Il castigo e il perdono dei peccati e il battesimo dei bambini

Indice

Libro II

1.1 - L'argomento di questo secondo libro

Carissimo Marcellino, nel precedente libro abbiamo discusso a sufficienza, come penso, sul battesimo dei bambini che viene dato loro non solo per il regno di Dio, ma anche perché ottengano la salvezza e la vita eterna, che nessuno può avere senza il regno di Dio e senza essere unito al Cristo Salvatore con quel tipo di società in vista della quale egli ci ha redento con il suo sangue. ( Ap 5,9 )

In questo libro mi sono invece accollato di esaminare e sciogliere, con quanta diligenza o capacità mi dona il Signore, i nodi seguenti: se c'è qualcuno che in questo secolo viva o sia vissuto o sia per vivere senza assolutamente nessun peccato, con l'unica eccezione del Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. ( 1 Tm 2, 5-6 )

Se in questo studio per qualche necessità od opportunità si inserirà di nuovo la questione del battesimo o del peccato dei bambini, non ti meravigliare se non sfuggiremo di rispondere in quei momenti, come possiamo, a tutti i problemi che reclamano una nostra risposta.

2.2 - La libertà umana ha bisogno della grazia divina

La soluzione poi del problema di una vita umana senza alcun peccato che ci rubi di soppiatto il consenso e lo prevenga è necessarissima anche per le nostre quotidiane preghiere.

Ci sono infatti alcuni che presumono tanto del libero arbitrio della volontà umana da credere che noi per non peccare non abbiamo nemmeno bisogno d'essere aiutati da Dio, una volta concesso alla nostra stessa natura l'arbitrio della libera volontà.

Ne consegue che non dobbiamo neppure pregare di non entrare in tentazione, ( Mt 26, 41s ) cioè di non essere vinti dalla tentazione, né da quella che inganna e sorprende la nostra ignoranza, né da quella che aggredisce e incalza la nostra debolezza.

Ma quanto sia dannoso, quanto sia pericoloso per la nostra salvezza che è nel Cristo, quanto sia ad essa contrario, quanto fortemente sia opposto al senso religioso che ci anima e alla pietà che dedichiamo a Dio non pregare il Signore per ricevere tale beneficio e ritenere vana la petizione contenuta nella stessa orazione domenicale: Non ci portare in tentazione ( Mt 6,13 ) non riusciamo a spiegarlo a parole.

3.3 - Alle nostre debolezze morali possiamo rimediare con l'esercizio della misericordia

Sembra a costoro di mostrare acume d'intelligenza nel dire, quasi lo ignorasse qualcuno dei nostri, che "se non vogliamo, non pecchiamo, e Dio non comanderebbe mai all'uomo ciò che fosse impossibile alla sua volontà".

Ma non vedono che per superare o certi cattivi desideri o certe cattive paure a volte sono necessarie grandi forze, anzi tutte le forze della volontà.

Che noi non le avremmo perfettamente impegnate in ogni circostanza l'ha previsto colui che volle dichiarato con verità dal profeta: Nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 )

Tali dunque prevedendo che saremmo stati, il Signore si degnò di concedere e di far valere contro il reato e i vincoli dei peccati anche dopo il battesimo alcuni rimedi salutari, cioè le opere di misericordia, dicendo: Perdonate e vi sarà perdonato, date e vi sarà dato. ( Lc 6,37-38 )

Chi infatti emigrerebbe da questa vita con qualche speranza di ricevere la salvezza eterna, stante quella sentenza: Chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un solo punto diventa colpevole di tutto, ( Gc 2,10 ) se poco dopo non ci fossero le altre parole: Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia, la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio? ( Gc 2,12-13 )

4.4 - Il male della concupiscenza nei bambini e nei grandi

La concupiscenza dunque, che risiede nelle membra del corpo di questa morte come legge del peccato, ( Rm 7,23-24 ) è in tutti i bambini fin dalla nascita.

Nei bambini battezzati perde il reato e rimane per essere combattuta in avvenire; se essi muoiono prima dell'età del combattimento, non comporta per loro nessuna condanna.

Nei bambini non battezzati la concupiscenza continua ad essere reato e li conduce alla condanna come figli d'ira, ( Ef 2,3 ) anche se muoiono da piccoli.

Nei grandi poi che sono stati battezzati, poiché hanno l'uso di ragione, ogni consenso della mente alla concupiscenza nel peccare dipende dalla loro volontà.

Distrutti tutti i peccati, sciolto anche il reato della concupiscenza che fin dall'origine li deteneva come vinti, la concupiscenza stessa rimane durante questa vita per essere combattuta, senza che possa nuocere minimamente a coloro che non le prestano ascolto in azioni illecite, fino a quando la morte non sia ingoiata per la vittoria ( 1 Cor 15,54 ) e con il sorgere della pace perfetta non esista più nulla da vincere.

Quanto invece ai grandi che prestano ascolto alla concupiscenza in azioni illecite, essa costituisce in loro un reato e, se dal Sacerdote celeste che interpella per noi ( Rm 8,34; Eb 7,25 ) non vengono risanati con la medicina della penitenza e con le opere di misericordia, li conduce alla morte seconda e alla dannazione. ( Ap 2,11 )

Per questo anche il Signore insegnandoci a pregare ci esortò a dire tra l'altro: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci portare in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,12-13 )

Rimane infatti il male nella nostra carne, non per la natura in cui l'uomo è stato creato dalla divinità, ma per il peccato dov'è stato buttato dalla sua volontà e dove non può essere guarito dalla volontà con la stessa facilità con la quale è stato ferito, avendo perduto le sue forze.

Di questo male dice l'Apostolo: So che nella mia carne non abita il bene. ( Rm 7,18 )

E comandò di non obbedire a questo male, dicendo: Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale si da sottomettervi ai suoi desideri. ( Rm 6,12 )

Perciò, se a questi desideri della concupiscenza carnale abbiamo acconsentito per illecita inclinazione della volontà, per guarire dal male che abbiamo fatto noi diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12 ) usando come rimedio l'esercizio della misericordia secondo le parole che seguono: Come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,13 )

Invece per non consentire alla concupiscenza noi imploriamo l'aiuto dicendo: E non ci portare in tentazione, o come hanno alcuni codici: Non c'indurre in tentazione.

Non che Dio stesso tenti qualcuno con questa tentazione della concupiscenza: Dio infatti non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male, ( Gc 1,13 ) ma perché, se eventualmente avessimo cominciato ad essere tentati dalla nostra concupiscenza, non siamo abbandonati dall'aiuto divino e con esso possiamo vincere, senza essere indotti e sedotti. ( Gc 1,14 )

Poi aggiungiamo quello che si compirà alla fine di tutto, quando ciò che è mortale sarà assorbito dalla vita: ( 2 Cor 5,4 ) Ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 )

Allora infatti non esisterà più concupiscenza tale che sia da combattere e rintuzzare.

Cosi dunque tutto ciò, contenuto in tre benefici, si può chiedere brevemente in questo modo: "Perdonaci le colpe alle quali siamo stati indotti dalla concupiscenza, aiutaci perché non siamo indotti dalla concupiscenza, togli da noi la concupiscenza".

5.5 - Per obbedire ai comandamenti di Dio abbiamo bisogno dell'aiuto di Dio. Egli ci dona quello che ci comanda

A peccare infatti non veniamo aiutati da Dio, ma senza essere aiutati da Dio non possiamo fare quello che è giusto o adempiere in pieno la legge della giustizia.

Come infatti l'occhio corporale non è aiutato dalla luce perché chiudendosi si distolga e si allontani da lei, ma per vedere viene aiutato dalla luce e non può vedere se la luce non l'aiuta, cosi Dio, che è la luce dell'uomo interiore, aiuta l'intuito della nostra mente perché operiamo alcunché di buono, non secondo la nostra giustizia, ma secondo la sua.

Viceversa allontanarci da Dio dipende da noi: allora seguiamo i desideri della carne, allora acconsentiamo alla concupiscenza della carne per atti illeciti. ( Rm 8,5 )

Dio dunque ci aiuta, se convertiti a lui; ci abbandona, se convertiti ad altro.

Ma ci aiuta pure perché ci convertiamo a lui: un aiuto che certamente questa luce terrena non presta agli occhi del corpo.

Quando dunque ci comanda: Convertitevi a me e io mi convertirò a voi, ( Zc 1,3; Ml 3,5 ) e noi gli diciamo: Convertici, o Dio, nostro Salvatore, ( Sal 85,5 ) convertici Dio degli eserciti, ( Sal 80,8 ) che altro diciamo se non: "Dona quello che comandi"?

Quando comanda: Cercate di capire, o insensati del popolo, ( Sal 94,8 ) e noi gli diciamo: Dammi l'intelligenza perché io capisca la tua legge, ( Sal 119,73 ) che altro gli diciamo se non: "Dona quello che comandi"?

Quando comanda: Non andare dietro alle tue concupiscenze, ( Sir 18,30 ) e noi gli diciamo: Sappiamo che nessuno può essere continente se Dio non glielo concede, ( Sap 8,21 ) che altro diciamo se non: "Dona quello che comandi"?

Quando comanda: Praticate la giustizia, ( Is 56,1 ) e noi diciamo: Ammaestrami nella tua giustizia, ( Sal 119,12 ) che altro diciamo se non: "Dona quello che comandi"?

Ugualmente quando dice: Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati, ( Mt 5,6 ) a chi dobbiamo chiedere di sfamarci e dissetarci di giustizia se non a colui che promette la sazietà agli affamati e agli assetati di essa?

5.6 - La libertà non basta senza la preghiera. La preghiera non dispensa dall'esercizio del potere della nostra libertà

Allontaniamo dunque dai nostri orecchi e dalle nostre menti quanti dicono che noi, una volta ricevuto l'arbitrio della volontà, non dobbiamo affatto pregare che Dio ci aiuti a non peccare.

Da tali tenebre non era accecato neppure quel fariseo della parabola, il quale, sebbene errasse nel credere di non aver più nulla da aggiungere alla sua giustizia e nel pensare di possederne la pienezza, tuttavia rendeva grazie a Dio di non essere come tutti gli altri uomini ingiusti, ladri, adulteri; di non essere come quel pubblicano, di digiunare due volte alla settimana, di dare le decime di quanto possedeva.

Niente più ormai chiedeva che si aggiungesse alla sua giustizia; tuttavia, ringraziando Dio delle virtù che aveva, riconosceva d'averle ricevute tutte da Dio.

Ciò non ostante, fu rimproverato sia perché non domandava di ricevere più nulla del cibo della giustizia, come se ne fosse già sazio, sia perché si andava gongolando quasi in modo offensivo d'essere superiore al pubblicano che ne aveva fame e sete. ( Lc 18,10-14 )

Che avverrà dunque a coloro che, sebbene confessino di non aver la giustizia o di non averla piena, tuttavia presumono di doverla avere da se stessi e non di doverla impetrare dal loro Creatore, nel quale se ne trova la pienezza e la sorgente?

Non dobbiamo però affrontare tale necessità soltanto con le preghiere ma impegnamoci anche a viver bene con l'efficacia della nostra volontà.

Si dice infatti che Dio è nostro aiuto, ( Sal 62,9 ) e non può essere aiutato se non chi si prova a fare qualcosa anche da sé.

Dio infatti non opera in noi la nostra salvezza come se fossimo delle pietre insensibili o dei viventi alla cui natura egli non abbia dato la ragione e la volontà.

Quanto poi al perché Dio aiuti questo e non aiuti quello, aiuti tanto uno e non cosi tanto un altro, aiuti chi in un modo e chi in modo diverso, dipende sia dalla natura della sua giustizia tanto arcana, sia dall'eccellenza del suo potere.

6.7 - L'uomo, aiutato da Dio, può vivere questa vita terrena senza peccato

In verità a quanti dicono che in questa vita l'uomo può essere senza peccato non bisogna opporsi subito con incauta ostinatezza.

A negare infatti tale possibilità si deroga e al libero arbitrio dell'uomo che con la sua volontà aspira a tale risultato e alla potente misericordia di Dio che lo aiuta a realizzarlo.

Ma la prima questione è se quest'uomo possa esistere, la seconda se esista, la terza per quale ragione non esista, se non esiste, mentre potrebbe esistere; la quarta se qualcuno che non abbia mai avuto nessun peccato non solo esista, ma anche possa essere esistito in passato o possa esistere in futuro.

Riguardo la prima delle quattro questioni, cioè sulla possibilità che l'uomo in questa vita sia senza peccato, confesserò che può esserlo con la grazia di Dio e con il suo libero arbitrio.

Non esiterò ad affermare che anche il libero arbitrio appartiene alla grazia di Dio, cioè ai doni di Dio, e non solo perché sia, ma pure perché sia buono, cioè si converta ad osservare i comandamenti del Signore, e in tal modo la grazia di Dio non solo indichi cosa si deve fare, ma aiuti altresì a poter fare quanto ha indicato.

Che cosa possediamo infatti senza averlo ricevuto?

Tanto che anche Geremia dice: Lo so, Signore, che l'uomo non è padrone della sua via e che non è in potere di chi cammina il dirigere i suoi passi. ( Ger 10,23 )

Perciò il salmista, dopo aver notato rivolgendosi a Dio: Tu hai dato i tuoi precetti, perché siano osservati fedelmente, ( Sal 119,4 ) non presume di sé, ma si augura di poterli osservare con l'aiuto della preghiera: Siano diritte le mie vie nel custodire i tuoi decreti.

Allora non dovrò arrossire, se avrò obbedito ai tuoi comandi. ( Sal 119,5-6 )

Ma chi attende da altri ciò che è talmente in suo potere da non aver bisogno di nessun aiuto per farlo?

Da chi poi il salmista lo attenda, perché non l'attende dalla fortuna o dal fato o da chiunque altro all'infuori di Dio, lo spiega sufficientemente nei versetti seguenti: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non prevalga il male. ( Sal 119,133 )

Dalla schiavitù di questa esecranda dominazione del male sono liberati coloro ai quali il Signore Gesù, perché l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio. ( Gv 1,12 )

Da quest'orrenda dominazione avrebbero dovuto essere liberati coloro a cui Gesù diceva: Se il Figlio vi farà liberi, allora sarete liberi davvero. ( Gv 8,36 )

Per queste e altre simili testimonianze senza numero non posso aver dubbi: né Dio ha comandato all'uomo alcunché d'impossibile, né qualche impossibilità impedisce a Dio di soccorrere e aiutare l'uomo perché avvenga quello che comanda.

L'uomo dunque, se vuole, può con l'aiuto di Dio essere senza peccato.

7.8 - La sacra Scrittura attesta che di fatto nessuno vive questa vita terrena senza alcun peccato

Quanto invece alla seconda questione se esista un uomo senza peccato, io credo che non esista.

Credo infatti piuttosto alla Scrittura che dice: Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 )

Perciò c'è bisogno della misericordia di Dio che ha la meglio nel giudizio, ed essa non ci sarà per chi non fa misericordia. ( Gc 2,13 )

E dichiarando il Profeta: Ho detto: Confesserò contro di me le mie colpe al Signore e tu hai rimesso la malizia del mio cuore; ( Sal 32,5 ) soggiunge subito: Per questo ti prega ogni santo nel tempo dell'angoscia. ( Sal 32,6 )

Non dunque ogni peccatore, ma ogni santo.

È infatti voce di santi questa: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 )

Nell'Apocalisse del medesimo Apostolo quei centoquarantaquattromila santi, che non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini, e non fu trovata menzogna sulla loro bocca, giacché sono irreprensibili, ( Ap 14,4-5 ) in tanto sono irreprensibili in quanto hanno ripreso sinceramente se stessi, e in tanto sulla loro bocca non fu trovata menzogna in quanto, se dicessero di essere senza peccato, ingannerebbero se stessi e non ci sarebbe in essi la verità, e conseguentemente ci sarebbe la menzogna dove non fosse la verità, perché certo non mentisce il giusto quando incominciando a parlare accusa se stesso. ( Pr 18,17 )

7.9 - La perfezione umana non si acquisisce in un istante, ma gradualmente

Riguardo a quello che è scritto: Chiunque è nato da Dio non commette peccato e non può commetterlo, perché un germe divino dimora in lui, ( 1 Gv 3,9 ) e riguardo ad altre espressioni del medesimo tenore, costoro s'ingannano molto, considerando le Scritture con poca attenzione.

Non avvertono infatti che tutti diventano figli di Dio da quando cominciano a vivere nella novità dello spirito e a trasformarsi nel loro intimo secondo l'immagine del loro Creatore. ( Rm 7,6; 2 Cor 4,16; Col 3,10 )

Il battesimo infatti non segna nell'uomo il crollo immediato di ogni sua antecedente debilità, ma il rinnovamento comincia con la remissione dei peccati e con quella misura di sapienza spirituale che possiede ciascuno che ha già l'uso di ragione.

Tutte le altre mete si raggiungono per ora nella speranza in attesa che si raggiungano pure nella realtà, fino al rinnovamento dello stesso corpo nello stato migliore dell'immortalità e incorruttibilità, di cui ci rivestiremo nella risurrezione dei morti.

Il Signore infatti chiama rigenerazione anche la risurrezione, una rigenerazione che, distinta dalla rigenerazione del battesimo, sarà tale da portare a termine pure nel corpo quanto si inizia adesso nello spirito, dicendo: Nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele. ( Mt 19,28 )

Infatti nel battesimo, oltre alla totale e piena remissione dei peccati, non avviene immediatamente anche il passaggio totale e pieno dell'uomo alla novità eterna.

E ciò è vero non solo per il corpo che evidentemente continua a tendere ancora all'antica corruzione e alla morte e che dovrà essere rinnovato poi alla fine quando ci sarà veramente la novità totale, ma anche per la stessa anima che è l'uomo interiore.

Se si verificasse con il battesimo la novità perfetta, l'Apostolo non affermerebbe: Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 )

Certamente chi continua a rinnovarsi di giorno in giorno, non si è ancora rinnovato tutto e nella misura in cui non si è ancora rinnovato continua a rimanere nel vecchio stato di prima.

Quindi per la parte per cui sono ancora nel vecchio stato di prima, per essa, benché già battezzati, gli uomini continuano a rimanere anche figli del secolo.

Sono invece figli di Dio per la parte per cui sono nel nuovo stato, ossia per la remissione piena e perfetta dei peccati, per la loro sapienza spirituale, pur piccola che sia, e per la loro condotta coerente con essa. ( Lc 20,34 )

Interiormente infatti ci siamo spogliati dell'uomo vecchio e rivestiti del nuovo, perché interiormente abbiamo deposto la menzogna e diciamo la verità, con tutte le altre cose descritte dall'Apostolo per spiegare che cos'è spogliarsi dell'uomo vecchio e rivestirsi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. ( Ef 4,24 )

E a fare questo esorta persone già battezzate e credenti, che non avrebbero avuto bisogno d'esservi esortate, se fossero state rese perfette nel battesimo: e nondimeno nel battesimo abbiamo ottenuto d'essere salvati.

Infatti, ci ha salvato mediante un lavacro di rigenerazione. ( Tt 3,5 )

Ma altrove dice in che modo è stata fatta la nostra salvezza: Non soltanto il creato, ma anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo, interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

Poiché nella speranza noi siamo stati salvati.

Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?

Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. ( Rm 8,23-25 )

8.10 - Siamo santi e peccatori contemporaneamente qui sulla terra, in attesa che si realizzi totalmente la nostra redenzione

L'adozione a figli diventerà piena con la redenzione anche del nostro corpo.

Per adesso abbiamo le primizie dello Spirito e sotto quest'aspetto siamo già stati fatti figli di Dio nella realtà, ma tutti gli altri beni li abbiamo nella speranza: cosi salvi, cosi rinnovati, cosi pure figli di Dio; nella realtà invece, poiché non ancora salvi, per questo non ancora pienamente rinnovati, per questo non ancora nemmeno pienamente figli di Dio, ma anche figli del secolo.

In virtù dunque di quello che ci rende figli di Dio, e sotto questo aspetto non possiamo assolutamente peccare, noi progrediamo nel rinnovamento e nella giustizia della vita, in attesa che si trasformi nella nostra realtà di figli di Dio anche tutto ciò che ci fa essere ancora figli del secolo: sotto questo aspetto infatti noi possiamo peccare ancora. ( Rm 9,8; Lc 20,34 )

Cosi è vero che non pecca chi è nato da Dio, ma è anche vero che inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi se ci dicessimo senza peccato. ( 1 Gv 1,8; 1 Gv 3,9 )

Andrà dunque scomparendo ciò che ci fa figli della carne e figli del secolo e diventerà perfetto ciò che ci ha fatto figli di Dio e ci ha rinnovato nello spirito. ( Gv 3,5 )

In tal senso scrive il medesimo Giovanni: Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. ( 1 Gv 3,2 )

Che significano questi siamo e saremo se non ciò che siamo nella speranza e saremo nella realtà?

Seguita infatti e dice: Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo cosi come egli è.

Adesso dunque per un verso abbiamo già cominciato ad essere simili a lui possedendo le primizie dello Spirito e per un altro verso siamo ancora dissimili da lui a causa degli strascichi del vecchio stato di prima.

Perciò in quanto simili in tanto figli di Dio per lo Spirito che rigenera, in quanto invece dissimili in tanto figli della carne e figli del secolo.

Sotto il primo aspetto non possiamo peccare, sotto il secondo inganneremmo noi stessi a dire che siamo senza peccato, ( 1 Gv 1,8 ) in attesa che tutto passi nello stato di adozione e non esista più il peccatore: Cerchi il suo posto e non lo trovi più. ( Sal 37,10 )

9.11 - Un giusto non genera un giusto, perché la giustizia è un fatto dello spirito, la generazione è un fatto della carne

Vana perciò è anche l'argomentazione di taluni che dicono: Se un peccatore genera un peccatore, cosicché al suo bambino debba poi cancellarsi il reato del peccato originale nella reazione del battesimo, anche un giusto deve generare un giusto.

Come se chi genera generi carnalmente per quello che lo rende giusto e non piuttosto per quello che nelle sue membra circola concupiscenzialmente: e cosi la legge del peccato viene volta dalla legge della mente al fine della propagazione. ( Rm 7,23 )

Genera invece per quanto ancora di vecchio egli eredita tra i figli del secolo e non per quanto lo promuove alla novità tra i figli di Dio.

Infatti i figli di questo secolo generano e sono generati. ( Lc 20,34 )

Anche chi nasce cosi è figlio del secolo, perché quello che nasce dalla carne è carne. ( Gv 3,6 )

Giusti invece non sono se non i figli di Dio.

Ma non è che generano carnalmente in quanto figli di Dio, perché essi stessi sono nati dallo Spirito e non dalla carne.

In tanto poi generano carnalmente quelli di essi che generano in quanto non hanno ancora trasformato nella novità perfetta tutti gli strascichi del vecchio stato di prima.

Conseguentemente ogni figlio che nasce da questa parte vecchia e inferma è per forza esso stesso vecchio e infermo e quindi bisognoso che anch'egli per mezzo della remissione del peccato sia rinnovato spiritualmente ad altra generazione.

Se ciò non avviene in lui, non gli gioverà per nulla un padre giusto, perché il padre è giusto nello spirito con il quale non l'ha generato.

Se viceversa avviene, non gli nuocerà per nulla nemmeno un padre ingiusto, perché il figlio con la grazia spirituale ha fatto il passaggio alla speranza della novità eterna, mentre il padre con la mente carnale è rimasto totalmente nel vecchio stato di prima.

10.12 - Hanno peccato anche i santi più elogiati dalla sacra Scrittura: Noè

Perciò il testo: Chiunque è nato da Dio non commette peccato ( 1 Gv 3,9 ) non si trova in contraddizione con l'altro in cui quanti sono già nati da Dio vengono avvertiti: Se diciamo che siamo senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 )

Infatti fin quando l'uomo, benché già tutto rinnovato secondo la speranza e già parzialmente rinnovato secondo la realtà per la rigenerazione spirituale, continua tuttavia a portare ancora un corpo che si corrompe e appesantisce l'anima, ( Sap 9,15 ) dobbiamo puntualizzare nello stesso individuo ciò per cui è senza peccato e ciò per cui si dice che è peccatore.

In proposito credo che la Scrittura di Dio non renda a nessun altro una testimonianza di giustizia tanto grande come ai tre servi di Dio Noè, Daniele e Giobbe, che il profeta Ezechiele commemora come gli unici meritevoli di scampare di mezzo ad un eventuale castigo di Dio. ( Ez 14,14 )

Raffigura in quei tre personaggi tre categorie di persone che si salveranno: in Noè penso i giusti che sono capi del popolo di Dio, atteso il governo che egli ebbe dell'arca, simbolo della Chiesa; in Daniele, i giusti continenti; in Giobbe, i giusti coniugati.

Potrebbe essere diversa l'interpretazione e non è necessario discuterne in questo momento.

Comunque, quanta sia stata la loro preminenza nella giustizia appare sufficientemente da questa testimonianza del profeta e da altre testimonianze divine. ( Gen 6,9; Sir 44,17; 2 Pt 2,5; Dn 6,22; Gb 1,8 )

Ma nessuna persona sobria venga per questo a dire che non è peccato ubriacarsi.

Eppure capitò ad un uomo cosi grande: Noè infatti, come leggiamo, una volta si ubriacò, sebbene fosse ben lontano dall'essere un ubriacone. ( Gen 9,21 )

10.13 - Daniele

Quanto a Daniele, dopo una supplica rivolta a Dio, dice di se stesso: Mentre pregavo e confessavo al Signore Dio i peccati miei e i peccati del mio popolo. ( Dn 9,20 )

Per questo, se non sbaglio, il già ricordato Ezechiele dice ad un uomo molto superbo: Sei forse più sapiente di Daniele? ( Ez 28,3 )

E qui non è possibile ripetere l'argomentazione che fanno contro l'orazione domenicale taluni di costoro: Gli Apostoli, sebbene la usassero, tuttavia, essendo già santi e perfetti e non avendo assolutamente nessun peccato, non dicevano: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" ( Mt 6,12 ) per se stessi, ma per i cristiani ancora imperfetti e ancora peccatori.

Dicendo "nostri" intendevano significare che coesistevano in un solo corpo sia gli altri che avevano ancora dei peccati, sia essi stessi che ne erano già puri sotto ogni aspetto.

Di Daniele certo non si può dire questo.

Egli prevedendo, come credo, nella sua qualità di profeta che ci sarebbe stata in seguito una simile presunzione, dopo aver detto più volte nell'orazione: Abbiamo peccato, non spiega queste sue parole riferendole al popolo: Mentre pregavo e confessavo al Signore mio Dio i peccati del mio popolo. ( Dn 9,20 )

E nemmeno dice senza ben distinguere e lasciando incerto se parlasse in riferimento ad un unico corpo sociale: "Mentre confessavo al Signore mio Dio i nostri peccati".

Ma con tutta la distinzione, quasi preoccupato proprio di essa; e sottolineandola al massimo, dice: I peccati miei e i peccati del mio popolo.

Chi si oppone a questa evidenza all'infuori di chi ha più piacere nel difendere la sentenza che sostiene che nel cercare di trovare la sentenza che deve sostenere?

10.14 - Giobbe

Ma vediamo che cosa Giobbe dice di sé, dopo tanta testimonianza di giustizia che Dio gli ha reso.

Dice: Lo so in verità che è cosi. Ma quando mai l'uomo sarà trovato giusto dinanzi al Signore?

Se l'uomo volesse discutere con lui, non potrebbe obbedirgli. ( Gb 9,2-3 )

E poco dopo: Chi mai potrà opporsi al suo giudizio?

Anche se avessi ragione, la mia bocca stessa parlerebbe male. ( Gb 9,19 )

Ancora più sotto: So che non mi riterrà innocente.

Se dunque sono empio, perché non sono morto?

Quand'anche mi lavassi con la neve e le mie mani luccicassero di candore, tu mi tufferesti a forza nel fango. ( Gb 9, 20.28-31 )

Ugualmente in un altro suo discorso: Tu hai dato di me giudizi amari, mi hai addossato i peccati della mia giovinezza, metti i miei piedi nei ceppi, spii tutte le mie azioni e segui i movimenti dei miei piedi, mentre vado invecchiando come un otre e un abito roso dalle tignole.

L'uomo nato da donna ha vita breve e piena d'ira.

Come fiore sboccia e si reclina, come ombra passa e non rimane.

E un tale essere farai comparire al tuo giudizio? Chi sarà puro da immondezze?

Nessuno, nemmeno se di un solo giorno fosse la sua vita. ( Gb 13, 26-14,5 )

E poco dopo dice: Tu hai contato tutte le mie necessità e nulla ti è rimasto nascosto dei miei peccati.

Hai sigillato in un sacco le mie colpe e hai notato se qualcosa ho commesso a malincuore. ( Gb 14,16-17 )

Ecco, anche Giobbe confessa i suoi peccati e dice di sapere in verità che nessuno è giusto davanti al Signore.

Giobbe dice di saperlo in verità, per cui se noi dicessimo d'essere senza peccato, la verità stessa non sarebbe in noi. ( 1 Gv 1,8 )

Secondo dunque il modulo della condotta umana Dio gli rende tanta testimonianza di giustizia, ma egli misurandosi su quella regola di giustizia che vede, come può, presso Dio, sa in verità che è cosi come ha detto.

E aggiunge: Ma quando mai l'uomo sarà trovato giusto dinanzi al Signore?

Se l'uomo volesse discutere con lui, non potrebbe obbedirgli; ( Gb 9,2-3 ) cioè: "se in giudizio volesse dimostrare che non si può trovare in lui nulla da condannare, non potrebbe obbedirgli", in quanto perderebbe anche quella obbedienza che consiste nell'obbedire a chi comanda di riconoscere i propri peccati.

Perciò il Signore rimprovera certuni dicendo: Perché volete discutere con me? ( Ger 2,29 )

E il salmista prevenendo tale rimprovero dice: Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 )

E lo stesso Giobbe dice: Chi mai potrà opporsi al suo giudizio?

Anche se avessi ragione, la mia bocca parlerebbe male. ( Gb 9,19-20 )

Cioè: "Se mi dicessi giusto contro il suo giudizio, dove quella perfetta regola di giustizia mi convince d'ingiustizia, certo parlerebbe male la mia bocca, perché parlerebbe contro la verità di Dio".

10.15 - Anche Giobbe si sentiva come uomo " figlio dell'ira "

Per mostrare anche la stessa fragilità umana o meglio la condanna della generazione carnale derivata dalla trasgressione del peccato originale, parlando dei propri peccati, quasi ne volesse indicare la causa, dice che l'uomo nato da donna ha vita breve e piena d'ira. ( Gb 14,1 )

Di quale ira se non di quella di cui tutti gli uomini, come si esprime l'Apostolo, sono figli per natura, ( Ef 2,3 ) ossia originalmente, essendo figli della concupiscenza della carne e figli del secolo?

A tale ira fa appartenere logicamente anche la morte dell'uomo.

Dopo aver detto infatti: Ha vita breve e piena d'ira, aggiunge pure: Come fiore sboccia e si reclina, come ombra passa e non rimane.

Quello che poi aggiunge: E un tale essere farai comparire al tuo giudizio? Chi sarà puro da immondezze?

Nessuno, nemmeno se di un solo giorno fosse la sua vita ( Gb 14,1-5 ) significa: "Un uomo di breve durata hai fatto comparire al tuo giudizio.

Infatti, per quanto fuggevole sia stata la sua esistenza, fosse anche di un giorno soltanto, non potrebbe essere puro da immondezze e perciò giustamente comparirà al tuo giudizio".

Inoltre le parole: Tu hai contato tutte le mie necessità e nulla ti è rimasto nascosto dei miei peccati.

Hai sigillato in un sacco le mie colpe e hai notato se qualcosa ho commesso a malincuore, ( Gb 14,16-17 ) non bastano a dimostrare che vengono giustamente imputati anche quei peccati che si commettono, non per allettamento di un piacere, ma per allontanamento di una molestia o di un dolore o della morte?

Anche di questi si dice infatti che si commettono per una certa necessità, mentre tutte le necessità dovrebbero superarsi per amore e piacere di giustizia.

Quello pure che dice: Hai notato se qualcosa ho commesso a malincuore ( Gb 14,17 ) può sembrare corrispondente alla dichiarazione di Paolo: Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. ( Rm 7,15 )

10.16 - Rispetto alla giustizia di Gesù Cristo, Giobbe accusava se stesso

C'è di più. Perché mai lo stesso Signore che gli aveva reso testimonianza, dicendo anche la Scrittura, cioè lo Spirito di Dio: In tutte le disgrazie che gli accaddero, Giobbe non peccò con le sue labbra dinanzi al Signore, ( Gb 1,22 ) dopo tuttavia gli parla in tono di rimprovero, come afferma lo stesso Giobbe nel seguente passo: Perché continuo ad essere sottoposto a giudizio, ammonito e rimproverato dal Signore? ( Gb 34,23 )

Ora, nessuno viene giustamente rimproverato, se non c'è in lui qualcosa che sia degno di rimprovero.

11 - E qual è il tenore del rimprovero che si spiega per riferimento alla persona del Cristo Signore?

Gli conta le opere della sua potenza, rimproverandolo in un modo che sembra mettergli in bocca questa sentenza: Puoi tu forse queste grandi opere che posso io?

A quale scopo? Lo scopo è semplicemente che Giobbe comprenda.

A lui fu fatta conoscere per ispirazione divina anche la futura passione del Cristo.

Comprenda perciò con quanta pazienza deve sopportare le sue disgrazie, se pure il Cristo, che si è fatto uomo ( Gv 8,46ss ) per noi e che fu assolutamente senza peccato e come Dio ha tanta potenza, non ricusò tuttavia l'obbedienza della passione.

Ciò intendendo Giobbe con una più chiara intuizione del cuore, aggiunge alla sua risposta: Prima sapevo di te per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono.

Perciò mi accuso, mi condanno, mi stimo terra e cenere. ( Gb 42,5-6 )

Per quale motivo in tanta intuizione Giobbe dispiaceva cosi tanto a se stesso?

Non gli poteva giustamente dispiacere l'opera di Dio per cui era uomo, se a Dio stesso si dice: Non disprezzare le opere delle tue mani. ( Sal 138,8 )

Ma certamente, in riferimento a quella giustizia per cui aveva coscienza d'essere giusto, si accusò, si condannò, si stimò cenere e terra, perché con la mente contemplò la giustizia del Cristo nel quale non poté trovarsi alcun peccato, non solo quanto alla sua divinità, ma nemmeno quanto alla sua anima e al suo corpo.

Secondo questa medesima giustizia che viene da Dio anche l'apostolo Paolo stimò non solo danno, ma perfino sterco, quanto in lui era ineccepibile secondo la giustizia che viene dalla legge. ( Fil 3,6-8 )

12.17 - Comparativamente agli altri uomini Giobbe era perfetto, ma non lo era in senso assoluto

La bella testimonianza di Dio a lode di Giobbe non è contraria al testo che dice: Nessun vivente davanti a te è giusto. ( Sal 143,2 )

Non prova l'assenza in lui di qualsiasi colpa, che egli stesso dovesse riprendere umilmente o il Signore Dio giustamente, sebbene senza falsità venisse già dichiarato giusto, sincero adoratore di Dio e alieno da ogni cattiva azione.

Ecco infatti quali parole Dio dice di lui: Hai posto attenzione al mio servo Giobbe?

Nessuno è come lui sulla terra: irreprensibile, giusto, ben timorato di Dio, alieno da ogni opera malvagia. ( Gb 1,8 )

Con le prime parole viene lodato in raffronto agli uomini della terra.

Eccelleva dunque su tutti i giusti che potevano vivere allora in terra.

Non era dunque immune da ogni peccato per il fatto di superare tutti gli altri nel progresso della giustizia.

Poi vengono le altre parole: irreprensibile, perché nessuno si sarebbe lamentato giustamente della sua vita; giusto, perché aveva progredito tanto nell'integrità morale che nessuno gli stava alla pari; ben timorato di Dio, perché anche sincero e umile accusatore dei propri peccati; alieno da ogni opera malvagia: cosa meravigliosa, se perfino da ogni parola e da ogni pensiero riprovevole.

Quanto fosse grande Giobbe non lo sappiamo, ma lo sappiamo giusto, lo sappiamo anche fortissimo nel sopportare le orrende prove delle sue tribolazioni, sappiamo che ebbe a soffrire tutto non per i suoi peccati, ma perché si mostrasse la sua giustizia.

In ogni modo le parole con le quali fu lodato da Dio andrebbero bene anche per chi secondo l'uomo interiore acconsente con piacere alla legge di Dio, ( Rm 7,22-23 ) ma sente nelle sue membra un'altra legge in contrasto con la legge della sua mente, specialmente quando dichiara: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.

Ora, se faccio il male che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. ( Rm 7,19-20 )

Ecco, anche questi secondo l'uomo interiore è alieno da ogni opera malvagia, perché a compierla non è lui, ma il male che abita nella sua carne.

Tuttavia, poiché la stessa compiacenza che prova per la legge di Dio non l'ha se non dalla grazia di Dio, sentendosi ancora bisognoso di liberazione esclama: Io sono uno sventurato!

Chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 )

13.18 - La perfezione umana è per adesso sempre imperfetta

Esistono dunque sulla terra uomini giusti, grandi, forti, prudenti, continenti, pazienti, pii, misericordiosi, capaci di sopportare con calma per la giustizia tutti i mali temporali.

Ma se è vero, anzi perché è vero, che, se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi, ( 1 Gv 1,8 ) e che nessun vivente davanti a te è giusto, ( Sal 143,2 ) costoro non sono senza peccato e nessuno di essi vaneggiò tanto per superbia da credere di non aver bisogno dell'orazione domenicale per i suoi peccati, quali che siano.

13.19 - Nemmeno il sacerdote Zaccaria aveva la santità sacerdotale di Gesù Cristo

Per esempio, di Zaccaria ed Elisabetta, che ci vengono spesso obiettati nelle discussioni riguardanti la presente questione, che cosa potremo dire se non quello che attesta con evidenza la Scrittura: Zaccaria era di un'eminente giustizia tra i sommi sacerdoti incaricati di offrire i sacrifici del Vecchio Testamento?

Ora, leggiamo nella lettera che ha per titolo Agli Ebrei un testo da me già riportato nel libro precedente, cioè che soltanto il Cristo, a differenza di quelli che si chiamavano principi dei sacerdoti, è un principe dei sacerdoti ( Eb 6,20 ) che non ha bisogno d'offrire quotidianamente il sacrificio per i propri peccati prima d'offrire sacrifici per gli altri.

Dice quella lettera: Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno come gli altri sommi sacerdoti di offrire sacrifici prima per i propri peccati. ( Eb 7,26-27 )

Nel numero di questi sacerdoti c'erano Zaccaria e Finees e lo stesso Aronne, dal quale l'ordine sacerdotale ebbe origine, e quanti altri vissero lodevolmente e santamente in quel sacerdozio.

Tutti costoro però si sono trovati nella necessità d'offrire prima il sacrificio per i propri peccati, perché solo il Cristo, del cui futuro avvento erano immagini, fu l'unico sacerdote incontaminabile a non avere tale necessità. ( Eb 5,1-3 )

13.20 - Zaccaria ed Elisabetta non erano più perfetti di S. Paolo che confessa l'imperfezione della propria perfezione

Ma poi di Zaccaria e di Elisabetta quali lodi si fanno che non siano comprese in quello che l'Apostolo dichiarava di sé, quando non credeva ancora nel Cristo?

Dice infatti d'essere stato irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge. ( Fil 3,6 )

La stessa cosa, si legge di Zaccaria e di Elisabetta: Ambedue erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. ( Lc 1,6 )

Poiché dunque tutto ciò che di giusto c'era in loro non era una simulazione davanti agli uomini, intenzionalmente si dice: Davanti a Dio.

Ciò che poi viene detto di Zaccaria e della sua moglie con le parole: Tutte le leggi e le prescrizioni del Signore, Paolo lo dice brevemente con l'espressione: Osservanza della legge.

Non vigeva infatti una legge per lui e un'altra per loro prima del Vangelo, ma una sola e medesima legge che fu data ai loro padri per mezzo di Mosè, secondo la quale era sacerdote anche Zaccaria e offriva i sacrifici quando gli toccava il turno.

Tuttavia l'Apostolo, che, era in possesso allora di una simile giustizia, continua dicendo: Quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo del Cristo.

Anzi tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo, per il quale tutto ho reputato non solo danno, ma sterco al fine di guadagnare il Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede nel Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede.

E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti. ( Fil 3, 7-11 )

Quelle parole dunque sono tanto lontane dal farci credere che Zaccaria ed Elisabetta avessero una giustizia perfetta senza nessun peccato, che dalla sommità della medesima regola non stimiamo perfetto nemmeno lo stesso Apostolo, non solo in quella giustizia della legge che aveva uguale alla loro e che a confronto dell'eminentissima giustizia derivante dalla fede nel Cristo reputava danno e sterco, ma anche nel Vangelo stesso, dove meritò pure il primato di tanto apostolato.

Non oserei dirlo, se ritenessi sacrilego non credergli.

Infatti nel medesimo passo soggiunge: Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo.

Fratelli, io non ritengo ancora d'esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, nel Cristo Gesù. ( Fil 3,12-14 )

Egli stesso confessa di non aver ancora raggiunto il traguardo, di non essere ancora perfetto nella pienezza di giustizia che amava d'acquistare nel Cristo, ma di perseguirla con ardore e di tendere verso le cose future dimenticando quelle passate, perché sapessimo che riguardava anche lui ciò che ha scritto: Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. ( 2 Cor 4,16 )

Sebbene fosse già un camminatore perfetto, non era però ancora perfetto della perfezione di chi è arrivato al termine dello stesso cammino.

E inoltre vuol trascinare con sé come concorrenti nella stessa corsa quelli a cui soggiunge: Quanti dunque siamo perfetti dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. ( Fil 3,15-16 )

Questo cammino non si compie con i nostri piedi corporali, ma con gli affetti della nostra mente e con la condotta morale della vita, di modo che possono essere perfetti possessori della giustizia coloro che progredendo di giorno in giorno col rinnovamento di sé sul retto cammino della fede sono già diventati camminatori perfetti sulla via della medesima giustizia. ( 2 Cor 4,16 )

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