice: Hanno già ricevuto la loro ricompensa. ( Mt 6,2 )

Le fanciulle senza numero sono le anime che non possiedono una scienza definita e possono vacillare in ogni sorta di dottrina.

Il numero, di cui si è detto, esprime la conferma certa e indubbia della scienza.

56 - Per la costruzione del tempio furono impiegati quarantasei anni

Sei, nove, dodici, diciotto sommati insieme fanno quarantacinque.

Aggiungi l'unità e diventeranno quarantasei: moltiplicato per sei fa duecentosettantasei.

Ora si dice che il concepimento dell'uomo si svolge e completa così: nei primi sei giorni [ il feto ] ha la somiglianza, per così dire, del latte, nei nove successivi si cambia in sangue, nei dodici seguenti si consolida, nei rimanenti diciotto prende forma sino ai perfetti lineamenti di tutte le membra; quindi, per il tempo rimanente sino al parto, aumenta in grandezza.

Si tratta dunque di quarantacinque giorni più uno, che indica la totalità, perché la somma di sei, nove, dodici e diciotto fa quarantacinque: aggiungendo uno, come si è detto, si ha quarantasei.

Moltiplicati per sei, che è il numero iniziale di questa serie, si ottiene duecentosettantasei, cioè nove mesi e sei giorni, che vengono computati dall'ottavo giorno prima delle calende di aprile [ 25 marzo ], giorno in cui si crede che il Signore sia stato concepito ed è lo stesso giorno della sua passione, sino all'ottavo giorno prima delle calende di gennaio [ 25 dicembre ], in cui è nato.

Pertanto non è assurdo affermare che il tempio, che indicava il suo corpo, ( Gv 2,20-21 ) è stato costruito in quarantasei anni, sicché tanti sono stati gli anni per edificare il tempio quanti sono stati i giorni per formare il corpo del Signore.

57 - I centocinquantatre pesci  ( Gv 21,11 )

1. Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. ( 1 Cor 3,22-23 )

Se si contano dall'inizio si ha: uno, due, tre, quattro.

Così pure: Capo della donna è l'uomo, capo dell'uomo è Cristo, e capo di Cristo è Dio. ( 1 Cor 11,3 )

Se si contano allo stesso modo si ha ancora: uno, due, tre e quattro.

Ora la somma di uno, due, tre e quattro fa dieci.

Il numero dieci indica dunque perfettamente la scienza che presenta Dio creatore e la creatura da lui fatta.

E quando un corpo perfetto e indistruttibile è sottomesso all'anima perfetta e indistruttibile, ed essa, a sua volta, è sottomessa a Cristo e Cristo a Dio, non in quanto dissimile o di altra natura, ma come Figlio al Padre: tutto questo è correttamente indicato dal numero dieci e si spera che sarà eternamente dopo la risurrezione del corpo.

Forse proprio per questo gli operai della vigna ricevono come ricompensa un denaro. ( Mt 20,2 )

Come dunque la somma di uno, due, tre e quattro fa dieci, così uno, due, tre e quattro moltiplicati per quattro fanno quaranta.

2. Se poi il numero quattro indica a ragione il corpo, per i quattro ben noti elementi che lo compongono - il secco e l'umido, il freddo e il caldo - e se l'estensione dal punto alla lunghezza, dalla lunghezza alla larghezza, dalla larghezza all'altezza, consolida il corpo, di nuovo racchiuso dal numero quattro, non è assurdo ritenere che il numero quaranta indichi la disposizione temporale, realizzata per la nostra salvezza, quando il Signore ha assunto il corpo e si è degnato di apparire visibilmente agli uomini.

Infatti uno, due, tre e quattro, che indicano il Creatore e la creatura, moltiplicati per quattro - cioè manifestati nel tempo mediante il corpo - fanno quaranta.

La differenza poi tra quattro e quattro volte è questa: quattro esprime uno stato, quattro volte un movimento.

Come dunque quattro si riferisce al corpo, così quattro volte si riferisce al tempo: è accennato il mistero compiuto corporalmente nel tempo, a motivo di coloro che erano invischiati nell'amore dei corpi e soggetti al tempo.

Non è dunque un'incoerenza ritenere che il numero quaranta indica, come si è detto, la stessa economia temporale.

Forse per questo motivo il Signore ha digiunato quaranta giorni, ( Mt 4,2 ) alludendo all'indigenza di questo secolo, che è sottoposto alla mutazione dei corpi e al tempo; e, dopo la risurrezione, è rimasto quaranta giorni con i discepoli mostrando loro, credo, questa stessa economia temporale che egli ha realizzato a nostra salvezza.

Ora il numero quaranta, computate le parti che lo compongono, arriva al numero cinquanta, offrendo la stessa lezione, poiché le parti stesse che lo compongono sono uguali tra loro.

Infatti l'azione corporale e visibile nel tempo, compiuta con giustizia, assicura all'uomo la perfezione: perfezione indicata, come si è detto, dal numero dieci.

Anche il numero quaranta, sommando le sue parti uguali dà origine al numero dieci e così si arriva, come si è detto prima, al numero cinquanta.

L'uno è contenuto quaranta volte nel numero quaranta, il due venti volte, il quattro dieci volte, il cinque otto volte, l'otto cinque volte, il dieci quattro volte, il venti due volte: sommati insieme fanno cinquanta.

Nessun altro numero può infatti dividere in parti uguali il numero quaranta, all'infuori di questi che abbiamo elencati e che, sommati, abbiamo portato al numero cinquanta.

Passati dunque quaranta giorni con i suoi discepoli dopo la risurrezione, cioè affidando loro quanto era stato compiuto per noi nel tempo, salì al cielo e, dieci giorni dopo, inviò lo Spirito Santo ( At 1,3-9; At 2,1-4 ) per elevare spiritualmente, ad intendere le cose spirituali, coloro che avevano creduto alle cose visibili e temporali.

Con quei dieci giorni, dopo i quali mandò lo Spirito Santo, indicava la stessa perfezione che è conferita dallo Spirito Santo col numero dieci, che il quaranta produce sommando le sue parti uguali e diventa cinquanta.

Allo stesso modo nell'economia temporale, amministrata con giustizia, si giunge alla perfezione che indica il numero dieci, il quale, aggiunto al quaranta, fa cinquanta.

Poiché dunque la perfezione, operata dallo Spirito Santo mentre camminiamo ancora nella carne, anche se non viviamo secondo la carne, è legata alla stessa economia temporale, sembra giusto ritenere che il numero cinquanta appartenga alla Chiesa ormai purificata e perfetta, che nella carità abbraccia la fede nell'economia temporale e la speranza della futura eternità, unendo insieme, per dire così, il numero quaranta al numero dieci.

Ora questa Chiesa, a cui si applica il numero cinquanta, sia perché è composta da tre categorie di uomini - Giudei, Gentili e Cristiani carnali -, sia perché è consacrata dal sacramento della Trinità, moltiplicando per tre il numero che la indica si arriva a centocinquanta.

Infatti cinquanta per tre fa centocinquanta.

Se a questo aggiungi tre, poiché deve essere importante e prezioso ciò che viene purificato dal lavacro della rigenerazione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ( Mt 28,14 ) si ha centocinquantatré.

Questo è il numero di pesci che si trova, perché la rete è stata gettata dalla parte destra e raccoglie inoltre dei grossi pesci, ( Gv 21,6-11 ) cioè perfetti e atti al Regno dei cieli.

Infatti la parabola della rete, non gettata dalla parte destra, ha raccolto insieme buoni e cattivi, che vengono separati sulla riva. ( Mt 13,48 )

Adesso infatti nelle reti dei precetti e dei sacramenti divini, nella Chiesa attuale, convivono insieme buoni e cattivi.

La separazione avverrà alla fine del mondo, quasi alla fine del mare, cioè sulla riva.

Dapprima i giusti, com'è scritto nell'Apocalisse, regnano nel tempo e poi per sempre in quella città, ivi descritta, ( Ap 21 ) dove, cessata alfine l'economia temporale, indicata dal numero quaranta, rimane il numero del denaro [ = 10 ], che è la ricompensa che riceveranno i santi che lavorano nella vigna.

3. Se si considera questo numero, può anche riferirsi alla santità della Chiesa, fondata dal nostro Signore Gesù Cristo.

Poiché la creatura consta del numero sette, dato che il tre si riferisce all'anima e il quattro al corpo, l'assunzione stessa dell'umanità si calcola sette volte tre.

Il Padre ha infatti mandato il Figlio, e il Padre è nel Figlio, e per dono dello Spirito Santo è nato dalla Vergine.

Padre, Figlio e Spirito Santo sono dunque tre.

Sette volte indica invece la stessa umanità assunta nell'economia temporale per divenire eterna.

La somma numerica è pertanto ventuno, cioè sette volte tre.

Ora questa assunzione dell'umanità ha procurato la liberazione della Chiesa, di cui egli è il capo, ( Ef 5,23 ) e così la Chiesa stessa, a motivo dell'anima e del corpo, è ritemprata nello stesso numero sette.

Si moltiplichi perciò ventuno per sette, a motivo di quelli che sono liberati dall'Uomo del Signore, e si ha centoquarantasette.

Si aggiunga il numero sei, simbolo della perfezione, perché è costituito da parti che lo dividono esattamente, sicché non si trova nulla di meno e nulla di più: nella divisione infatti l'uno è compreso sei volte, il due tre volte, il tre due volte; addizionati insieme, uno, due e tre, fanno sei.

Questo si può probabilmente applicare anche a quel mistero secondo il quale Dio ha terminato la sua opera il sesto giorno. ( Gen 2,2 )

Se dunque a centoquarantasette aggiungi sei, simbolo della perfezione, si ha centocinquantatre: è il numero dei pesci che si scopre dopo che, per ordine del Signore, le reti sono state gettate a destra, dove non si trovano peccatori, che stanno a sinistra.

58 - Giovanni Battista

1. Considerando i testi evangelici che parlano di lui, Giovanni Battista può essere giustamente ritenuto, sulla base di numerose e verosimili testimonianze, la personificazione della profezia, tanto più che il Signore dice di lui: Più di un profeta. ( Mt 11,9 )

Egli dunque rappresenta tutta la profezia riguardante il Signore, che è stata proclamata dall'origine del genere umano sino al suo avvento.

Il Vangelo, impersonato dal Signore stesso, era preannunziato dalla profezia: la sua predicazione si estende in tutto il mondo dopo la venuta stessa del Signore; la profezia invece declina dopo la realizzazione di ciò che preannunziava.

Per questo il Signore proclama: La Legge e i Profeti fino a Giovanni Battista; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio. ( Lc 16,16 )

E lo stesso Giovanni dice: Egli deve crescere e io invece diminuire. ( Gv 3,30 )

Questo è stato simboleggiato anche dai giorni in cui sono nati e dalle morti che hanno subìto.

Giovanni nasce infatti quando i giorni cominciano a declinare, il Signore nasce quando i giorni cominciano ad allungarsi.

Quegli, quando viene ucciso, è sminuito del capo, questi invece è innalzato dalla croce.

Quando dunque la profezia stessa, compiuta in Giovanni, mostra col dito che è presente colui che dall'inizio del genere umano aveva annunziato che sarebbe venuto, comincia a diminuire e da quel momento comincia a crescere la predicazione del regno di Dio.

Ecco perché Giovanni battezzava per la conversione: ( Mt 3,11 ) la vecchia vita termina infatti con la conversione e di lì inizia la nuova.

2. Ora quelli che ricercano devotamente e sono aiutati da Dio in questa ricerca concludono che la profezia non è mai cessata, non solo in coloro che sono propriamente chiamati Profeti, ma neppure nella storia dell'Antico Testamento.

Nondimeno essa si mostra più apertamente nelle figure più rappresentative di fatti, come il giusto Abele, che è ucciso dal fratello ( Gen 4,8 ) e il Signore dai Giudei; l'arca di Noè, che è governata come la Chiesa nel diluvio del mondo; ( Gen 7,1 ) Isacco, che è condotto per essere sacrificato e un ariete tra le spine [ immolato ] al suo posto rappresenta il crocifisso; ( Gen 22,3-13 ) nei due figli di Abramo, uno dalla schiava e l'altro dalla libera, sono indicati i due Testamenti; ( Gal 4,22-24 ) nei gemelli Esaù e Giacobbe sono raffigurati i due popoli; ( Gen 25,22 ) Giuseppe che, dopo essere stato perseguitato dai fratelli, è onorato dagli stranieri, ( Gen 41,37 ) come il Signore che, perseguitato dai Giudei, è glorificato dai Gentili.

È inutile ricordare ogni singolo fatto quando l'Apostolo così conclude dicendo: Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio e sono state scritte per noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. ( 1 Cor 10,11 )

Ora la fine dei tempi, come la vecchiaia del vecchio uomo - puoi considerare tutto il genere umano come un solo uomo -, è indicata dalla sesta età, in cui è venuto il Signore.

Anche nell'uomo individuale sei sono infatti le età: infanzia, fanciullezza, adolescenza, giovinezza, maturità e vecchiaia.

La prima età del genere umano va da Adamo a Noè.

La seconda da Noè ad Abramo; questi periodi sono evidentissimi e ben noti.

La terza da Abramo a Davide: questa è infatti la divisione dell'evangelista Matteo. ( Mt 1,17 )

La quarta da Davide alla deportazione di Babilonia.

La quinta dalla deportazione di Babilonia alla venuta del Signore.

La sesta bisogna protrarla dalla venuta del Signore alla fine del mondo: in questa età, l'uomo esteriore, che si chiama anche uomo vecchio, deperisce per vecchiaia e l'interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 )

Allora inizia il riposo eterno, raffigurato dal sabato.

A questo ben si accorda il fatto che l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio al sesto giorno. ( Gen 1,27 )

Ora nessuno ignora che la vita umana, da quando si occupa di qualcosa, si nutre di conoscenza e di azione.

Infatti l'attività senza conoscenza è temeraria e la conoscenza senza attività è sterile.

Ma la prima vita dell'uomo, a cui giustamente non si affida alcun incarico, è assorbita dai cinque sensi del corpo; essi sono: vista, udito, olfatto, gusto, tatto.

Per questo motivo le prime due età del genere umano includono dieci generazioni, come l'infanzia e la fanciullezza, con il raddoppio cioè del numero cinque, poiché la generazione si perpetua col concorso dei due sessi.

Dieci sono dunque le generazioni da Adamo a Noè e altre dieci sino ad Abramo; abbiamo detto che queste due età sono l'infanzia e la fanciullezza del genere umano.

L'adolescenza, la giovinezza e la maturità, cioè da Abramo a Davide, poi fino alla deportazione babilonese e successivamente fino alla venuta del Signore, sono rappresentate da quattordici generazioni: il numero sette è raddoppiato per il medesimo motivo dei due sessi, poiché al numero cinque, che sono i sensi del corpo, si sono aggiunte l'azione e la conoscenza.

La vecchiaia infine occupa di solito uno spazio di tempo corrispondente a tutte le altre età.

Poiché si dice che la vecchiaia comincia a sessant'anni e che la vita umana può arrivare fino a centoventi anni, è chiaro che la vecchiaia da sola può essere tanto lunga quanto tutte le età precedenti.

È quindi incerto di quante generazioni sia composta l'ultima età del genere umano, che va dalla venuta del Signore sino alla fine del mondo.

Dio ha voluto che ciò rimanesse utilmente nascosto, come sta scritto nel Vangelo ( Mt 24,36 ) e come attesta l'Apostolo, dicendo che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. ( 1 Ts 5,2 )

3. Ma nella sesta età il genere umano è stato visitato dall'umile venuta del Signore, come è precedentemente dimostrato dalle diverse generazioni.

In questa visita cominciò a disvelarsi la profezia, che era rimasta nascosta nelle cinque età precedenti.

Poiché Giovanni personificava la profezia, come si è già detto, nasce pertanto da genitori anziani, quasi a significare che quella profezia comincia a rivelarsi durante la vecchiaia del mondo.

Inoltre, come sta scritto, sua madre rimane nascosta per cinque mesi: Elisabetta si tenne nascosta per cinque mesi. ( Lc 1,24 )

Al sesto mese viene visitata da Maria, la madre del Signore, e il bambino esulta nel grembo, simbolo della profezia che comincia a svelarsi sin dalla prima venuta del Signore, nella quale si è degnato mostrarsi nell'umiltà: ma come nel grembo, cioè non tanto chiaramente da essere riconosciuta da tutti in piena luce.

Noi crediamo che questo avverrà alla seconda venuta del Signore, quando verrà nella gloria.

Precursore di questa venuta sarà Elia, come della prima è stato Giovanni.

Per questo il Signore dice: Elia è già venuto e gli uomini gli hanno fatto molte cose; e se lo volete sapere, egli è Giovanni Battista che deve venire. ( Mt 11,14; Mt 17,12 )

Con lo stesso spirito e con la stessa forza, come nell'ufficio dell'araldo che precede, uno è già venuto e l'altro verrà.

Per questo, sotto l'ispirazione di cui fu ripieno il profeta suo padre, si dice che anche questo Giovanni sarà precursore del Signore con lo spirito e la forza di Elia. ( Lc 1, 17.76 )

Trascorsi tre mesi con Elisabetta, Maria tornò a casa sua. ( Lc 1,56 )

Con questo numero mi sembrano indicati la fede nella Trinità e il battesimo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo col quale, mediante l'umile venuta del Signore, il genere umano viene purificato e preparato alla sua venuta futura nella gloria.

59 - Le dieci vergini

1. Tra le parabole raccontate dal Signore quella riguardante le dieci vergini procura di solito molta fatica agli studiosi.

E molti hanno sicuramente proposto numerose interpretazioni che non sono incompatibili con la fede.

Bisogna però indagare accuratamente se l'interpretazione si adatti a tutte le sue parti.

Ho letto anche in certi scritti, che si chiamano apocrifi, qualcosa che non è in contrasto con la fede cattolica; ma, considerando tutte le particolarità di questa parabola, mi è sembrato che non si accordino perfettamente al testo in questione.

Non mi permetto tuttavia di dare un giudizio affrettato di tale interpretazione, perché non sia tanto la sua poca fedeltà a procurarmi difficoltà quanto la mia incapacità a scoprire la corrispondenza.

Cercherò quindi di esporre brevemente e diligentemente, per quanto potrò, ciò che mi sembra opportuno ricavare da questo testo.

2. Nostro Signore, interrogato in segreto dai suoi discepoli sulla fine del mondo, tra i molti altri insegnamenti, raccontò anche questo: Allora il Regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo.

Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; ma le stolte, prese le loro lampade, non presero con sé l'olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi.

Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte.

A mezzanotte però si levò un grido: " Ecco lo sposo, andategli incontro! ".

Allora tutte quelle vergini si alzarono e prepararono le loro lampade.

E le stolte dissero alle sagge: " Dateci il vostro olio, perché le nostre lampade si spengono ".

Ma le sagge risposero: " No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene ".

Ora, mentre quelle andavano a comprarne, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze e la porta fu chiusa.

Infine arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: " Signore, signore, aprici! ".

Ma egli rispose: " In verità vi dico: Non vi conosco.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora ". ( Mt 25,1-13 )

Evidentemente le dieci vergini, di cui cinque sono ammesse e cinque escluse, indicano la separazione dei buoni e dei cattivi.

Ma se il titolo verginale è degno di stima, perché è comune a quelle che vengono ammesse e a quelle che vengono escluse?

Che cosa significa inoltre il numero cinque riferito ad entrambe?

Che cosa significa l'olio?

Sembra misterioso il fatto che le sapienti non lo diano a quelle che lo chiedono, dal momento che l'invidia non si addice a quelle che sono così perfette da essere accolte dallo sposo - è indubbio che sotto questo nome è indicato il Signore Gesù Cristo -, e che i misericordiosi devono essere pronti a dare ciò che hanno, secondo il precetto dello stesso Signore che dice: Da' a chiunque ti chiede. ( Lc 6,30 )

Ma cos'è questa cosa che, distribuendola, potrebbe non bastare né alle une né alle altre?

Queste domande soprattutto aumentano la difficoltà della questione, e anche se tutti gli altri punti sono considerati diligentemente, sicché tutto concordi in un solo senso coerente, e non si affermi in una parte ciò che viene contraddetto da un'altra, è necessaria una grande cautela.

3. Le cinque vergini, mi sembra, stanno pertanto ad indicare la continenza dalle attrattive carnali, suddivisa in cinque parti.

Bisogna infatti frenare l'appetito dell'animo dal piacere della vista, dell'udito, dell'olfatto, del gusto, del tatto.

Ma poiché questa continenza si esercita in parte davanti a Dio, per piacere a lui nel gaudio interiore della coscienza, e in parte davanti agli uomini, solo per ricavare gloria umana, cinque sono dette sapienti e cinque stolte.

Tutte però sono vergini, perché tutte continenti, sebbene il movente sia diverso.

Le lampade portate in mano indicano le opere compiute mediante questa continenza.

È stato detto infatti: Risplendano le vostre opere davanti agli uomini. ( Mt 5,16 )

Tutte invero presero le lampade e uscirono incontro allo sposo. ( Mt 25,1 )

Bisogna quindi ritenere che coloro di cui si tratta portano il nome di Cristo: non possono andare infatti incontro allo sposo, a Cristo, coloro che non sono cristiani.

Ma le cinque stolte, prese le loro lampade, non presero con sé l'olio. ( Mt 25,3 )

Molti in realtà, sebbene si aspettino moltissimo dalla bontà di Cristo, pur vivendo nella continenza, non trovano gioia se non nelle lodi degli uomini.

Non hanno dunque olio con sé.

Infatti, a mio parere, la gioia è significata dall'olio: Dio, il tuo Dio - è detto - ti ha consacrato con olio di letizia. ( Sal 45,8 )

Chi poi non gioisce per il motivo di piacere interiormente a Dio, non ha olio con sé.

Le prudenti invece, insieme alle lampade, presero con sé dell'olio nei loro vasi, ( Mt 25,4 ) cioè misero la gioia delle opere buone nel cuore e nella coscienza, secondo l'ammonimento dell'Apostolo: Ciascuno - egli dice - esamini se stesso e allora solo in se stesso e non in altri avrà vanto. ( Gal 6,4 )

Ma poiché lo sposo tardava, tutte si addormentarono: ( Mt 25,5 ) infatti in questo intervallo di tempo, finché alla venuta del Signore avverrà la risurrezione dei morti, le persone continenti dell'una e dell'altra classe, sia quelle che esultano davanti a Dio sia quelle che si compiacciono delle lodi degli uomini, muoiono.

A mezzanotte, cioè quando nessuno lo sa o l'aspetta, come afferma lo stesso Signore: Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno lo sa, ( Mt 24,36 ) e l'Apostolo: Il giorno del Signore verrà come un ladro di notte, ( 1 Ts 5,2 ) da ciò risulta che è totalmente ignoto quando egli verrà; Si levò un grido: " Ecco, viene lo sposo, andategli incontro ". ( Mt 25,6 )

In un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba, tutti risorgeremo. ( 1 Cor 15,52 )

Dunque tutte quelle vergini si alzarono e prepararono le loro lampade, ( Mt 25,7 ) si prepararono cioè a rendere conto delle loro azioni.

Dobbiamo infatti comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo sia in bene che in male. ( 2 Cor 5,10 )

E le stolte dissero alle sagge: " Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono ". ( Mt 25,8 )

Infatti le azioni di coloro che si ispirano all'altrui lode, svaniscono quando questa viene meno: è una consuetudine ricercare sempre ciò da cui l'animo suole trarre godimento.

Essi vogliono inoltre avere presso Dio, che scruta il cuore, la testimonianza di uomini che non vedono i cuori.

Ma cosa hanno risposto le sagge? No, che non abbia a mancare per noi e per voi. ( Mt 25,9 )

Ognuno infatti renderà conto di se stesso, e dinanzi a Dio, cui sono noti i segreti del cuore, nessuno è aiutato dalla testimonianza altrui.

Ciascuno basterà a malapena a se stesso, perché la sua coscienza testimoni a suo favore.

Chi potrà infatti gloriarsi di avere il cuore puro? ( Pr 20,9 )

Questo fa dire all'Apostolo: A me, poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi, io neppure giudico me stesso. ( 1 Cor 4,3 )

Per questo motivo, perché nessuno può assolutamente o solo a malapena essere giudice sincero di se stesso, come può giudicare un altro, quando nessuno sa cosa avviene in un uomo, se non lo spirito dell'uomo? ( 1 Cor 2,11 )

Andate piuttosto dai venditori e compratevene.

Non si deve credere che esse dessero un consiglio, ma che indirettamente ricordassero la loro negligenza.

Vendono infatti olio gli adulatori i quali, lodando il falso o ciò che ignorano, inducono le anime in errore e, promettendo loro come a persone sciocche vani piaceri, ne ricavano qualche ricompensa o in alimenti o in denaro o in onori o in qualche altro vantaggio temporale, senza riflettere al detto: Quelli che vi proclamano felici, vi ingannano. ( Is 3,12 )

È meglio essere rimproverati dal giusto che lodati dal peccatore.

Mi percuota il giusto - è detto - con misericordia e mi rimproveri, ma l'olio del peccatore non profumi il mio capo. ( Sal 140,5 )

Andate dunque piuttosto dai venditori e compratevene, cioè vediamo ora che cosa vi giovino coloro che sono abituati a lodarvi e ad ingannarvi, affinché cerchiate gloria non davanti a Dio ma agli uomini.

Mentre quelle andavano a comprare, arrivò lo sposo; cioè, mentre si volgevano alle esteriorità e cercavano la gioia nelle cose usuali, poiché non conoscevano le gioie interiori, arrivò colui che giudica.

E quelle che erano pronte, cioè coloro alle quali la coscienza rendeva buona testimonianza davanti a Dio, entrarono con lui alle nozze, ( Mt 25,10 ) dove, vale a dire, l'anima pura, per essere fecondata, si unisce al Verbo di Dio, puro, perfetto ed eterno.

E la porta fu chiusa, dopo aver accolto, cioè, coloro che sono stati trasformati nella vita angelica.

Infatti - dice l'Apostolo - tutti risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati. ( 1 Cor 15,51 )

È stato chiuso l'ingresso del Regno dei cieli; dopo il giudizio infatti non c'è più spazio per le preghiere e i meriti.

Infine vengono anche le altre vergini, dicendo: Signore, Signore, aprici! ( Mt 25,11 )

Non è detto che abbiano comprato l'olio, e perciò bisogna intendere che, non rimanendo ormai alcuna gioia per le lodi degli altri, con grande miseria ed afflizione sono ritornate ad implorare Dio.

Ma dopo il giudizio, grande è la severità di colui la cui ineffabile misericordia è stata dispensata prima del giudizio.

Per questo egli risponde così: In verità vi dico: Non vi conosco, ( Mt 25,12 ) in conformità a quella regola, secondo cui la condotta di Dio, cioè la sapienza di Dio, non vuole che entrino nel suo gaudio coloro che sono stati visti compiere qualcosa secondo i suoi precetti, non per piacere a Dio ma agli uomini.

Pertanto così conclude: Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora. ( Mt 25,13 )

Nessuno conosce il giorno e l'ora non solo di quell'ultimo momento, in cui verrà lo sposo, ma neppure della propria morte.

Ma chi è preparato fino al sonno, cioè sino alla morte, che è retaggio di tutti, sarà trovato pronto anche quando a mezzanotte risuonerà la voce che sveglierà tutti.

4. Quanto poi si dice delle vergini che vanno incontro allo sposo, ritengo lo si debba intendere nel senso che colei, che è chiamata sposa, risulta dalle stesse vergini, come quando, raccogliendosi tutti i cristiani nella Chiesa, si dice che i figli corrono incontro alla madre, mentre quella che si chiama madre risulta dalla riunione degli stessi figli.

In realtà la Chiesa ora è sposa ed è anche vergine pronta per le nozze, nel senso cioè che si mantiene illibata dalla corruzione del mondo.

Il momento delle nozze sarà quando, eliminata tutta la mortalità, sarà ripiena dell'unione immortale: Vi ho fidanzato - dice l'Apostolo - a un solo sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo. ( 2 Cor 11,2 )

Dice: Vi, e vergine, passando dal plurale al singolare.

Si può dunque parlare di vergini e di una vergine. Mi sembra poi di avere già spiegato perché si parli di cinque.

Ora però vediamo in enigma, allora invece faccia a faccia, ( 1 Cor 13,12 ) ora parzialmente, allora pienamente.

Il fatto poi di scoprire attualmente nelle Scritture, anche se in enigma e parzialmente, qualcosa che tuttavia è conforme alla fede cattolica, deriva da quel pegno che la Chiesa vergine ha ricevuto nell'umile venuta del suo sposo, a cui si congiungerà nell'ultima venuta, quando verrà nella gloria, e allora lo contemplerà faccia a faccia.

Ci ha dato infatti in pegno lo Spirito Santo, come dice l'Apostolo. ( 2 Cor 5,5 )

Questa esposizione quindi non offre nulla di certo, se non ciò che è conforme alla fede, né pregiudica altre che potrebbero essere anch'esse conformi alla fede.

Indice

2 Verg., Aen. 2, 390