Summa Teologica - III

Indice

La Chiesa, Popolo di Dio

É ben noto il fatto che Tommaso d'Aquino non ha scritto nessun libro sulla Chiesa, né le ha inoltre consacrato qualche trattato speciale della Somma.

Di ciò si è rimasti un po' sorpresi nel XX secolo.

Diversi studi sono stati consacrati a dimostrare che egli non ha evidentemente ignorato questa realtà cristiana per eccellenza e che, se la Chiesa non appare in nessun luogo in maniera speciale, è perché essa in realtà appare dappertutto nel movimento di ritorno dell'uomo verso Dio.368

Altrettanto si può dire quasi della comunità politica.

Se Tommaso ha tentato di scrivere un De regno come pure un commento alla Politica di Aristotele, è significativo il fatto che li abbia lasciati incompiuti; se nella Somma vi sono degli elementi di una teoria politica, invano si cerca in essa un trattato completo su questo tema.

Tuttavia, se vogliamo proseguire nella nostra riflessione sull'uomo come essere sociale, occorre tentare di raccogliere quanto quest'opera afferma a tal proposito.

L'impresa potrebbe sembrare immane, ma non si tratta qui di vagliarla in tutta la sua ampiezza; l'importante non sarà tanto l'essere esaustivi quanto piuttosto scoprire le linee conduttrici del pensiero del Maestro.

Oltre ai rimproveri sulla mancanza di un De Ecclesia nella Somma, si è anche - in maniera più curiosa e più anacronistica, a dire il vero - accusato il Maestro d'Aquino d'aver sostenuto opinioni contrarie a quelle espresse da Pio XII nell'enciclica Mystici Corporis ( pubblicata sette secoli più tardi ) e di avere una concezione molto vaga della Chiesa, ridotta da lui alla sua dimensione mistica a detrimento della sua struttura e della sua organizzazione.369

Nate da una lettura troppo parziale dei testi, queste discussioni non devono qui essere prolungate; esse hanno avuto almeno il merito d'invitare a un approfondimento della questione.

Numerosi studi di valore hanno mostrato da allora qual è la realtà dei fatti - per quanto riguarda soprattutto il posto del ministero gerarchico e del Papa in modo particolare, è difficile rimproverare Tommaso di misconoscerli; è vero piuttosto il contrario.370

Ricercando le implicazioni spirituali del pensiero tomasiano, è dunque la terza volta che la nostra riflessione incontra la Chiesa sul suo cammino: prima a proposito del Cristo, in quanto la Chiesa è un travaso della sua grazia capitale, poi nel suo legame con lo Spirito Santo, che costituisce il suo cuore.371

Senza alcun dubbio, questa prospettiva teologale è primaria nel pensiero di Tommaso ed è essa che viene espressa mediante le denominazioni di Corpo di Cristo, Comunione dei santi e perfino « Chiesa dello Spirito Santo ».372

L'essere cristiano ci è già apparso così come segnato nella sua interiorità più profonda dalla sua appartenenza alla comunione di grazia.

Tuttavia, nella nuova prospettiva di questo capitolo, resta ancora da dire molto.

Senza spingere il paragone oltre quanto non meriti, si può certamente affermare che come la città terrena è il luogo in cui si realizzano le qualità naturali dell'essere umano, così la Chiesa è anch'essa il luogo in cui l'uomo si vede attrezzato per la sua vita soprannaturale e in cui si realizza come figlio di Dio.

Tommaso ignora così poco questa dimensione delle cose che egli stesso stabilisce il parallelo nel suo commento alla lettera agli Efesini ( Ef 2,19 ): « [ "Non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio" ]

Per comprendere queste parole, bisogna sapere che il collegio dei fedeli ( collegium fidelium ) è chiamato nella Scrittura ora « casa [ o "famiglia" ] ( domus ), come in 1 Tm 3,15: « Devi sapere come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa di Dio, ora "città" ( civitas ) come in Sal 122,3: « Gerusalemme che è fondata come una città ».

Tra la città, che è un collegio politico ( collegium politicum ), e la famiglia, che è un collegio economico, vi è una duplice differenza.

Coloro che appartengono al collegio della casa ( collegio domus ) partecipano in comune ( communicant ) atti privati; quelli che appartengono al collegio della città ( collegio civitatis ) partecipano in comune atti pubblici.

Inoltre, coloro che dipendono dal collegio della casa sono governati da uno solo, il padre di famiglia; quelli che dipendono dal collegio della città sono governati da un re.

Così un padre di famiglia è nella sua casa come un re nel suo regno.373

Il collegio dei fedeli ha quindi qualcosa della città e qualcosa della famiglia.

Se si considera il capo del collegio ( rector collegii ), costui è il Padre, Mt 6,9: « Padre Nostro che sei nei cieli »; Ger 3,19: « Mi chiamerete Padre e mi seguirete ovunque », e perciò questo collegio è una famiglia.

Se però si considerano i membri, allora il collegio è una città, poiché essi hanno in comune ( communiant ) degli atti speciali, quelli della fede, della speranza e della carità.

E così che se si presta attenzione ai fedeli in quanto tali, allora si tratta di un collegio come quello della città; ma se si considera il capo del collegio, allora si tratta di un collegio come quello della famiglia ».374

Molto difficile da tradurre in maniera esatta, dato che il termine collegium non ha un esatto equivalente nella nostra lingua, questo lungo testo è ciononostante molto chiaro nel suo significato: la Chiesa non è esattamente assimilabile a nessun'altra società, anche se si tratta di famiglia o città.

Essa ha qualcosa della città, nel senso che tutti i suoi membri sono uguali nel possesso comune di certi beni, ma ne differisce nel senso che questi beni, del tutto particolari, sono le virtù teologali.

Inoltre, assomiglia ancora alla città in quanto non ha che un solo capo, ma in quanto questo capo è Dio Padre, con il quale i figli possono avere i più intimi rapporti affettivi, questa società viene trasformata in famiglia.375

Di primo acchito si notano l'interesse e i limiti di una trasposizione delle categorie sociologiche alla Chiesa,376 ma Tommaso non rinuncia ancora a sfruttarne i vantaggi, come dimostra questo secondo testo: « [ "Il dilagare del fiume rallegra la città di Dio", Sal 46,3 ]

Questa città è la Chiesa, Sal 87,3: "Di te si dicono cose stupende, città di Dio".

Ci sono tre cose che appartengono alla definizione di questa città.

La prima è che essa assomiglia a una moltitudine di esseri liberi.

Infatti, se non esiste che una persona o soltanto poche persone, non c'è città; la stessa cosa vale se si tratta di schiavi.

Ora, è proprio questo che si verifica nella Chiesa, Gal 4,31: "Non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera".

La seconda consiste nel fatto che essa possiede la sua autonomia ( sufficientia ).

Infatti quando si è in cammino non si trova tutto ciò che è necessario alla vita degli uomini, sani o ammalati, ma nella città si deve trovare tutto ciò che è necessario alla vita.

Quest'autonomia si verifica nella Chiesa, poiché si trova in essa tutto ciò che è necessario alla vita spirituale, Sal 65,5: "Siamo sazi dei beni della tua casa".

La terza è l'unità dei cittadini.

E da qui, in realtà, cioè dall'unità dei cittadini, che la città ricava il suo nome, perché civitas è come Luna contrazione di "civium unitas".

Anche ciò si ritrova nella Chiesa, Gv 17,21: "Che essi siano una sola cosa in noi, come noi siamo una sola cosa".

Quindi è questa città che viene rallegrata dalla grazia dello Spirito Santo che irrompe in essa ( come un fiume ).377

L'interesse principale di tale testo non consiste tanto nel parallelo: « città temporale - città ecclesiale », ormai ben acquisito, quanto nella presentazione del fatto che la Chiesa come la città politica è formata di persone libere ( multitudo liberorum ).

Per un lettore di san Paolo ( Gal 3,28 ) la novità potrebbe sembrare del tutto relativa, ma come si è giustamente sottolineato: « Per cogliere la forza di questa affermazione è bene ricordarsi che nella città medievale esisteva un "popolo dall'alto", che era il solo ad esercitare veramente gli atti della cittadinanza, e un "popolo dal basso", spesso designato dai termini vulgus, plebs o popularis, populares, che non li esercitava …

Nella città medievale non tutti avevano il pieno esercizio dei diritti di cittadini.

Nella Chiesa, dice san Tommaso, tutti partecipano alle attività più elevate: "ipse populus Ecclesia dicitur" [ "il popolo stesso è chiamato Chiesa" ]».378

Perciò, come all'inizio di questo capitolo si è visto Tommaso estendere la città di Aristotele alle dimensioni del mondo, e adattare di conseguenza la qualità « politica » dell'uomo a quella di essere « sociale »; come lo si è visto anche trasformare in maniera decisiva l'analogia del cittadino mediante il richiamo alla qualità di figli del Padre celeste, così il ricordare ora che Dio nella sua città non fa accezione di persone e che tutti sono liberi nei suoi confronti, apporta un nuovo tocco distintivo a questo ritratto del membro della società ecclesiale.

Il fatto che non abbia scritto un trattato sistematico De Ecclesia ha impedito a Tommaso di spingere a fondo l'elaborazione di categorie necessarie, che però si ritrovano senza difficoltà nella sua opera ed è un peccato averle valorizzate così poco.

Allorquando giunse il momento per i teologi di scrivere sulla Chiesa ( circa trent'anni dopo la morte di Tommaso ), molti fattori giocarono nel senso inverso e una « ecclesiologia di combattimento » ( l'espressione è del padre Congar ) insistette allora molto di più sui poteri gerarchici che sull'uguaglianza dei battezzati nel possesso della loro comune dignità.

Senza misconoscere, pertanto, il ruolo del ministero nella Chiesa, esistevano in germe nell'ecclesiologia di fra Tommaso molti elementi che troveranno il loro compimento soltanto nei testi del Concilio Vaticano II.

Del resto bisognerà constatare un fenomeno un po' analogo nei paragrafi seguenti in cui parleremo della partecipazione di tutti al governo della città.

Senza poterci soffermare troppo su questo, è utile sapere che, oltre alla cristologia e alla teologia dello Spirito Santo, la dottrina dei sacramenti è un luogo privilegiato per scoprire il legame della Chiesa con la vita spirituale.

Molti testi ripetono infatti che essa è « fondata », « costruita », « fabbricata » anche per mezzo della fede e dei sacramenti della fede.379

Si riconosce qui il tema così ricco della nascita della Chiesa dalla croce: l'acqua e il sangue sgorgati dal costato trafitto di Gesù sono interpretati dalla Tradizione, sia orientale sia occidentale, come i simboli del battesimo e dell'eucaristia.

Ora, se per Tommaso come per tutti i teologi il battesimo è ciò che realizza l'appartenenza al Corpo di Cristo che è la Chiesa, egli insiste molto con sant'Agostino sui frutto dell'eucaristia, che non costituisce soltanto una grazia d'intimità con Cristo, ma anche l'unità del corpo ecclesiale.380

Del resto, la teologia sacramentale sottolinea con forza l'idea di crescita così operativa nella teologia spirituale.

Un parallelo illuminante viene stabilito con la vita corporea: « Questa implica un duplice perfezionamento: uno riguardante la persona stessa, l'altro la comunità sociale nella quale essa vive, poiché l'uomo è per natura un animale sociale ».381

Per questo, oltre al frutto ultimo dell'eucaristia che consiste nell'unità del Corpo mistico, il rapporto con l'insieme della comunità si realizza in due modi.

Innanzitutto, mediante l'autorità che governa la moltitudine con l'esercizio delle funzioni pubbliche; a ciò corrisponde nella vita spirituale il sacramento dell'ordine perché, secondo la lettera agli Ebrei ( Eb 7,27 ), i sacerdoti non offrono il sacrificio soltanto per essi, ma per tutto il popolo.

Poi, giacché questo perfezionamento sociale è raggiunto tramite la propagazione naturale della specie, l'uomo è qui perfezionato mediante il matrimonio sia nella vita corporea che in quella spirituale; infatti il matrimonio prima di essere un sacramento è prima di tutto un'istituzione naturale.

Tommaso scorge anche un'altra relazione tra organismo sacramentale e corpo ecclesiale: i sacramenti sono il fondamento della legge nella Chiesa,382 ma qui entriamo in un campo molto più vasto che non rientra nel nostro scopo.383

In compenso, occorre ancora trarre alcune conseguenze dal radicamento temporale della comunità ecclesiale, poiché esse implicano delle ripercussioni dirette per la vita del cristiano in questo mondo.

Spirituale e temporale

Molti studi sono stati dedicati alla questione della Chiesa e dello Stato in san Tommaso;384 il nostro scopo è molto meno ambizioso.

Per collegarlo alla ricerca di un capitolo precedente, riprenderemo brevemente l'esame del termine saecularis di cui avevamo iniziato a valutare le implicazioni.

Se il suo primo senso ha permesso di precisare un po' meglio l'attitudine religiosa di Tommaso nei confronti dei beni di questo mondo, ce n'è un secondo che di per sé non comporta più alcun giudizio.

Il termine allora è utilizzato per descrivere un dato di fatto, per esprimere la divisione dei campi e delle differenti competenze tra ciò che dipende dalla città terrena ( saeculum ) e ciò che appartiene al Regno di Dio sotto la sua forma terrena, la Chiesa.

Allora si distingue e a volte si oppone il temporale allo spirituale nella loro generalità,385 o più precisamente il civile all'ecclesiale.386

L'uso è corrente e lo si può illustrare con molti testi, così come quando Tommaso distingue il tipo d'unità propria a ciascuna società e il modo in cui ciascuna può essere messa in pericolo dalle divisioni interne: « La secessione differisce dallo scisma in due punti.

Prima di tutto, lo scisma si oppone all'unità spirituale del popolo, ossia all'unità ecclesiastica, mentre la secessione si oppone all'unità temporale o secolare del popolo, ossia a quella della città o del regno.

[ Il secondo punto è che lo scisma resta al piano spirituale, mentre la sedizione civile comporta una preparazione alla lotta corporea ] ».387

La stessa distinzione si ritrova quando si tratta di precisare che ciascuna di queste due città è retta da un potere che le è proprio: da una parte quello dei principi, dall'altra quello dei prelati a cui tocca ordinare la vita sociale della massa, mediante leggi appropriate, al bene comune perseguito in ciascun caso: « Come spetta ai principi secolari promulgare leggi che determinino il diritto naturale per quanto riguarda il bene comune nel campo temporale, così spetta ai prelati ecclesiastici prescrivere con decreti ciò che riguarda il bene comune dei fedeli nel campo spirituale ».388

Il parallelo è quindi altrettanto chiaro quanto la distinzione e la consistenza dei due livelli, ma Tommaso non considera questa differenza come assolutamente neutra; infatti riconosce tra i due campi un'ineguaglianza che sottomette il temporale allo spirituale: « Il potere spirituale si distingue dal potere temporale.

Ora, a volte i prelati investiti del potere spirituale si occupano di affari che dipendono dal potere secolare.

Da dove proviene loro questo diritto?

[ A questa obiezione, Tommaso risponde così: ] Il potere secolare è sottomesso al potere spirituale come il corpo all'anima.

Perciò il prelato spirituale può intervenire in affari temporali, senza usurpazione, nell'ambito in cui il potere secolare gli è sottomesso, o dove il potere secolare si rimette al suo giudizio ».389

Sullo sfondo di questi testi, s'intravede facilmente la situazione di mescolanza qual era quella della Chiesa medievale, e ci si ricorda indubbiamente del fatto che Tommaso ha conosciuto egli stesso nella sua giovinezza dei casi di intreccio tra il temporale e lo spirituale che hanno implicato da parte sua delle ferme prese di posizione.390

Questa è forse la ragione per cui, pur sottolineando la superiorità del campo spirituale su quello temporale, egli ne sottolinea con la stessa forza le rispettive competenze: « La potestà spirituale e quella secolare derivano l'una e l'altra dalla potestà divina; perciò la potestà secolare non è subordinata a quella spirituale se non nella misura in cui essa le è stata sottomessa da Dio, cioè circa quelle cose che riguardano la salvezza delle anime, in questo campo è meglio obbedire alla potestà spirituale che a quella secolare.

Ma per quanto riguarda il bene politico ( bonum civile ), è meglio obbedire alla potestà secolare che a quella spirituale, secondo quanto è affermato in Mt 22,21: "Date a Cesare quel che è di Cesare" ».391

Questo testo prosegue ricordando il caso unico del potere pontificio, dato che il Papa era allora anche sovrano temporale.

Ma questa non è che l'eccezione che conferma la regola: nonostante le possibili interferenze, il temporale conserva la sua autonomia e la sua consistenza, e la riconosciuta superiorità dello spirituale sul temporale non può servire da pretesto per sfuggire alle leggi legittime dei principi temporali.

Ciò resta vero anche se questi principi non sono cristiani, perché « se la distinzione tra fedeli e infedeli dipende dal diritto divino che proviene dalla grazia, essa non distrugge il diritto umano che proviene dalla ragione naturale.

Perciò … essa non sopprime né la sovranità né l'autorità degli infedeli sui fedeli ».392

Si tratta di un punto sul quale Tommaso è stato spinto a riflettere dai frequenti ammonimenti di san Paolo riguardanti la sottomissione alle autorità o ai padroni da parte degli schiavi ( cf. Col 3,22; Ef 6,5; Tt 2,9; 1 Pt 2,18 ): « Perché ritorna così spesso su questo punto? Non è senza motivo.

Infatti era nata presso gli ebrei un'eresia secondo la quale i servitori di Dio non potevano essere i servitori degli uomini, ed essa si era diffusa nel popolo cristiano dove alcuni dicevano che, divenuti figli di Dio per mezzo di Cristo, non potevano essere servitori degli uomini.

Cristo però non è venuto a distruggere con la fede l'ordine della giustizia; anzi; è mediante la fede in Cristo che la giustizia viene salvaguardata.

E la giustizia vuole che gli uni siano sottomessi agli altri ma questa schiavitù riguarda il corpo.

Ora, per mezzo di Cristo noi siamo liberati quanto all'anima, ma non quanto alla schiavitù e alla corruzione del corpo; nei secoli futuri saremo liberati dalla corruzione e dalla schiavitù corporea ».393

Questo passaggio del commento alla lettera a Tito ha il suo esatto parallelo in un articolo della Somma che vale la pena leggere qui per capire fino a che punto si tratta di una dottrina costante e meditata: « La fede in Cristo è principio e causa di giustizia, secondo quanto è affermato in Rm 3,22: « La giustizia di Dio si ottiene mediante la fede in Cristo ».

Questa fede non sopprime quindi l'ordine fondato sulla giustizia ( ordo iustitiae ), al contrario lo consolida.

Ora, l'ordine fondato sulla giustizia esige che gli inferiori obbediscano ai loro superiore se fosse altrimenti, sarebbe la rovina di ogni società umana.

La fede in Cristo non dispensa perciò dall'obbedire ai principi secolari ».394

Non è questo il luogo adatto per proseguire ulteriormente nello studio ditale questione considerata in se stessa.

Si terrà presente semplicemente il fatto che, contrariamente a ciò che è ancora il caso presso i maggiori suoi contemporanei.395

Tommaso ha una visione nettamente dualista dei rapporti della Chiesa e della società civile, posizione questa che egli non cambierà mai.396

Non sarebbe stato figlio del suo tempo se non avesse ammesso l'unione di fatto dei due poteri nel potere pontificio, come pure la subordinazione dei fini della società civile al fine ultimo della Chiesa.

Ma è molto apprezzabile anche il fatto che egli esalti la distinzione di principio dei due campi e delle loro competenze proprie, come il principio della loro reciproca subordinazione nei rispettivi campi.

Molto cammino restava da compiere prima di giungere alla dottrina dei rapporti tra Chiesa e Mondo contemporaneo,397 o a quella sulla libertà religiosa, quali saranno quelle del Concilio Vaticano II, ma non vi è alcun dubbio che occorra vedere nella metafisica della creazione tomasiana l'origine, contemporaneamente lontana e molto prossima, di una veduta così chiara di queste realtà complesse.

« La grazia del capo e delle membra »

Cristo è per noi molto più che un semplice strumento, è il Capo del suo Corpo mistico, la Chiesa.

Questo fa dire a san Tommaso che la grazia è stata data a Cristo per fare di lui il principio primo e universale che causa la grazia in tutti coloro che si legano a lui.398

Molto più epurato, questo principio metafisico permette di sottolineare che Cristo non è soltanto tramite, ma anche causa della grazia.

Ben presto, il Maestro d'Aquino ha avvertito i limiti dell'analogia dello strumento e, senza rigettarla, dato che gli ha permesso un progresso decisivo, si è incamminato verso un approfondimento del dato paolino sul Corpo di Cristo: « Secondo san Giovanni Damasceno, l'umanità di Cristo è stata come lo strumento della sua divinità, e per questo le sue azioni potevano essere salvifiche per noi.

Ciò è acquisito e non sarà più abbandonato, ma ecco la precisazione che s'impone.

In quanto però è stato uno speciale strumento della divinità, fu necessario che vi fosse una qualche unione speciale fra l'umanità e la divinità.

Secondo Dionigi … ogni essere tanto più partecipa alla bontà di Dio quanto più vi si avvicina.

Per cui anche l'umanità di Cristo, per il fatto stesso che è unita alla divinità in modo più stretto e speciale che qualsiasi altra creatura, partecipa in modo più eccellente alla bontà divina.

Per cui vi fu in essa non solo la capacità di avere la grazia, ma anche quella di trasmetterla, un po' come i corpi che brillano trasmettono agli altri la luce del sole.

E poiché Cristo comunica la grazia a tutte le creature razionali, ne deriva che, secondo la sua umanità, Cristo è in qualche modo il principio di tutta la grazia, come Dio è il principio di tutto l'essere.

Perciò, come in Dio si ritrova tutta la perfezione dell'essere, così in Cristo si trova tutta la pienezza della grazia; egli non solo può agire da se stesso nell'ordine della grazia, ma può anche condurre gli altri alla grazia, e per questo motivo ha la prerogativa di capo.

Ora, nel capo di un corpo naturale vi è la potenza sensitiva non solo perché gli permetta di vedere, di ascoltare, di toccare e così via; ma anche come nella radice dalla quale le sensazioni profluiscono nelle altre membra.

Così dunque, in Cristo, è l'unica e medesima grazia abituale che viene detta "grazia d'unione" in quanto conviene a una natura unita alla divinità, "grazia capitale"‖ in quanto essa rifluisce sugli altri per la loro salvezza, e "grazia personale" in quanto abilitava tale umanità a compiere azioni meritorie ».399

Si possono notare alcune differenze tra questo testo giovanile e le formulazioni più compiute della Somma.

Qui Cristo appare come Capo in virtù dell'irradiamento della sua grazia, mentre poco più tardi è la formulazione inversa che sarà affermata: l'effusione della grazia sulle membra della Chiesa sarà vista come la conseguenza dell'attribuzione a Cristo del titolo di Capo.

Parimenti, nella Somma Tommaso distinguerà più nettamente la grazia d'unione dalle altre due.

Dono increato che la persona del Verbo fa di se stessa all'umanità che assume,400 essa non è commensurabile né alla grazia personale né a quella capitale.

Ciò su cui ci soffermeremo per il momento è il modo in cui le cose si organizzano nella sintesi: è proprio perché è Figlio di Dio che Cristo è anche « pieno di grazia e di verità »,401 e che può quindi causare la grazia con un'autorità maggiore di quella di uno strumento, anche se questo fosse congiunto.

Si sarà osservata la formula così vigorosa sottolineata nel testo qui sopra: « Cristo è in qualche modo il principio di tutta la grazia, come Dio è il principio di tutto l'essere » ( principium quodammodo omnis gratiae, sicut Deus est principium omnis esse ).

Tommaso non poteva affermare niente di più forte, e per questo aggiunge poco dopo: « Cristo ha realizzato la nostra salvezza quasi ex propria virtute ».402

La dottrina del Corpo di Cristo si mostra decisiva per ben comprendere, infine, la conformazione dei cristiani a Cristo per grazia.

Spiritualmente, tra Cristo e le sue membra non vi è soluzione di continuità, poiché egli forma con essi « una sola persona mistica ».403

E quindi tutto ciò che fa, « merito » o « soddisfazione », appartiene a loro « così come le azioni di un uomo qualsiasi costituito in grazia appartengono a tutta la sua persona ».404

Perciò l'onnipresenza di Cristo agente e raggiante nella vita cristiana, secondo san Tommaso trova la sua migliore espressione nella dottrina del Corpo mistico, in quanto è la grazia che deriva da Cristo-Capo che con le sue proprie qualità speciali discende sulle membra, in modo da conformarle a lui.

In un passaggio che gli esegeti attuali riterrebbero indubbiamente curioso, egli spiega come, secondo lui, l'unico soggetto delle lettere di san Paolo è la grazia di Cristo considerata in rapporto al suo corpo ecclesiale: « L'Apostolo ha scritto quattordici lettere …

Questo insegnamento è tutto concentrato sulla grazia di Cristo che può essere considerata in tre modi.

Primo, in quanto essa è nel Capo stesso, Cristo, ed è così che la troviamo nella lettera agli Ebrei.

Poi, in quanto è nelle membra principali del Corpo mistico, ed è così che la troviamo nelle lettere indirizzate ai prelati [ le Pastorali ].

Infine, in quanto si trova nel Corpo mistico stesso, ed è così che la troviamo nelle lettere rivolte ai Gentili ».405

Poco importa qui l'esattezza della ricostruzione.

Essa, almeno, fa luce sull'idea che Tommaso si faceva della Chiesa, nella quale mette innanzi, con ineguagliabile forza, l'elemento interiore della comunione ecclesiale.

Sulla scorta di Paolo e soprattutto di Agostino, superando però quest'ultimo grazie al Damasceno,406 Tommaso considera la Chiesa innanzitutto come un organismo di grazia che dipende totalmente dal suo capo, Cristo:407 « Cristo possedeva la grazia non solo a titolo individuale, ma in quanto Capo della Chiesa alla quale noi tutti siamo uniti come le membra al loro Capo, in modo tale da costituire misticamente con lui una sola persona.

Ne deriva che il merito di Cristo si estende anche agli altri in quanto sono sue membra, così come in ciascun uomo l'azione del capo appartiene in qualche modo a tutte le membra, dato che non agisce soltanto per se stesso ma per tutte le sue membra ».408

Poiché ricapitola in lui tutti coloro che sono in grazia, Cristo può quindi comunicare loro il merito infinito che ha acquisito con la sua obbedienza amorosa alla volontà del Padre.

Ed è nella misura in cui sono legati a lui che essi possono ricevere lo Spirito Santo: « Se l'Apostolo aggiunge in Cristo Gesù ( Rm 8,2 ), è perché lo Spirito non è dato se non a coloro che sono in Cristo Gesù.

Come il soffio vitale naturale non giunge alle membra che non sono legate alloro capo, così lo Spirito Santo non giunge alle membra che non sono unite al loro capo, Cristo ».409

Questo non esclude quanto abbiamo appena detto dello Spirito come agente della nostra conformazione a Cristo.

A motivo della primaria origine trinitaria e della circuminsessione delle persone divine, esiste un condizionamento reciproco della loro azione e, a seconda del punto di vista, la priorità sarà diversa caso per caso.

E se lo Spirito non è donato se non a coloro che sono in Cristo, esso è anche colui che costituisce Cristo come primo genitus, « il primogenito tra molti fratelli », poiché gli è stato dato « senza misura » ( Gv 3,34 ).

Anche il Padre però viene implicato, poiché è per il modo in cui è stato generato che il Figlio si trova ad essere anche il Primogenito dell'intera creazione: « Dio non conosce la creazione diversamente da come conosce se stesso, e conosce tutte le cose nella loro essenza, come nella causa prima efficiente.

Ora, il Figlio è il concepimento intellettuale di Dio, che conoscendo se stesso conosce così anche ogni creatura.

In quanto generato, egli è il Verbo che rappresenta ogni creatura ed è egli stesso principio di ogni creatura.

Se non fosse generato in questo modo, egli sarebbe il Primogenito del Padre ma non il Primo di ogni creatura.

( Ora, la Sapienza dice di se stessa: "Uscita dalla bocca dell'Altissimo, io sono la primogenita di tutte le creature" ( Sir 24,5, Volgata ) ).410

Un corpo sacerdotale, regale e profetico

Ancora una volta siamo stati rinviati alle processioni intratrinitarie per capire in che modo il Verbo incarnato si rapporti agli uomini.

Ma ci si ricorda del parallelismo tra la maniera in cui Dio comunica la sua bontà alle creature e il modo in cui il « Figlio di Dio ha voluto comunicare ad altri la conformità della sua filiazione, cosicché egli non è soltanto il Figlio, ma il primo dei figli ».411

Ciò può essere sviluppato sottolineando che egli comunica anche a loro, nello Spirito, l'unzione che ha fatto di lui l'Unto per eccellenza, cioè il Messia, facendo così di essi altri « cristi » che come lui possiedono la triplice qualità sacerdotale, regale e profetica.

Questa trilogia, rivalutata nel XX secolo,412 era ben nota al Maestro: « Nell'antica alleanza si dava l'unzione ai sacerdoti e ai re, come fu il caso di Davide ( 1 Sam 16 ) e Salomone ( 1 Re 1 ).

E anche i profeti ricevevano l'unzione, come accadde con Eliseo che fu unto da Elia ( 1 Re 19 ).

Queste tre ( unzioni ) convengono a Cristo che fu re: « Regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe » ( Lc 1,33 ).

Fu anche sacerdote ed offrì se stesso a Dio in sacrificio ( Ef 5,2 ).

Fu anche profeta e proclamò la via della salvezza: « Il Signore susciterà un profeta tra i figli di Israele » ( Dt 18,15 ).

Come è stato unto? Non con un olio visibile poiché il suo « regno non è di questo mondo » ( Gv 18,36 ).

E siccome non ha svolto un sacerdozio materiale, egli non è stato quindi unto con un olio materiale ma con l'olio dello Spirito Santo. ».413

La formulazione a volte è un po' differente secondo i contesti, però, se non sempre riveste esattamente la stabilità che acquisterà più tardi, la trilogia messianica è veramente operante: « Gli altri uomini hanno alcune grazie particolari, ma Cristo, come capo di tutti gli uomini, possiede perfettamente tutte le grazie.

Perciò, per quanto riguarda gli altri uomini, l'uno è legislatore, l'altro sacerdote, l'altro re; in Cristo al contrario tutto ciò si ricongiunge come nella fonte di tutte le grazie.

Per questo è detto in Isaia ( Is 33,22 ): « Il Signore è nostro giudice, il Signore è nostro legislatore, il Signore è nostro re. Egli verrà e ci salverà ».414

Come ci si può ben aspettare dopo tutto ciò che abbiamo detto, poiché la Chiesa - Corpo di Cristo è un'espansione della sua grazia capitale, tutti coloro che le sono aggregati mediante il battesimo diventano con lui re, sacerdoti e profeti: « [ Dopo aver ricordato il significato dell'unzione e il senso della parola Cristo, Tommaso continua: ] Cristo è egli stesso re …

E anche sacerdote … Fu pure profeta …

Era conveniente per lui essere quindi unto d'olio di santificazione e di allegrezza [ lo Spirito Santo, secondo l'esegesi di Tommaso ].

Infatti è da lui che derivano i sacramenti della grazia …

Ma questa unzione conviene anche ai cristiani.

In effetti essi sono re e sacerdoti: "Voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale" ( 1 Pt 2,9 ), « Tu hai fatto di noi per Dio un regno di sacerdoti » ( Ap 5,10 ).

Essi hanno anche lo Spirito Santo, che è lo Spirito di profezia: « Io effonderò il mio spirito su ogni uomo » ( Gl 2,27; cf At 2,17 ).

E per questo tutti sono unti di un'unzione invisibile: "E Dio stesso che ci conferma insieme a voi in Cristo e ci ha conferito l'unzione" ( 2 Cor 1,21 ); "Voi avete ricevuto l'unzione dal Santo e sapete tutto" ( 1 Gv 2,20 ).

Ma che rapporto c'è tra Cristo unto e i cristiani unti come lui?

Eccolo: lui ha l'unzione a titolo principale e primo, noi e gli altri l'abbiamo ricevuta da lui …

Quindi gli altri sono chiamati santi, però lui è il Santo dei santi.

E la fonte di ogni santità ».415

Se, preoccupati di essere brevi, a volte abbiamo omesso le citazioni scritturistiche fatte dall'autore, ne abbiamo lasciate tuttavia un numero sufficiente perché si possa cogliere l'ispirazione profondamente biblica di questa dottrina.

E indubbiamente una delle ragioni per cui essa si trova così spontaneamente in accordo alla dottrina del Concilio Vaticano II, il quale ha fatto della trilogia messianica la spina dorsale della Costituzione dogmatica Lumen gentium.

Certamente non è in san Tommaso che il Concilio ha trovato la sua ispirazione, ma non è senza interesse sottolineare per inciso che ciò che all'epoca del Concilio è apparso come una vera novità era in realtà ben ancorato in una Tradizione di cui è anch'egli un testimone.

Il legame della carità

Non è indifferente, come si può ben comprendere, il fatto che sant'Agostino - e tutti coloro che si riferiscono a lui - per parlare dello Spirito Santo abbia trovato un'espressione così vicina a quella di san Paolo il quale, almeno a due riprese, parla della koinònia dello Spirito Santo.416

San Tommaso, che nella Volgata incontrava societas o communicatio come traduzioni di koinonia ( comunione ), probabilmente non dubitava che sullo sfondo si potesse trovare un'identica parola greca; tuttavia egli ha perfettamente compreso la ripercussione ecclesiale della sua dottrina trinitaria.417

Per riassumere tutto in una parola: lo Spirito Santo svolge in seno alla Chiesa un ruolo di unificazione nell'amore che rinvia a quello esercitato in seno alla Trinità; così egli trasforma la riunione dei battezzati in una comunione d'amore a immagine della sua fonte trinitaria.418

Come si sa, la dottrina ecclesiale di Tommaso è specificamente una teologia del Corpo di Cristo.419

Fedele a quanto apprende da san Paolo, egli considera il Corpo come il risultato del travaso della grazia che gli viene dal Capo: « L'anima di Cristo ha ricevuto la grazia al massimo della sua eminenza.

Perciò, a causa di questa eminenza, spetta a Cristo farla riversare sugli altri.

Ciò è proprio del suo ruolo di capo ».420

In questo contesto, il ruolo dello Spirito Santo consiste precisamente nello stabilire la « continuità » tra il Cristo-capo e i fedeli-membra, giacché egli possiede questa proprietà di restare numericamente uno e il medesimo nel Capo e nelle membra.

Tommaso, che riprende spesso questa formula,421 non ne ha dato un'ampia spiegazione se non nel seguente passaggio: « Nel corpo naturale, le facoltà diffuse in tutte le membra differiscono numericamente secondo la loro essenza, però si riuniscono nella loro radice che è numericamente una ( cioè l'anima, come forma del vivente, la cui sede è sia il cuore sia la testa, secondo l'antropologia fisica di Tommaso ), e, in più, esse hanno un'unica forma ultima ( cioè di nuovo l'anima, ma in quanto è il principio trascendente che permette al corpo così informato di essere una persona umana ).

Similmente, tutte le membra del Corpo mistico hanno come perfezione ultima ( pro ultimo complemento ) lo Spirito Santo che è numericamente uno in tutti ( egli assume così nel corpo ecclesiale il ruolo dell'anima ).

E la stessa carità, effusa in esse mediante lo Spirito Santo, sebbene sia differente secondo l'essenza nella diversità delle persone tuttavia si unifica tramite la sua radice numericamente una, poiché la radice propria di un'operazione è l'oggetto stesso dal quale riceve la sua determinazione.

Ed è per questo che, in quanto tutti credono e amano un solo e identico oggetto, la fede e la carità di tutti sono unificate in un'unica e medesima radice, non solo nella loro radice prima che è lo Spirito Santo, ma anche nella loro radice prossima che è il loro proprio oggetto ».422

L'esegesi dettagliata di questo testo, bello ma difficile, ha dato luogo a interpretazioni divergenti,423 anche se non è necessario addentrarsi in troppe sottigliezze per comprenderne il significato.

Ci è sufficiente ritenerne l'essenziale.

Lo Spirito Santo gioca nel corpo ecclesiale il ruolo attribuito all'anima nel corpo umano: interamente nel Tutto e interamente in ciascuna delle sue parti, egli è presente sia nel Capo che nel Corpo e in ciascuno delle sue membra.

Non solo è il principio dell'unità del Tutto, al quale comunica la vita soprannaturale ma è anche la fonte della sua santità, la causa del suo agire soprannaturale e la ragione della sua fecondità.

Onnipresente nella Chiesa, lo Spirito ne è l'Ospite interiore così come lo è dell'anima giusta.

Ma con lo Spirito Santo, chiaramente è anche l'intera Trinità che risiede nella Chiesa poiché, conformemente al principio che Tommaso ha appena ricordato, laddove è all'opera una delle Persone le altre due non possono non essere presenti.

« Se qualcuno mi ama - diceva Cristo - osserverà la mia parola e il Padre mio l'amerà; noi verremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora » ( Gv 14,23 ).

A questo bene comune del pensiero cristiano ereditato da sant'Agostino,424 questo testo aggiunge tuttavia un insegnamento un po' circostanziato allorquando parla di un altro principio di unità: le membra della Chiesa sono riunite mediante la fede e la carità o, più precisamente, per il fatto che credono e amano un'unica e medesima realtà.

Tommaso esprime ciò in termini più tecnici affermando che è l'oggetto che dà all'atto la sua specificazione.

Semplice traduzione di un fatto d'esperienza facilmente constatabile sul piano naturale: varie persone differenti si trovano riunite per il semplice fatto di volere insieme una stessa cosa; quest'ultima svolge allora per tale gruppo il ruolo di un fine comune, di un principio unificatore.

Qual è dunque questo fine conosciuto e amato che svolge il ruolo di principio unificante per il corpo ecclesiale?

Anche se Tommaso qui non lo precisa e sembra lasciar intendere che sarebbe lo Spirito Santo affermando che questi è contemporaneamente « radice prima » ( l'anima ) e « radice prossima » ( l'oggetto conosciuto e amato ), evidentemente non può che essere Dio stesso, la Trinità.425

E questa che sarà la beatitudine perfetta dell'intera Chiesa così come lo è dell'anima di ciascun eletto e Io è già allo stato iniziale nell' anima di ciascun giusto fin da questa vita, giacché, laddove si trovano fede e carità, là si trova anche il fine che esse ci permettono di raggiungere: Dio stesso. Il beneficio di questa precisazione aggiunta alla dottrina comune consiste precisamente nel permetterci di ben comprenderla.

Certamente si è subito colpiti dalla bellezza di questa affermazione, ma se ci si interroga con più precisione su cosa si vuoi dire parlando dello Spirito Santo come anima della Chiesa, questo modo di parlare dice troppo o troppo poco.

Dice troppo, in quanto anima e corpo, nella realtà naturale che conosciamo, si compenetrano così strettamente da risultare impossibile separarli; è questo che si vuole esprimere quando si dice che l'anima « informa » il corpo, le dà « la vita, il movimento e l'essere ».

E proprio impossibile però affermare questo dello Spirito Santo: come infatti lo Spirito increato potrebbe comporsi con le persone create quali sono le membra della Chiesa?

Vi è qui un'impossibilità metafisica.

L'esempio a noi più vicino e allo stesso tempo il più forte che potremmo utilizzare, il caso dell'incarnazione, non ha implicato nessuna composizione tra il Verbo e la sua umanità.

Ricordiamoci del Concilio di Calcedonia: l'unione è avvenuta « senza confusione né mescolanza ».

Se fosse stato diversamente, l'unione avrebbe prodotto un ibrido, né Dio né uomo.

E tuttavia si può dire del Verbo incarnato che la sua umanità gli è unita in persona ( unione secondo l'ipostasi, per dirlo tecnicamente ).

Questo non lo si può affermare dello Spirito Santo giacché se fosse così sarebbe l'intera umanità ecclesiale che gli sarebbe unita.

Assurdità nella quale il Concilio Laterano IV vedeva non tanto « un'eresia » quanto « un'inanità » che poteva nascere solo nella mente di un insensato.

Occorre allora svuotare questa espressione di « anima della Chiesa » da ogni significato reale e non vedervi se non una metafora?

In tal caso ciò significherebbe dire troppo poco.

San Tommaso introduce in questo contesto la fede e la carità, permettendoci così di comprendere come lo Spirito Santo può essere detto « in un certo senso » l'anima della Chiesa, senza lasciarci trascinare in nessuna assurdità, ma senza rinunciare nemmeno a riconoscergli la sua verità.

La grazia, nell'anima, così come la fede e la carità, nelle facoltà dell'intelligenza e della volontà, sono indiscutibilmente doni dello Spirito Santo.

Essi ci sono dati per elevarci alla vita divina che siamo chiamati a condividere quando si tratta della grazia e per permetterci di agire a questo livello come figli e figlie di Dio quando si tratta della fede e della carità.

Per comprendere nella misura del possibile ciò che accade quando Dio è così conosciuto e amato, ci si può servire dell'analogia della conoscenza e dell'amore nel nostro mondo quotidiano.

Anche se presente accanto a me, la persona che amo non è fisicamente presente nel mio spirito; essa è presente soltanto mediante la visione che ne ho e la rappresentazione che me ne faccio, grazie alle quali interiorizzo questa presenza nel mio cuore in modo tale che potrò conservare questa presenza interiore come ricordo quando la presenza fisica avrà fine.

Presenza « intenzionale » di conoscenza e d'amore,426 dicono gli specialisti, ma tuttavia presenza ben reale: l'amato abita spiritualmente nell'amante come l'amante nell'amato.

Liberata da tutti i limiti legati alla nostra condizione carnale, questa rappresentazione puramente umana ci offre proprio l'analogia di cui abbiamo bisogno.

Dio, come abbiamo già visto, è presente a noi stessi più intimamente di qualsiasi altro oggetto di conoscenza e d'amore umani, come abbiamo detto; ma quando si tratta della presenza di grazia è proprio di una presenza di questo tipo che si tratta.

Tramite la sua grazia noi abbiamo di lui una nuova presenza giacché egli è ormai presente a noi come una persona soprannaturalmente conosciuta e amata.

Ritroveremo per un'altra via quanto abbiamo scoperto qui sopra parlando della presenza di Dio alla sua creatura.

Oltre alla presenza d'immensità comune a tutte le cose, « c'è questo modo speciale che è proprio della creatura razionale, in questa si dice che Dio esiste come il conosciuto nel conoscente e l'amato nell'amante.

E poiché conoscendolo e amandolo la creatura razionale giunge con la sua operazione fino a Dio stesso, si dice che, mediante questo modo speciale, non solo Dio è nella creatura razionale, ma anche che egli abita in essa come nel suo tempio ».427

Abbiamo qui l'esatta verità dell'espressione « anima della Chiesa » applicata allo Spirito Santo.

Per evitare l'assurdità segnalata poco fa, è stato dunque necessario distinguere tra lo Spirito Santo e i suoi doni.

Lo Spirito Santo non può esercitare direttamente il ruolo dell'anima, ma lo esercita indirettamente tramite i suoi doni.

Per dire le cose un po' diversamente, con parole più vicine alla Sacra Scrittura, si può schematizzare quanto accade nel seguente modo.

Non solo Dio ci ama per primo ( cf. 1 Gv 4,10.19 ), ma ci dà anche di amarlo, « poiché l'amore di Dio è stato effuso nei cuori per opera dello Spirito Santo che ci è stato dato » ( Rm 5,5 ); e, infine, egli viene in noi che l'amiamo ( Gv 14,23 ).

Solo a questo punto può essere definito veramente l'ospite delle nostre anime e quello della Chiesa.

Tutto questo processo è attribuito preferibilmente allo Spirito Santo per la ragione che indicavamo all'inizio: Vincolo d'amore tra il Padre e il Figlio, spetta a lui in maniera speciale realizzare nel Corpo dei credenti il radunarsi nella carità.428

Il cuore della Chiesa

Tranne qualche sfumatura, il Maestro d'Aquino non esprime nulla di molto originale quando parla dello Spirito Santo come anima della Chiesa.

Egli però è l'unico della sua epoca a fargli svolgere nella Chiesa il ruolo di « cuore »: « Il cuore esercita una certa influenza nascosta sulle membra esterne.

Per questo si paragona al cuore lo Spirito Santo che vivifica e unifica invisibilmente la Chiesa ».429

Se, nella Chiesa-Corpo, essere Capo conviene a Cristo, poiché si è manifestato in maniera ben visibile, l'efficacia del cuore, invisibile ma non meno indispensabile, spetta di preferenza allo Spirito Santo.430

Dato il valore simbolico del cuore, non si tratta che di un altro modo per affermare che è l'amore la causa suprema della vita e dell'unità della Chiesa.

La metafora ne richiama un'altra.

Se nel nostro corpo fisico tutte le membra sono irrorate dalla circolazione dello stesso sangue che parte dal cuore, nel Corpo mistico questo flusso vitale è la carità.

Tramite essa lo Spirito Santo stabilisce tra tutte le membra un legame organico che le rende interdipendenti in una stessa comunione: « Come in un corpo naturale l'operazione di un membro si volge a vantaggio di tutto il corpo, così accade nel corpo spirituale che è la Chiesa.

E siccome tutti i fedeli formano un solo corpo, il bene dell'uno viene comunicato all'altro.

« Noi siamo tutti membra gli uni degli altri » ( Rm 12,5 ).

Per questo, tra gli articoli di fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso, vi è quello di una comunione dei beni ( communio bonorum ) nella Chiesa; si tratta della cosiddetta comunione dei santi ( communio sanctorum » ).431

Per quanto lontano sia possibile risalire nella storia del Simbolo degli Apostoli, lo Spirito Santo, la Chiesa e la comunione dei santi appaiono sempre insieme.

Non giustapposti, ma proprio come realtà strettamente legate tra di loro: « Credo nello Spirito Santo, nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei santi ».432

La comunione dei santi non si aggiunge qui alla Chiesa; essa non ne è che l'esplicitazione ed esige però un'osservazione preliminare.

A metà strada tra grammatica e teologia, questa è molto più che una semplice curiosità grammaticale.

Forse lo si sa, la formula « communio sanctorum » può avere un duplice senso.

In quanto sanctorum è il genitivo di sancti, significa « comunione dei santi », cioè dei fedeli, delle persone che hanno la fede.

Ma sanctorum può anche essere il genitivo plurale di sancta, cioè delle cose sante, i beni che i fedeli possiedono in comune e che li riuniscono: i sacramenti, la fede, la carità, Dio stesso.

Storicamente i due sensi sono ben attestati e sémbra impossibile precisare quale dei due sia apparso per primo.

Teologicamente, tuttavia, il dubbio non è possibile: è la comunione con le realtà sante e, tramite esse, con la stessa santa Trinità che fonda la comunione dei fedeli tra di loro.

Ora, per l'espressione « communio bonorum », utilizzata qui da Tommaso, valgono le stesse osservazioni: bonorum può intendersi dei boni, i buoni, cioè ancora una volta i fedeli, ma può intendersi anche in rapporto a bona, i beni a loro comuni, e il Maestro domenicano non lascia alcun dubbio su ciò che situa per primo: « Ma tra i membri della Chiesa, il membro principale è Cristo, perché ne è il Capo.

« Dio l'ha dato per Capo a tutta la Chiesa che è il suo Corpo» ( Ef 1,22-23 ).

Il bene di Cristo è quindi comunicato a tutti i cristiani, così come la virtù del Capo è comunicata a tutte le membra; e questa comunicazione si effettua mediante i sacramenti della Chiesa nei quali opera la virtù della passione di Cristo che dà efficacemente la grazia per la remissione dei peccati ».433

Tommaso passa allora rapidamente in rivista i sette sacramenti e il loro effetto, e soltanto dopo arriva al secondo senso della comunione dei santi, quello al quale senza dubbio pensiamo più spontaneamente: « Bisogna ancora sapere che non è soltanto l'efficacia della passione di Cristo che ci è comunicata, ma anche il merito della sua vita.

E tutto il bene che hanno compiuto tutti i santi viene comunicato a coloro che vivono nella carità, poiché tatti sono uno: « Sono associato a tutti coloro che ti temono» ( SaI 119,63 ).

Perciò colui che vive nella carità diventa partecipe di tutto il bene che si fa nel mondo intero ».434

Evidentemente occorre notar la frase sottolineata; essa è ripetuta come un ritornello in tutti i testi in cui l'autore riparla di questo tema.435

Ci sarà permesso riportare ancora il seguente testo, raramente citato in quanto appartenente a un'opera poco conosciuta dalla maggior parte dei lettori di san Tommaso: « [ Due ragioni possono spiegare l'efficacia della preghiera per qualcun altro; bisogna chiaramente voler pregare per questa persona, però ciò che viene per primo ] è l'unità della carità, in quanto tutti coloro che vivono nella carità formano come un unico corpo.

In tal modo, il bene dell'uno fluisce su tutti così come la mano o qualche altro membro è al servizio dell'intero corpo.

E così che tutto il bene compiuto dall'uno vale per ciascuno di coloro che vivono nella carità, secondo quanto è detto dal salmo ( Sal 119,63 ).

« Sono associato a tutti coloro che ti temono e osservano i tuoi comandi ».436

Se bisogna osservare il posto della carità in questi testi, natura!mente ciò è dovuto al fatto che si tratta della comunione dei santi e che non vi è santità al di fuori della carità.

Ma se si vuole capire perché la carità ha questa misteriosa fecondità, occorre ricordarsi del legame speciale che esiste tra essa e lo Spirito Santo.

Soltanto la presenza dello Spirito nel corpo di cui egli è l'anima permette di capire come si produce questa misteriosa reversibilità dei beni spirituali che chiamiamo « comunione dei santi ».

Charles Journet a tal proposito utilizzava un sorprendente paragone.

Dare gli occhi a qualcuno che non li avesse significherebbe certamente dargli una perfezione finita: precisamente questi organi che sono gli occhi di carne; ma significherebbe anche introdurre allo stesso tempo in lui spiritualmente tutto l'infinito dell'orizzonte.

Dargli la capacità di vedere significherebbe offrirgli la possibilità di appropriarsi nell'ordine dell'intenzionalità dell'immensità del mondo esterno: permettergli di comunicare con esso in un modo nuovo.

La carità, anch'essa, ha queste due facce.

In quanto è dono creato, effetto prodotto in me mediante lo Spirito Santo, essa perfeziona il mio essere spirituale, ma è necessariamente limitata alla mia persona.

In questo senso, essa non potrebbe spiegare questa comunione reciproca di cui cerchiamo di rendere conto.

Se però consideriamo che questa carità finita ci permette di entrare in comunicazione con la Carità infinita che è lo Spirito Santo, di farla abitare in noi come una forma spiritualmente presente, allora cambia tutto.

Infatti la Carità nella sua fonte ci mette anche in comunicazione con il mondo delle altre Persone in cui essa è presente, giacché non è nient'altro che l'Amore increato che, unico e identico, riempie tutta la Chiesa e ne fa l'unità.

Presente nel Tutto del Corpo ecclesiale e in ciascuno delle sue membra, questi realizza in esso un'abitazione reciproca di tutti coloro che sono in grazia, una « mutua circuminsessione affettiva delle membra della Chiesa l'uno nell'altro » ( Journet ).

Se lo Spirito d'amore abita in noi e se noi abitiamo nello Spirito, allora tutti coloro in cui abita lo Spirito e che dimorano nello Spirito abitano anch'essi in noi e noi in loro.

E fin qui che occorre arrivare per rendere conto del mistero della comunione dei santi.

La nostra carità non si limita soltanto ai nostri fratelli, essa è la loro, e la loro è anche la nostra.

Esse si comunicano reciprocamente le risorse e la fecondità che traggono dallo Spirito in modo tale che la carità del più debole è sollevata da quella del più forte, e quella di entrambi è assunta nella carità senza crepe della Chiesa intera, visto che è quella dell'Amore increato, indivisibile e onnipresente che tutti possiedono in comune.437

Se è vero che « ogni opera pia e santa di uno solo appartiene a tutti »,438 ciò è dovuto proprio alla loro radice comune, la carità, essendo essa stessa il frutto del suo Cuore, lo Spirito Santo.439

Tra le rare omelie che ci sono giunte di san Tommaso, ce n'è una per il giorno di Ognissanti,440 nella quale si ritrovano la maggior parte dei temi che abbiamo appena evocato in questo capitolo.

Sarà illuminante vedere ancora una volta come il frate predicatore riprende nella sua esposizione l'insegnamento più elaborato della sua teologia.

Molto palesemente, questa omelia si fonda sull'idea della congregatio fidelium, che è forse la sua definizione preferita della Chiesa e che mette l'accento con risolutezza sulla comunione delle persone.441

Supposto ciò, il testo inizia quindi molto bruscamente: nessuno, tra coloro che pensano rettamente, ignora che la societas tra Dio, gli angeli e gli uomini è unica.

Questa affermazione è sostenuta da due citazioni scritturistiche che menzionano entrambe la comunione ( societas, nella Volgata ) alla quale Dio chiama gli uomini nel suo Figlio Gesù Cristo.442

Tommaso spiega qui questa comunione con il fatto che c'è communicatio degli angeli e degli uomini in uno stesso fine, la beatitudine.

Tuttavia, mentre Dio possiede tale beatitudine per essenza, gli angeli e gli uomini accedono ad essa soltanto per partecipazione.

La comunione non si ferma qui: tra tutti coloro che sono partecipi di questo stesso fine deve esserci anche una communicatio delle opere; cosicché coloro che non hanno ancora raggiunto il fine, gli uomini che sono ancora su questa terra ( i viatores, nel linguaggio ormai accettato ), sono condotti verso di esso mediante le parole e gli esempi di coloro che già io possiedono.

Per questo celebriamo le feste dei santi i quali hanno già ottenuto la beatitudine: aiutati dalla loro preghiera, edificati dal loro esempio, stimolati dalla loro ricompensa noi vi giungeremo a nostra volta.

La conseguenza diretta di questa opzione fondamentale consiste nel fatto che Tommaso non considera in una prospettiva individualista nè lo sforzo del cristiano né il termine di questo sforzo.

Egli ricorda che la persona può contare sulla comunità di cui fa parte: anche se non siamo sempre decisi a perdonare, noi possiamo recitare il « Padre Nostro » senza mentire poiché il peccatore non prega soltanto per proprio conto ( in persona sui ), ma anche a nome della Chiesa ( in persona ecclesiae ) che, essa, non mente.443

D'altra parte è per sottolineare questo inserimento nella comunione ecclesiale che Cristo ci insegna a dire « Padre nostro » e non solamente « Padre ».444

La comunione dei santi i finisce con l'apparire così per ciò che realmente è: il mistero della nostra solidarietà soprannaturale nell'organismo di grazia che è il Corpo di Cristo, nuovo Adamo.445

Poiché il nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo, « salvando il suo popolo dai suoi peccati », secondo la testimonianza dell'Angelo [ Mt 1,21 ], ci mostrò in se stesso la via della verità, seguendo la quale possiamo giungere risorgendo alla beatitudine della vita immortale, è necessario, per condurre a termine tutto il corso teologico, che alla considerazione del fine ultimo della vita.

Indice

368 Grosso modo, è la posizione convincente di Y. CONGAR, L'idée de l'Église chez S. Thomas d'Aquin, in Esquisses du mystère de l'Église («Unam Sanctam 8»), Paris 1953, pp. 59-91 (ripresa di un articolo apparso sotto lo stesso nome in RSPT, 29 [1940] pp. 3 1-58, e in inglese in The Thomist, 1939, pp. 331-359); ID., L'Église de saint Augustin et l'époque moderne, Paris 1970, pp. 232-241; Vision de l'Église chez Thomas d'Aquin, RSPT 62 (1978) 523-542.
369 Cf. A. MITTERER, Geheimnisvoller Leib Christi nach St. Thomas von Aquin und nach Papst Pius XIJ, Wien 1950; vedi anche le puntualizzazioni di CH. JOURNET, Recension de Mitterer, in BT 8 (1947-1953) 363-373, e di Y. CONGAR, Sainte Eglise. Etudes et approches ecclésiologiques («Unam Sanctam 41»), Paris 1963, pp. 614-615.
370 Per non citare che un solo testo nella linea di quelli che seguono, ricordiamo soltanto il seguente (SCG IV 76, n. 4103): «É evidente che, sebbene i popoli si dividano in varie città e regioni, occorre tuttavia che se la Chiesa è una, non esista che un solo popolo cristiano.
Quindi così come per il popolo particolare di una sola Chiesa occorre un unico vescovo che sia a capo dell'intero popolo cristiano, così pure è necessario che una sola persona sia a capo di tutta la Chiesa».
Dalla lettura di questo testo non si dedurrà che il Papa è l'unico fautore d'unità nella Chiesa; Tommaso non ignora il ruolo degli altri vescovi, né quello della Sacra Scrittura e della Tradizione, e ancora meno quello dell'eucaristia.
Oltre allo studio fondamentale di Y. CONGAR, Aspects ecclésiologiques de la querelle entre Mendiants et Séculiers dans la deuxième moitié da XIIIe siècle et au début da XIVe siècle, AHDLMA 28 (1961) 34-151, citiamo soltanto due studi tra i più recenti: S.-TH. BONINO, La place du pape dans l’Église selon saint Thomas d’Aquin, RT 86 (1986) 392-422; C. RYAN, The Theology of Papal Primacy in Thomas Aquinas, in C. RYAN (ed.), The Religious Roles of the Papacy: Ideals and Realities, 1150-1300 («Papers in Mediaeval Studies 8»), Toronto 1989, pp. 193-225.
371 Cf. qui sopra cap. VI: «Ad immagine del Figlio unigenito», e cap. IX: «Il cuore della Chiesa»; se si dovessero avere dubbi circa il modo in cui Tommaso tiene uniti l'aspetto mistico e quello sociologico della Chiesa, si vorrà leggere questo testo in cui egli collega il ruolo del Papa nella Chiesa al mistero della processione trinitaria dello Spirito Santo: «infatti, Cristo, Figlio di Dio, consacra la sua Chiesa e pone in essa la sua impronta mediante lo Spirito Santo, [che è] come il suo carattere e il suo sigillo (…). Parimenti, il Vicario di Cristo, come un servitore fedele, mantiene la Chiesa sottomessa a Cristo tramite l‟esercizio del suo primato e del suo governo», Contra errores Graecorum 11,32, Leon., t. 40, p. A 101.
372 In Matthaeum 20, 25, lect. 2, n. 1668; G. SABRA, Thomas Aquinas’ Vision of the Church. Fundamentals of an Ecumenical Ecclesiology, Mainz 1987, ha giustamente sottolineato questa preminenza dell'elemento teologale sull'elemento giuridico o gerarchico.
373 Quest'affermazione fortemente patriarcale ha di che far reagire un uomo del nostro tempo; è inutile negare che porta l'impronta del suo tempo - alla quale Tommaso non sfugge, è chiaro! -. Si farà attenzione perciò a non fargli dire più di quanto il preciso paragone ha qui suggerito.
374 Super ad Ephesios 2, 19, n. 124; abbiamo modificato l'inizio del secondo capoverso: leggiamo est al posto di habet, poiché sarebbe stato necessario leggere: «La città possiede un collegio politico», cosa che non ha molto senso; oppure sarebbe stato necessario modificare il senso del termine «collegio» e dire qualcosa del tipo: «La città possiede un regime politico», ciò che non sembra permesso dal contesto in cui «collegio» conserva sempre la stessa accezione.
375 Vedi anche il commento di Y. CONGAR, «Ecclesia» et «Populus (fidelis)» dans l’ecclésiologie de S. Thomas, Commemorative Studies I, pp. 159-173.
376 Si rileggerà con profitto la prima parte dello studio di B.-D. DE LA SOUJEOLE, «Société» et «communion» chez saint Thomas d’Aquin, RT 90 (1990), pp. 588-601, dove l'autore sviluppa il parallelo qui ricordato (p. 501): «La società politica è l'unico gruppo di natura sociale che possa essere detto perfetto.
Quindi il suo uso analogico per la teologia della Chiesa ha il compito di esprimere il tutto della Chiesa.
Come la città non è unicamente un'istituzione ma è anche formata dalla vita virtuosa dei suoi membri, così la Chiesa come società non esprimerà soltanto la "struttura" ma anche la "vita" che si trova nel suo grembo».
377 Super psalmum 45,5, n. 3, ed. Vivès, t. 18, p. 515.
378 Y. CONGAR, «Ecclesia» et «Populus (fidelis)» dans l'ecclésiologie de S. Thomas, pp. 165-166.
379 Cf. Sent. IV, d. 17, q. 3, a. 1 sol. 5; d. 18, q. 1, a. 1 sol. 1; I, q. 92, a. 3; III, q. 64, a. 2 ad 3; ecc.
380 Tra tanti altri testi, citiamo questo che è chiaramente esplicito, III, q. 80, a. 4: «La realtà (la res) procurata da questo sacramento è duplice: quella che esso significa e comprende, ossia Cristo stesso; l’altra, significata senza essere contenuta, che è il corpo mistico di Cristo, la comunione dei santi»; cf. III, q. 60, a. 3 sc.; q. 73, a. 6;va ricordato che «significare» in questo contesto ha certamente il senso sacramentale di «segno efficace»: il sacramento realizza ciò che significa.
Questo tema è stato ben studiato: oltre al commento di A. -M. ROGUET, in SAINT THOMAS D'AQUIN, L’eucharistie («Revue des Jeunes»), 2 tt., Paris 1959 e 1967, si veda il recente studio di M. MORARD, L’eucharistie, clé de voute de l’organisme sacramentel chez saint Thomas d’Aquin, RT 95 (1995) 217-250.
381 III, q. 65, a. 1; Tommaso sembra essersi particolarmente interessato a questa analogia, dato che ne ha trattato a varie riprese prima di darle la sua forma definitiva; in questo senso si può vedere Sent. IV, d. 2, q. 1, a. 2, dove la prospettiva medicinale di guarigione dal peccato è posta in primo piano; SCG IV 58, dove il parallelo corporale-spirituale fa la sua comparsa, anche se in modo più breve; De articolis fidei et ecclesiae sacramentis 2, Leon., t. 42, pp. 252-253, dove siamo ormai molto vicini alla Somma. É interessante notare come, mentre i teologi del suo tempo cercano di giustificare il numero dei sette sacramenti stabilendo la loro corrispondenza con i sette peccati capitali (Alberto Magno), oppure con le tre virtù teologali completate dalle quattro cardinali (Bonaventura), Tommaso sembra il solo a sviluppare questo parallelo tra vita corporale e vita spirituale, al tempo stesso più naturale e più fecondo.
Virtù o Vizi, buone opere o peccati, le espressioni della vita spirituale non appaiono più quasi artificialmente incollate sulla vita del cristiano, ma proprio come le manifestazioni di un organismo vivente che può certamente essere affetto da malattie e ritrovare la salute o perfino morire, ma la cui crescita è la legge normale e che può anche affermarsi e consolidarsi mediante un regolare esercizio.
382 Sent. IV, d. 7, q. 1, a. 1, qla. 1 ad 1: «fundamentum cuiuslibet legis in sacramentis consistit».
383 Si può rinviare a M. USEROS CAITRETERO, «Statuta Ecclesiae» y «Sacramenta Ecclesiae» en la Eclesiologia de Santo Tomds («Analecta Gregoriana 119»), Roma 1962; si troveranno vari articoli sui rapporti del diritto e della comunione nei due numeri speciali delle Riviste: «Pour une théologie du Droit canonique», RSPT 57, 1973/2; «La Loi dans l'Eglise», Communio, Parigi 1978/3.
384 Cf. per es. Y. C0NGAR, Orientations de Bonaventure et surtout de Thomas d’Aquin dans leur vision de l’Église et celle de l’État, in 1274-Anné charnière, pp. 691-708; vi è anche il tema contiguo posto dall'impiego - relativamente poco frequente, sedici volte - di christianitas, cf. A. MELLONI, Christianitas negli scritti di Tommaso d’Aquino, «Cristianesimo nella storia» 6 (1985) 45-69; contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, christianitas non ha che raramente il senso sociologico di «cristianità», ma designa piuttosto la qualità propria dell‟essere cristiano.
385 Così nella II-II, q. 63, a. 2: dispensatio spiritualium è ben distinto da dispensatio temporalium.
386 Come quando si distinguono gli uffici «secolari» dagli uffici «ecclesiastici» ( I-II, q. 13, a. 4 arg. 3 ), oppure i giudici «secolari» dai giudici «ecclesiastici» ( II-II, q. 33, a. 7 ad 5).
387 II-II,q. 42, a. 1 ad 2.
388 II-II, q. 147, a.3.
389 II-II, q. 60, a. 6 arg. 3 e ad 3.
390 Cf. il nostro Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, pp. 28-30.
391 Sent. II, d. 44, expositio textus, ad 4.
392 II-II, q. 10, a. 10; cf. l'ad 3: «L'autorità di Cesare preesisteva alla distinzione tra fedeli e infedeli»; per uno studio più completo, vedi S.R. CASTAÑO, Legitima potestad de los infieles y autonomia de lo politico. Exegesis tomista, ST 60 (1995) 266-284.
393 In ad Titum 1, 9, n. 64.
394 II-II, q. 104, a. 6; si noterà l'ad 3 in cui I’ordo iustitiae appare come il fondamento stesso di tale obbedienza al principe; se costui si trovasse in rottura rispetto a quest'ordine, i suoi sudditi sarebbero liberati dal loro dovere d'obbedienza nei suoi confronti; si veda anche l'articolo precedente, q. 104, a. 5: l'uomo deve un'obbedienza assoluta soltanto a Dio.
395 Soprattutto in Bonaventura e Alberto Magno, che restano tributari dell'equivalenza ecclesia-christianitas, ricevuta dall'Alto Medioevo, con i permanenti rischi contrari di ierocratismo o cesaropapismo che l'accompagnano; cf. a tal proposito i testi citati da I.TH. ESCHMANN, St. Thomas Aquinas on the Two Powers, MS 20 (1958) 177-205, spec. 192-193.
396 Piuttosto che Eschmann, citato nella nota precedente, si veda qui lo studio di L.E. B0YLE, The De Regno and the Two Powers, in ID., Pastoral Care, Clerical Education ad Canon Law, 1200-1400, London 1981, e L.P. FITZGERALD, St. Thomas Aquinas and the Two Powers, «Angelicum» 56 (1979) 555-556.
In senso opposto alla posizione qui adottata, cf. Wj. HANKEY, «Dionysius dixit, lex divinatis est ultima per media reducere». Aquinas, Hierocracy and the «Augustinisme politique», in Tommaso d’Aquino. Proposte nuove di lettura, a cura di I. TOLOMIO ( =Medioevo 18, 1992), Padova 1992, pp. 119-150; nonostante la ricchezza della documentazione bibliografica di questo studio, molti testi citati qui sopra sembrano essere sfuggiti all'autore.
397 Cf. per es. Gaudium et spes n. 36, 2: «Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di un'esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore.
Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine».
398 Cf. III, q. 7, a 9. «tanquam cuidam universali principio in genere habentium gratiam»; si riconosce qui un'applicazione del principio del maxime tale».
399 De veritate, q. 29, a. 5; vedi il commento di É. BAILLEUX, Le Christ et son Esprit, RT 73 (1973) 386-389.
400 Cf. III, q. 2, a. 10; q. 6, a. 6; q. 7, a. 11; etc.
401 Gv 1,14, cit. in De veritate, q. 29, a. 5 ad 1.
402 De veritate, q. 29, a. 5 ad 3.
403 III, q. 48, a.2 ad 1
404 III, q. 48, a. 1.
405 Prologo generale alle Lettere, n. 11; questo testo è tradotto più ampiamente in Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, pp. 288-289.
406 Vedi Y. C0NGAR, Saint Augustin et le traité scolastique De gratia capitis, «Augustinianum» 20 (1980) 79-93, che ricorda come la dottrina della strumentalità dell'umanità di Cristo nella produzione della grazia era sconosciuta a sant'Agostino, il quale non concepiva il suo agire se non come una causalità dispositiva (cf. sopra n. 16).
407 Cf. III, q. 8, aa. 1 et 5; q. 7, aa. 1 et 9.
408 III, q. 19, a. 4; cf. q. 48, a. 2 ad 1: «Il capo e le membra formano come una sola persona mistica (quasi una persona mystica)»; cf. sopra, le note 55-56; per i diversi aspetti della capitalità di Cristo, si può vedere TH.R. POTVIN, The Theology of the Primacy of Christ, spec. pp. 27-35 e 226-249.
409 In ad Romanos 8,2, lect. 1,n. 606.
410 In ad Colossenses 1, 15,lect. 4, n. 35.
411 Cf. sopra, p. 167.
412 Sono noti gli sviluppi di Y. CONGAR, Jalons pour une théologie du laïcat («Unam Sanctam 23»), Paris 1964 come pure di P. DABIN, Le sacerdoce royal des fidèles dans la tradition ancienne et moderne («Musaeum Lessianum 48»), Bruxelles-Paris 1950, che ha elaborato un ricco dossier di 650 pagine sulla qualità sacerdotale, regale e profetica del Popolo di Dio dalle origini fino ai nostri giorni; più recente la pregevole sintesi di J. ALFARO, Lesfonctions salvzfiques du Christ comme prophète, roi et prétre («Mysterium salutis II»), Paris 1975, pp. 241-325; Y. CONGAR, Sur la trilogie Prophète-Roi-Prétre, RSPT 67 (1983) 97-116.
413 In Ps. 44, 5 (Vivès, t. 18, p. 508); cf. In Matthaeum 1, 1, lect. i nn. 19-20 «Vi erano tre unzioni nella legge antica. Infatti, Aronne ha ricevuto l'unzione dei sacerdoti… Saul ha ricevuto da Samuele l'unzione dei re… Eliseo ha ricevuto l'unzione dei profeti…
Poiché Cristo fu vero sacerdote.., e re e profeta, a giusto titolo è quindi chiamato Cristo [cioè Unto] a causa delle tre funzioni che ha esercitato… Dato che Cristo fu re, sacerdote e profeta, giustamente è quindi chiamato loro figlio [di Abramo e di Davide]»; In ad Romanos 1. 1, lect.1, n. 20: «Cristo vuoi dire Unto… Con ciò viene manifestata la dignità di Cristo quanto alla santità, perché i sacerdoti erano unti.., quanto alla potenza, perché anche i re erano unti… e quanto alla conoscenza, perché pure i profeti erano unti».
414 III, q. 22, a. 1 ad 3: qui si trova «legislatore» laddove ci si aspetterebbe «profeta», ma il contesto generale indica abbastanza che non è il caso di forzare la differenza; cf. q. 31, a. 2: «Cristo doveva essere re, profeta e sacerdote»; Super Isaiam 61, 1 (Leon., t. 28, p. 240, linee 65ss.); In Matthaeum 28, 19, nn. 2462-2464.
415 In ad Hebraeos 1,9, lect. 4, nn. 64-66.
416 2 Cor 13,13 e Fil 2,1; traducendo: «comunione dello Spirito Santo» o «comunione nello Spirito Santo», la traduzione ecumenica della Bibbia sottolinea il carattere trinitario dei passaggi in cui si ritrova questa espressione.
417 Si vedrà a tal proposito B.-D. DE LA SOUJEOLE, «Société» et «communion» chez saint Thomas d’Aquin. Etude d’ecclésiologie, RT 90 (1990) 587-622; vedi in particolar modo la seconda parte per l'uso e il senso di communio e coìnmunicatio.
418 Come si vedrà, il parallelo tra comunione trinitaria e comunione ecclesiale è particolarmente illuminante, ma bisogna fare attenzione a non spingerlo troppo lontano. Nella comunione trinitaria, lo Spirito Santo non è il principio dell'amore o dell'unione; egli è colui che procede come Amore o come Vincolo (si ricordi «l'albero fiorito di fiori» evocato da Tommaso; non sono i fiori il principio della fioritura, ma l'albero).
Nella comunione ecclesiale invece, come diremo più avanti, lo Spirito Santo è proprio il principio (causa esemplare ed efficiente) dell'amore- carità che anima il Corpo di Cristo e lo aggrega in unità.
419 Tra numerosi studi, si può trovare una panoramica generale in Y. CONGAR, L’idée de l’Eglise chez saint Thomas d’Aquin, in ID., Esquisses da mystère de l’Eglise, nuova ed. («Unam sanctam 8»), Paris 1953, pp. 59-91; cf. anche «Ecclesia» et «populus (fidelis)» dans l’ecclésiologie de saint Thomas, in Commemorative Studies I, Toronto 1974, pp. 139-174, ripreso in ID., Thornas d’Aquin. Sa vision de la théologie et de l’Eglise, London 1984, oppure in In., Eglise et Papauté. Regards historiques («Cogitatio fidei 184»), Paris 1994.
420 III, q. 8, a. 5; cf., a. 1; questa dottrina è stata accettata nell'insegnamento della Chiesa, come per es. da Pio XII che nella Mystici Corporis (ed. S. Tromp, § 78) afferma non senza una certa forza; «Tutti i doni, tutte le virtù, tutti i carismi che si trovano eminentemente, abbondantemente ed efficacemente nel capo, sono effusi in tutti i membri della Chiesa , e, più di recente, il Vaticano Il, in Lumen gentium 1,7; «In questo corpo, la vita di Cristo si effonde in tutti i credenti.
421 De veritate, q. 29, a. 4; «Est etiam in Ecclesia continuitas quaedam ratione Spiritus sancti, qui unus et idem numero totam Ecclesiam replet et unit»; cf. Expositio in Symbolum, a. 9, n. 971; «La Chiesa cattolica è un solo corpo che possiede differenti membra; l'anima che vivifica questo corpo è lo Spirito Santo»; questo modo di esprimersi ricorre una quindicina di volte (cf. Vauthier, qui sotto), ma per lo più molto brevemente.
Si trova un'eccezione nel seguente testo del Super Ioannem 1, 16, lect. 10, n. 202; «In questo senso, la pienezza di Cristo è lo Spirito Santo che da lui procede ed è a lui consustanziale nella natura, nella potenza e nella maestà. Infatti, sebbene i doni abituali che si trovano in noi siano diversi da quelli che si trovano nell'anima di Cristo, tuttavia è l'unico e medesimo Spirito che è in lui e che riempie tutti i santificati. Lo conferma san Paolo quando scrive; "Ora tutti questi doni li produce l'unico e medesimo Spirito" [ 1 Cor 12,11 ]; nonché il profeta Gioele; "Io riverserà il mio Spirito su ogni carne" [ Gl 3,1; At 2,17 ]. Cosicché, a detta dell'apostolo "Se uno non ha lo Spirito di Cristo, costui non gli appartiene" [ Rm 8,9 ].
Infatti l’unità dello Spirito Santo crea l’unità della Chiesa».
422 Sent. III, d. 13, q. 2, a. 2, qla. 2 ad 1.
423 Cf. E. VAUTHIER, Le Saint-Eprit principe d’unité de l’Église d’après S. Thomas d’Aquin. Corps mystique et inhabitàtion da Saint-Esprit, MS 5 (1948) 175- 196; 6 (1949) 57-80, con la discussione di Y. CONGAR, Sainte Eglise. Études et approches ecclésiologiques («Unam sanctam 41»), Paris 1963, pp. 647-649. Cf. anche S. DOCKX, Esprit Saint, àme de l’Eglise, in Ecclesia a Spiritu Sancto edocta, pp. 65-80.
424 Si rileggerà volentieri questo bel testo: «Il nostro spirito, mediante il quale l'uomo vive, si chiama anima… E voi vedete cosa fa l'anima nel corpo.
Essa vivifica tutte le membra; guarda attraverso gli occhi, ascolta con le orecchie… E presente allo stesso tempo in tutte le membra per farle vivere; a tutte dà la vita e a ciascuna il proprio ruolo.
Non è l'occhio che ascolta, né l‟orecchio che vede, né l'orecchio o l'occhio che parlano.
E tuttavia essi vivono: l'orecchio vive, la lingua vive; le funzioni sono diverse, ma la vita è comune. Così accade per la Chiesa di Dio.
Con alcuni santi essa compie dei miracoli, con altri insegna la verità, con altri conserva la verginità… gli uni questo, gli altri quello.
Ciascuno compie la legge che gli è propria e tutti vivono in egual modo. Ciò che l’anima è per il corpo umano, lo Spirito Santo lo è per il corpo di Cristo, la Chiesa.
Lo Spirito Santo compie in tutta la Chiesa ciò che l’anima compie in tutte le membra di un unico corpo» (Omelia 267, n. 4: PL 38, 1231).
425 Il P. Congar a tal proposito ha ragione nel suo confronto con lo studio di Vauthier.
426 Le «intenzioni» significano qui precisamente quei supplenti della realtà che sono le rappresentazioni che noi elaboriamo per poterla interiorizzare mediante la conoscenza e l'amore.
427 I, q. 43, a. 3 e qui sopra, capp. III e IV.
428 I lettori esperti avranno certamente notato che non abbiamo utilizzato il discusso vocabolario della distinzione tra l'anima increata (lo Spirito Santo) e l'anima creata (la grazia) della Chiesa. Non si trattava qui di evitare una discussione inopportuna in questo contesto, poiché fatta astrazione delle parole inopportune (ma quali sarebbero migliori?), la necessità di questa distinzione è indubbia ai nostri occhi.
Poco curata nella teologia attuale, essa è sostenuta a buona ragione dai due maggiori ecclesiologi del nostro tempo: CH. JOURNET, L’Eglise du Verbe incarné, t. Il, Paris 1951, pp. 5 10-580; Y. CONGAR dà en passant il suo assenso alle tesi di Journet (Sainte Église, pp. 643 e 647-649), ma già aveva difeso per proprio conto un‟identica posizione in Chrétiens désunis. Principes d’un «oecuménisme» catholique («Unam Sanctam 1»), Paris 1937, pp. 64 e 68-70. La critica di S. Dockx (cf. qui sopra, nota 41) dimentica di considerare il fatto che la Chiesa è una «persona» mistica o, se si vuole, un tutto misticamente personale.
Senza addentrarci qui in questo nuovo tema, rinviamo ai due medesimi teologipresso i quali si troverà l'essenziale del dibattito: CH. JOURNET, La sainteté de l’Eglise. Le livre de Jacques Maritain, «Nova et Vetera» 46 (1971) 1-33 (presentazione e discussione di J. MARITAIN, De l’Église du Christ, Paris 1970); Y. CONGAR, La personne «Église», RT71 (1971) 613-640. 428 Secondo M. GRABMANN, Die Lehre des heiligen Thomas von Aquin von der Kirche als Gotteswerk, Regensburg 1903, pp. 184-193.
429 III, q. 8, a. 1 ad 3.
430 Soltanto «di preferenza», perché l'attribuzione sembra non avere niente di esclusivo sotto la mano di Tommaso; in un passaggio parallelo del De ueritate, q. 29, a. 4 ad 7, egli osserva: «Il cuore è un organo nascosto… per questo può significare sia la divinità di Cristo sia lo Spirito Santo».
431 Expositio in Symbolum, art. 10, n. 987.
432 É risaputo che si tratta qui della forma autentica del Simbolo degli Apostoli così come la si può trovare in una delle sue prime testimonianze, presso sant'Ippolito di Roma, verso l'anno 200, cf. P. NAUTIN, Je crois à l'Esprit-Saint dans la sainte Église pour la résurrection de la chair. Etude sur l'histoire et la théologie du Symbole («Unam Sanctam 17»), Paris 1947.
433 Expositio in Symbolum, art. 10, n. 988.
434 Expositio in Symbolum, art. 10, n. 997
435 Vedi per esempio: Sent. IV, d. 45, q. 2, a. 4 qla. 1 ( Suppl., q. 71, a. 12 ) Quodlibet VIII, q. 5, a. 2 [12].
436 Quodlibet II, q. 7, a. 2 [14]
437 Si riconosce qui la trasposizione suprema in termini cristiani della dottrina dell'amicizia incontrata nel capitolo precedente; san Tommaso la ricava da Aristotele, ma costui la riceveva già da Platone, anch'egli ben presto ripreso e cristianizzato dai primi pensatori cristiani nello stesso senso che abbiamo appena esposto, come per esempio da Clemente d'Alessandria: «E se "le cose degli amici sono comuni" (PLATONE, Fedro, 279C; Leggi, V, 739C), e l'uomo è amico di Dio (e infatti egli è amico di Dio per la mediazione del Verbo), allora tutte le cose diventano dell'uomo poiché tutte le cose sono di Dio, e tutte le cose sono comuni a questi due amici, Dio e l'uomo» (Protrettico XII 122, 3; cf. CLEMENTE ALESSANDRINO, Il Protrettico.
Il Pedagogo, a cura di M.G. BIANCO, UTET, Torino 19711, p. 189).
438 L'espressione è del Catechismo Romano, detto «del Concilio di Trento», ma essa si connette bene ai testi di san Tommaso appena ricordati; cf. Catechismus Romanus…, ed. P. RODRIGUEZ, Città del Vaticano 1989, Pars Ia, cap. 10, p. 119.
Ciò è stato evidentemente ripreso dal Catechismo della Chiesa Cattolica.
439 Cf. Sent. IV, d. 45, a. 2, q. 1, so1. 1: «propter communicantiam in radice operis quae est caritas». Questa dottrina della comunione dei santi evidentemente è più ampia del breve richiamo riportato qui sopra; eventualmente si potrà completare con CH. JOURNET, L‟Eglise dii Verbe incarné, t. TI, pp. 548-561 e 662-667, e soprattutto, con il buon articolo di J. -M.R. THIARD, La communion des saints, «La Vie spirituelle» 113 (1965) 249-274; vedi anche Y. CONGAR, Aspects de la communion des saints. Les voies dii Dieu vivaci‟, Paris 1962, pp. 347-356; Je crois en l'Esprit-Saint, t. TI, Paris 1979, pp. 83-87 (con abbondante bibliografia).
440 Sermone Beati qui habitant, in TH. KÀPPELI, Una raccolta di prediche attribuita S. Tommaso d’Aquino, AFP 13(1943)59-94, cf. pp. 88-94.
441 Cf. Expositio in Symbolum, a. 9, n. 972: «Bisogna sapere che "Chiesa" significa "comunità" (congregatio); perciò "santa Chiesa" è la stessa cosa che "comunità dei fedeli" (con gregatio /idelium) e ogni cristiano è membro di questa Chiesa».
442 Cf. 1 Cor 1,9 e 1 Gv 1,7.
443 In orationem dominicam expositio VI, n. 1090.
444 In orationem dominicam expositio, Prol., n. 1024: «Per suggerire l‟amore di Dio, lo chiamiamo "Padre", per suggerire l'amore del prossimo, preghiamo comunitariamente e per tutti dicendo "Padre nostro" e "rimetti a noi i nostri debiti"; questo ci spinge all‟amore del prossimo».
445 Si è già caratterizzato il pelagianesimo come «un cristianesimo privato di due misteri che sono in buona parte misteri di solidarietà… nel male e nella morte, nel bene e nella vita», E. MERSCH, Le corps mystique da Christ.
Études de théologie historjque, Bruxelles-Paris 1951, t. 2, p. 66; la dottrina della comunione dei santi si trova agli antipodi di questa deviazione.