Contro Fausto manicheo

Indice

Libro XXII

1 - In che senso i Manichei contestano la Legge e i Profeti

Fausto. " Perché denigrate la Legge e i Profeti? ".

Noi non siamo affatto nemici o avversari della Legge e dei Profeti, né di nessuno: al punto che, se solo ce lo permettete, siamo pronti ad affermare che è falso tutto ciò che su di essi è stato scritto e per cui ci risultano odiosi.

Ma voi opponete resistenza, e dando retta ai vostri scrittori, rendete colpevoli i profeti forse innocenti, diffamate i patriarchi, disonorate persino la legge e, cosa ancora più sciocca, pretendete allo stesso tempo che i vostri scrittori non dicano menzogne e che fossero religiosi e santi quelli di cui scrissero turpitudini e vite ignobili.

Ma poiché le due cose non possono stare insieme, è necessario o che questi furono cattivi, o che quelli furono menzogneri e falsi.

2 - Gli scrittori deformarono la Legge e i Profeti introducendo i precetti giudaici

Orsù: se ti piace, dopo aver condannato per comune accordo gli scrittori, assumiamo la difesa della Legge e dei Profeti.

Per legge, però, io non intendo la circoncisione, il sabato, i sacrifici e le altre cose simili dei Giudei, bensì quella che è la vera legge, cioè: Non uccidere, Non commettere adulterio, Non pronunciare falsa testimonianza, ( Es 20, 13. 14.16 ) ecc.

Ad essa, che era diffusa tra le genti già in antico, ovvero sin da quando esiste la creatura di questo mondo, gli scrittori degli Ebrei mescolarono con violenza, come lebbra e rogna, quei loro abominevoli e turpissimi precetti che riguardano la circoncisione e i sacrifici.

Suvvia! Se anche tu sei davvero un amico della legge, condannali insieme a me, giacché hanno osato violarla con una simile commistione di precetti che non le si addicono: i quali precetti, se non sapeste anche voi che non sono legge né parte della legge, o vi sforzereste di osservarli, avendo fatto professione di giustizia, oppure confessereste apertamente di non essere giusti.

Ora, invece, da una parte, volendo voi vivere rettamente, avete la massima cura di quei comandamenti che proibiscono i delitti, dall'altra non fate alcuna menzione di quelli che riguardano i Giudei: in che modo potreste avere delle scusanti per questo, se non fosse evidente che non si tratta della medesima legge?

Infine, se come ti infiammi ritenendo un insulto intollerabile che uno ti dica negligente circa il precetto Non uccidere o: Non commettere adulterio, ti scaldassi altrettanto se uno ti dicesse che sei incirconciso e che trascuri il sabato, se ne dedurrebbe senza dubbio che ambedue sono legge e comandamento di Dio.

Ora, invece, riguardo ai primi ottieni lode e onore, se li osservi; mentre riguardo agli altri, non temi affatto la perdita di questo stesso bene, perché li disprezzi.

Perciò ne risulta che questi, come ho detto, non sono legge, ma piuttosto macchie e scabbia della legge: se noi li condanniamo, li condanniamo in quanto falsi, non in quanto legittimi.

E tale esecrazione non tocca né la legge né Dio autore della legge, bensì coloro che hanno ascritto il nome di questo e di quella alle loro nefaste religioni.

Se poi talvolta, quando stigmatizziamo i precetti dei Giudei, noi attacchiamo il venerando nome della legge, ciò accade per colpa vostra, che non volete alcun discrimine tra le istituzioni ebraiche e la legge: piuttosto, rendete alla legge la dignità che le è propria, recidete da essa come verruche le turpitudini degli Israeliti, gettate sugli scrittori la colpa di tale deformazione, e subito vi accorgerete che noi siamo stati nemici del Giudaismo, non della legge.

È il termine " legge " a trarvi in inganno: giacché non sapete a cosa si debba giustamente attribuirlo.

3 - O sono menzogneri gli scrittori, o sono veri i crimini dei Patriarchi e dei Profeti narrati nella Scrittura

Al riguardo, non vedo perché riteniate che noi denigriamo i vostri profeti e patriarchi.

Infatti, se le cose che si dice abbiano compiute fossero state scritte o dettate da noi, la vostra accusa nei nostri confronti non sarebbe priva di ragione: ma se sono state scritte da loro stessi contro il costume dell'onestà al fine di trarre gloria dai vizi, oppure da loro soci e consimili, che colpa ne abbiamo noi?

Noi infatti detestiamo e condanniamo gli atti iniqui che di propria iniziativa, senza neppure essere interrogati, quei rei hanno confessato: se invece fu la malignità degli scrittori a inventare contro di loro queste cose per invidia, si puniscano allora gli scrittori, se ne condannino i libri, si purifichi il nome dei profeti da una fama non meritata, si restituisca autorevolezza alla serietà e alla rettitudine dei patriarchi.

4 - Menzogne degli scrittori sia su Dio sia sugli uomini di Dio

Certamente può essere accaduto che quegli stessi scrittori, così come inventarono impudentemente tante cose a proposito di Dio - dicendo, di volta in volta, che si trovava nelle tenebre dall'eternità e si meravigliò dopo che ebbe visto la luce; che era ignaro del futuro, tanto da impartire ad Adamo un ordine che egli non avrebbe osservato; che non era preveggente, giacché non poté vedere Adamo che, conosciuta la propria nudità, si era nascosto in un angolo del giardino; che era invidioso e temeva che il suo uomo, se avesse assaggiato dell'albero della vita, sarebbe vissuto in eterno; che talora era avido del sangue e del grasso di ogni genere di sacrifici e geloso se, come a lui, li si offrivano ad altri; che era iroso ora con gli estranei, ora con i suoi; che uccideva migliaia di uomini per colpe lievi o affatto commesse; che minacciava che sarebbe venuto con la spada e non avrebbe risparmiato nessuno, né giusto né peccatore -, allo stesso modo, ripeto, può essere accaduto che mentirono anche a proposito degli uomini di Dio, dato che con tanta insolenza mentirono su Dio stesso.

Convenite dunque con noi che la colpa va addossata agli scrittori, se volete che ne siano liberati i profeti.

5 - I crimini dei Patriarchi e dei Profeti

Fino a prova contraria, non siamo stati noi a scrivere di Abramo che, bruciando dall'insano desiderio di avere un figlio, e non confidando affatto in Dio che già glielo aveva promesso dalla moglie Sara, si rotolò con una concubina, essendone la moglie ( cosa ancora più turpe ) a conoscenza. ( Gen 16,2-4 )

E neppure che, mercanteggiando in modo vergognosissimo il proprio matrimonio, a causa dell'avarizia e del ventre egli offrì in vendita come concubina, poiché era bellissima, la suddetta moglie Sara, spacciandola per la propria sorella, ( Gen 20,2; Gen 12,13 ) a due re, Abimelech e Faraone, in momenti diversi.

Né che Lot, suo fratello, dopo essere stato liberato da Sodoma, giacque sul monte con le sue due figlie, ( Gen 19, 33.35 ) egli che a Sodoma, colpito da un fulmine, sarebbe arso più onestamente di come bruciò sul monte per la fiamma di una libidine proibita.

E neanche che Isacco si comportò tale e quale al padre nei riguardi di sua moglie Rebecca, anch'egli fingendo che fosse sua sorella ( Gen 26,7 ) per vivere vergognosamente per mezzo di lei.

Né che Giacobbe suo figlio si aggirò come un capro tra Rachele e Lia, sorelle germane, e le loro rispettive schiave, facendo il marito di quattro mogli, al punto che ogni giorno quelle quattro prostitute facevano a gara su chi per prima se lo portasse nel giaciglio al suo ritorno dai campi, e talora di notte se lo cedevano pure l'una all'altra dietro compenso. ( Gen 29-30 )

E nemmeno che Giuda suo figlio giacque con la nuora Tamar, dopo le nozze dell'uno e dell'altro figlio, ingannato - dicono - dall'aspetto di prostituta ( Gen 38 ) che essa, bene al corrente del fatto che il suocero trafficava da sempre con quel genere di donne, aveva assunto.

Né che Davide, dopo un gran numero di mogli, commise adulterio anche con quella sgualdrina della moglie di Uria e fece morire lui in guerra. ( 2 Sam 11, 4.15 )

Né che Salomone suo figlio ebbe trecento mogli e settecento concubine e figlie di re senza numero. ( 1 Re 11,1-3 )

Né che Osea, il primo dei profeti, ebbe figli da una prostituta: ( Os 1,2-3 ) turpitudine che, cosa ancor più esecrabile, viene presentata come un consiglio impartito da Dio.

Né tantomeno che Mosè commise omicidio, ( Es 2,12 ) che depredò l'Egitto, ( Es 12,35-36 ) che fece guerre, che ordinò e compì molteplici crudeltà, ( Es 17, 9ss ) e che neppure lui si accontentò di un solo matrimonio.

Nessuna di queste cose - ripeto - né altre simili che si trovano nei diversi libri di quegli autori, sono state scritte o dettate da noi: a questo punto, o sono falsi i racconti dei vostri scrittori, o sono veri i crimini dei padri.

Voi, scegliete pure delle due alternative quella che volete: quanto a noi, è giocoforza che deprechiamo o gli uni o gli altri, dal momento che abbiamo in odio sia i malvagi e i turpi sia i bugiardi.

6 - I Manichei non comprendono il valore simbolico dei precetti e delle azioni contenuti nel Vecchio Testamento

Agostino. Non comprendete né i misteri della Legge né le azioni dei Profeti, poiché non sapete pensare né la santità né la giustizia.

Ma circa i precetti e i misteri del Vecchio Testamento abbiamo già detto spesso e molto, affinché si comprendesse che lì un conto è ciò che viene impartito perché sia condotto a compimento, realizzandolo per mezzo della grazia del Nuovo Testamento, un conto è ciò che si dimostra essersi compiuto, perché la verità ormai manifestata lo abolisce: ovvero, che il precetto della legge veniva ricevuto perché doveva essere perfezionato con l'amore di Dio e del prossimo, mentre la promessa della legge dimostrava di essersi compiuta con l'abolizione della circoncisione e degli altri segni di quel tempo.

Il precetto creava dei colpevoli affinché si desiderasse la salvezza, la promessa invece celebrava le figure nell'attesa del Salvatore: cosicché per l'avvento del Nuovo Testamento gli uni fossero liberati dal dono della grazia, le altre venissero spazzate via dalla verità sopraggiunta.

Infatti la stessa legge che è stata data per mezzo di Mosè è divenuta grazia e verità per mezzo di Gesù Cristo: ( Gv 1,17 ) grazia, cosicché, concesso il perdono dei peccati, si adempia per dono di Dio a ciò che è stato comandato; verità, cosicché, abolita l'osservanza delle ombre, per la fedeltà di Dio si renda presente ciò che è stato promesso.

7 - I Manichei giudicano con mente carnale le figure che contengono le promesse

Pertanto costoro che, biasimando ciò che non comprendono, considerano come lebbra, scabbia o verruche della legge le figure simboliche che contengono le promesse sono simili ad uomini che disdegnano ciò di cui non afferrano l'utilità: come un sordo che, vedendo muoversi le labbra di uno che parla, criticasse i movimenti della bocca come superflui e indecorosi; o un cieco che, al sentirsi magnificare una certa casa, volesse col tatto la riprova di quanto gli viene detto e mettendosi a saggiare con la mano la levigatezza delle pareti incappasse all'improvviso nelle finestre e le criticasse come disdicevoli a quella superficie omogenea, ritenendole buchi dovuti a crolli.

8 - Ottusità dei Manichei circa Gen 1,2: differenza tra luce creatrice e luce creata

Ma le azioni dei profeti furono esse stesse profetiche e simboliche: come potrò mai farlo capire a gente la cui mente è piena di vacuità a tal punto che, secondo loro, noi crediamo che anche Dio stesso un tempo si trovava nelle tenebre, giacché sta scritto Le tenebre ricoprivano l'abisso? ( Gen 1,2 )

Come se noi chiamassimo Dio l'abisso dove c'erano le tenebre in quanto lì, prima che Dio con la sua parola creasse la luce, non c'era luce!

Ma poiché essi non distinguono tra la luce che è Dio stesso e la luce che Dio ha creato, ritengono che ne consegua che egli stesso fosse nelle tenebre prima di creare la luce, essendo le tenebre sopra l'abisso prima che egli dicesse: Sia fatta la luce. E la luce fu. ( Gen 3 )

Come nel Nuovo Testamento si dicono di lui ambedue le cose - vi leggiamo infatti sia che Dio è luce e in lui non ci sono tenebre, ( 1 Gv 1,5 ) sia che Dio che disse: " Rifulga la luce dalle tenebre ", rifulse nei nostri cuori ( 2 Cor 4,6 ) -, allo stesso modo anche nel Vecchio Testamento si dice sia: È un riflesso della luce perenne ( Sap 7,26 ) a proposito della Sapienza di Dio, che certamente non è stata fatta, ( Gv 1,3 ) poiché tutte le cose furono fatte per mezzo di lei, sia: Tu, Signore, sei luce alla mia lampada: il mio Dio rischiara le mie tenebre ( Sal 18,29 ) a proposito di una luce che non può essere stata fatta se non per mezzo di lei.

Allo stesso modo anche all'inizio, quando le tenebre erano sopra l'abisso, Dio disse: Sia fatta la luce.

E la luce fu: una luce che nessun altro avrebbe potuto creare se non la luce creatrice della luce, cioè Dio.

9 - All'occhio carnale dei Manichei è inaccessibile la luce creatrice

Come infatti Dio basta a se stesso riguardo alla beatitudine eterna, e ne trabocca per renderci beati, così basta a se stesso riguardo alla luce eterna e ne trabocca per illuminarci: egli non brama il bene di nessuno, giacché è egli stesso il godimento di ogni volontà buona, né teme il male di nessuno, giacché è da lui stesso che ogni volontà cattiva viene abbandonata.

Infatti, né lo accresce chi è beato per dono suo, né lo intimorisce chi è infelice per sua sentenza.

Non è questo, o Manichei, il Dio che voi adorate: di molto vi siete allontanati da lui, inseguendo i vostri fantasmi, che il vostro cuore vuoto e instabile, abbeverandosi con gli occhi della carne a questa luce dei corpi celesti, ha dilatato e diversificato in un moltiplicarsi di invenzioni.

Questa luce, sebbene anch'essa fatta da Dio, non è neppure lontanamente paragonabile con la luce che Dio ha creato nelle menti dei pii, che le illumina dalle tenebre e le giustifica dall'empietà: quanto meno lo sarà con quella luce inaccessibile che di tutte queste cose è creatrice!

Eppure, non a tutti è inaccessibile: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio, ( Mt 5,8 ) e Dio è luce e in lui non ci sono tenebre; gli empi invece non vedranno la luce, come dice Isaia. ( Is 59,9-10 )

A costoro dunque è inaccessibile la luce, creatrice di luce, che creò non solo quella luce spirituale nelle menti dei santi, ma anche questa luce corporea, alla quale non proibisce che i malvagi si avvicinino, bensì la fa sorgere sopra i buoni e sopra i malvagi. ( Mt 5,45 )

10 - Ipotesi sulla natura della luce creata

Quando dunque le tenebre erano sopra l'abisso egli, che era la luce, disse: Sia fatta la luce.

È chiaro quale luce fece la luce: infatti troviamo chiaramente scritto Dio disse; non è altrettanto chiaro, invece, quale luce fu fatta.

Per gli studiosi delle Divine Scritture, infatti, è oggetto di comune discussione se si tratti della luce che sta nelle menti degli angeli, se cioè Dio abbia creato in quel momento gli stessi spiriti razionali, oppure di una qualche luce corporea, situata anch'essa lontano dai nostri sguardi nei luoghi più alti di questo mondo.

Infatti i luminari visibili nel cielo li creò il quarto giorno: e a sua volta similmente ci si domanda se essi furono creati simultaneamente alla loro luce, o in che modo furono accesi a partire da quella luce che era già stata creata.

In ogni caso, qualunque sia la luce che fu fatta allorché, essendo le tenebre sopra l'abisso, Dio disse: sia fatta la luce, nessuno che, leggendo con pietà le sacre Scritture diventi degno di comprenderle, dubita del fatto che la luce creata fu fatta dalla luce creatrice.

11 - In che senso lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque ( Gen 1,2 )

Né si deve ritenere che Dio, prima di fare la luce, abitasse nelle tenebre, per il fatto che: Lo spirito di Dio aleggiava sulle acque ( Gen 1,2 ) ed essendo stato detto in precedenza che le tenebre ricoprivano l'abisso.

L'abisso infatti è l'immensa profondità delle acque.

Da qui può venire in mente, a chi pensa secondo la carne, che lo Spirito di Dio abitasse in quelle tenebre che erano sopra l'abisso, dato che di lui si dice: aleggiava sulle acque: costui non capisce come la luce risplenda nelle tenebre e come le tenebre non la comprendano ( Gv 1,5 ) se non quando divengano luce mediante la parola di Dio e si dica loro: Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. ( Ef 5,8 )

Se dunque le menti razionali, ottenebrate dalla volontà empia, non possono comprendere la luce - mai assente - della sapienza di Dio, poiché ne sono lontane per l'affetto, non per il luogo, che c'è di strano se lo spirito di Dio, che aleggiava sopra le acque, aleggiasse anche sopra le tenebre delle acque, certamente ad una distanza senza paragoni, ma di sostanza e non di luogo?

12 - In che senso Dio si meravigliò della luce ( Gen 1,4 )

So bene di cantare queste cose a dei veri e propri sordi: tuttavia, non dispero che la verità del mio canto incontri un orecchio che sia stato aperto dal Signore, dal quale provengono le verità che diciamo.

Ma dobbiamo proprio sopportare come giudici delle Divine Scritture persone simili, alle quali non aggrada neanche che a Dio piacquero le proprie opere, e lo accusano di essersi meravigliato della luce come di una cosa estranea, poiché sta scritto: Dio vide che la luce era cosa buona? ( Gen 1,4 )

Egli infatti approva le sue opere perché gli piace ciò che ha fatto, ed è questo che significa il vedere che sono buone.

Infatti non è costretto a fare qualcosa contro la propria volontà, così da fare ciò che non gli piace; né si mette a fare qualcosa inavvertitamente, così da dispiacersi di averla fatta.

Ma come potrebbe non infastidire costoro il fatto che il nostro Dio vide che la sua opera era buona, dal momento che il loro dio, quando ebbe sommerso le sue membra nelle tenebre, si mise davanti un velo?

Non vide infatti che ciò che aveva fatto era buono, bensì non volle vedere che era cattivo.

13 - In che senso Cristo si meravigliò della fede del centurione ( Mt 8,10 )

Fausto dice chiaramente che il nostro Dio si meravigliò, il che non è scritto: né se uno vede che una cosa è buona, ne consegue che si dica che ne resti anche meravigliato.

Infatti, di fronte a molte cose che vediamo buone, non rimaniamo meravigliati perché sono tali contro la nostra aspettativa, ma le approviamo semplicemente perché tali dovevano essere.

Nondimeno, mostriamo a costoro, non nel Vecchio Testamento che calunniano in mala fede, ma nel Nuovo che accettano per ingannare gli inesperti, che Dio si è meravigliato.

Essi infatti confessano che Cristo è Dio, e pongono nel loro laccio questa esca dolcissima, con cui catturare chi è devoto a Cristo.

Dio dunque si è meravigliato quando Cristo si è meravigliato: infatti sta scritto nel Vangelo che, udita la fede di un centurione: Ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. ( Mt 8,10 )

Ecco, abbiamo spiegato come abbiamo potuto le parole Dio vide che era cosa buona, e forse interpreti migliori le spiegano meglio.

Spieghino anche costoro in che senso Gesù si meravigliò di una cosa che sapeva già prima che accadesse, e conosceva già prima di udirla.

Sebbene infatti ci sia una grande differenza tra il vedere che una cosa è buona e il meravigliarsene anche, tuttavia in questo caso c'è una qualche similitudine, poiché anche Gesù si meravigliò per la luce di fede che egli stesso, che è la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, aveva fatto nel cuore di quel centurione. ( Gv 1,9 )

14 - Le critiche di Fausto al Vecchio Testamento somigliano a quelle che i pagani potrebbero muovere al Nuovo

Certo, un pagano empio potrebbe insultare e accusare Cristo nel Vangelo, così come Fausto fa con Dio nel Vecchio Testamento.

Potrebbe infatti dire anch'egli che Cristo mancava di prescienza, non solo perché rimase stupito della fede del centurione, ma anche perché fra i suoi discepoli scelse Giuda, che non avrebbe osservato i suoi comandamenti: ( Gv 6,70 ) così come Fausto biasima il fatto che nel paradiso fu dato all'uomo un ordine che non avrebbe eseguito. ( Gen 2,16-17; Gen 3,6 )

Gli imputerebbe anche che non fu in grado di sapere chi lo aveva toccato, quando quella che soffriva per il flusso di sangue gli toccò la frangia dell'abito: così come costui incolpò Dio di ignorare dove si nascondesse Adamo, credo a motivo delle parole: Adamo, dove sei? ( Gen 3,9 ) così come per quelle di Cristo: Chi mi ha toccato? ( Lc 8,44-45 )

Potrebbe dire anche che era invidioso e che aveva paura che se altre cinque vergini fossero entrate nel suo regno, sarebbero vissute in eterno: e chiuse loro la porta in modo da non aprire neppure di fronte al loro pietoso bussare, ( Mt 25,11-12 ) come dimenticando ciò che egli stesso aveva promesso col dire: Bussate e vi sarà aperto; ( Mt 7,7 ) così come costui accusa Dio di invidia e di paura perché non aveva ammesso il peccatore alla vita eterna.

Potrebbe ritenerlo desideroso del sangue non degli animali ma degli uomini, poiché disse: Chi avrà perduto la sua anima per causa mia, la troverà per la vita eterna: ( Mt 10,39 ) così come costui ha voluto criticare i sacrifici degli animali, figure con cui veniva promesso il sacrificio del sangue dal quale siamo stati redenti.

Potrebbe rimproverarlo anche di essere geloso, per il fatto che, quando scacciò dal tempio con il flagello i compratori e i venditori, l'evangelista ha ricordato che di lui fu scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora, ( Gv 2,15-17 ) così come costui ha accusato Dio di gelosia perché vietò che si sacrificasse ad altri.

Potrebbe considerarlo iroso verso i suoi e verso gli estranei: verso i suoi, poiché disse: Il servo che, conoscendo la volontà del suo padrone, avrà fatto cose degne di percosse, ne riceverà molte; ( Lc 12,47 ) verso gli estranei, poiché disse: Se qualcuno non vi accoglierà, scuotete su di lui la polvere dei vostri piedi.

In verità vi dico, nel giorno del giudizio Sodoma avrà una sorte più sopportabile di quella città: ( Mt 10,14-15 ) così come costui incrimina Dio di ira ora verso i suoi ora verso gli estranei, giacché l'Apostolo menziona ambedue quando dice: Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati sotto la legge. ( Rm 2,12 )

Potrebbe dire che trucidò e sparse il sangue di molti per colpe lievi o per nulla commesse.

Agli occhi di un pagano apparirebbe certo colpa lieve o affatto commessa il non avere la veste nuziale in un banchetto di nozze, motivo per cui il nostro re nel Vangelo ordinò che quell'uomo fosse gettato nelle tenebre esteriori ( Mt 22,11-13 ) legato mani e piedi; o il non volere Cristo come proprio re, peccato per il quale dice: Quelli che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me: ( Lc 19,27 ) così come costui ha accusato Dio nel Vecchio Testamento poiché gli sembrò che trucidasse migliaia di uomini per colpe lievi o per nulla commesse.

Quanto poi all'accusa di Fausto a Dio che minaccia di venire con la spada con cui non risparmierà né il giusto né il peccatore, quale accuse mai non lancerebbe quel pagano udendo l'apostolo Paolo dire del nostro Dio: Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi; ( Rm 8,32 ) udendo anche Pietro, che nel parlare delle grandi tribolazioni dei santi e della loro uccisione, li esorta a sopportare e dice: È giunto il momento in cui inizia il giudizio dalla casa di Dio; e se inizia da noi, quale sarà la fine di coloro che rifiutano di credere al Vangelo del Signore?

E se il giusto a stento si salverà, che ne sarà del peccatore e dell'empio? ( 1 Pt 4,17-18 )

Cosa c'è infatti di più giusto di quell'unico, che tuttavia il Padre non risparmiò?

E cosa di più evidente del fatto che non risparmi neppure i giusti, purificandoli con diverse tribolazioni, dal momento che di ciò si dice apertamente: E se il giusto a stento si salverà?

Non solo infatti nel Vecchio Testamento sta scritto: Dio corregge chi ama; percuote ogni figlio che predilige ( Pr 3,12 ) e: Se dalla mano del Signore accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male? ( Gb 2,10 ) ma anche nel Nuovo troviamo: Colui che amo, lo rimprovero e lo castigo, ( Ap 3,19 ) e: se infatti ci esaminassimo da noi stessi, il Signore non ci giudicherebbe; ma se ci giudica, il Signore ci corregge, affinché non siamo condannati insieme con il mondo. ( 1 Cor 11,31-32 )

Tuttavia, se un pagano criticasse nel Nuovo Testamento le medesime cose che costoro criticano nel Vecchio, non si metterebbero forse essi stessi a difenderle?

E se mai riuscissero a farlo, per quale follia accusano qui ciò che lì difendono?

Se invece non ci riuscissero, perché concedono che si debba credere, in un Testamento soltanto e non piuttosto in ambedue, una cosa che, senza essere compresa, appare ignobile agli empi e invece giusta, sebbene misteriosa, ai pii?

15 - Anche nel Nuovo Testamento i Manichei attribuiscono a falsari ciò che non si accorda con la loro eresia

O forse osano dire che sono false e perverse anche le affermazioni simili che abbiamo addotto dal Nuovo Testamento, in base a quel loro diabolico privilegio per cui tutto ciò che, nel Vangelo o nelle Epistole canoniche, pensano che possa sostenere la loro eresia lo accettano e lo propagandano come detto da Cristo e dagli apostoli, mentre tutto ciò che nei medesimi codici suona come detto contro di loro, non esitano ad affermare con bocca impudente e sacrilega che vi fu immesso ad opera di falsari?

A questa loro follia, che tenta di annullare e abbattere l'autorità di tutti i libri, ho già risposto in precedenza non poche cose, per quello che mi sembrava permetterlo la fisionomia della presente opera.

16 - Esposizione e confutazione delle eventuali accuse dei pagani: Dio è privo di prescienza e invidioso dell'uomo

Ora li ammonisco affinché, mentre cercano di velare le loro favole insane e sacrileghe sotto il pallio del nome cristiano, vedano tuttavia che, quando discutono queste cose contro le Scritture cristiane, la verità dei codici divini di ambedue i Testamenti è difesa da noi non soltanto contro i pagani, ma anche contro i Manichei.

E queste cose che Fausto, attingendole dalle nostre antiche scritture, ha appena inserito nel suo discorso come indegne di Dio, io forse potrei difenderle contro un pagano che le biasimasse nel testo evangelico o apostolico menzionandone alcune simili prese dai loro autori, come fece il nostro Paolo presso gli Ateniesi. ( At 17,28 )

Infatti, potrei forse trovare anche nella loro letteratura un Dio che creò e fabbricò il mondo e dette inizio a questa luce e che tuttavia, prima di crearla, non giaceva nelle tenebre; che al compimento dell'opera sua fu preso dalla gioia - il che è certo di più del Vide che era cosa buona -; che dette una legge seguendo la quale l'uomo avrebbe fatto il proprio bene, o il proprio male disprezzandola, e che non direbbero certo che ignorava il futuro, per il fatto che dette la legge anche a chi l'avrebbe poi disprezzata.

Invero, non chiamerebbero privo di prescienza neppure un uomo per il fatto che pone delle domande, coloro nei cui libri molte domande sono formulate per null'altro motivo che ciascuno si convinca con le proprie risposte, giacché colui che interroga non solo sa ciò che vuole che l'altro gli risponda, ma anche ciò che quello gli risponderà.

Se invece volesse dire che Dio è invidioso di qualcuno perché non permette che i malvagi siano felici, troverebbe pieni a questo riguardo i libri dei suoi inerenti alla provvidenza divina.

17 - Il valore degli antichi sacrifici

Sui sacrifici, poi, questo solo il pagano mi potrebbe obiettare: perché li critichiamo presso di loro, dal momento che nei nostri antichi libri si legge che il nostro Dio comandò che gli si offrissero?

A questo proposito, mettendomi a discutere più ampiamente del vero sacrificio, gli potrei dimostrare che esso non è dovuto se non all'unico vero Dio, e che a lui è stato offerto dall'unico vero sacerdote, mediatore tra Dio e gli uomini: ( 1 Tm 2,5 ) sacrificio le cui prefigurazioni era opportuno fossero celebrate con vittime animali, a indicare la carne e il sangue futuri, quelli dell'unica vittima per la quale vengono rimessi i peccati contratti con la carne e il sangue, che non possiederanno il regno di Dio, poiché la sostanza stessa del corpo si trasformerà in qualità celeste: cosa che nel sacrificio era significata dal fuoco, quasi un assorbimento della morte nella vittoria. ( 1 Cor 15,50-54 )

Queste cose furono celebrate a buon diritto presso quel popolo il cui regno e sacerdozio erano profezia del Re e del Sacerdote che sarebbe venuto a governare e a consacrare fedeli di tutte le genti e a introdurli nel regno dei cieli, nel santuario degli angeli e nella vita eterna.

Di questo vero sacrificio, gli Ebrei celebrarono santamente la prefigurazione e i pagani un'imitazione sacrilega: poiché, dice: l'Apostolo: I sacrifici dei Gentili sono fatti ai demoni e non a Dio. ( 1 Cor 10,20 )

L'immolazione del sangue quale preannunzio è infatti una realtà antica, che dall'inizio del genere umano dà testimonianza della futura passione del Mediatore: nella sacra Scrittura si trova infatti che il primo ad offrirla fu Abele. ( Gen 4,4 )

Non fa pertanto meraviglia se gli angeli prevaricatori che volteggiano per questa atmosfera, i cui due vizi maggiori sono la superbia e la falsità, ciò che sapevano doversi all'unico vero Dio lo pretesero per sé dai propri adoratori, dai quali vollero essere ritenuti dèi; ne offrì l'occasione la vacuità del cuore umano, soprattutto quando per nostalgia dei morti furono costruite delle immagini, donde è derivata l'usanza dei simulacri, ( Sap 14,15 ) e con adulazione ancora più grande furono ad essi tributati onori divini, come fossero stati assunti in cielo, mentre sulla terra i demoni ne prendevano il posto per farsi adorare, reclamando i sacrifici degli ingannati e degli illusi.

Pertanto, risulta chiaro a sufficienza a chi si debba un sacrificio: non solo quando giustamente lo ordina il vero Dio, ma anche quando con presunzione lo esige un Dio falso.

Se ciò per quel pagano fosse troppo difficile da credersi, lo convincerei con la stessa profezia, nella quale furono scritte tanto tempo prima le cose che ora gli mostrerei realizzate.

Se poi disprezzasse anche questa, ammetterei il fatto piuttosto che stupirmene, giacché mi tornerebbe alla memoria che, secondo la verità della medesima profezia, non tutti avrebbero creduto.

18 - Gelosia di Dio: ambivalenza della terminologia

Se poi, sulla base di ambedue i Testamenti, mi obiettasse che Cristo o Dio sono gelosi, e criticasse il termine stesso, non mostrerebbe altro che la propria totale ignoranza o negligenza in fatto di letteratura.

Infatti, sebbene i loro dotti facciano distinzione tra volontà e brama, gioia e ilarità, circospezione e paura, clemenza e misericordia, prudenza e astuzia, confidenza e audacia, e in queste e molte altre simili coppie di termini ascrivano il primo alle virtù e il secondo ai vizi, tuttavia i loro libri sono pieni dell'uso improprio dei termini che propriamente indicano i vizi, giacché con essi vengono designate anche le virtù: si usa brama per volontà, ilarità per gioia, paura per circospezione, misericordia per clemenza, astuzia per prudenza, audacia per confidenza.

E chi riuscirebbe a citare tutti i termini che il linguaggio d'uso usurpa per tale licenza?

Bisogna inoltre aggiungere anche le caratteristiche proprie di ciascuna singola lingua.

Infatti negli scrittori ecclesiastici non trovo mai utilizzato il termine " misericordia " in senso negativo, e in ciò è concorde anche la consuetudine del linguaggio quotidiano.

I Greci chiamano con un unico nome due cose certo simili, ma tuttavia distinte, quali la fatica e il dolore; noi le indichiamo con due nomi diversi.

Noi chiamiamo con un unico nome la vita sia quando diciamo che uno " vive " perché non è morto, sia quando diciamo che " È un uomo dalla vita onesta ": i Greci invece designano queste due cose con due vocaboli.

Da ciò potrebbe darsi che, a prescindere dell'uso improprio delle parole, ampiamente presente in tutte le lingue, in virtù di qualche caratteristica propria della lingua ebraica " gelosia " sia utilizzato in ambedue i sensi: sia quando l'animo, turbato per l'adulterio del coniuge, si strugge, cosa che non può verificarsi per Dio, sia quando si pratica una vigilante custodia per conservare la castità coniugale; e che Dio faccia questo allorché parla col suo popolo come con una sposa che non vuole si dia alla fornicazione con molti dèi falsi, è per noi utile crederlo non solo senza dubitare, ma anche rendendone grazie.

Lo stesso potrei affermare dell'ira di Dio: Dio infatti, quando si adira, non è soggetto a turbamento, ma si dice ira al posto di vendetta o per catacresi, o per qualche caratteristica propria della lingua originale.

19 - Durezza e giudizio di Dio

Costui non si meraviglierebbe poi della morte di migliaia di uomini, se non negasse il giudizio di Dio: giudizio che neanche i pagani negano, giacché ammettono che questo universo dalle realtà più alte sino alle infime è retto e amministrato dalla provvidenza di Dio.

Se negasse anche questo, potrei convincerlo ben facilmente con l'autorità dei suoi, o disputando poco più a lungo con solidi ragionamenti.

Se poi fosse troppo duro e stolto, lo abbandonerei a quello stesso giudizio divino alla cui esistenza egli non crede.

Se menzionasse esplicitamente le colpe lievi o nulle per le quali Dio fece morire quegli uomini, gli mostreremmo che non sono né nulle né lievi: circa ad esempio il caso già posto della veste nuziale, ( Mt 22,11-13 ) gli dimostreremmo quanto è illecito recarsi alle sacre nozze cercando lì non la gloria dello sposo, ma la propria, oppure un altro significato che per quella veste, in virtù di una migliore comprensione, si potesse trovare.

Circa il fatto che vengono uccisi davanti agli occhi del re quelli che non volevano che egli regnasse su di loro, ( Lc 19,27 ) basterebbe un nostro discorso forse non lungo a chiarire che, se per un uomo non è una colpa il non volere che un altro uomo regni su di lui, non altrettanto si tratta di colpa nulla o lieve se egli non vuole che a regnare su di lui sia l'unico nel cui regno si vive santamente, felicemente e per sempre.

Indice