Il Popolo Ebraico e le sue Sacre Scritture

6. La Legge

43. Il termine ebraico tôrāh, tradotto con « legge », significa più esattamente « istruzione », cioè al tempo stesso insegnamento e direttiva.

La tôrāh è fonte suprema di sapienza.143

La Legge occupa un posto centrale nelle Scritture del popolo ebraico e nella sua pratica religiosa, dal tempo biblico fino ai nostri giorni.

Per questo, fin dai tempi apostolici, la Chiesa ha dovuto situarsi in rapporto alla Legge, sull'esempio di Gesù stesso, che ha dato ad essa un proprio significato in virtù della sua autorità di Figlio di Dio.144

a) La Legge nell'Antico Testamento

La Legge e il culto d'Israele si sono sviluppati lungo tutto l'Antico Testamento.

Le diverse raccolte di leggi145 possono del resto servire da importanti punti di riferimento per la cronologia del Pentateuco.

Il dono della Legge.

La Legge è innanzitutto un dono di Dio al suo popolo.

Il dono della Legge diventa oggetto di un racconto principale, di origine composita,146 e di racconti complementari,147 tra i quali 2 Re 22–23 occupa un posto a parte per la sua importanza per il Deuteronomio.

Es 19–24 integra la Legge nell'« alleanza » ( berît ) che il Signore conclude con Israele sulla montagna di Dio, nel corso di una teofania davanti a tutto Israele ( Es 19–20 ), e poi davanti al solo Mosè148 e davanti ai settanta rappresentanti d'Israele ( Es 24,9-11 ).

Queste teofanie e l'alleanza significano una grazia speciale per il popolo presente e futuro,149 e le leggi allora rivelate ne sono la garanzia perenne.

Ma le tradizioni narrative associano al dono della Legge anche la rottura dell'alleanza che risulta dalla violazione del monoteismo, così come prescritto nel Decalogo.150

« Lo spirito delle leggi » secondo la Tôrāh.

Le leggi contengono regole morali ( etica ), giuridiche ( diritto ), rituali e culturali ( ricca raccolta di usanze religiose e profane ).

Si tratta di disposizioni concrete, talvolta espresse in modo assoluto ( ad es. il decalogo ), talvolta sotto forma di casi particolari che concretizzano principi generali.

Esse hanno allora valore di precedente e di analogia per situazioni simili, che danno luogo a sviluppi ulteriori di una giurisprudenza, chiamata halakha e sviluppata nella legge orale, chiamata più tardi mishna.

Molte leggi hanno un significato simbolico, nel senso che illustrano concretamente valori invisibili, come ad es. l'equità, la pace sociale, l'umanità, ecc.

Queste leggi non sono servite tutte come norme da essere applicate; alcune sono testi di scuola per la formazione di futuri sacerdoti, giudici o funzionari; altre riflettono ideali ispirati dal movimento profetico.151

Esse avevano come campo di applicazione dapprima i borghi e i villaggi del paese ( Codice di alleanza ), poi tutto il regno di Giuda e d'Israele e più tardi la comunità ebraica dispersa nel mondo.

Considerate storicamente, le leggi bibliche sono il risultato di una lunga storia di tradizioni religiose, morali e giuridiche.

Contengono numerosi elementi comuni alla civiltà del Vicino Oriente antico.

Viste sotto l'aspetto letterario e teologico, hanno la loro fonte nel Dio d'Israele, che le ha rivelate o direttamente ( il decalogo secondo Dt 5,22 ) o per mezzo di Mosè, incaricato di promulgarle.

Infatti il decalogo è una raccolta a parte rispetto alle altre leggi.

Il suo inizio152 lo qualifica come l'insieme delle condizioni necessarie per assicurare la libertà delle famiglie israelite e la loro protezione contro ogni genere di oppressione, quella dell'idolatria come quella dell'immoralità e dell'ingiustizia.

Lo sfruttamento che Israele aveva subito in Egitto non doveva mai riprodursi in Israele, con l'oppressione dei deboli da parte dei potenti.

Invece, le disposizioni del Codice dell'alleanza di Es 34,14-26 incarnano un insieme di valori umani e religiosi, delineando così un ideale comunitario dal valore eterno.

La Legge è israelitica e giudaica; è quindi particolare, adattata a un popolo storico particolare.

Ma ha un valore esemplare per tutta l'umanità ( Dt 4,6 ).

Per questa ragione è un bene escatologico promesso a tutte le nazioni, poiché servirà da strumento di pace ( Is 2,1-4; Mic 4,1-3 ).

Essa incarna un'antropologia religiosa e un insieme di valori che trascendono il popolo e le condizioni storiche di cui le leggi bibliche sono in parte il prodotto.

Una spiritualità della Tôrāh.

Manifestazioni della sapiente volontà di Dio, i comandamenti acquistarono sempre più importanza nella vita sociale e individuale d'Israele.

La Legge divenne onnipresente, soprattutto a partire dall'esilio ( VI secolo ).

Si formò così una spiritualità segnata da una profonda venerazione della Tôrāh.

La sua osservanza fu compresa come l'espressione necessaria del « timore del Signore » e la forma perfetta del servizio di Dio.

All'interno della stessa Scrittura, i salmi, il Siracide e Baruc ne sono i testimoni.

I salmi 1; Sal 19 e Sal 119, salmi della Tôrāh, giocano un ruolo strutturale nell'organizzazione del salterio.

La Tôrāh rivelata agli uomini è al tempo stesso il pensiero organizzatore del cosmo creato.

Obbedendo a questa legge, gli ebrei credenti vi trovano le loro delizie e la loro benedizione, e partecipano all'universale sapienza creatrice di Dio.

Questa sapienza rivelata al popolo ebraico è superiore alla sapienza delle altre nazioni ( Dt 4,6.8 ), in particolare a quella dei Greci ( Bar 4,1-4 ).

b) La legge nel Nuovo Testamento

44. Matteo, Paolo, la lettera agli Ebrei e quella di Giacomo dedicano una riflessione teologica esplicita al significato della Legge dopo la venuta di Gesù Cristo.

Il vangelo di Matteo riflette la situazione della comunità ecclesiale matteana dopo la caduta di Gerusalemme ( 70 d.C. ).

Gesù afferma la validità permanente della Legge ( Mt 5,18-19 ), ma in una nuova interpretazione, data con piena autorità ( Mt 5,21-28 ).

Gesù « dà compimento » alla Legge ( Mt 5,17 ), radicalizzandola: talvolta abroga la lettera della Legge ( divorzio, legge del taglione ), talvolta ne dà un'interpretazione più esigente ( omicidio, adulterio, giuramento ) o più flessibile ( sabato ).

Gesù insiste sul duplice comandamento dell'amore di Dio ( Dt 6,5 ) e del prossimo ( Lv 19,18 ), da cui « dipendono tutta la Legge e i profeti » ( Mt 22,34-40 ).

Accanto alla Legge, Gesù, novello Mosè, fa conoscere la volontà di Dio agli uomini, prima agli ebrei e poi alle nazioni ( Mt 28,19-20 ).

La teologia paolina

della legge è ricca, ma non perfettamente unificata.

Ciò è dovuto alla natura degli scritti e a un pensiero ancora in piena elaborazione su un terreno teologico non ancora dissodato.

La riflessione di Paolo sulla Legge è stata provocata dalla sua personale esperienza spirituale e dal suo ministero apostolico.

Dalla sua esperienza spirituale: nel suo incontro con Cristo ( 1 Cor 15,8 ), Paolo si rese conto che il suo zelo per la Legge l'aveva fuorviato al punto da portarlo a « perseguitare la Chiesa di Dio » ( 1 Cor 15,9; Fil 3,6 ) e che aderendo a Cristo egli rinnegava quindi questo zelo ( Fil 3,7-9 ).

Dal suo ministero apostolico: poiché questo ministero riguardava i non-ebrei ( Gal 2,7; Rm 1,5 ), si presentava subito un interrogativo: la fede cristiana esige che si imponga ai non-ebrei la sottomissione alla legge particolare del popolo ebraico e, segnatamente, alle osservanze legali che sono dei segni dell'identità ebraica ( circoncisione, regole alimentari, calendario )?

Una risposta affermativa a questa domanda sarebbe stata, evidentemente, rovinosa per l'apostolato di Paolo.

Posto di fronte a questo problema, l'apostolo non si limita a considerazioni pastorali, ma si dedica a un approfondimento dottrinale.

Paolo si convince fortemente che la venuta di Cristo ( Messia ) obbliga a ridefinire il ruolo della Legge.

Cristo infatti è il « termine della Legge » ( Rm 10,4 ), al tempo stesso lo scopo verso il quale tendeva e il punto di arrivo dove ha fine il suo regime, perché d'ora in poi non è più la Legge a dare vita - d'altra parte effettivamente essa non lo poteva153 - ma è la fede in Cristo che giustifica e fa vivere.154

Cristo risorto dai morti comunica ai credenti la sua vita nuova ( Rm 6,9-11 ) e assicura loro la salvezza ( Rm 10,9-10 ).

Quale sarà d'ora in poi la funzione della Legge?

A questa domanda Paolo cerca una risposta.

Vede il significato positivo della Legge: è un privilegio d'Israele ( Rm 9,4 ), « la Legge di Dio » ( Rm 7,22 ); si riassume nel precetto dell'amore del prossimo;155 è « santa » e « spirituale » ( Rm 7,12.14 ).

Secondo Fil 3,6 la legge definisce una certa « giustizia ».

Inversamente, la Legge apre automaticamente la possibilità della scelta contraria: « … non ho conosciuto il peccato se non per la Legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la Legge non avesse detto: Non desiderare » ( Rm 7,7 ).

Paolo evoca spesso questa opzione implicata inevitabilmente nel dono della Legge, dicendo ad esempio che la condizione umana concreta ( « la carne » ) o « il peccato » impediscono alla persona umana di aderire alla Legge ( Rm 7,23-25 ) o che « la lettera » della Legge, privata dello Spirito capace di realizzare la Legge, finisce per apportare la morte ( 2 Cor 3,6-7 ).

Opponendo « la lettera » e « lo Spirito », l'Apostolo ha operato una dicotomia, come aveva fatto con Adamo e Cristo: da una parte, egli mette quello che Adamo ( cioè l'essere umano senza la grazia ) è capace di fare, dall'altra ciò che Cristo ( cioè la grazia ) realizza.

In realtà, nell'esistenza concreta dei pii ebrei, la Legge era inserita in un piano di Dio in cui le promesse e la fede avevano il loro posto, ma Paolo ha voluto parlare di ciò che la Legge può dare per se stessa, come « lettera », facendo cioè astrazione dalla provvidenza che accompagna sempre l'uomo, a meno che egli non voglia fabbricarsi una propria giustizia.156

Se, secondo 1 Cor 15,56, « il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge », ne consegue che la Legge, per la sua condizione di lettera, uccide, anche se indirettamente.

Di conseguenza, il ministero di Mosè potrà essere chiamato ministero di morte ( 2 Cor 3,7 ) e di condanna ( 2 Cor 3,9 ).

Tuttavia questo ministero è stato circondato da una tale gloria ( splendore proveniente da Dio ) che gli Israeliti non potevano nemmeno guardare il volto di Mosè ( 2 Cor 3,7 ).

Questa gloria perde il suo valore per il fatto che esiste una gloria superiore ( 2 Cor 3,10 ), quella del « ministero dello Spirito » ( 2 Cor 3,8 ).

45. La lettera ai Galati afferma che « quelli che si richiamano alle opere della Legge, stanno sotto una maledizione », perché la Legge maledice « chiunque non persevera nel compimento di tutto quello che è scritto nel ( suo ) libro ».157

La Legge è qui opposta al cammino di fede, proposto del resto ugualmente dalla Scrittura;158 essa indica il cammino delle opere, che ci lascia con le nostre sole forze ( 2 Cor 3,12 ).

Non è che l'Apostolo sia contro ogni « opera ».

È soltanto contro la pretesa umana di giustificarsi da sé grazie alle « opere della Legge ».

Ma non è contro le opere della fede - che, del resto, coincidono spesso con il contenuto della Legge -, opere rese possibili grazie all'unione vitale con Cristo.

Egli dichiara, al contrario, che « ciò che conta » è « la fede che opera per amore ».159

Paolo è consapevole che la venuta di Cristo ha portato un cambio di regime.

I cristiani non vivono più sotto il regime della Legge, ma sotto quello della fede in Cristo ( Gal 3,24-26; Gal 4,3-7 ), che è il regime della grazia ( Rm 6,14-15 ).

Quanto ai contenuti centrali della legge ( il Decalogo e tutto ciò che è nello spirito del Decalogo ), Gal 5,18-23 afferma prima: « Se siete guidati dallo Spirito, non siete più sotto la legge » ( Gal 5,18 ).

Senza aver bisogno della Legge, vi asterrete spontaneamente dalle « opere della carne » ( Gal 5,19-21 ) e produrrete « il frutto dello Spirito » ( Gal 5,22 ).

Paolo aggiunge poi che la Legge non è contro queste cose ( Gal 5,23 ), perché i credenti compiranno tutto ciò che la Legge richiede, e anche di più, ed eviteranno tutto ciò che la Legge proibisce.

Secondo Rm 8,1-4, « la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù » ha rimediato all'impotenza della Legge di Mosè e ha fatto in modo che « la giusta prescrizione della Legge si adempisse » nei credenti.

Uno degli scopi della redenzione era proprio di ottenere questo compimento della Legge!

Nella Lettera agli Ebrei

la Legge appare come un'istituzione che è stata valida nel suo tempo e al suo livello.160

Ma la vera mediazione tra il popolo peccatore e Dio non è alla sua portata ( Eb 7,19; Eb 10,1 ).

Solo la mediazione di Cristo è efficace ( Eb 9,11-14 ).

Cristo è un sommo sacerdote di un genere diverso ( Eb 7,11.15 ).

I legami della Legge con il sacerdozio fanno sì che « il mutamento di sacerdozio comporti un mutamento di Legge » ( Eb 7,12 ).

Affermando ciò, l'autore si collega all'insegnamento di Paolo, secondo il quale i cristiani non sono più sotto il regime della Legge, ma sotto quello della fede in Cristo e della grazia.

Per il rapporto con Dio, l'autore non insiste sull'osservanza della Legge, bensì sulla « fede », « la speranza » e « l'amore » ( Eb 10,22.23.24 ).

Per Giacomo,

come per la prima comunità cristiana, i comandamenti morali continuano a servire da guida ( Gc 2,11 ), ma interpretati dal Signore.

La « legge regale » ( Gc 2,8 ), quella del « Regno » ( Gc 2,5 ), è il precetto dell'amore del prossimo.161

È « la legge perfetta della libertà » ( Gc 1,25; Gc 2,12-13 ) che bisogna mettere in pratica grazie a una fede operosa ( Gc 2,14-16 ).

Quest'ultimo esempio mostra al tempo stesso la varietà delle posizioni espresse nel Nuovo Testamento in rapporto alla Legge e il loro fondamentale accordo.

Giacomo non annuncia, come Paolo e la lettera agli Ebrei, la fine del regime della Legge, ma concorda con Matteo, Marco, Luca e Paolo, nel sottolineare il primato, non del Decalogo, ma del precetto dell'amore del prossimo ( Lv 19,18 ), che porta a osservare perfettamente il Decalogo e a fare anche meglio.

Il Nuovo Testamento si basa perciò sull'Antico.

Lo legge alla luce di Cristo, che ha confermato il precetto dell'amore e gli ha dato una nuova dimensione: « Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi » ( Gv 13,34; Gv 15,12 ), cioè fino al sacrificio della vita.

La Legge è così più che compiuta.

Indice

143 Dt 4,6-8; Sir 24,22-27; Bar 3,38–4,4
144 Mt 5,21-48; Mc 2,23-27
145 Decalogo Es 20,1-17; Dt 5,6-21;
codice d'alleanza Es 20,22–23,19;
raccolta di Es 34;
legge deuteronomica Dt 12–28;
codice di santità Lv 17–26;
leggi sacerdotali Es 25–31; Es 35– 40; Lv 1–7; Lv 8–10; Lv 11–16 ecc
146 Es 19–24; Es 32–34, cf Dt 5; Dt 9–10
147 Gen 17; Es 12-13; Es 15,23-26; ecc.
148 Es 20,19-21; Dt 5,23-31
149 Es 19,5-6; Es 24,10-11
150 Es 32–34; Es 20,2-6 e par.
151 Ad esempio la legislazione sull'affrancamento degli schiavi: Es 21,2; Lv 25,10; Dt 15,12; cf Is 58,6; Is 61,1; Ger 34,8-17
152 Es 20,2; Dt 5,6
153 Rm 7,10; Gal 3,21-22
154 Rm 1,17; Gal 2,19-20
155 Lv 19,18; Gal 5,14; Rm 13,8-10
156 Rm 10,3; Fil 3,9
157 Gal 3,10 che cita Dt 27,26
158 Gal 3,11; Ab 2,4
159 Gal 5,6; cf Gal 5,13; Gal 6,9-10
160 Eb 2,2; Eb 7,5.28; Eb 8,4; Eb 9,19.22; Eb 10,8.28
161 Lv 19,18; Gc 2,8; Gc 4,11